Responsabilità civile, danni punitivi e compensatio lucri cum damno

Responsabilità civile, danni punitivi e compensatio lucri cum damno

L’art. 2043 c.c. configura l’illecito aquiliano come atipico, identificandolo con qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto.

Al contempo, l’art. 1173 c.c., recependo la tripartizione contenuta nelle Istituzioni di Gaio, annovera tale illecito tra le fonti delle obbligazioni, unitamente ai contratti e alle variae causarum figurae o quasi – contratti.

Non possono non evidenzirsi le principali differenze tra le due forme di responsabilità rispettivamente aquiliana e contrattuale, rectius da inadempimento.

Anzitutto, in ambito extracontrattuale ricade sul danneggiato l’onere di provare il fatto del danneggiante, il dolo o la colpa di costui, il danno ingiusto, nonché il nesso di causalità tra il fatto stesso e il danno.

Ingiusto é il danno che, sul versante patrimoniale o non patrimoniale, consegue in via immediata e diretta alla lesione di beni e interessi giuridici protetti nella vita di relazione, in contrasto con il principio generalissimo del neminem laedere.

Tra parentesi, risarcibile é il solo danno – conseguenza, legato al danno – evento o evento lesivo in re ipsa dal nesso di causalità giuridica di cui all’art. 1223 c.c., distinto da quello di causalità materiale ex artt. 40 – 41 c.p. che intercorre tra la condotta dell’agente e il danno – evento medesimo.

Il suddetto art. 1223, al pari del 1226 sulla liquidazione equitativa del danno il cui ammontare non é dimostrabile con certezza e del 1227 sulle concause, trova applicazione non solo in ambito contrattuale, ma anche in quello aquiliano per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c.

Escluso, invece, é il 1225, ragion per cui il danno aquiliano é risarcibile a prescindere dal fatto che fosse prevedibile o meno, mentre quello contrattuale, salvo l’ipotesi di inadempimento doloso, solo se ragionevolmente poteva prevedersi quando é sorta l’obbligazione.

Il diritto al risarcimento del danno aquiliano, per giunta, si prescrive in cinque anni, a dispetto del termine decennale previsto per il danno da inadempimento.

In forza dell’art. 1219 c.c. l’autore dell’illecito aquiliano é automaticamente messo in mora, pertanto i relativi interessi decorrono dal giorno stesso dell’illecito, cumulandosi con la rivalutazione monetaria.

All’opposto, nell’ambito contrattuale, gli interessi maturano solo dal giorno della domanda giudiziale che vale come atto di messa in mora e la rivalutazione coincide con quel maggior danno di cui si é chiamati a dare la prova ex art. 1224 c.c., se si vuole ottenerne il risarcimento.

Da ultimo, l’art. 1218 c.c. pone un’inversione dell’onus probandi tale per cui il danneggiante convenuto in giudizio é chiamato a dimostrare di essere esente da colpa in concreto, ossia che il danno é ricollegabile sotto il profilo eziologico al casus o evento fortuito, imprevedibile e inevitabile in concreto con la dovuta diligenza ex art. 1176 c.c.

Quanto al già citato art. 1227 c.c., si ritiene che il primo comma si riferisca proprio al danno – evento, stabilendo infatti che il risarcimento va ridotto proporzionalmente al contributo colposo del danneggiato stesso al verificarsi del pregiudizio.

Si pensi al danno da irragionevole durata del processo, non risarcibile in caso di lite temeraria e riducibile, invece, se la parte danneggiata ha colposamente concorso ad allungare i tempi del giudizio.

Il secondo comma, d’altro canto, concerne il danno – conseguenza, escludendone la risarcibilità quando il danneggiato poteva evitarlo con la dovuta diligenza.

A tale riguardo, l’art. 30 Dlgs. 104/2010, pur consentendo di esperire in via autonoma l’azione per il risarcimento del danno da provvedimento lesivo di interessi legittimi oppositivi e pretensivi, contempla il potere del G.A. di ridurre il risarcimento se non addirittura di escluderlo, accertato che il ricorrente poteva evitarlo in tutto o in parte, avvalendosi tempestivamente dei rimedi messi a sua disposizione dall’ordinamento tra cui la sospensiva cautelare, l’istanza alla PA perché agisse in autotutela, i ricorsi giustiziali e, soprattutto, l’azione di annullamento.

Circa l’art. 2059 c.c. sul danno non patrimoniale, dalle sentenze San Martino del 2008 della Cassazione, specie la n. 26972/2008, é ormai communis opinio  che tale danno sia risarcibile tanto in ambito contrattuale quanto in ambito aquiliano come danno biologico onnicomprensivo, ogniqualvolta consegua in via immediata e diretta alla lesione di un diritto fondamentale, connaturato alla persona e, perciò, costituzionalmente protetto.

Ergo, la suddivisione in danno morale soggettivo, biologico in senso stretto, esistenziale, tanatologico et similia é meramente descrittiva.

Illustrate le principali differenze tra responsabilità contrattuale ed aquiliana, va detto che come statuito dalle Sezioni Unite nel 2008 e dalle stesse ribadito con la sentenza n. 16601/2017, la responsabilità civile ex se assolve ad una funzione risarcitoria consistente nel ripristinare il patrimonio del danneggiato quale era prima che fosse commesso l’illecito.

Tale funzione meramente compensativa é corroborata dal principio di matrice giurisprudenziale noto come compensatio lucri cum damno in ordine al quale si sono pronunciate sia l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (1/2018) sia le Sezioni Unite con le quattro sentenze gemelle nn. 12564, 12565, 12566 e 12567/2018.

Questi due consessi sono pervenuti alla stessa conclusione, ovverosia che tale principio é operativo e, quindi, due poste economiche non possono cumularsi, quando hanno la medesima causa e assolvono alla medesima funzione.

La ratio, che si coniuga perfettamente con quella suesposta della responsabilità civile, é per l’appunto di evitare una locupletazione, quindi un eccessivo e ingiustificato arricchimento in favore del danneggiato.

Pertanto, ad esempio, l’indennizzo pagato dall’assicurazione e il risarcimento del danno da perdita di una res per l’illecito di un terzo non sono cumulabili, atteso che condividono questo stesso illecito come causa, nonché una funzione compensativa.

Stessa considerazione potrebbe farsi circa l’impossibilità di cumulo tra il risarcimento e la rendita INAIL per inabilità permanente, a dispetto di risarcimento e pensione di reversibilità, senz’altro cumulabili vista la funzione previdenziale e non compensativa di tale pensione.

Peraltro, come asserito dal giudice nomofilattico, il terzo che corrisponde al danneggiato il beneficio aggiuntivo rispetto al risarcimento, deve poi potersi rivalere nei confronti dell’autore del danno.

Aspetto conclusivo della presente trattazione é quello avente ad oggetto i danni punitivi i quali rappresentano una significativa eccezione al principio di compensatio e alla funzione prettamente risarcitoria o compensativa della responsabilità civile.

Sul punto la Cassazione con la già citata sentenza del 2017, pur ribandendo la predetta funzione come regola, allo stesso tempo ha statuito che nei soli casi tassativamente stabiliti ex lege sono risarcibili i danni puntivi, con l’aggiunta che nel rispetto dei principi di ordine pubblico internazionale, legalità, prevedibilità e proporzionalità della risposta sanzionatoria complessiva, é ammesso pure il riconoscimento in Italia di sentenze straniere di condanna al risarcimento dei danni in oggetto.

In verità, il giudice nomofilattico ha posto il suo pronunciamento nel solco già tracciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 152/2016 sulla responsabilità processuale o da lite temeraria ex art. 96, co. 3 c.p.c. ai sensi del quale il giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte che ha agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave al pagamento in favore dell’altra di una somma liquidata in vita equitativa.

Orbene, la Consulta ha ritenuto che tale disposizione configuri per l’appunto una tipica ipotesi di funzione tendenzialmente punitiva della responsabilità civile alla luce essenzialmente di tre fattori : la legittimazione all’esercizio del potere di cui sopra anche ex officio, quindi a tutela di interessi superindividuali e pubblicistici, l’utilizzo dell’espressione pagamento di una somma anziché risarcimento del danno e, infine, l’abuso del diritto di difesa ex art. 24 Cost. da parte di chi attua una lite temeraria.

La Cassazione del 2017 ha ravvisato un’ulteriore ipotesi nell’ultimo comma dell’art. 125 D.lgs. 30/2005 o Codice della proprietà industriale sulla cui base il danneggiato può cumulare la restituzione dei profitti conseguiti indebitamente dall’autore dell’illecito e il lucro cessante nella misura in cui i primi eccedono il secondo.

Taluni ritengono altresì che siano danni punitivi le astreintes o penalità di mora di cui agli artt. 114, co. 4, lett. e) c.p.a. e 614-bis c.p.c., a dispetto di un altro orientamento che, invece, predilige qualificarle come sanzioni civili indirette.


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Jacopo Bracciale

Dopo aver conseguito la maturità classica con una votazione finale di 100/100, mi sono laureato cum laude in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Teramo con una tesi in Teoria generale del diritto dal titolo "Il problema dei principi generali del diritto nella filosofia giuridica italiana". In seguito, ho svolto con esito positivo presso il Tribunale di Teramo il tirocinio formativo teorico - pratico di 18 mesi ex art. 73 D.L. 69/2013 : per un anno nella Sezione Penale e, nei restanti sei mesi, in quella Civile. Parallelamente ho frequentato e, ancora oggi, frequento il corso di Rocco Galli per la preparazione al concorso in magistratura. Dal mese di novembre del 2020 collaboro con la rivista scientifica Salvis Juribus come autore di articoli di diritto civile, penale ed amministrativo.

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