Pubblicazione di immagini di minori sul web: il reato di sostituzione di persona, il consenso dei genitori ed il digital kidnapping

Pubblicazione di immagini di minori sul web: il reato di sostituzione di persona, il consenso dei genitori ed il digital kidnapping

Sommario: 1. Introduzione – 2. Sostituzione di persona ex art. 494 c.p. – 3. Il consenso di entrambi i genitori alla pubblicazione dello scatto raffigurante il figlio minore d’età – 4. Il rischio estremo: il  fenomeno del  digital kidnapping

 

1. Introduzione

Nell’ultimo decennio e soprattutto durante il corrente periodo storico, segnato da forti limitazioni destinate a garantire il maggior grado di distanziamento sociale, è sempre più comune l’identificazione dello spazio digitale, offertoci dal web attraverso la creazione di varie piattaforme social, quale strumento attraverso cui poter agevolmente comunicare con le persone più care, le quali si  trovano lontane fisicamente.

Quotidianamente i social sono utilizzati da milioni di utenti, che creando una vera e propria identità virtuale, sfruttano i medesimi anche con lo scopo di comunicare eventi caratterizzanti la propria vita privata.

Navigare in rete però può essere considerato l’equivalente di passeggiare per piazze e vie del centro di una grande città, molto affollata, dove non si è in grado di conoscere le intenzioni delle persone che incontriamo.

Molto spesso gli utenti ritengono di esser in grado controllare la cerchia di amici che possa apprendere la notizia pubblicata, o visualizzare l’immagine resa nota.

Purtroppo però, sussiste una differenza basilare, alquanto rilevante e immediatamente intuibile, la quale intercorre irrimediabilmente tra il concetto di vita reale e quello vita virtuale che, però, sembra sfuggire a molti: mentre nel corso di una passeggiata “reale” ci è possibile vedere chi incontriamo, chi ci parla o ci segue, decidere chi salutare o meno, in quella virtuale non possiamo aver alcuna certezza circa  l’identità reale del soggetto nel quale ci imbattiamo in rete, delle sue intenzioni e, prima di tutto, se il nostro interlocutore sia veramente chi dichiara di essere.

È naturale che nella quotidianità virtuale, dal momento in cui accendiamo il computer o il cellulare e ci connettiamo ad internet, mettiamo a disposizione di un nostro potenziale aggressore un’ innumerevole quantità di beni personali preziosissimi e non pensiamo ad avere la stessa cautela che ci impone, ad esempio, andando in metro (quando particolarmente affollata) di controllare la chiusura della borsa o della tasca in cui si era provveduto a riporre il portafogli o il cellulare stesso, al fine di preservarli da possibili furti.

Molti sono i reati perpetrabili attraverso l’illecito utilizzo di dati che appartengono ai singoli utenti del web, ma in questa sede ci occuperemo di disaminare le possibili conseguenze derivanti dall’esposizione dell’immagine dei minori sulla rete.

2. Sostituzione di persona ex art. 494 c.p.

Tra i reati perpetrabili sul web e che necessitano il maggior grado di cooperazione della vittima si rinviene il  reato di sostituzione di persona, di cui all’art. 494 c.p., il quale si concreta in un vero e proprio “furto d’identità”.

L’art. 494 c.p. prevede due forme di falsificazione alternative, ciascuna da sola idonea ad integrare la fattispecie.

La prima si concretizza nel sostituirsi in toto ad un altro soggetto; la seconda nell’attribuirsi un falso nome, un falso stato ovvero qualità inesistenti. Si tratta evidentemente di un reato a condotta vincolata, non configurabile in forma omissiva, il medesimo articolo di legge dispone infatti che “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno”.

La norma in esame configura un’ipotesi di reato plurioffensivo, in forza del fatto che oggetto di tutela non è solamente la pubblica fede, bensì, come affermato concordemente da parte della dottrina e della giurisprudenza più autorevole, anche l’interesse del privato nella cui sfera giuridica l’atto sia destinato ad incidere concretamente.

La condotta consiste nell’indurre taluno in errore sostituendosi illegittimamente ad altra persona, oppure nell’attribuirsi un falso nome o un falso stato, ovvero ancora una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.

Il vantaggio o il danno menzionati all’interno del testo della norma non devono avere necessariamente carattere economico, né illecito e la giurisprudenza ha recentemente ammesso che il reato possa pacificamente commettersi a mezzo internet,  qualora taluno si attribuisca falsamente le generalità di un terzo, inducendo in errore gli altri fruitori della rete. Parimenti, è considerata punibile anche la condotta di chi, utilizzando i dati ed il nome altrui, crei un falso profilo sui social network, usufruendo dei servizi offerti, procurandosi i vantaggi derivanti dall’attribuzione di una diversa identità e la condotta di chi intrattenga rapporti con altre persone al solo fine di soddisfare la propria vanità, ledendo però  l’immagine della persona alla quale si è sottratta l’identità medesima.

Specificatamente, tale tipologia di reato è molto spesso perpetrato mediante il “furto” digitale dell’immagine e indi dell’identità di soggetti minori di età.

A tal proposito, interessante la pronuncia n. 33862/2018 emessa della Suprema Corte.

Attraverso l’emissione della suindicata sentenza, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla rilevanza penale dell’assunzione dell’identità di altri soggetti (nel caso di specie di un minore) compiuta sui social network per scopi illeciti diversi rispetto all’indebito arricchimento, in questo caso in danno dell’integrità psico-fisica di altri minori.

Nella vicenda in commento un uomo di quasi quarant’anni aveva creato un falso profilo Facebook   apponendovi la fotografia di un minorenne realmente esistente, reperita sul profilo del medesimo, al fine di contattare alcune adolescenti, dunque a loro volta minorenni, alle quali, una volta acquisita la loro fiducia e dopo aver instaurato con le stesse rapporti telefonici, aveva chiesto di inoltrargli scatti a sfondo erotico, nelle quali le stesse erano riprese svestite, minacciandole poi di diffondere in rete le immagini di cui aveva così ottenuto il possesso.

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione della Corte d’Appello di Milano, che ha confermato la sentenza del GUP presso il Tribunale di Milano con la quale era stato condannato per i reati di sostituzione di persona, violenza privata e detenzione di materiale pedopornografico.

La Suprema Corte ha confermato la condanna dell’uomo per i delitti di cui agli artt. 494 e 610 c.p., conformandosi al proprio precedente giurisprudenziale, risalente al 2014, attraverso cui aveva asserito che “Integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un “nickname” di fantasia ed a caratteristiche personali negative” ( Cass. pen., Sez. V, sent. n. 25774/2014).

La pubblicazioni di immagini che ritraggono soggetti minori di età espongono dunque anche al concreto rischio che soggetti malintenzionati utilizzino le medesime per la realizzazione di scopi illeciti che potrebbero, oltretutto, nuocere all’immagine del minore medesimo.

Allo scopo di arginare ulteriormente tale fenomeno è entrato in vigore il D.Lgs. n. 101 del 10 agosto 2018, attraverso cui si è adeguato il Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196 del 30 giugno 2003) alle disposizioni del Regolamento UE 2016/679.

All’art. 2 quinquies, il medesimo testo di legge disciplina il consenso del minore in relazione ai servizi della società dell’informazione.

Come noto, l’art. 8.1 del Regolamento GDPR aveva indicato nei 16 anni la liceità del consenso prestato dal minore, demandando agli Stati membri la possibilità di stabilire un’età inferiore, nei limiti dei 13 anni, come ha poi fatto il legislatore italiano.

Il decreto, però, precisa come in tali ipotesi “il titolare del trattamento redige con linguaggio particolarmente chiaro e semplice, conciso ed esaustivo, facilmente accessibile e comprensibile dal minore, al fine di rendere significativo il consenso prestato da quest’ultimo, le informazioni e le comunicazioni relative al trattamento che lo riguardi.

La norma sembra dunque imporre al titolare del trattamento particolari cautele (e, dunque obblighi) nelle ipotesi in cui a prestare il consenso sia un minore infra quattordicenne, specie nell’informativa che dovrà essere resa precisando poi che “[…] il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione. Con riguardo a tali servizi, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni, fondato sull’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), del Regolamento, è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale”.

È dunque opportuno che, congiuntamente alla normativa, siano i genitori a vigilare sull’operato dei figli minori allo scopo di limitare spiacevoli conseguenze giuridiche e non.

3. Il consenso di entrambi i genitori alla pubblicazione dello scatto raffigurante il figlio minore d’età

In caso di mancato consenso di entrambi i genitori circa la pubblicazione di foto dei figli minorenni sui social network, dovranno ritenersi violati i diritti all’immagine e alla riservatezza del fanciullo.

Pubblicare foto del minore su internet (su Facebook ad esempio) richiede il consenso di entrambi i genitori e non solo: la pubblicazione dovrà rispettare in maniera rigorosa il decoro, la reputazione e l’immagine del minore  e per quel che concerne la pubblicazione di soggetti minori di età ma ultra quattordicenni, sarà necessario il parere degli stessi.

È possibile riassumere così una questione in realtà molto complessa dal punto di vista giuridico e resa sempre più attuale dalla crescente popolarità dei social network, all’interno dei quali dilaga tra i genitori l’abitudine di pubblicare immagini dei propri figli.

Immagini che tuttavia rischiano di configurarsi come interferenza nella vita del minore e avere conseguenze sulla sua persona anche a distanza di molti anni.

Ecco una significativa sentenza in materia, sulle  disposizioni introdotte dal regolamento europeo per la protezione dei dati personali, sulla posizione del Garante, dell’ordine dei giornalisti e delle principali piattaforme social.

La recente pronuncia del Tribunale di Mantova, del 19 settembre 2017, affronta il tema del mancato consenso di entrambi i genitori alla pubblicazione di foto di figli minorenni su social network.

Il padre, genitore di due figli minori, adiva il Giudice allo scopo di ottenere la modifica delle condizioni relative al regime di affido condiviso nei confronti della madre in quanto, nonostante la sua ferma opposizione alla pubblicazione di immagini sui social network, già ampliamente manifestata in sede di precedenti accordi regolanti il regime di visita e frequentazione dei minori, la donna continuava a diffondere le immagini dei bambini. Considerata come pregiudizievole per il minore la condotta della madre e in parziale accoglimento delle richieste formulate dal padre, il Giudice disponeva l’inibitoria della pubblicazione delle foto ed ordinava contestualmente di provvedere alla rimozione di tutte quelle già inserite.

Il Tribunale di Mantova, nel passare rapidamente in rassegna le principali fonti normative poste a tutela della vita privata e dell’immagine dei minori, non solo ha affermato l’imprescindibilità del consenso di entrambi i coniugi per la pubblicazione delle foto ma, sulla scorta del carattere potenzialmente pregiudizievole della pubblicazione stessa, ha anche ritenuto opportuno provvedere in via d’urgenza all’inibitoria di ogni pubblicazione per il futuro e ordinando la rimozione delle foto già inserite, in quanto secondo il Giudice “l’inserimento di foto di minori su social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line di minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia. Il pregiudizio del minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicchè l’ordine di inibitoria e rimozione va impartito immediatamente”

Il dato inibitorio e sanzionatorio di questa decisione è stato poi approfondito in una successiva e più recente pronuncia del Tribunale di Roma – Sez. I Civ. del 23 dicembre 2018 – che per la prima volta sul tema giunge a prevedere la condanna ad un’astreinte (o c.d. penalità di mora) per il soggetto che commette la violazione (anche in questo caso un genitore).

La vicenda è quella di un minore di anni 16 che affidato ad un tutore – a seguito di sospensione della patria potestà dei genitori conseguentemente a vicende relative alla loro separazione – lamentava al Giudice che la condotta della madre consistente in un massiccio utilizzo dei social network per diffondere immagini e dettagli sulla vicenda del figlio, era lesiva della propria immagine e reputazione pregiudicandone i rapporti attuali e futuri con i propri coetanei e in generale per il proprio benessere psico-fisico.

Il Giudice in merito a tale questione ha precisato che “gli ampi poteri riconosciuti al giudice competente per determinare le modalità di mantenimento e affidamento del minore, impongono di adottare anche d’ufficio ogni altra misura a tutela dell’interesse del figlio delle parti (cfr. Corte Cost. n. 185/1986; Cass. 2210/2000, che ha stabilito “l’adottabilità d’ufficio, da parte del giudice… dei provvedimenti necessari alla tutela morale e materiale dei figli minori provvedimenti caratterizzati da esigenze e finalità pubblicistiche e sottratti, per l’effetto, all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti”). Deve essere disposta, a tutela del minore e al fine di evitare il diffondersi di informazioni anche nel nuovo contesto sociale frequentato dal ragazzo, l’immediata cessazione della diffusione da parte della madre in social network di immagini, notizie e dettagli relativi ai dati personali e alla vicenda giudiziaria inerente il figlio. In merito deve rilevarsi come la madre non abbia ottemperato all’invito formulato dal giudice all’esito dell’udienza del 31 maggio 2017 di divieto “di pubblicazione sui social network di contenuti relativi alle vicende processuali tra i genitori in quanto creano disagi al figlio”. Deve, inoltre, essere previsto che la resistente rimuova dai social network immagini, informazioni, ogni dato personale relativo al figlio ed alla vicenda processuale relativa al minore, inseriti dalla stessa in social network, nel termine indicato in dispositivo.”  

4. Il rischio estremo: il fenomeno del digital kidnapping

Il digital kidnapping è purtroppo un fenomeno ancora poco noto e per tale ragione è necessario specificare di cosa si tratti.

La definizione corretta è proprio quella di “rapimento digitale” e, per quel che concerne la sfera dei minori, non attiene al  classico furto di identità di cui si è parlato precedentemente.

Il digital kidnapping consiste nell’appropriarsi dell’immagine di una persona per farne i più svariati usi e per quel che concerne i soggetti minori di età, il suddetto fenomeno è legato alla prassi sempre più dilagante tra gli utenti di utilizzare i social network quale mezzo atto a render note le proprie emozioni, i lieti eventi della vita e financo la gioia per la nascita di un figlio.

Certamente utile poter usufruire di una piattaforma digitale per poter accorciare le distanze intercorrenti tra noi e gli affetti lontani, ma sussiste ad oggi una preoccupante problematica che non ci consente di identificare con certezza chi si celi al di là di un di un account.

 Molti genitori, utenti del web, rendendo noti momenti di quotidianità felice, creano giorno dopo giorno ed in maniera del tutto inconsapevole, nel corso degli anni, un’identità virtuale al minore.

Nella maggior parte dei casi ,infatti, il bambino ritratto nelle immagini rese pubbliche dai genitori non è ancora in grado di parlare, tantomeno leggere e scrivere o manifestare il proprio dissenso in merito e qualcuno sta già provvedendo a garantirgli una presenza sui social corredata di cospicui scatti.

Pervasi dall’immensa felicità del momento, dall’arrivo di una nuova vita in famiglia, molti genitori non valutano rischi che potrebbero concretizzarsi anche a lungo termine, considerato il fatto che il web è un vero e proprio oceano profondissimo all’interno del quale è possibile rinvenire qualsivoglia tipologia di contenuto, anche il più remoto, se mal gestito.

Come un soggetto malintenzionato potrebbe fraudolentemente servirsi di suddetti scatti o dati concernenti il minore? È opportuno specificare che nel momento in cui si rende nota l’immagine o un contenuto sui social, si ha la mera illusione di poter agevolmente controllare la cerchia di contatti che possa visualizzare il tutto, ma in realtà l’utente che procede alla pubblicazione, ha perso il controllo del contenuto privato nel momento immediatamente successivo alla pubblicazione stessa, non essendo possibile verificare concretamente l’uso che i soggetti destinatari ne faranno.

Si tratta di dati di cui, oltretutto, chi posta perde il controllo e il bambino, diretto interessato, non potrà mai averlo, dando la possibilità agli utenti  destinatari di utilizzare l’immagine e nei casi più estremi l’identità di quel minore.

In proposito è necessario specificare che il digital kidnapping costituisce uno dei rischi estremi, un caso limite, il che implica che se si è reso pubblico uno scatto del proprio figlio minore di età, non è detto che lo stesso sia finito tra le grinfie di utenti malintenzionati e che debba esser utilizzato maldestramente, ma talvolta alcune identità di minori vengono vendute sul dark web per la realizzazione di giochi di ruolo con le immagini dei figli altrui, reperite attraverso i social network: le foto vengono ripubblicate su account fake o reali appositamente creati  attraverso cui, molto spesso le immagini dei minori subiscono una decontestualizzazione ed i medesimi vengono identificati come figli di altri genitori, appartenenti a famiglie virtuali e dunque mai esistite e si potrebbe correre il rischio che l’immagine del proprio bambino venga utilizzata impropriamente.

Si tratta di un fenomeno molto complesso e grave.

Il rimedio? Iniziare a costruire in tutti la cultura della protezione del proprio dato personale. Ed è solo un inizio.    


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Avv. Eleonora Deborah Iannello

Avvocato, docente di diritto e redattore di articoli giuridici in materi di diritto civile e penale.

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