Sospensione del procedimento con messa alla prova e risarcimento del danno

Sospensione del procedimento con messa alla prova e risarcimento del danno

Premessa

Come noto, la sospensione del procedimento con messa alla prova (o map) è un istituto disciplinato dagli artt. 168-bis c.p. e 464-bis e ss. c.p.p. che consente di estinguere il reato all’esito di un periodo non superiore a due anni (uno per i reati puniti solo con pena pecuniaria) in cui l’imputato deve:

– eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e risarcire possibilmente il danno causato alla persona offesa;

– svolgere attività di volontariato e/o di rilievo sociale attraverso un programma di trattamento elaborato per il tramite dell’U.E.P.E (Ufficio Esecuzioni Penali Esterne);

– prestare un lavoro di pubblica utilità di durata non inferiore a dieci giorni, da svolgere in favore della collettività presso lo Stato, le Regioni, le Province ed i Comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e  di volontariato. Attività che, in ogni caso, è svolta “con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia”.

La sospensione con map può essere richiesta dall’imputato e, a seguito della Riforma Cartabia, proposta dal PM qualora si proceda per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva che, da sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, non superi i quattro anni, nonché qualora si proceda per i reati elencati al comma secondo dell’art. 550 c.p.p., e cioè per i reati per cui è prevista (indipendentemente dalla pena edittale) la citazione diretta a giudizio.

Diverse sono le questione interpretative che si pongono rispetto alle disposizioni che regolano l’istituto.

Tra queste senz’altro quella concernente il risarcimento del danno.

La condizione del risarcimento del danno e la prassi giurisprudenziale

Come anticipato, la messa alla prova «comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato» (art. 168-bis, comma 2, primo periodo).

La soddisfazione dell’interesse patrimoniale della persona offesa è quindi indubbiamente un obiettivo dell’istituto.

Non a caso infatti la persona offesa del reato, ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p., deve essere “sentita” dal Giudice prima di decidere sull’istanza dell’imputato (comma 1) e può impugnare l’ordinanza di ammissione alla map “per omesso avviso dell’udienza o perché, pur essendo comparsa, non è stata sentita” (comma 7).

Nonostante tali previsioni, si registra una prassi giurisprudenziale incline ad ammettere immediatamente la sospensione con messa alla prova, superando le obiezioni delle persone offese concernenti la mancanza di un risarcimento o di proposte risarcitorie appropriate da parte dell’imputato richiedente la map.

Ciò sul presupposto che il risarcimento non costituirebbe una condizione di ammissibilità della richiesta, bensì un contenuto (peraltro eventuale) del programma di trattamento.

Questa prassi evidentemente si fonda sulla previsione dell’art. 464-quater, comma 3, c.p.p. che, nel regolare la valutazione discrezionale del Giudice sull’ammissibilità della richiesta, stabilisce che «la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’articolo 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati», senza far cenno esplicito alla valutazione della congruità del risarcimento danno.

Risarcimento che, secondo alcuni, sarebbe una mera eventualità, stabilendo infatti l’art. 168-bis c.p. che l’imputato debba procedervi soltanto «ove possibile»

Considerazioni critiche

Ad avviso di chi scrive tale prassi manca di un reale fondamento.

Se è vero infatti che l’art. 464-quater, comma 3, c.p.p. non impone esplicitamente al Giudice di valutare la congruità del risarcimento (come invece ad esempio l’art. 162-ter c.p. in tema di condotte riparatorie ed offerta reale), non si può prescindere da tale valutazione.

Ed infatti, per espressa previsione il Giudice deve pur sempre pronunciarsi sull’idoneità del programma di trattamento.

Programma che, ai sensi dell’art. 464-bis, comma 4, c.p.p., dovrebbe essere allegato all’istanza e che dovrebbe specificare le «prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni».

La valutazione del programma è fondamentale.

Tanto è vero che, qualora non sia possibile produrre alla prima udienza il programma di trattamento ma unicamente la richiesta di elaborazione rivolta all’U.E.P.E. (e cioè nella maggior parte dei casi), il Giudice NON può disporre la sospensione sulla base della sola richiesta ma, secondo la Cassazione, “deve rinviare l’adozione del provvedimento ad un momento successivo, ossia all’avvenuta disponibilità del programma medesimo” (Cass., sez.III pen., 17 gennaio 2019, n. 12721. Così anche Cass., sez. IV pen., 13 settembre 2023, n. 40848, nell’escludere la sospensione della prescrizione per differimento della decisione)

Non solo.

Se è vero che l’art. 168-bis c.p. stabilisce che la map comporta il risarcimento del danno «ove possibile», il Giudice non può limitarsi ad affidarsi alla parola dell’imputato o del suo avvocato circa l’impossibilità di procedere al risarcimento o la possibilità di procedere unicamente ad un risarcimento “simbolico”.

Dovrebbe infatti verificare questo stato di asserita insolvenza.

L’art. 464-bis, comma 5, c.p.p. stabilisce invero che «al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato».

Ma non è tutto.

Se è vero che l’art. 168-bis, comma 2, c.p. stabilisce che al risarcimento si procede «ove possibile», la norma non ammette eccezioni per le condotte “restitutorie” o “riparatorie” e cioè per quelle «condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato».

Condotte sempre dovute.

Così, deve ritenersi che, nel caso di appropriazione indebita o furto di un’autovettura, l’imputato per poter essere ammesso alla map deve restituire (o impegnarsi a restituire) sempre ed in ogni caso la macchina, potendo al più evitare – ove non abbia le possibilità economiche – di risarcire il lucro cessante (ad es. il danno conseguente all’impossibilità di noleggiare la macchina ad un canone conveniente).

E’ chiaro che, in alcune situazioni, come quella del ladro che abbia rivenduto l’autovettura, la condotta restitutoria (sempre prescritta) deve tradursi – senza perdere la sua natura – in un risarcimento per equivalente.

Nell’esempio fatto deve essere così corrisposto quantomeno il valore monetario dell’auto, potendosi sempre evitare – ove le condizioni economiche del ladro non lo consentano – il risarcimento dei danni ulteriori (lucro cessante, danno morale, ecc.).

A ritenere diversamente, si concederebbe all’imputato una carta “esci gratis di prigione”, calpestando ulteriormente i diritti della persona offesa.

A ritenere diversamente, l’imputato potrebbe tenersi il profitto del reato!

Quale sarebbe allora la funzione rieducativa dell’istituto?


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Avv. Matteo Cremonesi

Laureato con lode, nell’Aprile 2017, presso l’Università degli Studi di Pavia con tesi in Diritto Fallimentare dal titolo: “Gli strumenti di risanamento della crisi d’impresa nella prospettiva della continuità aziendale diretta” (Relatore Avv. Prof. Fabio Marelli).Ha superato l’esame di abilitazione alla professione forense indetto con D.M. 14 settembre 2020 nella seduta del 23 novembre 2021. Ha sempre svolto la propria attività in ambito penalistico, collaborando, sin dall’inizio del suo percorso professionale nell’ottobre 2017, con lo Studio Legale Sirani di Milano. All’interno dello Studio, ha maturato una significativa esperienza in tema di reati contro la persona e contro il patrimonio, di reati informatici, societari e fallimentari, di infortuni sul lavoro e in tema di responsabilità degli intermediari finanziari.Presta sistematicamente consulenza in materia di misure di prevenzione (interdittive e patrimoniali) applicate ai sensi del D.Lgs. 159/11, sicurezza sul lavoro e di responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato. E’ uno dei referenti del servizio di cooperazione giudiziaria riguardante la “data retention” che lo Studio presta per conto di uno dei primari internet service provider attivi sul mercato mondiale. Si occupa altresì dei reati previsti dal codice della strada e degli illeciti previsti dal testo unico sulla droga.

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