Successione mortis causa. Successione legittima e testamentaria

Successione mortis causa. Successione legittima e testamentaria

Sommario: 1. Lineamenti generali – 2. Successione legittima e successione testamentaria – 3. Accettazione o rinuncia dell’eredità – 4. I debiti ereditari – 5. Impugnabilità del testamento

 

1. Lineamenti generali

La successione a causa di morte è regolata dal libro secondo del nostro Codice Civile. Quando si parla di successione, viene fatto riferimento a quell’istituto giuridico che comprende il patrimonio della persona deceduta, denominata de cuius (termine latino che indica la persona defunta e la cui eredità è al centro della successione ereditaria).

Destinati a  ricevere l’eredità sono tutti quei soggetti così detti legittimari e/o coloro che vengono citati all’interno del testamento redatto dal de cuius. Coloro che rientrano nel novero degli eredi, prendono generalmente il nome di successori, ed il nostro ordinamento prevede due tipologie di successione: quella legittima e quella testamentaria. Nella prima citata, il defunto non ha redatto testamento e così il patrimonio viene diviso secondo legge agli eredi legittimari. Oltre a ciò, vi è la successione testamentaria, dove il patrimonio verrà diviso tra coloro che già precedentemente sono stati indicati dal defunto.

Dobbiamo tuttavia ricordare, che gli eredi non diventeranno possessori solamente dei beni mobili ed immobili e del patrimonio, ma anche dei possibili debiti che il de cuius aveva maturato mentre era in vita.

Ci sono determinati soggetti, definiti indegni, che non possono concorrere all’eredità del de cuius, in quanto, la legge stessa li esclude dalla successione. L’articolo 463 c.c. infatti stabilisce che sono esclusi: coloro che hanno tentato di uccidere colui o colei che è detentore dei beni e del patrimonio oggetto dell’eredità; chi ha cercato di fare revocare, modificare o celare il testamento; chi ha creato un testamento falso.

2. Successione legittima e successione testamentaria

La successione può produrre i propri effetti verso gli eredi legittimari o verso quegli eredi nominati nel testamento dal de cuius.

Eredi legittimi sono il coniuge, i figli e gli ascendenti. Questi ultimi rientrano tra i legittimari quando il de cuius non abbia figli. Spetta al coniuge metà patrimonio se è presente un unico figlio; un terzo se ci sono più figli; l’intero patrimonio se la persona estinta non ha figli. Di particolare rilievo, è la sentenza della Corte di Cassazione n° 4847/2013, nella quale viene fatto riferimento al coniuge ed al suo diritto di disporre pienamente della casa coniugale e dei beni mobili al suo interno. Il diritto a possedere l’abitazione viene fatto rientrare nel calcolo delle quote spettanti al coniuge al momento della divisione dei beni del de cuius.

Anche la filiazione ha diritti sull’eredità infatti è tenuta a percepire metà del patrimonio se si tratta di figlio unico; due terzi se ci sono più figli ed il coniuge del de cuius è ancora in vita; l’intero patrimonio se anche il coniuge è venuto a mancare.

Dobbiamo tenere ben presente che le quote ereditarie sopra citate non possono essere scalfite da un testamento, in quanto tali soggetti (coniuge e figli) sono  legittimati ad acquisire almeno la quota indicata dalla legge stessa.

Con il testamento, il de cuius ha precedentemente espresso le proprie volontà relative alla distribuzione del patrimonio e dei beni che possedeva. Il soggetto al momento della redazione dell’atto deve essere maggiorenne, ed essere nel pieno delle facoltà mentali, quindi, essere capace di intendere e volere. Il testamento è un atto libero e personale, revocabile e formale. Libero e personale in quanto può essere posto in essere solamente dal testatore. Revocabile, perché il testatore può revocare o modificare le sue volontà in ogni momento. Formale, in quanto il testamento per essere valido deve essere redatto contenendo elementi precisi, indicati dalla legge stessa, e che variano in base alla tipologia di testamento (olografo, pubblico, segreto).  Il testamento olografo è sicuramente la modalità testamentaria più diffusa e maggiormente economica per il testatore, anche se presenta un minore grado di sicurezza, in quanto le ultime volontà potrebbero non essere rispettate da terzi che potrebbero sottrarre o modificare il contenuto dell’atto. Oltre ciò potrebbe anche andare perso. Per tali motivi, una maggiore sicurezza può essere offerta, affidando ad un notaio il testamento. Il testamento pubblico è quell’atto redatto da notaio ed alla presenza di due testimoni (o quattro, nel caso in cui il testatore non sia in grado di leggere e scrivere, oppure sia muto o sordomuto). Il testamento segreto, conferisce a colui che redige l’atto, di mantenere segrete le proprie volontà perfino al notaio. Il testatore consegnerà la scheda testamentaria sigillata al notaio, il quale la aprirà solo alla morte del testatore. Il notaio rilascia atto di avvenuta consegna in presenza dei testimoni.

3. Accettazione o rinuncia dell’eredità 

Sia che si tratti di eredi legittimari, che subentrati a seguito di volontà testamentaria, questi,  possono accettare o rifiutare l’eredità.

Il chiamato all’eredità, per diventare effettivamente erede deve manifestare la propria accettazione, la quale può essere  espressa o tacita, come è desumibile dagli articoli 475 e 476 c.c.  È configurata come espressa quando il soggetto, tramite atto pubblico o scrittura privata dichiara di accettare, assumendo  in tal modo il titolo effettivo di erede. L’accettazione è definita tacita allorquando il chiamato compie atti che, alla loro interpretazione fanno supporre la chiara volontà di avere accettato l’eredità.  L’accettazione tacita o espressa è irrevocabile, ciò significa che una volta che l’erede ha espresso la propria volontà, il successore non può revocare la propria scelta.

Gli eredi che accettano l’eredità devono godere della capacità di agire e della capacità naturale, altrimenti dovranno essere assistiti dai loro rappresentanti.

Fattispecie contraria all’accettazione è la così detta rinuncia dell’eredità,  identificata come la manifestazione attraverso la quale viene rifiutata l’eredità del de cuius. Tale rinunzia, come indicato dall’articolo 519 c.c., deve essere espressa presso un notaio o al cancelliere del tribunale del luogo in cui ha sede la successione.  Con la rinunzia da parte di uno o più chiamati, vengono ad accrescersi le quote successorie degli altri eredi.

Differenza con l’accettazione è che questa può essere revocata, nel termine di dieci anni dall’apertura del testamento e fatto salvo che i chiamati successivi non abbiano già accettato (o espresso la volontà di accettare) l’eredità rinunciata dai precedenti chiamati rinunciatari.

Nel lasso temporale compreso  tra il momento in cui il testamento viene reso conoscibile alle parti  e l’accettazione da parte delle medesime, può sussistere l’ipotesi in cui le parti  necessitino di tempo per prendere una decisione, e così l’eredità diviene giacente. In questo caso viene nominato un curatore con il compito di conservare l’eredità e redarre un inventario dei beni. É L’autorità giudiziaria, nel cui circondario si svolge la successione mortis causa, che d’ufficio o su richiesta delle parti provvede alla nomina del curatore.

4. I debiti ereditari

L’eredità  può prevedere anche i debiti ancora non estinti dal de cuius. Al fine di provvedere al pagamento di tali debiti, il legislatore ha individuato due soggetti aventi l’onere di pagare: gli eredi, sia legittimari che testamentari, oppure i legati, ossia quei soggetti che rientrano nella successione ma solo per determinati rapporti giuridici o diritti reali. Quest’ultimo (il legato) a differenza dell’erede, non è sottoposto all’obbligo di pagare i debiti della persona defunta, se non per il solo valore di quanto ricevuto.  L’erede può concorrere invece al rischio che i debiti da pagare siano superiori all’eredità ricevuta. Questo infatti può essere motivo di rinuncia all’eredità.

L’articolo 752 c.c., disciplina una suddivisione dei debiti tra una pluralità di eredi, stabilendo che essi contribuiscono a pagare i debiti, in base alle quote che i chiamati hanno ricevuto.  In caso di più coeredi non vi è tuttavia, l’impossibilità che sia un solo erede ad assumersi l’obbligo di adempiere al soddisfacimento dei debiti del de cuius (Cassazione n° 24792/2008).

5. Impugnabilità del testamento

La volontà testamentaria espressa dal de cuius, può essere impugnata richiedendo la nullità o l’annullabilità del testamento. L’azione può essere esperita da coloro che hanno un interesse diretto, citando gli eredi, e gli eventuali legati.

La nullità può essere fatta valere laddove siano presenti vizi gravi sul testamento stesso, tali da renderlo nullo. Questi vizi possono comprendere per esempio: la mancanza di firma del testatore nel caso di testamento olografo, o più in generale, quando un testamento è contrario all’articolo 1346 c.c, ossia quando l’oggetto é illecito, indeterminato oppure indeterminabile o impossibile. Tali vizi, per la loro gravità, portano il testamento ad essere nullo per impossibilità di rimedio.

Può essere richiesta l’annullabilità quando sono presenti anomalie meno gravi ma che comunque consentono di impugnare un testamento. A titolo esemplificativo, si può richiedere l’annullabilità nel caso di mancanza della data sul testamento, o quando questo é redatto da incapace, perché come indicato dall’articolo 591 c.c. solo chi ha la capacità di intendere e volere può redigere testamento.

Oltre a ciò è possibile voler impugnare un testamento al fine di una ridistribuzione del patrimonio laddove uno o più eredi reputano di avere acquisito un lascito minore. In tal caso potrebbe esserci un ridimensionamento delle quote degli altri eredi. L’azione di ridimensionamento può comunque essere fatta valere solamente dagli eredi legittimari che dal testamento si sentono lesi.


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