Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

Concluse le indagini preliminari ed inviato l’avviso ex art. 415 bis c.p.p. all’indagato, la Procura della Repubblica contesta in capo a Tizio il reato di cui agli artt. 81 c.p. e 73 co. 5 DPR 309/90, perché in più occasioni ed in attuazione di un medesimo disegno criminoso, cedeva un numero imprecisato di dosi di cocaina a Caio e Sempronio dietro un corrispettivo di € 50,00 a dose. Con l’aggravante della recidiva specifica, come si evince dal Certificato del Casellario Giudiziale. Dal fascicolo della Procura emergono le sommarie informazioni rese da Caio e Sempronio, i quali descrivono, in maniera sostanzialmente identica e particolareggiata, la modalità con cui essi acquistavano le dosi da Tizio, mentre Mevia afferma che il suo ex compagno acquistava saltuariamente le dosi presso il locale di Tizio.

Tuttavia, dal verbale di perquisizione locale e personale, operata nei confronti di Tizio, emerge il sequestro, oltre dei proiettili di cui si dirà nel prosieguo, di un bilancino di precisione, di vari ritagli di materiale per il confezionamento di sostanza stupefacente e una scatola di plastica con all’interno della plastilina “pongo” con all’interno dei residui di materiale per il confezionamento di sostanza stupefacente, ma non il rinvenimento di alcuna sostanza stupefacente.

Si contesta altresì il reato di cui all’art. 697 c.p., perché all’interno della sua abitazione, deteneva senza averne fatto denuncia all’Autorità di Pubblica Sicurezza, n. 2 proiettili calibro 7,65, n. 2 proiettili calibro 22 e n. 2 proiettili calibro 7,62, nonché 5 proiettili di calibro sconosciuto.

Al fine di approntare la migliore difesa in vista del rinvio a giudizio e della conseguente fissazione dell’udienza preliminare, occorre esaminare la normativa che nel caso di specie interessa e la giurisprudenza relativa ai vari aspetti penali che caratterizzano la posizione della persona sottoposta ad indagini.

L’art. 73 co. 5 DPR 309/90 prevede la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a 10.329, per chiunque commetta uno dei fatti (coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita, offerta o messa in vendita, cessione, distribuzione, commercio, trasporto…per qualunque scopo di sostanze stupefacenti o psicotrope) previsti dal presente articolo, che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e la quantità delle sostanze, è di lieve entità.

L’art. 81 c.p. contiene la disciplina della continuazione del reato, che prevede l’aumento di pena sino al triplo per la violazione più grave. Il quinto comma del medesimo articolo così dispone: “Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 co. 4 c.p., l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave”.

Il reato di detenzione abusiva di armi, di cui all’art. 697 c.p., è punito con l’arresto da tre a dodici mesi o con l’ammenda fino a € 371,00.

Rinvenimento di bilancino di precisione e materiale atto al confezionamento

Passando ad analizzare la giurisprudenza che qui interessa, il Tribunale di Roma, sez. II, 1/3/2016, n. 3261, in tema di sostanze stupefacenti, rappresentano indizi della destinazione alla cessione il superamento del quantitativo di stupefacente detenuto rispetto al tetto massimo stabilito nelle tabelle ministeriali, il fatto che il soggetto agente abbia la disponibilità di stupefacente nascosto, nonché il rinvenimento di materiale atto al confezionamento ed alla pesatura della sostanza. Dello stesso tenore, la massima di Cassazione penale, sez. IV, 8/6/2016, n. 34834, statuisce che è prova di destinazione allo spaccio non solo la quantità elevata di stupefacenti, ma anche la detenzione di strumenti idonei a preparare le dosi.

Mancata indicazione del principio attivo della cocaina

Il Tribunale di Napoli, sez. I, 27/9/2018 afferma che l’assenza di informazioni su purezza, efficacia drogante e dosi medie giornaliere configura un vulnus che va letto in un’ottica di favor rei.

Di tenore opposto l’Ufficio delle Indagini Preliminari, Napoli Nord, n. 520/2016, secondo cui il giudice non deve accertare qualità e quantità del principio attivo, potendolo desumere da altri elementi della condotta (ad esempio, l’attività organizzata di spaccio).
Attività organizzata di spaccio

La Corte d’Appello di Palermo, sez. IV, 20/4/2017, n. 4777 così configura l’attività organizzata di spaccio: “dalla costante frequentazione del luogo può desumersi la detenzione di non lieve entità di stupefacenti e di un’attività di spaccio non occasionale, ben organizzata.

Secondo il Tribunale di Napoli Nord, 16/9/2016, n. 1743, viene meno la lieve entità ex art. 73, co. 5 DPR 309/90, se si tratta di un’attività organizzata sia pure in modo rudimentale.

Giurisprudenza risalente (Ufficio delle Indagini preliminari, Busto Arsizio, 24/7/2012) ritiene, invece, che la modestia e la rudimentalità dell’attività di spaccio, e cessione di stupefacenti, sebbene effettuata in plurime occasioni, sono indici di un’attività non particolarmente organizzata e, pertanto, non gravemente incisiva e pericolosa per la diffusione della droga, con possibilità, dunque, di configurare, nel caso di specie, l’attenuante di cui al comma 5 art. 73 dpr 309/90.

Sospensione condizionale della pena

La formulazione normativa dell’art. 164 c.p. delinea i criteri generali che permettono al soggetto condannato la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena. La regola base depone nel senso che non sia concedibile il beneficio a chi ne abbia già usufruito in un’occasione. Tale impostazione originaria ha lasciato progressivamente spazio alla previsione della possibilità di ulteriore concessione del beneficio, nel caso in cui l’operazione di cumulo tra la pena precedentemente sospesa e quella in relazione alla quale venga nuovamente concesso il beneficio, non comporti lo sforamento dei limiti imposti dall’art. 163 c.p. (cfr. Corte Costituzionale, 28 aprile 1976, n. 95). La giurisprudenza ritiene, però, inammissibile la concessione del beneficio per più di due volte e ciò indipendentemente dal fatto che vi sia stata o meno l’applicazione del beneficio in relazione a precedente condanna a pena detentiva per delitto, così come a prescindere dal fatto che, eventualmente, le pene complessivamente irrogate e cumulate tra loro non superino le soglie di ammissibilità dettate dall’art. 163 c.p.


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