Premeditazione o preordinazione? La linea di confine in tema di omicidio volontario

Premeditazione o preordinazione? La linea di confine in tema di omicidio volontario

Tizio, al fine di eliminare fisicamente Caio perché rivale in amore, decide di procurarsi un’arma da fuoco e attingerlo l’indomani all’uscita dal lavoro, tendendogli un vero e proprio agguato.

Può, in un caso simile, parlarsi di premeditazione del delitto?

La risposta a tale quesito passa necessariamente attraverso l’analisi in ordine alle caratteristiche del fatto delittuoso, considerato – si badi – nella sua intera elaborazione da parte del reo.

Facendo leva su tale assunto, nell’esempio di scuola testé citato non può ritenersi sic et simpliciter integrata la circostanza aggravante prevista all’art. 577 co. 1 n 3) c.p., considerato che l’aver teso un imboscata al nemico, magari ragionandoci la notte per la mattina seguente, non costituiscono di per sé parametri da cui trarre in maniera certa ed univoca l’esistenza di un processo deliberativo che abbia portato, nella psiche di Tizio, ad un radicamento costante e persistente del proposito omicida.

Da qui l’esigenza di individuare una linea di demarcazione tra mera preordinazione e l’aggravante della premeditazione.

Mentre la prima è da intendersi come apprestamento, nella fase che precede l’esecuzione, dei mezzi minimi essenziali per l’espletamento del proposito criminoso, la circostanza aggravante contemplata dal codice penale «postula invece il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive»〈1〉.

Ciò posto, se dunque alla luce del complessivo esame delle evidenze probatorie, risulta che Tizio aveva studiato con attenzione la conformazione dei luoghi, ponendo altresì in essere tutte quelle accortezze tali da garantirgli l’eliminazione di Caio senza dare immediatamente adito a sospetti 〈2〉, ecco che si è al cospetto di attività complesse e non denotanti improvvisazione ma, per l’appunto, analisi ex ante circa luoghi, tempi, e modalità dell’azione che ha come chiave di lettura la preventiva insorgenza di un proposito criminoso dai contorni ben precisi: volere la morte del rivale 〈3〉.

Nemmeno la ricerca e il successivo possesso dell’arma da fuoco poi utilizzata da Tizio potrà, per ciò solo, assurgere a parametro logico dell’insorta premeditazione, atteso che ciò andrà considerato unicamente come tassello ulteriore nella programmazione dell’omicidio di Caio, a cui potenzialmente si potranno aggiungere ulteriori snodi che, a seconda dei casi, faranno propendere o meno per la circostanza aggravante in parola.

Guardare alle caratteristiche del fatto, così come manifestatosi nella sua globalità.

Questo l’unico esame in grado di dimostrare l’inverarsi, in capo al reo, di un iter psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione che caratterizza l’aggravante della premeditazione.

 

 

 

 

 


〈1〉 Cass. Pen., Sez. I, 14 luglio 2015, n. 5147.
〈2〉 Ad esempio, utilizzando per la fuga l’autovettura di un complice inconsapevole.
〈3〉 È facile intuire come tali determinazioni assunte dall’agente finiscano inevitabilmente con il riverberarsi sull’elemento psicologico del reato, incidendo in aumento sotto il profilo dell’intensità del dolo. In termini non dissimili, cfr. Cass. Pen., Sez. I, 6 ottobre 2022, n. 37825.

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Dott. Giovanni Ciscognetti

Nato nel 1992, ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo con il Prof. Vincenzo Maiello una tesi in Diritto Penale dal titolo "Le circostanze del reato". È iscritto al registro dei praticanti abilitati alla sostituzione ex art. 41 co. 12 L. 247/2012 dell'Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata (dal 28/09/2022). È attualmente membro della Scuola Forense Enrico De Nicola.

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