RECIDIVA: per i reati di rilevante allarme sociale non è più obbligatoria

RECIDIVA: per i reati di rilevante allarme sociale non è più obbligatoria

Corte Costituzionale, 23 luglio 2015, n. 185

a cura di Enrico Favacchio

La parziale dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 5 c.p. ha determinato l’eliminazione della natura obbligatoria della recidiva in questione e dunque tutte le ipotesi di recidiva hanno oggi natura facoltativa.

Il fatto

La Corte d’assise di Napoli aveva dichiarato l’imputato (con precedenti penali per rissa) colpevole dei reati di cui agli artt. 81, cpv., 600 e 600-bis cod. pen. e, applicate le circostanze attenuanti generiche ed esclusa la contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione.

La Corte d’assise d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello del procuratore generale, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado e, ritenendo obbligatoria la recidiva contestata ed equivalenti le circostanze attenuanti generiche, aveva rideterminato la pena in otto anni e due mesi di reclusione.

La decisione

Con sentenza n. 185/2015 la Corte Costituzionale dichiara la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 5° c.p. limitatamente alle parole “è obbligatorio e”.

Il precedente orientamento giurisprudenziale, basato sul dato letterale dell’art. 99 c.p., riconosceva natura obbligatoria alla recidiva reiterata qualificata dalla commissione di un delitto di rilevante allarme sociale (ex art. 407, comma 2, lett. a c.p.p.), il cui meccanismo applicativo ruotava attorno ad un automatismo tale da imporre al giudice l’automatica applicazione dell’aumento di pena: in sostanza al recidivo che avesse successivamente commesso un delitto ex art. 407, c. 2 lett. a c.p.p. si sarebbe dovuta riconoscere obbligatoriamente il corrispondente aumento di pena.

Orbene la posizione codicistica della recidiva (il Titolo IV – Del reo e della persona offesa) non è stata affatto una scelta casuale del legislatore bensì direttamente funzionale al riconoscimento ed alla valutazione della capacità a delinquere nonché della pericolosità sociale del reo: istituti che richiedono un’attenta valutazione, per cui solo a seguito di una piena manifestazione del proprio potenziale criminogeno potrà seguire in capo al reo il riconoscimento della recidiva in oggetto oltre che i corrispondenti aumenti di pena.

Il Giudice Costituzionale è intervenuto proprio su questo automatismo applicativo, sancendo l’incompatibilità assoluta tra questo e gli artt. 3 e 27 Cost in quanto violazione del principio di uguaglianza e del principio di proporzionalità della pena: il primo in quanto si parificavano situazioni tra loro del tutto diverse, per cui, una volta commesso uno tra i delitti di rilevante allarme sociale, si sarebbe dovuto applicare indiscriminatamente il corrispondente aumento di pena a nulla rilevando le diversità che sarebbero potute emergere da un’analisi più approfondita della pericolosità del reo, il secondo, in quanto violazione del c.d. “principio di proporzione tra quantità e qualità della pena”.

L’obbligatorietà della recidiva unitamente al suddetto automatismo applicativo si fonderebbe, ad opinione della Corte, su presunzioni assolute che non possono trovare spazio alcuno nell’ordinamento penale soprattutto se rivolti ad incidere sulle libertà personali risultando inoltre essere irrazionali. A ciò si aggiunge che i profili di censura della norma in questione riguardano anche il principio di ragionevolezza, la norma impugnata infatti deve considerarsi a maggior ragione irragionevole avuto riguardo al catalogo dei reati previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a c.p.p. i quali hanno chiaramente natura eterogenea e dunque non sarebbero idonei a fondare il convincimento del giudice circa la sussistenza o meno degli indici di capacità a delinquere e dell’istituto di cui all’art. 203 c.p.

Al giudice, in sostanza, non era più consentita un’adeguata valutazione della colpevolezza del reo, a maggior ragione nei casi di cui all’art. 407, comma 2, lett. a c.p.p.

Con la decisione della Corte dunque, tutte le ipotesi di recidiva previste dall’art. 99 c.p. hanno natura facoltativa.


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Enrico Favacchio

Enrico Favacchio nasce a Scicli nel 1986. Si laurea a Palermo nel 2013 discutendo una tesi in diritto penale sulla pericolosità sociale del reo e, immediatamente dopo, svolge una breve esperienza nel Foro di Ragusa, avviandosi alla pratica civilistica; l'anno successivo si trasferisce a Palermo dove, presso lo studio legale DI Benedetto, completa la pratica e lo studio delle materie processualpenalistiche. Nel mese di maggio 2015 perfeziona la conoscenza del diritto internazionale e dei temi di attualità internazionale ottenendo il diploma di politica internazionale presso l'Alta Scuola di Politica Internazionale istituita grazie alla collaborazione tra l'ISPI Palermo e la Fondazione Sicilia. Ad ottobre 2015 conclude con profitto la scuola forense "F. Parlavecchio" istituita presso l'Ordine degli Avvocati di Palermo.

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