Riserva di legge in materia penale: corollario del più generale principio di legalità

Riserva di legge in materia penale: corollario del più generale principio di legalità

In materia penale il principio di legalità rappresenta la pietra fondante dell’intero sistema penale italiano. Viene espresso non solo negli artt. 1 e 199 c.p. ma anche dalla Costituzione all’art. 25 commi 2 e 3. Nello specifico afferma che nessuno può venire punito o sottoposta a misure di sicurezza se non in virtù di una legge che ne preveda pene e casi. Tale principio non può che essere posto a garanzia di uno dei beni costituzionalmente più tutelati quali la libertà personale che sovente, nelle vicende penali, viene compromesso. Analizzando a fondo l’articolo della Costituzione possiamo ricavarne alcuni corollari, quali: il principio di determinatezza o tassatività delle fattispecie penali; il principio di tipicità; il principio di irretroattività della norma penale e, soprattutto, il principio di riserva di legge in materia penale.

In generale, grazie a tale principio si considerano reati solo quelli tassativamente ed espressamente elencati dalla legge; tutelando, pertanto, l’esigenza di certezza del diritto che dovrebbe servire come guida ai consociati, i quali vengono così messi a conoscenza preventivamente dei comportamenti considerati penalmente rilevanti. Sfortunatamente la certezza del diritto è più un’utopia che un principio assodato nel nostro ordinamento. Spesso comportamenti analoghi sono giudicati illeciti penali in certi Tribunali e non in altri. In definitiva la riserva di legge tutela garanzie più formali che sostanziali. In primo luogo, tutela i cittadini da un utilizzo indiscriminato della forza da parte dello Stato: evita gli abusi del potere esecutivo in un diritto già fortemente repressivo come quello penale. Inoltre, assicura che le minoranze parlamentari abbiano un ruolo nel processo formativo delle leggi.

Il tema della natura assoluta o relativa della riserva di legge è una questione di particolare rilevanza. La dottrina prevalente sostiene la natura assoluta: escludere che la fattispecie penale possa essere regolata da atti che non siano la legge ordinaria. Esistono opinioni contrastanti sulla portata di questo assunto. Sul tema è intervenuta anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 282/1990, la quale, analizzando tre possibili modelli integrativi della norma penale ne decretava la corrispondenza o meno con i dettami costituzionali. Nello specifico, la Corte ammetteva la possibilità che la legge penale rinviasse a fonti di rango inferiore per una specifica tecnica dei suoi elementi essenziali. Questa possibilità è divenuta una vera e propria esigenza nelle leggi speciali caratterizzate da un elevato gradi di tecnicismo. Sanciva, inoltre, l’incostituzionalità del rinvio degli elementi essenziali della norma ad atti diversi dalla legge ordinaria. Si pronunciava, infine, sulla possibilità di prevedere delle sanzioni penali per l’inosservanza di provvedimenti amministrativi. Ad una prima lettura tale possibilità viene negata, con il correttivo che nel caso in cui la legge disciplinasse presupposti, limiti ed ambito di applicabilità di tali provvedimenti essi assurgerebbero a meri presupposti di fatto della norma e pertanto il rinvio sarebbe possibile.  Altra parte della dottrina invece propende per la tesi della natura relativa della riserva di legge in materia penale. Sarebbe, così, possibile la partecipazione di fonti secondarie alla determinazione della fattispecie penale. Chi sostiene la natura assoluta di tale riserva postulerebbe una tesi più astratta e utopistica che ancorata alla realtà fattuale. Certo, in quel modo si otterrebbe una più pregnante e completa difesa dei consociati dagli abusi del potere esecutivo ma ciò non trova un reale riscontro nell’ordinamento dello Stato. Difatti si fa ampio utilizzo dei decreti-legge in ambito penale che rendono puramente formale la garanzia della provenienza parlamentare delle norme penali. Bisogna anche considerare che, talvolta, l’esigenza di un rapido adeguamento normativo risulta essere incompatibile con il processo parlamentare di genesi legislativa (lungo, travagliato e farraginoso), tanto che solo il Governo può farvi fronte tramite gli atti che gli competono. Si pensi ai decreti con cui si adeguano gli elenchi delle sostanze stupefacenti o inquinanti o vietate in ambito alimentare. In questi casi un veloce conguaglio è necessario per tutelare i cittadini e la loro salute; un intervento dell’esecutivo pare l’unico mezzo tramite il quale conseguire tale risultato.

Tuttavia, l’utilizzo del decreto-legge in ambito penale incontra delle problematiche. Il decreto-legge emanato in situazioni caratterizzate da urgenza si scontra con l’esigenza di utile ponderazione in sede di criminalizzazione delle condotte umane. Inoltre, il decreto-legge esclude che le minoranze parlamentari siano rappresentate nel testo o che possano partecipare alla sua genesi. Non potendosi negare la realtà, ossia che l’utilizzo dei decreti-legge e delle leggi delegate nel nostro Paese è ormai ampiamente sdoganato, tanto che alcuni autori hanno proposto una sorte di soluzione intermedia di compromesso. Si propone la non applicabilità dei decreti-legge sino a che non siano convertiti in legge nel termine massimo di 60 giorni dalla loro emanazione come sancito dalla Costituzione, altrimenti si vedrebbe violato non solo il principio di legalità di cui all’art. 25 della Costituzione ma anche la soggezione dei giudici alla sola legge di cui all’art. 101 Cost. Volendo analizzare nel dettaglio tale soluzione possiamo affermare che comunque l’art. 101 Cost. non verrebbe violato: infatti i decreti-legge anche se non ancora convertiti hanno valore di legge. Inoltre, nel concetto di legge di cui all’art. 25 Cost. non vi è dubbio che vi rientri anche il decreto-legge. La Costituzione stessa, all’art. 72, usa il termine in questione riferendosi anche agli atti avanti forza di legge. Infine, un atto legislativo rimane in vigore sino ad una dichiarazione di incostituzionalità e di conseguenza non si potrebbe sospendere l’applicazione di un decreto-legge almeno che lo stesso alternativamente non sia dichiarato incostituzionale o un’altra legge non lo stabilisca espressamente.

Sicuramente dalle fonti normative del diritto penale è da escludere la legge regionale, in quanto i beni e gli interessi tutelati sono di un rango troppo elevato per poter essere da lei regolati e devono essere uniformi su tutto il territorio nazionale, una frammentarietà in tal senso non è certamente una possibilità. In più, quando la Costituzione parla di legge parla sempre di legge statale e quando ha voluto equipararvi quelle regionali lo ha espresso puntualmente. Anche la consuetudine, il comportamento costante, generale e uniforme accompagnato dalla credenza della sua corrispondenza ad un dettato giuridico (usus e opinio iuris ac necessitatis) non viene annoverata tra le fonti in ambito penale, vigendo un principio di stretta legalità, mentre in altri rami dell’ordinamento ha una certa rilevanza. È del tutto unanime l’inammissibilità della consuetudine innovatrice oltre che di quella aggravatrice e abrogratrice (desuetudine). Relativamente alla consuetudine integratrice (praeter legem) parte della dottrina ne ammette la sua funzione di fonte del diritto penale e parte la esclude. Il suo ruolo sarebbe integrare un precetto penale non in danno dell’imputato o del reo.

Infine, relativamente alla normativa comunitaria è opinione diffusa che non costituisca una fonte del diritto penale. Può contribuire, come altre fonti secondari, ad una specifica in senso tecnico degli elementi contenuti nella norma penale. Essa può inoltre introdurre nuove cause di giustificazione. Tale discorso è sicuramente valido per i regolamenti che sono norme cosiddette self executing, ma con riferimento alle direttive si deve sottolineare che queste lasciano liberi gli stati membri per quanto concerne i metodi e li obbliga solo per il risultato. Una dottrina minoritaria ha, tuttavia, affermato la diretta applicabilità delle direttive analitiche, quelle che contengono dei precetti che disciplinano la materia in modo sufficientemente puntuale e specifico.


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Silvia Mallamaci

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