Sequestro di prevenzione e riconoscimento del diritto all’abitazione

Sequestro di prevenzione e riconoscimento del diritto all’abitazione

Le misure di prevenzione, attualmente disciplinate dal D.Lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia), sono misure specialpreventive, finalizzate ad evitare la commissione di reati da parte di soggetti considerati socialmente pericolosi.

Tale categoria comprende le misure personali, la cui applicazione spetta al Questore o all’Autorità giudiziaria, e le misure di carattere patrimoniale.

Queste ultime, ovvero il sequestro e la confisca, sono dirette a sottrarre in modo definitivo i beni di provenienza delittuosa dal circuito giuridico e dai traffici economici del soggetto e dell’organizzazione criminosa nella quale è inserito.

Nel dettaglio, il sequestro è un provvedimento di natura provvisoria e cautelare avente ad oggetto i “beni dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego[1].

Qualora il soggetto non sia in grado di dimostrare la provenienza legittima di tali beni, il Tribunale procede alla loro confisca mediante l’adozione di un provvedimento ablatorio che comporta la devoluzione allo Stato di quanto in precedenza sequestrato[2].

Fatta questa breve premessa, il presente articolo intende esaminare un peculiare aspetto della disciplina del sequestro di prevenzione, ovvero il suo rapporto con il diritto all’abitazione; in particolare, la questione controversa riguarda l’individuazione delle condizioni necessarie affinché il destinatario della misura possa continuare ad occupare il proprio alloggio fino all’adozione del provvedimento definitivo di confisca.

La norma cui fare riferimento è l’art. 40, comma 2 cod. antimafia, che prevede che il giudice delegato possa concedere al proposto di continuare ad occupare la casa familiare ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 47 L.F., ovvero l’assoluta necessità di un’abitazione per sé e la propria famiglia.

Il riconoscimento del diritto all’abitazione, pertanto, non avviene in modo automatico, dovendo il soggetto versare in una situazione equiparabile a quella del fallito. Al riguardo, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che non vi sia una necessaria coincidenza tra le due figure: il fallito, infatti, secondo quanto disposto dall’art. 42 L.F., viene privato di tutti i suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento; il proposto, invece, è privato esclusivamente dei beni di sospetta provenienza illecita, ben potendo quindi disporre di ulteriori beni o redditi provenienti da altre attività, anche di entità tale da consentire il soddisfacimento delle fondamentali esigenze del proprio nucleo familiare[3].

Di conseguenza, i provvedimenti di cui all’art. 40, comma 2 cod. antimafia possono essere adottati solo se il sequestro priva il destinatario dell’effettiva possibilità di disporre di un’abitazione; in questo caso non vi è dubbio che egli abbia il diritto di continuare ad occupare l’immobile, senza la prescrizione di alcun onere.

Il problema si pone quando non sussiste una situazione di emergenza abitativa. In particolare, la giurisprudenza si è interrogata circa la legittimità dell’imposizione di un’indennità di occupazione o di un obbligo di stipulare un contratto di locazione, a fronte del riconoscimento della possibilità di continuare ad occupare il bene oggetto del provvedimento cautelare.

In questo caso, si scontrano due diversi interessi: da un lato, l’esigenza fondamentale dell’individuo di disporre di un’abitazione, dall’altro, l’interesse dello Stato a garantire la redditività dei beni sequestrati, come espressamente previsto dall’art. 35, comma 5 cod. antimafia.

Sul punto, Cass. civ. n. 9908/2011 ha escluso la possibilità per il giudice di imporre il pagamento di un canone di locazione relativo all’immobile sequestrato.

I giudici di legittimità fanno innanzitutto riferimento al dato testuale dell’art. 47 L.F., il quale non prevede la possibilità per il giudice di applicare un onere in capo al proprietario del bene; inoltre, viene evidenziato che il diritto all’abitazione, in quanto diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’art. 2 Cost., deve ritenersi prevalente rispetto alle finalità di carattere pubblicistico sottese al procedimento di prevenzione.

La Suprema Corte, dunque, conclude affermando l’illegittimità delle suddette imposizioni, a prescindere dalle condizioni economiche del soggetto, evidenziando che, al fine di garantire la tutela di fondamentali interessi del proposto e dei suoi familiari, è necessario consentirgli di “mantenere il diritto di abitazione sulla casa, anche se l’immobile è oggetto di provvedimento cautelare finalizzato all’ablazione e fino alla definitiva confisca, prevedendosi anche  l’assegnazione di un sussidio, tutte le volte che le condizioni economiche del predetto siano tali da rendere ciò necessario per l’assolvimento delle primarie necessità di vita”.

Tale decisione, rimasta invero isolata, è stata sostanzialmente sconfessata dalla successiva giurisprudenza di merito e di legittimità.

In particolare, una puntuale ricostruzione delle criticità del suesposto orientamento è stata fornita dalla pronuncia del 09.07.2012 della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo[4].

Innanzitutto, viene ribadito che l’applicazione dei provvedimenti di favore ex art. 47 L.F. non è automatica, ma richiede l’accertamento della situazione di necessità del proposto, unica condizione che legittima il riconoscimento del diritto all’abitazione senza alcun onere.

Sotto detto profilo, è necessaria una verifica concreta circa l’eventuale disponibilità di altri beni immobili da destinare a dimora familiare oppure di fonti di reddito adeguate a provvedere alle esigenze abitative[5]; in altre parole, la concessione “gratuita” è ammissibile solo in presenza di una reale emergenza abitativa, non risolvibile altrimenti, così come richiesto dalla legislazione in materia fallimentare.

Per contro, qualora non fosse riscontrata una tale situazione, appare legittima l’imposizione di un onere al soggetto che occupa il bene oggetto di sequestro, al fine di bilanciare gli interessi in gioco.

Tale lettura, afferma il Tribunale di Palermo, “appare in linea con i doveri di solidarietà scaturenti dalla Carta Costituzionale e non lede alcun diritto fondamentale protetto dalla nostra Legge Fondamentale o dalle … convenzioni internazionali”.

Quanto al rilievo attribuito al diritto all’abitazione, è pacifico che esso, pur non espressamente previsto dal testo costituzionale, rientri tra i diritti fondamentali tutelati nell’ambito dell’art. 2 Cost.; in tal senso si è più volte espressa la Consulta, affermando che take diritto “rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione” e che lo stesso trova il proprio fondamento nel “fondamentale diritto umano all’abitazione riscontrabile nell’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (New York, 10 dicembre 1948) e nell’art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e economici (approvato il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificato dall’Italia il 15 settembre 1978)[6].

Allo stesso tempo, il giudice costituzionale evidenzia che “come ogni altro diritto sociale, anche quello all’abitazione è diritto che tende ad essere realizzato in proporzione delle risorse della collettività; solo il legislatore, misurando le effettive disponibilità e gli interessi con esse gradualmente satisfattibili, può razionalmente provvedere a rapportare mezzi a fini, e costruire puntuali fattispecie giustiziabili espressive di tali diritti fondamentali[7].

Questo significa che il diritto del preposto di occupare la casa familiare può essere sacrificato laddove ciò si riveli necessario per garantire l’attuazione di un altro diritto o interesse fondamentale, quale, con riferimento alla materia delle misure di prevenzione patrimoniali, l’interesse della collettività ad un efficace contrasto alla criminalità organizzata.

Alle medesime conclusioni è giunta la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale afferma che il diritto all’abitazione – tutelato nell’ambito del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU – può subire limitazioni, purché ciò avvenga nel rispetto degli altri diritti fondamentali previsti dall’ordinamento e mediante l’adozione di misure proporzionate e decise da un giudice indipendente[8].

Infine, la legittimità del bilanciamento di interessi operato dalla normativa antimafia trova ulteriore conferma nella legislazione fallimentare, la quale, pur escludendo dai beni aggredibili dai creditori quelli ritenuti necessari per il mantenimento della famiglia, non prevede che l’abitazione del fallito debba sempre essere sottratta all’attivo fallimentare e, in generale, alle vicende della liquidazione fallimentare[9].

La tesi esposta dal Tribunale di Palermo è stata condivisa dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, la quale ammette pacificamente l’imposizione di “un canone di locazione o di una congrua indennità di occupazione dell’immobile destinato ad abitazione del proposto titolare del bene sequestrato, quando egli disponga di sufficienti risorse economico – finanziarie o di altri immobili di proprietà, tali da consentirgli di provvedere agevolmente ad un’adeguata sistemazione abitativa”[10].

In conclusione, è possibile ricostruire il seguente quadro relativo alla disciplina dettata dall’art. 40, comma 2 cod. antimafia: in presenza delle condizioni individuate dall’art. 47 L.F., il diritto all’occupazione della casa familiare viene riconosciuto automaticamente, senza alcun onere in capo al destinatario del sequestro di prevenzione; al contrario, se non sussiste una situazione di emergenza abitativa, il giudice può consentire al proposto di occupare l’immobile a fronte dell’imposizione della corresponsione di un’indennità di occupazione o della stipulazione di un contratto di locazione.


[1] Cfr. art. 20 cod. antimafia.
[2] Cfr. art. 24 cod. antimafia.
[3] Cfr. Cass. civ., sez. II, 11.03.2011, n. 9908.
[4] Il testo integrale del provvedimento è consultabile su www.penalecontemporaneo.it.
[5] Al riguardo, Cass. pen., sez. I, 14.06.2016, n. 43580 afferma la necessità di effettuare “una verifica della effettiva capacità di rinvenimento di una alternativa abitativa che non comprometta, o ponga a rischio, le esigenze di vita dei componenti il nucleo familiare”.
[6] Cfr. Corte cost. n. 217/1988 e n. 404/1988.
[7] Cfr. Corte cost. n. 252/1989 e n. 121/1996.
[8] Sul punto si veda la sentenza della Corte EDU del 13.05.2008 nel caso McCann c. Regno Unito.
[9] Cfr. art. 46 L.F.
[10] Cfr. Cass. pen., sez. II, 05.06.2015, n. 27809. In senso conforme cfr. Cass. pen., sez. I, 19.11.2013, n. 51458.

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