Turismo procreativo: profili civilistici e penalistici della tecnica di maternità surrogata praticata all’estero

Turismo procreativo: profili civilistici e penalistici della tecnica di maternità surrogata praticata all’estero

Sommario: 1. Lo stato civile del nato da maternità surrogata: L. 40/2004 – 2. Rilievi penali del fenomeno del turismo procreativo – 3. La più rilevante giurisprudenza europea sulla maternità surrogata ed il diritto del minore al rispetto della vita privata e familiare e della propria identità individuale (art. 8 CEDU) – 4. Note conclusive

 

Abstract

Le innovazioni medico-scientifiche del XXI secolo e le recenti opportunità offerte dalle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno profondamente trasformato l’ideale familiare ed il modello genitoriale.  La famiglia ora prescinde dal vincolo matrimoniale e la filiazione può conseguire ai nuovi metodi di costruzione del progetto familiare, dapprima inimmaginabili.

Il diffondersi, sempre più frequente negli ultimi anni, del fenomeno del “turismo procreativo”, ha posto ai Giudici ed a tutti gli operatori del diritto numerose questioni ermeneutiche. Tra queste si annovera certamente quella relativa alla natura giuridica della responsabilità della coppia “commissionante” il neonato, e cioè di quei soggetti, provenienti dall’Italia che, avvinti da una relazione sentimentale ed al contempo impossibilitati ad avere figli, perseguono, senza sosta, il sogno di veder fiorire il proprio nucleo familiare. Il raggiungimento di tale obiettivo necessita comunque di sistemi giuridici esteri che promuovono la tutela di taluni diritti sociali legittimando l’utilizzo di specifiche pratiche procreative, quali, tra le altre, la surrogazione di maternità.

Si assiste dunque ad una progressiva erosione della linea distintiva tra lo status familiare, di matrice domestica, e quello ottenuto all’estero e poi solo trascritto in Italia. Il turismo procreativo viene sostanzialmente vissuto da coloro che fronteggiano le più forti difficoltà, biologiche e/o giuridiche, nell’opera di creazione del proprio nucleo familiare come l’unica possibilità per garantire il rispetto di quei diritti e quelle prerogative personali che vengono percepite dagli interessati come fondamentali e che trovano supporto normativo in sempre più Stati. L’Italia è indubbiamente indietro in siffatto iter d’evoluzione legislativa. In questo corollario si incardinano le pratiche estere di fecondazione, spesso messe in atto dalle coppie italiane come un’intima resistenza avversa al sistema giuridico di appartenenza, subìto come ingiusto e poco empatico nel comprendere le sofferenze patite dalle stesse nella lotta privata che portano incessantemente avanti.

1. Lo stato civile del nato da maternità surrogata: L. 40/2004

La legge n.40 del 19 Febbraio 2004, in vigore dal 10 Marzo 2004 dopo un aspro dibattito protrattosi per almeno un decennio, contempla il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (pma), consentito limitatamente alle ipotesi in cui è altrimenti impossibile procreare, in ragione di conclamati impedimenti biologici, quali la sterilità o l’infertilità. E perciò la pma si prefigura come ultima soluzione all’accertata difficoltà nel procreare.  Sebbene sia frutto di un lungo e variegato dibattito politico-sociale, la legge non è esente da lacune normative che celano un chiaro livello di immaturità del Legislatore nel disciplinare un argomento così complesso e delicato. Non vi è dubbio che l’espresso divieto di fecondazione eterologa, di cui all’art. 4, comma terzo, L.40/2004, è stato il fuoco di una brusca controversia generatosi in scia alla Legge ed ha indotto, dapprima la Corte Europea dei diritti dell’uomo[1], la Seconda Sezione, e successivamente la Corte Costituzionale Italiana, ad un fermo intervento sul citato divieto. Intanto la Corte EDU, in merito al ricorso presentato nell’Ottobre 2010 da Costa e Pavan, ha asserito sulla manifesta incompatibilità del divieto ex. art.4, comma 3, L.40/2004, con il diritto alla vita familiare, protetto dall’art. 8 CEDU, e con il divieto di discriminazione dell’art. 14 della Convenzione. Sul punto si ricorda altresì la pronuncia n. 162 del 2014 della Consulta, con cui la Corte Costituzionale, fondando il ragionamento sui presupposti che funsero da base alla Grande Camera CEDU due anni addietro, ha espunto dall’ordinamento domestico il divieto di fecondazione eterologa, poiché in violazione con il diritto alla salute, art. 32 Cost. e il principio di autodeterminazione dell’uomo.

In piena coerenza con lo spirito generale della legge, le metodologie procreative vengono incluse in una scala assiologica cui fare riferimento in proporzione alla gravità della situazione di infecondità della coppia. Il secondo comma dell’art. 4 della L.40/2004 impone dunque che possa farsi ricorso alle predette tecniche alla luce del principio di gradualità, partendo cioè da quella che richiede il minor grado di invasività tecnico e psicologico per i pazienti.

Tuttavia, la premessa logica del turismo procreativo si rinviene primariamente nella pratica della maternità surrogata.

La surrogazione di maternità è quel procedimento che si sostanzia nell’obbligo assunto da una donna di portare a termine la gestazione “commissionata” da una coppia, i cui componenti sono uniti da un rapporto affettivo ma impossibilitati a procreare, per poi consegnare il nato a costoro, i quali vorranno ben assumere la qualità di genitori del bambino.

Entro il quadro assiologico sopra detto, la tecnica di surrogazione è sicuramente una modalità di intervento molto ingerente, in termini naturalistici e sociali, pertanto è senza sottintesi vietata, nonché penalmente sanzionata, dalla L.40/2004, all’art. 12, comma 6 e 8. Tale statuizione concreta che l’unica donna da rubricare come “madre” è solamente colei che da alla luce il bambino, a nulla soppesando la circostanza che costei sia una “madre in affitto” e che orbene porti in grembo, nel suo utero, l’embrione originato dal materiale genetico della donatrice. In tema di maternità surrogata la disamina deve soffermarsi, in particolar modo, sulle conseguenze, sul piano civile e penale[2], in capo a coloro che ne facciano uso. È evidente che la coppia, la quale nella formazione dell’atto di nascita affermi la qualità di madre in capo ad  una donna diversa rispetto la naturale genitrice dell’infante, realizza il reato di alterazione di stato, il quale si risolve, sotto la lente del diritto civile, nella possibilità conferita alla madre biologica di impiegare l’azione di contestazione della maternità, in forza degli artt. 239,240 e 248 c.c. D’altronde, la medesima precarietà dello status filiationis sussiste allorché la coppia decida di servirsi della nota tecnica in un Paese estero che l’abbia già legittimata e puntualmente regolamentata. Accade sovente infatti che aspiranti genitori italiani travalichino i confini nazionali per iniziare e portare a termine la gravidanza con la madre in affitto, generalmente previ accordi di surrogazione, stilati alla stregua di veri e propri contratti, che non sembrano però poter trovare alcun spazio di riconoscimento nel diritto italiano. Una volta esaurito il periodo gestazionale e generato il bambino, la coppia fa ritorno in Italia, con in mano l’atto di nascita rilasciato dall’autorità straniera, attestante la qualità genitoriale dei due soggetti. Il documento testé prodotto è inficiato dal contenuto ideologicamente non veridico dal momento che appura la connessione di sangue tra la donna italiana, etichettata come madre biologica, ed il figlio.  Si deve tener ben presente che la compagine normativa è afferente al filone giuridico del diritto internazionale privato. Sicché occorre precisare che l’art. 33 L.218/1995 ribadisce che l’accertamento della filiazione è subordinato alla legge nazionale in vigore nel luogo e nel tempo in cui avviene il parto, o, se più di favore rispetto alle peculiarità del caso di specie, alle norme statali del Paese di cittadinanza di uno dei genitori. Così, l’esperienza del turismo procreativo e della pratica della maternità surrogata compiuta all’estero, si risolverà con il riconoscimento della suddetta qualità di figlio, in virtù della legge dello Stato di nascita, ossia dello ius soli. Il secondo passo sarà richiedere la trascrizione dell’atto di nascita nei registri dello stato civile italiano, noti i limiti circoscritti alla non contrarietà all’ordine pubblico, dell’art. 65 L.218/1995.

2. Rilievi penali del fenomeno del turismo procreativo

La pratica della surrogazione di maternità, come si è appena visto, è expressis verbis vietata dal diritto italiano in quanto è inserita in un doppio circuito di precetti. Da un lato sottostà al limite di cui al comma 6 dell’art.12 L.40/2004, dall’altro appare assumere rilievo penale, polimorfo e frastagliato, in misura degli orientamenti esistenti sul punto e delle empiriche specificità della fattispecie de quo.

Al fine di aggirare tale sordo divieto, le coppie italiane interessate decidono di procedere con la pratica in Paesi esteri, ove sono sicuri di poter contare su una legislazione a maglie larghe, tanto più permissiva verso siffatta tipologia di tecniche. Alla formazione di un atto di nascita estero dovrà seguire la trascrizione dello stesso presso i registri dello stato civile italiano. Le maggiori controversie sorte in dottrina e giurisprudenza si annidano su tale trascrivibilità.

Per quanto qui rileva, la dottrina maggioritaria afferma che la trascrizione dell’atto di nascita prodotto dall’autorità straniera, constante delle generalità del nato e dei presunti genitori di costui, sgombera il campo di applicazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art.12, comma 6, L/.40/2004, per effetto della mancanza del requisito di punibilità della doppia incriminazione, ex art. 9 c.p., per fatti delittuosi commessi al di fuori del territorio italiano.

Un secondo filone dottrinale, suffragato da recente giurisprudenza, osserva che alle coppie che esauriscono all’estero la procedura di surrogazione di maternità, richiedendo poi la trascrizione dell’atto di nascita straniero attestante la loro sedicente genitorialità biologica, possa addebitarsi la penale responsabilità, alternativamente, per i reati di false dichiarazioni, rese al pubblico ufficiale, sull’identità personale propria ed altrui, previsto al comma secondo, n.1, art. 495 c.p., o del delitto di alterazione di stato, contemplato all’art. 567, comma 2, c.p.

La prima delle fattispecie anzidette difficilmente si confà agli elementi oggettivi e subiettivi posti a corredo della condotta materialmente estrinsecata. Infatti, pacifico che l’attestazione penalmente sanzionata debba essere esplicita, oltre che positiva ove si affermi il falso o negativa se venga negato il vero, il mero silenzio o anche la sola reticenza sono estromessi dal raggio di operatività della norma. Il silenzio è giustappunto inidoneo a produrre una immutatio veritatis. La trascrizione poi persegue soltanto l’effetto di pubblicità di un atto che invero è si è già compitamente fabbricato all’estero e che quindi ha già generato effetti, sin dal momento della sua formazione. Il contenuto falso dell’atto trascritto si modella in un falso inutile, il quale, se conforme alla legge del luogo di nascita del bambino, non vanterà alcuna rilevanza penale. Riecheggiando le conclusioni promosse dalla Corte EDU nelle sentenze Mennesson e Labassee[3], la giurisprudenza di merito[4] ha rinvigorito la presente tesi. Se è vero che la legge non impone alcun obbligo dichiarativo dei “genitori sociali” circa le pratiche di cui si sono giovati per la fecondazione, è vero altresì che non aver nulla proferito sul punto al momento della richiesta di trascrizione dell’atto estero di nascita descrive semplicemente un atteggiamento reticente, non sanzionabile penalmente. Il richiamo alla giurisprudenza di Strasburgo permette, oltre a ciò, nel caso di accertata discrasia tra il trascritto ed il dichiarato, di prospettare comunque un’ipotesi, ex art.51 c.p., di falso scriminato, da saggiare al lume della tutela delle istanze superiori del minore, come si evince dal disposto di cui all’art. 8 CEDU.

Diverso è il valore certificativo del documento. Questo è stato corroborato dalla una pronuncia[5] di merito del 2014, la quale, valorizzando il peso penale della condotta dei genitori, nella parte in cui valutava le conseguenze circa la simulazione della gestazione naturale della donna della coppia, in luogo della genitrice naturale dell’infante, ha propeso nel riconoscere la piena responsabilità dei cittadini italiani. Nel caso di specie, il Giudice, passando all’esame gli elementi tipici della fattispecie, ha fatto presente la potenziale carica di immutatio veritatis della falsa attestazione delle qualità personali dei coniugi e del bambino rese ad un pubblico ufficiale.

La fattispecie di alterazione di stato mediante sostituzione e falsità, disciplinata al secondo comma dell’art. 567 c.p, si realizza ogniqualvolta che in un atto di nascita venga affermata la genitorialità di altro individuo rispetto il genitore naturale del minore. La giurisprudenza di legittimità[6] è concorde nel ritenere che con tale previsione normativa, il Legislatore abbia inteso garantire il diritto del minore alla veridica attestazione della propria ascendenza, quale ineliminabile corollario del diritto all’identità personale.

Un ulteriore rilievo centrale, tra le peculiarità che segnatamente emergono dalla disamina della fattispecie, è il quid pluris che esaurisce la descrizione fattuale del comportamento antigiuridico. La falsa dichiarazione deve infatti iniquamente proferire sulla discendenza del figlio, all’uopo indicando un genitore diverso da quello naturale.

Circa la questione fondante la pratica del turismo procreativo, la Suprema Corte[7] ha affermato che, ricorrendo il delitto di alterazione di stato, di cui al secondo comma del citato articolo, solo previa induzione in errore dell’ufficiale di stato civile, la trascrizione in Italia di un atto di nascita prodotto in un Paese straniero non integra il delitto de quo nel caso in cui sia geneticamente dimostrabile il legame parentale con almeno uno dei componenti della coppia (nel caso di specie si trattava del padre biologico del neonato, partorito non dalla compagna di costui ma da donna diversa).

In tema di alterazione di stato occorre altresì ricordare che le false dichiarazioni sulle generalità del minore vengono trascritte in Italia quando l’atto di nascita, estero, è già perfettamente formato. Di conseguenza la trascrizione di attestazioni non conformi a verità, inserite in un atto già definitivamente prodotto da altra autorità estera, non riesce a ricomprendere sotto l’ombrello dell’art. 567 c.p. alcuna dichiarazione etichettabile come falso. Ciò è dedotto sempre in ossequio ai principi fondamentali dell’ordinamento penale italiano di offensività e materialità, corollari del principio di legalità, previsto dall’art. 25 della Costituzione.

I Giudici di piazza Cavour[8] sono intervenuti nel solco del dibattito circa le similitudini e le differenze tra il reato di alterazione di stato ed il delitto di riduzione in schiavitù di cui all’art. 600 c.p. Integra correttamente gli estremi del primo la “cessione uti filius” di un neonato ad una coppia di coniugi, poiché la fattispecie descritta all’art. 600 del codice è si contraddistingue per lo scopo di sfruttamento operato da un uomo nei confronti di un altro uomo. Parimenti l’agente esercita sulla vittima  una potestà speculare al diritto di proprietà, convertita nella riduzione e nel mantenimento della vittima in uno stato di soggezione, con la preordinata finalità di ottenere da quest’ultima prestazioni di carattere sessuale, lavorativo e d’accattonaggio. In attività congeneri si annida la singolare connotazione dello sfruttamento dello schiavo.

Il delitto di alterazione di stato non si sistema nello stesso ordine di idee dell’art.600 c.p. dato che, in questa ipotesi, i soggetti attivi operano seguengo il fine ultimo di inserire l’infante nel proprio nucleo familiare, e trattare quest’ultimo alla stregua di un figlio naturale.

Tutto ciò premesso, il dibattito in merito ai risvolti penali delle pratiche di maternità in affitto esercitate all’estero è, ancora oggi, aperto. Le Sezioni Unite della Cassazione[9], con un intervento recente, hanno negato la trascrizione presso i registri di stato civile italiano dell’atto di nascita preconfezionato in territorio straniero, riferente le generalità di un nato per surrogazione di maternità. La decisione in commento (Cass. SS.UU. 8 Maggio 2019, sent. n. 12193), ha ravvisato, in termini piuttosto difformi rispetto l’excursus interpretativo tracciato dal massimo organo di nomofilachia nel corso degli anni, che detta registrazione, per quanto il falso in esame debba intendersi scriminato, o quantomeno inutile, incontra pur sempre il limite dell’ordine pubblico.

3. La più rilevante giurisprudenza europea sulla maternità surrogata ed il diritto del minore al rispetto della vita privata e familiare e della propria identità individuale (art. 8 CEDU)

Negli anni la Corte di Strasburgo ha avuto feconde occasioni di intervento sul tema della maternità surrogata.

La Francia ha incassato due sonore condanne con riferimento al turismo procreativo. Queste, oggetto di interessantissimi arresti della Corte Europea dei diritti dell’uomo, sono le sentenze Mennesson c. Francia[10] e Labassee c. Francia[11], con le quali la Corte ha asserito a gran voce che la signoria dello Stato incontra l’invalicabile limite del legame genetico tra figli e uomini delle coppie eterosessuali ricorrenti all’istituto della maternità surrogata. Il vincolo padre-figlio è infatti innegabile, dunque la Corte ha ritenuto di imporre allo Stato un vero e proprio obbligo di riconoscimento del rapporto di parentela instauratosi tra uomo e figlio, sebbene sorto all’estero. Solo così potrà dirsi soddisfatto il requisito di cui all’art. 8 della Convenzione[12]. L’eventuale difetto di riconoscimento è limpidamente lesivo del diritto del minore a veder rispettata la propria vita privata e del diritto dello stesso all’identità personale.

Nello stesso anno, 2014, anche la Corte Costituzionale Tedesca[13] ha dimostrato una propositiva apertura nei confronti della tematica in esame. Essa ha invero confermato la non contrarietà all’ordine pubblico del riconoscimento e della consequenziale attuazione della pronuncia con la quale l’autorità giudiziaria della California aveva riconosciuto come genitori biologici, la coppia di tedeschi che aveva commissionato un figlio ad una clinica californiana di surrogazione di maternità.

Più problematica è la questione nel caso in cui manchi del tutto il legame biologico con almeno uno dei genitori “sociali”. I Giudici di Strasburgo[14], in Grande Chambre, riformando parzialmente la pregressa decisione proferita da una Sezione Ordinaria, con la sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia, 2017, hanno asseverato che, difettando qualsivoglia connessione naturale tra il nato e la coppia, e posta la ristrettezza temporale dell’interazione di fatto intercorsa tra costoro, non si può ritenere esistente e soprattutto giuridicamente valido, ai sensi dell’art.8 della Convenzione, il legame familiare pretestuosamente asserito dai ricorrenti. In totale antinomia rispetto le precedenti pronunce dapprima vagliate, la CEDU ha concluso la vicenda con un provvedimento di favore per lo Stato Italiano, avallando la tesi suesposta con la convinzione che l’ordinamento legislativo italiano risultava essere del tutto conforme ai dettami sovranazionali elargiti dal testo della Convenzione. Su tale premessa, ripercorrendo le tappe della vicenda in questione, la Corte EDU ha sottolineato come non possa dirsi contrastante, con l’intero Sistema CEDU[15], l’atteggiamento ostativo delle autorità italiane avverso la trascrizione dell’atto di nascita di un minore, nato in Russia da una coppia italiana, coniugata, che aveva quivi commissionato la pratica della maternità surrogata, ma che frattanto aveva vissuto per svariati mesi con la stessa coppia italiana. Operando un accertamento in concreto del comportamento dei coniugi, l’impianto argomentativo della Corte ha ricavato la manifesta antigiuridicità della condotta, la quale era ovviamente volta al precipuo fine del procacciamento del minore. Per mezzo di questa, gli agenti miravano ad aggirare le regole imposte dal Legislatore italiano, indicando, peraltro falsamente, come proprio un individuo che con nessuno dei componenti della coppia vantava comunione di materiale genetico alcuno.

Note conclusive

Ebbene, il significativo ampliamento del numero delle coppie italiane che decidono di valicare il confine per soddisfare i propri, connaturati, bisogni familiari, è certamente frutto dell’evoluzione scientifica che è stata vero motore propulsore della ricerca di nuove tecniche, nonché del miglioramento costante di quelle già esistenti.  Non deve mancare, tuttavia, specifico richiamo a quelle legislazioni estere che rendono estremamente più agevole ed appetibile per tali individui spingersi nella pratica del turismo procreativo, sollecitando così una tangibile erosione del diritto domestico, vissuto da costoro come un ingiusto ostacolo al godimento di diritti fondamentali, quali la filiazione, per ciò che ora interessa.

La valorizzazione normativa del turismo procreativo porterà inevitabilmente alla conseguenza della globalizzazione dei diritti. Nondimeno, qualora ciò dovesse effettivamente accadere, è opinione condivisa quella secondo cui l’effetto più rischioso sarà l’acutizzazione della discriminazione socio-economica tra coloro che disporranno dei mezzi finanziari, piuttosto ingenti, per far fronte agli elevati costi del progetto all’estero di creazione del nuovo nucleo familiare, e coloro ai quali invece verrà da subito precluso l’accesso al medesimo servizio, o meglio, allo stesso sogno di vita.

 

 

 


[1] Corte EDU, Seconda Sezione, 28 Agosto 2012, Ricorso n. 54270/10.
[2] L’art.12, comma 6, L.40/2004, prevede la reclusione da tre mesi a due anni e la sanzione pecuniaria della multa da 600.000 sino ad 1.000.000 di euro per chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la pratica dell’utero in affitto.
[3] Corte EDU, Quinta Sezione, sent. Mennesson c. Francia, 26 Giugno 2014, Ricorso n. 65192/11; Corte EDU, Quinta Sezione, sent. Labassee c. Francia, 26 giugno 2014, Ricorso n. 65941/11.
[4] Trib. Pen. Varese, sent. 8 Ottobre 2014.
[5] Trib. Milano, GUP, ord. 8 Aprile 2013.
[6] Cass. Pen. Sez. VI, sent. n. 4633/1994.
[7] Cass. Pen. Sez. VI, sent. n. 8060/2016.
[8] Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 32986/2008.
[9]  Cass. SS.UU. 8 Maggio 2019, sent. n. 12193
[10] Corte EDU, Quinta Sezione, 26 Giugno 2014, Ricorso n. 65192/11.
[11] Corte EDU, Quinta Sezione, 26 giugno 2014, Ricorso n. 65941/11.
[12] Corte EDU, Quinta Sezione, 26 Giugno 2014, Ricorso n. 65192/11, par. 57-58.
[13] Bundesgerichtshof, 10 Dicembre 2014, par. 53.
[14] Corte EDU, Grande Camera, 24 Gennaio 2017, Ricorso n. 25358/12.
[15] Il SISTEMA CEDU è dato dalle disposizioni contenute nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla giurisprudenza della relativa Corte.

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