Reati a confronto. Percosse (art. 581 c.p.) versus  lesione personale semplice (art. 582, co. 1, c.p.)

Reati a confronto. Percosse (art. 581 c.p.) versus lesione personale semplice (art. 582, co. 1, c.p.)

La pena prevista per il reato di percosse è la reclusione fino a sei mesi o la multa fino ad euro 309,00.

Alla fattispecie di lesione personale si applica, invece, la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.

Dalla lettura dei dispositivi, è agevolmente deducibile che il discrimen tra le due fattispecie risiede nelle conseguenze della violenza, per cui si configura il delitto di percosse se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, atteso che, in tal caso – se conseguenza della violenza dovesse essere una “malattia” –  deve  parlarsi di lesione personale.

Ma cosa deve intendersi per malattia nel corpo o nella mente?

Anzitutto  è bene considerare che la dottrina, prima, e la giurisprudenza, poi,  sempre al fine di tracciare una più netta linea di demarcazione tra i due reati,  hanno attinto ad un’ ulteriore espressione concettuale,  quella di “sensazione di dolore”, sostituita, solo nelle pronunce più recenti,  dalla dicitura “ manomissione dell’altrui persona” (V. Cass. pen., Sez. V, n. 48322/18).

In sostanza, se dalla violenza posta in essere deriva una sensazione dolorifica si è nell’ambito di applicazione della fattispecie di percosse; se dal fatto deriva una malattia nel corpo o nella mente siamo nell’ambito della configurabilità della lesione personale.

Le pronunce degli ultimi anni della Corte di Cassazione tendono a definire la malattia in alcuni casi come un’ alterazione anatomica e/o funzionale, in altri come una compromissione delle funzioni fisiche e relazionali che sia quantomeno apprezzabile, ma, sostanzialmente il significato che gli si attribuisce  è pressoché  lo stesso: per malattia nel corpo o nella mente deve intendersi qualsiasi apprezzabile turbamento dell’organismo che richieda un processo di reintegrazione. In altre parole, alla condotta subìta deve far seguito un processo di  guarigione, un percorso terapeutico di cura, con annesse prescrizioni mediche. Così Cass. Pen., Sez. II, n. 22534/19, secondo la quale i reati di percosse e lesione personale “differiscono nelle conseguenze della condotta, atteso che le lesioni superano la mera ed eventuale sensazione dolorosa tipica delle percosse, determinando un’alterazione delle normali funzioni fisiologiche dell’organismo, che richiede un processo terapeutico e specifiche cure mediche”.

Tuttavia, una considerazione va fatta. Analizzando le pronunce della Cassazione,  appare evidente  che “la malattia” così intesa comporta inevitabilmente un ampliamento della sfera di applicazione della fattispecie di cui all’art. 582 c.p. (lesione personale) a discapito di quella di  percosse di cui all’art. 581 c.p.

Se basta un turbamento, anche  “di lieve entità” del corpo o della mente – diverse sono le pronunce giurisprudenziali che usato questa precisa espressione –  si finisce per rendere il reato di percosse fattispecie morta o , quantomeno,  difficilmente applicabile.

Ed invero, per la Corte di Cassazione rientrano nella nozione di “malattia” , e quindi comportano la configurazione del  reato di lesione personale  e non quello di percosse, le condotte che abbiano determinato  la  “cervicalgia”, ovvero un dolore cervicale localizzato, perché comporta ridotta mobilità del collo (Cass. Pen., Sez. V, n. 34387/15); il trauma contusivo (ex plurimis, Cass. Pen., Sez. V, n. 40978/14; n. 29786/16); l’acufene  (Cass. Pen., Sez. V, n. 34390/15); la crisi ipertensiva, ovvero il rialzo della pressione arteriosa (Cass. Pen., Sez. V, n. 54005/17); l’ecchimosi, ovvero l’infiltrazione di sangue nel tessuto sottocutaneo, più comunemente detto “livido” (Cass. Pen., Sez. VI, n. 10986/10; n. 33492/19).

E ancora, rientra nel concetto di “malattia” il disturbo della sfera psichica, nello specifico vertigini, palpitazioni e lo stato ansioso guaribile in tre giorni e tanto anche se la condotta violenta si è concretizzata in una aggressione solo verbale – del resto il delitto di cui all’art. 582 c.p. è pur sempre un delitto a forma libera, che non richiede un contatto fisico con la persona offesa.

Resta esclusa “la tirata di capelli” che, però, non abbia provocato una abrasione al cuoio capelluto (Cass. Pen., Sez. V, n. 33492/19) e restano esclusi, nel senso che non rientrano nell’alveo della nozione di “malattia” di cui all’art. 582 c.p., “la spinta” (Cass. Pen., Sez. V., n. 11638/12), lo schiaffo ( Cass. Pen., Sez. III, n. 43316/14) e la cefalea post-traumatica (Cass. Pen., Sez. V, n. 40428/09).

In tono provocatorio, è tuttavia ipotizzabile che anche “la tirata di capelli”, lo schiaffo, la spinta possano richiedere un percorso terapeutico di guarigione, quantomeno da un punto di vista psichico-morale. Ciò valga a significare che, a parere di chi scrive, la nozione di “malattia” di cui agli artt. 581 e 582 c.p. andrebbe ermeneuticamente rivista per “salvare” la configurabilità del delitto di percosse e, quindi,  l’ applicabilità dell’imputazione ex art. 581 c.p.,  a salvaguardia del principio di proporzionalità e ancor di più del principio di ragionevolezza del diritto complessivamente inteso.


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