Riflessioni sulla ragionevole durata del processo canonico di nullità matrimoniale

Riflessioni sulla ragionevole durata del processo canonico di nullità matrimoniale

Sommario: Considerazioni introduttive – 1. Il diritto delle parti ad un processo sano – 2. La speditezza dei tempi istruttori quale onere deontologico – 3. Il processo canonico da remoto: rischi e opportunità – 4. Conclusioni

 

Considerazioni introduttive

Se n’è più volte discusso, incoraggiando ad una prassi differente rispetto a quella in uso; si è affrontato con particolare apprensione questo tema, inquadrandolo come un vulnus processuale di non lieve entità; dopo un accurato studio, ne è seguita una riforma[1] che, pur tutelando ampiamente l’indissolubilità del vincolo sacro, esorta i tribunali ecclesiastici a riorganizzare con la massima celerità l’opera di servizio verso i fedeli. Il tempo dei processi di nullità matrimoniale: una delle questioni maggiormente dibattute, spunto di frequenti revisioni e confronti. Il tempo che, in termini giudiziari, si traduce nel principio della ragionevole durata del processo. Qui di seguito, brevi riflessioni su un argomento  di non sempre facile attuazione.

1. Il diritto delle parti ad un processo sano

 La parte, prima ancora d’esser qualificata processualmente tale, è persona, cioè soggetto portatore di diritti, non ultimo quello ad un processo sano. Ed è sano ciò che, esente da fenomeni patologici che ne possano alterare l’originaria essenza, risulta conforme alla Giustizia Ecclesiastica. Di conseguenza, non  può parlarsi di giusto processo se non si rispetti una significativa regula iuris, ossia il principio di celerità, inteso come adeguatezza temporale al caso in esame. Pertanto, si rileva che il processo è tempo; tempo da ed entro il quale vanno poste in essere sistematicamente una serie di attività e il cui punto di arrivo è la certezza morale del giudice. Da ciò deriva che il rispetto dei termini – perentori o cd. fatalia legis solo per le impugnazioni, nel giudizio matrimoniale canonico – non sia correlato a esclusive ragioni di prassi, ma a ben più importanti motivi di coscienza che, per il solo fatto di essere tali, richiederebbero un soddisfacimento immediato. Ben si comprenderà quanto la giustificazione di ciò risieda in una innegabile singolarità ontologica del processo di nullitá matrimoniale, essendo esso pro rei veritate e quindi destituito da quel significato squisitamente contenzioso, rinvenibile altresì nei giudizi di separazione e di cessazione degli effetti civili del matrimonio; in quest’ultimi infatti, il rispetto dei termini è solo un’opportunità per poter far valere le proprie personalissime e unilaterali pretese. Sebbene tale dinamica, dettata dall’emotività umana, sia riscontrabile anche nel processo canonico, tuttavia, essendo un fattore del tutto marginale e accessorio rispetto alla natura del giudizio in questione, non oscura la possibilità di coglierne la differente portata; in esso infatti, non è la ragione soggettiva del singolo ad assumere preminente importanza, bensì la verità oggettiva, motivo di costante tensione processuale e, dunque, meritevole di rapida definizione. Circa la distinta natura del processo matrimoniale canonico, alcuni autori a giusta ragione lo definiscono come un procedimento caratterizzato da una specialità strutturale, atteso che ha ad oggetto il valore del sacramento, nonché il bene spirituale dei coniugi, presentando quindi delle nette differenziazioni rispetto al giudizio ordinario[2]. Sulla base di ciò, è essenziale una certa agilità investigativa, in quanto il bene primario della salus animarum[3]richiede tecniche istruttorie precise, ma al contempo celeri, perché le persone non attendano – come sovente accade –  in stato di disagio.

Preme inoltre precisare che la brevità dei processi non corrisponde a un deprezzamento del sistema, non essendoci un assioma per il quale ciò che è breve debba necessariamente essere ingiusto, ossia non garantista verso le parti. Basti pensare che persino in un giudizio prolungato potrebbero verificarsi delle compressioni dei diritti; anzi, a ben vedersi la compressione, in questi casi, risiederebbe proprio in tale prolungamento. Sul punto, il Papa si è più volte espresso, specificando le linee guida della riforma sul processo canonico di nullità matrimoniale, la cui snellezza, consistente nella rapida definizione delle cause, debba tradursi in una iusta simplicitas che non va a detrimento né delle garanzie giudiziarie né dell’indissolubilità del vincolo.[4]

2. La speditezza dei tempi istruttori quale onere deontologico

Nella prassi processuale contemporanea, segnata da radicali innovazioni normative – consistenti nel cambiamento della geografia giudiziaria per la costituzione di numerosi tribunali diocesani – il principio di prossimità della Chiesa verso i fedeli si esprime non solo dal punto di vista territoriale, ma è sostenuto anche in termini di ragionevole durata del processo. La definizione infatti delle questioni giudiziarie in tempistiche contenute rappresenta perfettamente quel senso di vicinanza alle vicende umane, prerogativa dell’ordinamento canonico. Favorire la speditezza dei tempi istruttori, sempre che da ciò non derivi un’incompletezza del quadro probatorio, costituisce un onere deontologico che incombe sui tribunali e su quanti in essi prestino servizio. Sul punto, il can. 1435 cjc statuisce: “Giudici e tribunali provvedano, salva la giustizia, affinchè tutte le cause si concludano al più presto, di modo che non si protraggano più di un anno nel tribunale di prima istanza, e non più di sei mesi nel tribunale di seconda istanza”. Tale principio, pur essendo ospitato nella normativa del Codice e in quella dei Regolamenti dei tribunali, spesso è trascurato per ragioni ascrivibili alle molteplici problematiche tipiche dei luoghi di giustizia. Il dato di fatto è che la non celerità dei processi canonici, oltre ad alimentare profondo senso di inquietudine nelle persone – che nelle more di un verdetto, visto come troppo lontano, favoriscono il matrimonio civile, anteponendolo a quello sacramentale– determina una dequalificazione dell’intero sistema giudiziario, poichè intervalli temporali troppo prolungati tra una sessione istruttoria e l’altra non consentirebbero di cogliere dettagli utili alla formazione della certezza morale.

Ciò detto, è opportuno evidenziare quelle situazioni in cui, non di rado, l’ampliamento dei tempi istruttori viene celato da richieste “difensive” cui però è sottesa una ratio defatigatoria, programmata strategicamente dai Patroni che assistono parti convenute che si costituiscono in opposizione. Un siffatto contegno, oltre a coincidere con una condotta eticamente scorretta – in quanto, chi contrasta la tesi attorea, se in buona fede, si presume voglia confutarne i motivi in tempi altrettanto brevi – costituisce anche una violazione deontologica molto distante dal senso di cooperazione per la ricerca della verità. Come si potrà ben comprendere però, è d’uso e abuso che le parti convenute, con una volontà non limpida, concretizzino le proprie distorte intenzioni attraverso il ricorso agli strumenti del diritto. Sicuramente, la prova per evitare tali atteggiamenti, volti a differire le tempistiche dei giudizi, non è semplice, in quanto la linea di confine tra il diritto ad una difesa conforme il più possibile ai desiderata delle parti e il suo utilizzo distorto è molto sottile e di non facile individuazione. Pertanto, è rimessa sì al prudente apprezzamento del giudice la possibilità di accogliere istanze che comportino un prolungamento dei tempi, ma solo in presenza di una giusta e grave causa, suscettibile anch’essa tuttavia di una valutazione del tutto soggettiva;  è per questo che, onde prevenire un contraddittorio impari, non si propende mai al rigetto delle suddette richieste. Dunque, solo attraverso un’attenta e ponderata disamina delle circostanze il giudice potrebbe porre fine – prima ancora che abbiano inizio – a quegli intenti ostruzionistici dilatori, valutando con equilibrio la fondatezza delle richieste delle parti, ammonendole, se del caso.

3. Il processo canonico da remoto: rischi e opportunità 

Poc’anzi, si è accennato al dovere deontologico d’economia processuale che incombe sugli avvocati e, in un certo qual senso, anche sui giudici, dovendo quest’ultimi vigilare a che le attività poste in essere dalle parti non siano avverse all’applicazione trasparente delle norme processuali canoniche. In tal caso, pur essendo riconosciuto al giudice un ampio margine d’intervento, tuttavia, egli è comprensibilmente assai vincolato, non potendosi mai definire con certezza se il provvedimento di istanze istruttorie suppletive rientri nell’ambito di una discrezionale decisione (volta a garantire squisitamente la trasparenza del processo, evitando forme di ostruzionismo) o se, al contrario, attenga ad un’ipotesi di mera arbitrarietà che darebbe luogo ad una lesione dei diritti e delle garanzie delle parti.

Ciò posto, è opportuno soffermarsi adesso sulla celerità dei processi canonici, inquadrandola come onere da osservarsi ex parte iudicis; si farà dunque riferimento ai casi in cui, per ovviare a sopraggiunti impedimenti, potrebbero essere adottati strumenti desueti, quali l’istruttoria da remoto.  Il quesito che ci si pone è se la modalità telematica di svolgimento del processo possa o meno essere ospitata nei Regolamenti interni; per evadere il quesito, è necessario anche chiedersi quali siano le fattispecie nelle quali il processo liquido possa essere eventualmente d’ausilio al giudicante, senza che però questo determini inosservanze della normativa codiciale. A tal proposito, si pensi al caso in cui l’istruttore disponga la trattazione di un’udienza da remoto per impedimenti sopraggiunti legati strettamente alla propria persona, ai quali non può rimediare con la nomina di un uditore ad actum. Avverso tale deroga, e quantunque essa si discosti radicalmente dal modus operandi dei Tribunali Ecclesiastici nei quali la celebrazione delle udienze avviene in modalità presenziale, si ritiene non possa sollevarsi eccezione alcuna, stante la peculiarità della fattispecie ad adiuvandum, ossia volta a garantire la celerità del processo, prevenendo di conseguenza un dispendio temporale. Inoltre, in merito alle garanzie di svolgimento dell’interrogatorio, va osservato che la figura del notaio in udienza (e del Difensore del Vincolo, se presente) consentirebbe una piena vigilanza, nonostante l’assenza fisica del giudicante.

Diverso sarebbe, invece, se si acconsentisse a che la parte e/o i testi venissero rispettivamente uditi e escussi, da remoto. A tal proposito, va evidenziato che in tutti i tribunali ecclesiastici di prime cure, in periodo pandemico, per evitare l’arresto di alcuni processi, ci si sarebbe potuti adoperare in questo senso, ossia stabilendo sessioni istruttorie “a distanza”; ciò sicuramente sarebbe stato possibile studiando in via preventiva il modo per scongiurare l’insorgere di vicende processuali patologiche, normando la fattispecie nei Regolamenti. Pur non essendo infatti esclusa del tutto l’ipotesi del processo on-line, esso richiederebbe un inevitabile, delicato e lungimirante approfondimento a monte, onde prevenire effetti pregiudizievoli, che in tal caso si concretizzerebbero in una lesione alla genuinità della prova, le cui modalità di formazione sarebbero certamente discutibili. Sul punto, autorevole dottrina – già prima dell’epidemia da Sars Covid-19 –  si è espressa favorevolmente, rendendosi fautrice di un pensiero avanguardista circa la raccolta telematica delle prove. A tal proposito, sono state avanzate proposte sia di pronuncia di un provvedimento applicativo (ad esempio, di un’istruzione ex can. 34 cjc), riguardante la disciplina di condizioni che rendano efficaci e processualmente sicuri gli interrogatori per videoconferenza sia di incoraggiamento a che il competente dicastero della Curia Romana prepari un regolamento ad experimentum sulla produzione, acquisizione, conservazione e trasmissione dei documenti informatici[5]. Altri importanti autori, sottolineando la distinzione (non invece presente nel Codice del 1917) tra prova lecita e illecita, secondo cui la liceità è da intendersi come conformità alla legge morale e al magistero della Chiesa, oppure va valutata in relazione alla violazione della deontologia professionale o alla normativa sulla privacy dello Stato, spiegano perché le norme di altri ordinamenti giuridici non vengano tout court canonizzate (ex can. 22 cjc).[6] Sulla base di ciò si comprende per quali motivi la Chiesa sia ancora restia verso il processo on-line, atteso che, in ambito matrimoniale canonico, oggetto di prova sono questioni strettamente annesse all’intimità del singolo, per cui si presta particolare attenzione alle modalità di acquisizione di esse prove, affinchè non vadano a contrastare con il can. 220 cjc[7], il cui equivalente in ambito statuale è il diritto alla privacy.

Di fatto, la quaestio sulla opportunità di disciplina di tali strumenti, nonché del loro assorbimento a livello normativo, rimane tuttora aperta, tant’è che il rinvio dell’audizione e/o dell’escussione, oppure la sostituzione del giudice impedito con un uditore ad actum sono, di gran lunga, preferibili. A ben vedersi poi, la ragione per la quale il sistema processuale in esame rimanga ancorato ai tradizionali metodi di svolgimento dell’istruttoria, è dovuta al fatto che si considerino tali strumenti più garantisti per conseguimento di una verità che, in ambito ecclesiastico, non è processuale, bensì oggettiva.

4. Conclusioni

Quello della ragionevole durata dei processi canonici di nullità matrimoniale è un tema così strettamente connesso alle necessità più intime, da meritare una disciplina migliorativa ad hoc. Sarebbe auspicabile procedere all’istituzione di Commissioni nominate con cadenza periodica, così da verificare il modus operandi dei tribunali di primo grado, al fine di migliorarne l’efficienza e l’efficacia sotto l’aspetto della celerità. Tali Commissioni, attraverso un’attività di confronto dei Vicari Giudiziali, sarebbe un buon modo per avanzare proposte che possano contribuire all’innovazione del processo, ottimizzandone i tempi. Sicuramente, in alcuni casi, la trattazione delle cause in modalità telematica comporterebbe una maggiore speditezza, ma non bisogna trascurare gli eventuali rischi che ne derivino; a motivo di ciò, il confronto e la possibilità di procedere alla stesura di un primo impianto normativo ad experimentum per tentare un’innovazione in tal senso sarebbe un’idea apprezzabile. Infatti, non è certo infruttuoso il progresso giudiziario che miri alla centralità della persona; perché è dalla persona e per la persona che si muove ed è scandito ogni atto del processo.

 

 

 

 

 


[1] Ci si riferisce alla Lettera Apostolica data in forma di motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, con la quale, nel 2015, è entrata in vigore la riforma del processo matrimoniale canonico.
[2] Cfr. F. Salerno, Precedenti medievali del processo matrimoniale canonico, in Il Processo Matrimoniale canonico (Libreria Editrice Vaticana, a. 1994), 30.
[3] La salus animarum è la finalità primaria della Chiesa e, in questo caso, aderisce ad intimissime ragioni di coscienza, per le quali i fedeli (divorziati e/o separati) desiderano regolarizzare la propria posizione sotto il profilo sacramentale.
[4] Cfr. Mitis Iudex Dominus Iesus, 2-3.
[5] Cfr. J. Llobell, La pastoralità del complesso processo canonico matrimoniale: suggerimenti per renderlo più facile e tempestivo, 9-10.
[6] Cfr. D. Salvatori, Il diritto di tutela della propria intimità (riservatezza – privacy e vita privata nel diritto processuale matrimoniale canonico, in Diritto Canonico e diritto di famiglia statuale: interazioni e nuove problematiche, (Annales X), 252-253.
[7] Il can. 220 cjc statuisce: “Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità”.

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Avv. Federica Marciano di Scala (Avvocato della Rota Romana - Avvocato Civilista). Nata Napoli il 23.07.1989, si laurea in Giurisprudenza e, intrapresi gli studi presso una delle Pontificie Universitá di Roma, consegue anche la licenza e il dottorato in Diritto Canonico. Abilitata all’esercizio della professione forense, è iscritta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. Superato il relativo esame di abilitazione, è altresì Avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana. Patrocina in foro civile ed ecclesiastico.

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