La condotta infedele del trustee e il reato di appropriazione indebita

La condotta infedele del trustee e il reato di appropriazione indebita

Sommario: 1. Il reato di appropriazione indebita – 2. Trust e nuovo modello di proprietà – 3. Il caso italiano

 

1. Il reato di appropriazione indebita

Il delitto di appropriazione indebita, previsto dall’art. 646 c.p., punisce con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000 chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria della cosa mobile altrui della quale abbia, a qualsiasi titolo, il possesso. Non è un invito a “fare shopping” nel patrimonio altrui: il possesso legittimo non autorizza la metamorfosi in proprietà.

La fattispecie, collocata tra i delitti contro il patrimonio, è storicamente contigua al furto; non a caso, in passato, le due condotte confluivano nel furtum improprium. Oggi l’oggetto di tutela, secondo l’orientamento prevalente in dottrina, è il diritto di proprietà, superata la tesi che privilegiava la protezione del mero rapporto fiduciario tra proprietario e detentore qualificato.

Soggetti.
Attivo: chiunque (reato comune) che si appropri della cosa mobile posseduta a qualunque titolo.
Passivo: il proprietario, legittimato alla proposizione della querela.

Presupposto e possesso.
Il presupposto della condotta è il possesso della cosa altrui che non appartiene, ab origine, al patrimonio dell’agente. Per possesso rileva una nozione ampia di potere di fatto sulla cosa – ivi compresa la detenzione – purché fondata su un titolo derivativo e non penalmente illecito, altrimenti verrebbe meno la stessa interversio possessionis che costituisce l’ossatura materiale dell’illecito.

Condotta.
L’appropriazione coincide con l’interversione del possesso (artt. 1141 e 1164 c.c.): chi possiede “per altri” inizia a possedere animo domini. L’elemento oggettivo si scompone in un profilo negativo (espropriativo) – esclusione del proprietario – e in uno positivo (impropriativo) – instaurazione di un nuovo rapporto di fatto con la cosa o con il denaro.

Elemento soggettivo.
È richiesto il dolo specifico: coscienza e volontà dell’appropriazione, finalizzata a un ingiusto profitto proprio o altrui.

Tentativo.
L’orientamento giurisprudenziale oggi prevalente qualifica l’appropriazione indebita come reato di mera condotta; difetta quindi un evento distinto dall’appropriazione e, di regola, non è configurabile il tentativo.

2. Trust e nuovo modello di proprietà

Nel sistema attuale, anche alla luce dell’art. 2645-ter c.c. (vincoli di destinazione), una parte della dottrina ritiene che l’Italia non possa più dirsi uno Stato “non-trust”. Benché tale norma non coincida con il trust di matrice anglosassone, essa realizza elementi minimi affini – in primis la separazione patrimoniale e la funzionalizzazione della proprietà ad uno scopo – richiamati dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja.

In questa prospettiva, si parla di una proprietà conformata allo scopo: un modello che esce dagli schemi tradizionali della piena e libera disponibilità. Ai fini che qui interessano, occorre individuare chi sia il proprietario dei beni in trust: né disponentebeneficiario assumono, di regola, tale qualifica; la titolarità formale spetta al trustee, la cui proprietà, tuttavia, è funzionalizzata all’esecuzione del programma fiduciario.

La Convenzione dell’Aja qualifica tale titolarità come intestazione; la giurisprudenza italiana la ricollega spesso, in via ricostruttiva, al modello dell’art. 832 c.c., pur riconoscendone la conformazione allo scopo.

3. Il caso italiano: dubbi interpretativi

Nel dibattito interno si tende ad applicare l’art. 646 c.p. al trustee infedele che, violando i propri doveri, destini i beni a fini diversi da quelli programmati. Le decisioni finora intervenute – poche ma significative – sottolineano che la nozione penalistica di possesso non coincide pienamente con quella civilistica: i beni in trust, pur formalmente intestati al trustee, sarebbero “beni altrui” in senso penalistico, giacché la proprietà del trustee è temporanea e funzionalizzata, distinta dalla pienezza attribuita dall’art. 832 c.c.

In questa chiave, la violazione del vincolo di destinazione integra la illecita interversio possessionis sanzionata dall’art. 646 c.p. La giurisprudenza di legittimità, così impostando la tutela penale, valorizza in particolare il rapporto obbligatorio tra trustee e beneficiari.

Resta, tuttavia, un punto critico: l’assimilazione operata tra possesso e proprietà funzionalizzata. Una simile lettura, se spinta oltre misura, rischia di forzare il principio di stretta legalità e di scivolare verso una analogía in malam partem, inammissibile in materia penale.

Prospettiva de iure condendo.
Per evitare incertezze operative:

  • il legislatore potrebbe tipizzare una specifica fattispecie di infedeltà del gestore fiduciario, calibrata su beni vincolati e su condotte di deviazione funzionale;

  • in alternativa, si potrebbe intervenire sul perimetro applicativo dell’art. 646 c.p., chiarendo quando la proprietà vincolata (del trustee o dell’affidatario) valga, ai fini penali, come “altruità” del bene;

  • sul piano pratico, è auspicabile che gli atti istitutivi di trust e i vincoli ex art. 2645-ter c.c. prevedano clausole di compliance (rendicontazione, poteri di ispezione, rimedi accelerati) che riducano l’area del contenzioso penale.

Il futuro – più che opporre categorie – richiede trasparenza degli assetti e tracciabilità delle decisioni: così si preserva la funzione economico-sociale degli strumenti di destinazione senza trasformare l’appropriazione indebita in un “reato passepartout”.


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