Usucapione, la proprietà tra esercizio di fatto e diritto

Usucapione, la proprietà tra esercizio di fatto e diritto

Un argomento di estremo interesse nell’ambito della trattazione del diritto di proprietà è quello relativo all’usucapione, trattato nel codice civile agli articoli 1158 e ss, sotto il titolo del possesso. Siamo di fronte ad un modo di acquisto che non segue i parametri tradizionali di trasferimento della proprietà, ma che comunque rientra nei modi di acquisto della stessa e che comporta anche l’acquisizione di altri diritti reali. Un elemento determinante lo gioca il tempo che trascorrendo consolida sempre di più tale situazione sino a trasformare una consuetudine, consentita o meno, in usucapione. Ma cerchiamo di capire meglio partendo dalla norma che apre la tematica. L’art. 1158 del c.c.  – Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari – esplicita che La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni.

Un esempio ci farà meglio comprendere il tema dell’argomento.

Il proprietario di un terreno parte per la Germania e lascia il fondo ad un contadino di sua conoscenza a cui affida il mantenimento e la coltivazione dello stesso in cambio di una remunerazione. Dopo venticinque anni il proprietario ritorna e rivendica la paternità del terreno, ma il contadino gli fa notare che sono passati venti anni e vuole esercitare l’usucapione. Il realtà non funziona così. Chi si limita a coltivare il terreno ossequiando alle direttive impartite dalla proprietà non può adire all’istituto del possesso ma, come nel caso menzionato, dovrà restituire la proprietà al legittimo proprietario. Affinché si materializzi l’usucapione, oltre a possedere il bene in modo palese, bisogna compiere atti sulla proprietà come se il bene fosse proprio, disconoscendo pubblicamente l’altrui diritto. E’ dal momento in cui il possessore compie atti  di modifica che in teoria non potrebbe compiere (come ad esempio la recinzione del terreno) che devono decorrere i venti anni. Oltre all’elemento tempo, altro aspetto da sottolineare è l’inerzia del titolare che è il presupposto principe per l’usucapione del possessore. Non è indispensabile la buona fede nel possesso, ma è necessario che debba essere a titolo di proprietà. L’esercizio effettivo del proprietario è interruttivo di una eventuale usucapione in corso.

L’interruzione (1167 c.c. Interruzione dell’usucapione per perdita di possesso) deve protrarsi per oltre un anno. L’interruzione si ha come non avvenuta se è stata proposta l’azione diretta a recuperare il possesso e questo è stato recuperato.

Il periodo ‘normale’ per diventare titolare della proprietà sia di beni mobili (1160 c.c.) che immobili è di venti anni.

Esiste poi l’usucapione decennale quando si è acquistato il possesso in buona fede, credendo di avere contratto un atto di acquisto valido che poi in realtà si è rivelato nullo. Il titolo, di per sé inefficace ma non invalido perché ritenuto idoneo dalla legge, deve essere trascritto e da questo momento decorre il decennio previsto dalla legge (art. 1159 c.c. – Usucapione decennale)

Per i beni mobili, usucapione con periodo ventennale se il possesso si acquista in mala fede, dieci anni in buona fede ma in assenza di titolo (art.1161 c.c.)

La legge n° 346/1976 ha fatto da apripista al 1159/bis (Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale) che prevede in comuni montani un tempo ridotto a quindici anni per l’usucapione dei fondi rustici con annessi fabbricati. Una sorta di ‘premio’ a chi lavora la terra in posizioni disagiate al cospetto di chi la lascia inattiva e destinata al deperimento.


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Virgilio Minniti

Laureato in Giurisprudenza presso Unisa, ha espletato la pratica forense e quella notarile. Attestato Amministratore di condominio. Iscritto all'Albo dei giornalisti - elenco pubblicisti

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