Whistleblowing: un fenomeno di denuncia

Whistleblowing: un fenomeno di denuncia

Il whistleblowing è un istituto giuridico, introdotto in Italia una decina di anni fa circa, che consente al dipendente pubblico di segnalare e denunciare episodi di comportamenti irregolari ovvero di comportamenti illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, al fine di salvaguardare l’integrità e il buon funzionamento della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost.. Non a caso il termine whistleblower (derivante da to blow the whistle, che letteralmente significa ” soffiare il fischietto”), può riferirsi sia all’arbitro che fischia nell’ipotesi in cui ravvisa l’insorgere di irregolarità nel corso della partita, come un fallo, ovvero al poliziotto che interviene per reprimere un crimine. Dunque, il whistleblowing è un fenomeno di segnalazione e denuncia che ha come finalità il corretto svolgimento dell’ attività amministrativa proprio all’interno della realtà lavorativa in cui si presta servizio.

L’istituto giuridico preso in esame è stato introdotto dalla l. 190/2012 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella Pubblica Amministrazione”) e precisamente l’art. 1, comma 51 di tale legge ha inserito l’art. 54bis nel decreto legislativo 165/2001 (contenente “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che disciplina i vari profili del fenomeno del whistleblowing, da un punto di vista procedurale, soggettivo e oggettivo. L’ultima riforma apportata all’art. 54bis è stata introdotta dalla legge 179/2017, contenente “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati e di irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, che ha esteso l’applicazione dell’istituto anche al settore privato e ha introdotto una clausola di esonero da responsabilità , sia nel settore pubblico sia nel settore privato, qualora il dipendente, nell’espletare la denuncia, riveli un segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale, ovvero violi il dovere di lealtà e fedeltà, adducendo la giusta causa. Tale clausola di esonero non si applica nell’ipotesi in cui “l’obbligo di segreto professionale grava su chi abbia avuto conoscenza della notizia in ragione di un rapporto di consulenza professionale o di assistenza con l’ente, l’impresa o la persona fisica interessata”.

L’analisi dell’istituto parte innanzitutto dalla disciplina di tutela riservata al whistleblower: essa può essere apprestata qualora 1) il segnalante rivesta la qualifica di dipendente pubblico; 2) la segnalazione ha ad oggetto condotte illecite; 3) il dipendente è venuto a conoscenza di tali circostanze in ragione del proprio rapporto di lavoro. In prima battuta il comma 1 dell’art. 54bis prevede che il segnalante non possa subire alcun provvedimento disciplinare (licenziamento, trasferimento o qualsiasi altra misura organizzativa negativa) qualora rechi una denuncia o una segnalazione al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (da ora RPCT), all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), ovvero all’autorità giudiziaria, ordinaria o contabile, per condotte illecite di cui sia venuta a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro. L’eventuale adozione di una di queste misure è comunicata all’ANAC da parte del soggetto segnalante ovvero delle organizzazioni sindacali; in un secondo momento l’ANAC provvede ad informare il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri o gli altri organi di garanzia e di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza. La tutela apprestata al dipendente denunciante trova un significativo riscontro nel potere sanzionatorio attribuito all’ANAC, che, nelle ipotesi di applicazione di misure ritorsive da parte dell’amministrazione a cui appartiene il whistleblower, commina alla stessa una sanzione pecuniaria, che va dai 5.000 ai 30.000 euro. Nel corso dell’istruttoria è la amministrazione pubblica o l’ente a giustificare l’applicazione della misura ritorsiva o discriminatoria avverso il dipendente segnalante, con motivazioni che esulano dalla circostanza che il dipendente abbia effettuato una segnalazione; qualora l’amministrazione di appartenenza non giustifichi in questo senso l’adozione del provvedimento ritorsivo, lo stesso sarà considerato nullo, con possibilità di reintegro nel posto di lavoro, in caso di licenziamento ( art.2 del decreto legislativo 23/2015). Ogni forma di tutela viene meno nell’ipotesi in cui il segnalante abbia commesso reati di calunnia o diffamazione, ovvero qualunque reato con denuncia per cui sia stata accertata la responsabilità, anche con sentenza di primo grado, e in aggiunta nell’ipotesi in cui sia accertata la responsabilità civile, con dolo o colpa grave.

Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 54bis, il comma 2 fornisce una panoramica dei soggetti che possono avanzare una segnalazione o una denuncia, partendo dalla definizione di dipendente pubblico: è tale il dipendente delle pubbliche amministrazioni, come previsto dagli articoli 1, comma 2, e 3 del decreto legislativo 165/2001, il dipendente di un ente pubblico economico, il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico, ovvero il dipendente presso imprese fornitrici di beni e di servizi e che realizzano opere a favore della pubblica amministrazione. L’identità del segnalante non può essere rivelata, dal momento che è coperta da segreto nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 c.p.p., e nell’ipotesi di procedimento davanti alla Corte dei Conti, l’identità non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Sul punto le linee guida fornite dall’ANAC apprestano tutela alla identità del segnalante, soprattutto quando, nelle ipotesi di reato, sia coinvolta l’Autorità giudiziaria: in questo caso il RPCT è tenuto a serbare la riservatezza del segnalante, qualora la contestazione sia fondata su fattori ed elementi che esulano dalla segnalazione; tuttavia, qualora risulti necessario conoscere chi abbia effettuato la segnalazione, previa notifica al segnalante, il RPCT sarà tenuto a rivelarla, sempre che, ai sensi del comma 3 dell’art. 54bis , vi sia il consenso del segnalante stesso.

Da un punto di vista oggettivo, il contenuto delle segnalazioni riguarda condotte illecite, non solo in termini di reati perpetrati ai danni della pubblica amministrazione, ma anche in termini di condotte abusive, qualora sia esercitato un potere amministrativo per scopi personali e privati, e di malfunzionamento della macchina amministrativa. La segnalazione deve essere in ogni caso limitata alla circostanza di cui si ha conoscenza, tenuto conto esclusivamente del rapporto di lavoro in cui sono emerse le condotte illecite, e deve prevedere un contenuto circoscritto alle generalità del segnalante, alla descrizione sommaria dei fatti denunciati, alle generalità dell’autore del fatto e di altri soggetti coinvolti, se conosciuti, a documenti e circostanze che avvalorano la fondatezza della segnalazione.

L’ANAC si è avvalsa dell’utilizzo di una serie di linee guida, come previsto dal comma 5 dell’art. 54bis, necessarie per la gestione e la presentazione delle segnalazioni, con l’introduzione di modalità informatiche per garantire il contenuto della segnalazione e la riservatezza del soggetto segnalante. Un primo intervento in questo senso è riconducibile all’adozione da parte dell’ANAC della Determinazione n. 6/2015 recante ” Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”. In seguito, le linee guida promosse da ANAC sono state aggiornate con la Delibera n. 469/2021, che ha introdotto indicazioni utili per tutelare i soggetti segnalanti, soprattutto in tema di protezione dei dati personali, al fine di garantire un’adeguata sicurezza nel loro utilizzo, per gestire le segnalazioni, nel rispetto dei principi di liceità, correttezza e trasparenza, e per attribuire alla procedura una natura più informatizzata.

L’ANAC ha poteri non solo di natura regolatoria, che esplica attraverso l’adozione di linee guida, ma ha anche poteri sanzionatori, di cui si è accennato già in precedenza; tuttavia il potere sanzionatorio dell’ANAC  non si limita a contrastare i casi in cui l’amministrazione imponga al segnalante misure ritorsive, ma si esercita anche nelle ipotesi di mancanza di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute e in caso di assenza o non conformità di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni, con l’applicazione di una sanzione al responsabile che va dai 10.000 ai 50.000 euro.


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Emanuela Fico

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