Pietà e rispetto verso defunti e luoghi di sepoltura

Pietà e rispetto verso defunti e luoghi di sepoltura

I delitti contro la pietà dei defunti sono regolati dal nostro Codice Penale negli articoli da 407 a 413.

In tale contesto l’idea di pietà deve essere intesa come rispetto reverenziale nei confronti della persona che ha abbandonato la vita terrena e di conseguenza verso il luogo in cui riposa. 

Da tenere presente che la tutela espressa dalle disposizioni legislative trascende dalla sola sfera religiosa, ma trova applicazione verso ogni individuo credente o laico, essendo tutelato un sentimento comune: la “pietas”, intesa generalmente (facendo riferimento alla concezione greca) come amore e compassione verso le persone.

Non mancano tuttavia, nell’attuale sistema sociale, opinioni che sostengono fermamente la stretta relazione tra la sfera religiosa e la protezione offerta dagli articoli da 407 a 413 del Codice Penale. Tali opinioni sono sostenute facendo riferimento al fatto che gli articoli sopra citati sono rubricati sotto il titolo IV, libro II, il quale oltre alla tutela verso i defunti, tratta anche dei delitti al sentimento religioso.

Senza alcun parere disarmonico, invece è lo stretto rapporto tra morale e diritto, in quanto, il rispetto verso i defunti risiede nelle società dai tempi più antichi. Tuttavia, il legislatore, si è trovato a dover emanare leggi con l’intento di perseguire coloro che compiono violazioni a sepolcri, tombe, urne e al corpo del defunto (art. 410 c.p.).

Il reato rappresentato dall’art. 407 c.p., oltre alla sua interpretazione quale norma generale relativamente alle fattispecie in esame, trova la sua realizzazione nella circostanza ove un soggetto compie una profanazione di tomba, urna o sepolcro. Tale comportamento è sanzionato con la reclusione da uno a cinque anni. Al fine di realizzarsi, il reato, deve essere attuato in modo illecito. Non rientra quindi nella fattispecie la punibilità di esumazioni laddove queste siano autorizzate. Invece comportamenti quali l’apertura di una tomba o di un sepolcro, la rottura, lo scoperchiamento, ed il successivo disseppellimento di cadavere (senza autorizzazione alcuna), rappresentano comportamenti penalmente perseguibili.

Laddove il soggetto che commette il reato, ripristina la situazione creata, può, in sede processuale, avere applicate le attenuanti di cui all’art. 62 n°6 del Codice Penale.

Sempre a livello processuale, gli eredi del defunto possono agire per ottenere il risarcimento dei danni a seguito delle profanazioni compiute dal reo. 

La tutela offerta dall’art. 407 è rivolta non tanto ad una violazione attuata direttamente verso il sepolcro, l’urna o la tomba, ma al contenuto di tali oggetti (il defunto o le sue ceneri). 

Con l’art. 408 c.p., invece vi è una traslazione della tutela, in quanto, in tale contesto, viene ad essere protetto non il defunto, ma l’attenzione è posta al luogo fisico ed all’oggetto in cui esso giace. 

La condotta mediante la quale può essere rappresentato il vilipendio è tipicamente un comportamento di offesa e di oltraggio contro il luogo in cui riposa il defunto. Esempi di riferimento sono il danneggiamento, l’imbrattamento, il depauperamento, le incisioni o la distruzione di tombe, urne, sepolcri e di oggetti che hanno il solo scopo di ornamento. Nella medesima fattispecie rientra anche la rimozione e la sostituzione di oggetti diversi da quelli che erano stati posti in memoria della persona deceduta.  Qualora la sostituzione o la rimozione ha lo scopo di arrecare offesa non al defunto ma nei confronti dei soggetti che hanno sistemato il sepolcro, la pena rimane la medesima prevista dall’art. 408 c.p. (Cassazione n°4038/1985). 

Al fine che si verifichi il reato in questione, il comportamento del reo, deve essere posto in essere all’interno di un cimitero o di altro luogo dedito alla sepoltura.

La pena è la reclusione da sei mesi a tre anni. 

La fattispecie raffigurata dall’art. 408 c.p. può concorrere con i reati cui agli articoli 624 e 625 n°7 del Codice Penale. Nello specifico quindi, il soggetto che, oltre a commettere vilipendio, profana rubando all’interno del sepolcro, tomba o urna, avrà l’aggravante del furto (art. 624); nell’ipotesi ove il reo abbia volontariamente commesso vilipendio con l’intento di commettere successivamente il furto, sarà applicato il reato di furto aggravato (facendo riferimento agli elementi dell’art. 625 n°7 c.p.).  

A livello giurisprudenziale di particolare rilievo è la sentenza n°43093 del 2021 della Corte di Cassazione, dalla quale è possibile desumere un’estensione della punibilità che si spinge oltre l’effettivo danno che può essere arrecato all’oggetto, in quanto il reato di vilipendio è ugualmente punibile anche semplicemente quando un soggetto fa utilizzo di locuzioni verbali intese ad offendere gli oggetti tutelati dalla norma in esame.

L’articolo 410 del Codice Penale, va a perseguire i soggetti che commettono vilipendio direttamente sul  cadavere (mediante manipolazione dei resti umani) o alle sue ceneri, e coloro che compiono atti di mutilazioni o deturpamenti al defunto. La pena prevista è: nella prima fattispecie la detenzione da uno a tre anni, e nella seconda è prevista la reclusione dai tre ai sei anni. L’inasprimento della pena nella seconda fattispecie è data dai disdicevoli comportamenti tenuti nei confronti del cadavere. 

Suddetta norma trova applicazione anche nei casi di necrofilia, ossia quegli atteggiamenti di perversione maturati sul cadavere. 

Il fine della norma è di salvaguardare l’integrità delle spoglie mortali, verso le quali è necessario mostrare pietà e rispetto, ed evitare ogni forma di violenza sul cadavere.

Necessario è cercare di comprendere cosa si intende con il termine cadavere. Tale locuzione può assumere principalmente due significati, uno legato alla sfera giuridica ed uno a quella medica. In ambito giuridico il cadavere è considerato una “cosa” non commerciabile, in quanto la possibilità di attribuirgli un prezzo andrebbe a ledere gravemente la dignità umana. E’ definito cadavere il corpo di una persona che ha perso le sue funzioni vitali encefalitiche (Legge n° 578 del 1993).

Sotto un punto di vista medico, cadavere è reputato il corpo umano compromesso, nella sua interezza, delle funzioni organiche vitali.  

La tutela dell’art. 410, si applica oltre al corpo, anche al feto nato privo di vita, con già una parvenza di sembianze umane e che vi sarebbe stata la possibilità di una sopravvivenza extrauterina, il che in media è plausibile dal sesto/settimo mese di gravidanza (Cassazione Sezione II del 30/09/1940; Cassazione Sezione III del 2/12/1942; Cassazione Sezione I del 15/06/1959).

L’intento del legislatore è stato quello di legiferare su temi che già erano insiti nel sistema sociale e culturale, ma la protezione penale ha dato la possibilità di reprimere tali comportamenti illeciti dando una doppia tutela: al cadavere o alle sue ceneri, ma anche ai cari della persona scomparsa, in quanto essi possono agire contro le violazioni ed il vilipendio commesso ai luoghi di sepoltura e nei confronti della persona defunta. E’ possibile quindi affermare che in tali contesti diritto morale e penale vengono ad agire con uno scopo comune, quello di proteggere il diritto al rispetto ed alla pietà dei beni tutelati dagli articoli 407,408,410 c.p.


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