Violenze di ogni tipo e privazione della libertà: l’inferno dei campi “di raccolta” libici

Violenze di ogni tipo e privazione della libertà: l’inferno dei campi “di raccolta” libici

La Corte d’Assise di Milano, con la sentenza del 10 ottobre 2017, ha condannato all’ergastolo – con isolamento diurno per tre anni – un cittadino somalo per i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato dalla morte dei sequestrati (con conseguente assorbimento dei contestati omicidi), violenza sessuale pluriaggravata, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravato.

Le condotte contestate ed accertate all’esito del processo sono state consumate nei cc.dd. “campi di raccolta” dei migranti in Libia, in due dei quali l’imputato (anch’egli migrante e dunque potenziale vittima) aveva scelto di collaborare con i gestori di tali campi, privando i migranti della loro libertà personale, sottoponendoli a violenze “esemplari” finalizzate ad ottenere dalle famiglie il pagamento di un riscatto per liberarli ed avviarli all’emigrazione in Europa.

La sentenza della Corte d’Assise milanese fornisce argomentazioni su alcune rilevanti questioni giuridiche e risulta estremamente espressiva nella parte relativa alla narrazione dei fatti contestati, dando conto in maniera concreta delle condizioni dei campi di transito che si trovano in Libia.

L’esordio delle indagini, ricostruito nel testo del provvedimento, appare configurabile nell’individuazione di coloro che avevano agito come “kapò” in questi veri e propri campi di concentramento, con le vittime che, giunte in Europa, a distanza di tempo, incontrano per caso l’imputato in un centro di accoglienza a Milano: il tumulto che ne segue attira l’attenzione della Polizia Locale che avvia le indagini che poi sfociano nel processo in Assise.

La qualità delle indagini, la loro resa in dibattimento, insieme alla credibilità delle dichiarazioni delle persone offese, hanno confermato un contesto di privazione della libertà dei migranti e di violenze di ogni genere che delinea una realtà dei fatti che è fondamentale non ignorare per la sopravvivenza dei diritti umani.

I migranti partono dai territori somali a causa della insostenibile situazione politica, delle inesistenti condizioni igieniche, della presenza di bande armate che seminano violenza e morte.

Organizzazioni di trafficanti li conducono in Europa attraverso l’Etiopia ed il Sudan fino alla Libia, abbandonando nel deserto coloro che mostrano difficoltà a proseguire il viaggio.

In attesa del versamento del denaro (la c.d. “hawala”) da parte dei familiari, i migranti vengono reclusi in dei “campi di transito” dove, per rendere più convincente la richiesta di denaro, venivano sottoposti a privazioni di cibo e cure mediche, a ripetute percosse con bastoni, spranghe e cavi, scariche elettriche e disidratazione. Le donne e le ragazze sottoposte a ripetute violenze sessuali e lesioni. Una madre è morta per dissanguamento dopo il parto.

Lo sviluppo successivo è stato il trasferimento nei pressi della costa e la navigazione verso l’Italia sui barconi che in questi ultimi anni è stata l’unica parte dei viaggi dei migranti rivelata ai cittadini italiani ed europei.

Una sentenza come quella della Corte d’Assise di Milano, che cristallizza in sede giudiziaria il contenuto drammatico e disumano di quei viaggi – nella loro interezza – costituisce un contributo di rilevanza fondamentale a qualsiasi ragionamento giuridico e politico sul fenomeno migratorio così come oggi si configura, in netto contrasto con la dichiarata volontà dell’Unione Europea di perseguire un regolare e ordinato flusso dei migranti garantendone la sicurezza e la salvezza.


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Agostina Stano

Avvocato del Foro di Milano Volontaria presso l'associazione Avvocato di Strada Onlus di Milano

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