Valido il testamento contenente solo una clausola di diseredazione

Valido il testamento contenente solo una clausola di diseredazione

Corte di Cassazione, Sez. II civile, n. 8352 del 25 maggio 2012: <<è valida la clausola del testamento con la quale il testatore manifesti la propria volontà di escludere dalla propria successione alcuni dei successibili>>.

Il testamento olografo è valido anche se contiene la sola clausola di diseredazione, senza nessuna disposizione attributiva di beni.

E’ quanto statuito dalla Suprema Corte con sentenza n.8352/2012, compiendo un’inversione di rotta rispetto alla pregressa giurisprudenza.

Prima di commentare questa pronuncia dal carattere profondamente innovativo, al fine di comprendere le problematiche sottese alla figura della diseredazione, procediamo brevemente ad un’analisi storica della stessa.

L’istituto in esame, come noto, affonda le sue radici nella storia.

Il termine latino ‘exheredatio’ indica l’esclusione (ex-) dalla qualità di erede (heres).

Il diritto romano, infatti, prevedeva -oltre all’indegnità-  anche la diseredazione, ossia quell’atto solenne ed autonomo con cui il pater familias estrometteva dalla successione i propri eredi necessari, nei confronti dei quali nutriva risentimenti per qualche offesa ricevuta.

Si trattava, pertanto, di una sanzione di natura privata, abolita -per ragioni di carattere morale- dal code Napoléon e riapparsa con l’introduzione del Codice Albertino.

Nonostante sia prevista in molti odierni ordinamenti di civil law (tra questi, in particolare, il codice civile austriaco; il codice civile tedesco; il codice civile spagnolo; il codice civile svizzero), la clausola di esclusione dalla successione di un erede ‘ab intestato’ non trova, almeno in modo espresso, una disciplina positiva nel nostro attuale ordinamento.

Alla luce di queste considerazioni, è sorto un acceso e lungo dibattito sull’ammissibilità o meno, all’interno del testamento, di una clausola volta ad escludere taluno dalla propria successione.

In altri termini, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sulla validità della scheda testamentaria che non presenta alcuna disposizione positiva, ma si limita a esprimere la volontà -negativa- di escludere dalla successione uno o più potenziali eredi ab intestato.

A tale uopo, giova quindi domandarsi se il testatore, nell’esercizio dell’autonomia privata, possa manifestare una volontà che non sia volta ad attribuire beni a determinati soggetti, ma sia diretta esclusivamente a diseredare uno o più successibili ex lege, purché non legittimari (ad es. “escludo dalla mia successione mio fratello Sempronio”).

La seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, innanzitutto, prende le distanze dal precedente orientamento del Supremo Collegio (sentenza n. 1458/1967), che prevedeva il principio di diritto secondo cui il testatore può validamente escludere dall’eredità un erede legittimo, purché nella scheda testamentaria siano contenute anche disposizioni positive, ossia attributive di beni ereditari ad altri soggetti.

Ne conseguiva, pertanto, la nullità del testamento contenente solo una clausola di diseredazione.

Per meglio dire, si sosteneva che, alla luce di quanto si legge nell’art. 587 c.c. I co. (<<Il testamento è un atto revcabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse>>), il testamento potesse contenere esclusivamente delle disposizioni di natura patrimoniale e, considerando che la clausola di diseredazione non ha siffatto contenuto, la giurisprudenza aveva intuito che, la stessa, non potesse essere apposta su un testamento.

Tuttavia, nella sentenza del 1967, gli Ermellini aggiungevano che un testamento con solo una clausola di diseredazione può essere -al contempo- considerato valido se, mediante l’interpretazione della scheda testamentaria, risulti che il testatore abbia voluto, implicitamente, attribuire i suoi beni ad altri soggetti, diversi da quelli diseredati.

Sulla scorta delle suesposte considerazioni, la Suprema Corte, con la pronuncia n.8352/ 2012, reputa non condivisibile la ricostruzione precedentemente accolta dalla giurisprudenza di legittimità, perché affetta da un’evidente contraddizione.

A ben vedere, da un lato, infatti, si afferma l’assoluta invalidità della clausola testamentaria meramente negativa non accompagnata da disposizioni di carattere attributivo; dall’altro, invece, se ne riconosce la validità, qualora sia possibile ricavare -sia in modo esplicito che implicito- la volontà del testatore di attribuire i propri beni a soggetti diversi da quelli esclusi dall’eredità.

I giudici della Cassazione, contestando la logica argomentativa del precedente orientamento ed evidenziando l’incongruità di cui sopra, forniscono una rilettura dell’articolo 587 c.c, co. I, abbracciando una tesi più liberale.

Il “disporre”, di cui all’articolo sopracitato, include non solo una volontà attributiva e istitutiva, ma anche una volontà ablativa, recte destitutiva.

In altri termini, “escludere equivale non all’assenza di un’idonea manifestazione di volontà, ma una specifica manifestazione di volontà, nella quale, rispetto ad una dichiarazione di volere (positiva), muta il contenuto della dichiarazione stessa, che è negativa”.

Pertanto, la clausola di diseredazione, sebbene non attributiva -in via diretta- di un patrimonio, è pur sempre un atto dispositivo con effetto indiretto e, dunque, espressione del principio di libertà testamentaria.

In conclusione, nel caso in cui il de cuius diseredi alcuni dei successori legittimi, senza che la disposizione sia accompagnata da altre attributive a favore di ulteriori soggetti, tale clausola testamentaria è oggi considerata valida.  <<La clausola di diseredazione integra un atto dispositivo delle sostanze del testatore, costituendo espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali, che può includersi nel contenuto tipico del testamento: il testatore, sottraendo dal quadro dei successibili ex lege il diseredato e restringendo la successione legittima ai non diseredati, indirizza la concreta destinazione post mortem del proprio patrimonio >>.

Chiarito ciò, quanto riportato è, peraltro, confermato dalla presenza di ulteriori disposizioni patrimoniali testamentarie non attributive presenti all’interno del nostro ordinamento, quali ad esempio l’onere testamentario (art. 647 c.c.), la dispensa da collazione (art. 737 c. c.), l’assegno divisionale semplice (art. 733 c. c.), la ripartizione dei debiti ereditari (art. 752 c. c.), la disposizione contraria alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.), le disposizioni a favore dell’anima (art. 629 c.c.), i divieti testamentari della divisione (art. 713 commi 2 e 3 c.c.).

La clausola di diseredazione e la sua operatività nei confronti del genitore legittimario

Nel contesto in esame, si inserisce la recente Riforma in materia di filiazione, operata con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha introdotto, nell’ambito del Titolo VIII del libro I del codice civile, l’art. 448-bis c.c., ai sensi del quale: “Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo dalla successione”.

Con particolare riferimento all’esclusione dei diritti successori, la disposizione normativa testé richiamata appare particolarmente innovativa, in quanto introduce la figura della clausola di diseredazione del legittimario (diversamente dalla seconda Sezione Civile della Cassazione che, nel 2012, come precisato, la ammette per il solo erede ab intestato).

“Escludere il genitore dalla successione” equivale, invero, a diseredare un legittimario, cosa fino a poco tempo fa decisamente inammissibile.

Trattasi, nello specifico, di una sanzione che non opera automaticamente: il relativo esercizio è, infatti, subordinato alla scelta discrezionale del figlio, destinata ad operare non solo nelle ipotesi nelle quali sia stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale non riconducibili alla sfera di applicazione della causa di indegnità, di cui all’art. 463 cc., ma anche in quelle di comprovata responsabilità extracontrattuale per la violazione dei doveri familiari da parte di un soggetto qualificato, id est il genitore.

La tutela derivante dall’applicazione dei principi della successione necessaria viene dunque ridefinita, intaccando la quota di riserva del genitore legittimario.

Nella fattispecie de qua, a differenza di quanto previsto nel diritto romano (in cui, come in premessa detto, il pater familias era dotato del potere di escludere dalla successione i propri eredi necessari, con l’intenzione di sanzionarli per le offese ricevute), il potere privativo dei diritti successori è attribuito al figlio: ecco, quindi, un’inversione di attribuzione di poteri da parte del Legislatore.


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Angela Fucci

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II"; diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell'Università Federico II di Napoli, abilitata all'esercizio della Professione di Avvocato

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