Sezioni Unite: revoca delle statuizioni civili per abolitio criminis

Sezioni Unite: revoca delle statuizioni civili per abolitio criminis

Abolitio criminis ex D.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 e sorte delle statuizioni civili della condanna [Cass. Sez. Un.,  Sentenza n. 46688 ud. 29/09/2016 – dep. del 07/11/2016, Pres. Canzio ].


In Fatto.

Dopo essere stati condannati, in primo ed in secondo grado, per il reato p. e p. dall’art. 635 c.p. al pagamento della multa e al risarcimento dei danni da liquidare in separato giudizio, oltre che al pagamento della provvisionale provvisoriamente esecutiva e alla rifusione delle spese, gli imputati proponevano ricorso per Cassazione a mezzo del loro difensore.

Tra altro, veniva dedotta la sopravvenuta abolitio criminis del reato contestato, per effetto del D.lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016, che – com’è noto – ha sostituito alla pena precedentemente prevista la sola sanzione pecuniaria civile, la quale, secondo la norma transitoria, trova applicazione anche ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore, purché non oggetto di sentenza già divenuta irrevocabile. L’abrogazione del reato, ad avviso del difensore, comporterebbe la revoca delle statuizioni civili in uno alla pronuncia di condanna già intervenuta.

Lo stesso difensore, tuttavia, preso atto del contrasto giurisprudenziale esistente sul punto, chiedeva – in via subordinata – la rimessione della questione alle Sezioni Unite.

Così disponeva, in data 15 giugno 2016, la II sez. penale della Suprema Corte.

Questo, il quesito:

Se, in caso di sentenza di condanna relativa ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del D.lgs. 7 gennaio 2016 n. 7, il Giudice della impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, debba revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

In diritto.

La Corte rileva preliminarmente come non vi sia alcun dubbio circa l’applicazione al caso di specie dell’art. 2, co. 2, c.p., per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce (più) reato.

Ciò premesso, la vera questione da risolvere riguarda la sorte dei capi della sentenza di condanna contenenti statuizioni civili.

Secondo un primo indirizzo, atteso che la formulazione letterale dell’art. 2 c.p. dispone della cessazione dell’esecuzione della sentenza di condanna e dei relativi effetti penali, se ne desume, a contrario, che gli effetti civili vadano esenti da revoca (v. Cass. n. 14041/2016 e 24029/2016). Di qui, il mantenimento in capo al Giudice penale dell’impugnazione del potere di decidere il ricorso agli effetti civili.

A sostegno di tale argomentazione rileverebbe anche l’art. 11 delle disposizioni preliminari al c.c., secondo il quale, una volta intervenuta sentenza, il diritto acquisito dalla parte civile a vedere esaminata la propria azione – già incardinata nel processo penale – non possa più venire meno. Ne deriverebbe che nel caso suddetto, la sanzione pecuniaria civile sia destinata a non trovare applicazione, perché l’esercizio dell’azione civile nella sua sede naturale sarebbe ormai stato “consumato” (cfr. Cass. sez.  II, n. 14529/2016).

Infine, verrebbe altresì in rilievo la considerazione della esistenza di un analogo meccanismo procedurale creato dal D.lgs. n. 8 del 2016 (art. 9)– contestualmente emanato – in tema di depenalizzazione.

Un opposto indirizzo, invece, sottolinea la non conferenza dell’art. 2, co. 2, c.p.  ultima parte, al caso in questione, trovando applicazione soltanto in caso di abrogazione sopravvenuta ad una sentenza di condanna definitiva.

Né può applicarsi al D.lgs. 7/2016 il disposto dell‘art. 9 D.lgs. 8/2016, poiché si tratterebbe di applicazione analogica di norma eccezionale, non consentita nell’ordinamento.

Invero, mentre la Relazione del D.lgs. n. 8 prevede che, in via interpretativa, alle sanzioni amministrative oggetto della novella viene riconosciuto carattere punitivo-afflittivo, tale da renderle omogenee, al pari dei fatti già dotati di rilievo penale, alla “materia penale“, tale possibilità non riguarda il D.lgs. 7/2016, “posto che la sanzione irrogata dal giudice civile, oltre che subordinata ad una iniziativa della parte privata, è connotata anche da requisiti di tipo compensativo, sicché rimane ontologicamente fuori del perimetro della “accusa in materia penale”.

Osterebbe, infine, ad una diversa interpretazione il meccanismo processuale delineato nel D.lgs. n. 7, il quale dispone che il Giudice del risarcimento del danno sia lo stesso che irroga la sanzione pecuniaria civile, e ciò anche con riferimento ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto.

Le Sezioni Unite mostrano di condividere il secondo dei due orientamenti, ora esposto.

Preliminarmente, rileva la Corte, che l’art. 12 D.lgs. n. 7/2016 prevede una disciplina transitoria silente riguardo potere del giudice dell’impugnazione di decidere l’appello o il ricorso con riferimento ai capi concernenti le statuizioni civili. Tuttavia, come già detto, il potere di irrogare le sanzioni pecuniarie civile stabilite al posto dei reati abrogati, viene dal medesimo testo legislativo espressamente attribuito al Giudice competente a decidere sul risarcimento del danno, che è il Giudice civile.

Inoltre, sebbene l’emanazione dei decreti in commento siano ispirati da una comune finalità di deflazione del sistema penale, nel D.lgs. n. 8 esiste la disposizione che mantiene, in capo al Giudice che dichiara la depenalizzazione, il potere di decidere sulla impugnazione penale ai soli effetti civili (ai sensi dell’art. 9, comma 3); mentre, non altrettanto avviene nel D.lgs. n. 7.

Una differenza che, a giudizio della Corte, rispecchia la più generale scelta di congegnare due sistemi con opzioni tecnico-normative differenziate ed autonome, l’uno per realizzare le abrogazioni con introduzione delle sanzioni civili e l’altro per le depenalizzazioni.

Le Sezioni Unite rammentano, infine, come l’inserimento dell’azione civile nel processo penale dia vita ad una situazione sostanzialmente diversa da quella determinata dall’esercizio dell’azione civile nella sua sede propria. Ciò in quanto quell’azione assume carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale ed è perciò destinata a subire “tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioè dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi” (v. C.Cost. 217/2009, 353/1994, 443/1990).

In altre parole, una volta che il danneggiato, previa valutazione dei vantaggi e degli svantaggi insiti nella possibilità concessagli, scelga di esercitare l’azione civile nel processo penale, anziché nella sede propria, non gli è dato sfuggire agli effetti che da tale inserimento conseguono (v. C.Cost. 94/1996).

Pertanto, le S.U. concludono esprimendo il seguente principio di diritto:

In caso di sentenza di condanna relativa ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del D.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il Giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Il Giudice dell’esecuzione, viceversa, revoca, con la stessa formula, la sentenza di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili.


Fonti:


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Valeria Citraro

Laureata nel Gennaio 2014 p/o Università degli Studi di Catania con Tesi in diritto processuale penale, dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e valutazione probatoria". Abilitata all'esercizio della Professione forense da Settembre 2016.

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