
«Due anni e non un giorno di più». Il Consiglio di Stato chiude (per ora) la disputa sul congedo straordinario per assistenza ai disabili
L’art. 42, commi 5 e 5-bis, del d.lgs. 151/2001 continua a rappresentare una delle disposizioni più controverse in materia di tutela del lavoratore-caregiver. La recente sentenza n. 7960 del 10 ottobre 2025 del Consiglio di Stato, Sezione II, offre un contributo interpretativo di rilievo, segnando un punto di equilibrio — per molti un arretramento — tra esigenze solidaristiche e funzionalità dell’amministrazione.
Il caso prende avvio dalla richiesta di un appuntato scelto dei Carabinieri forestali che aveva domandato un nuovo periodo di congedo straordinario retribuito per assistere il padre invalido, dopo aver già fruito di analogo beneficio per la zia convivente. L’Amministrazione aveva negato l’istanza, richiamando il limite massimo di due anni «nell’arco della vita lavorativa». Il T.A.R. Puglia, in prima battuta, aveva accolto il ricorso, sostenendo che la norma si riferisse a ciascun soggetto disabile e non al lavoratore, poiché «l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma […] si riferisce a ciascun soggetto che si trovi nella prevista situazione di bisogno, in modo da non lasciarne alcuno privo della necessaria assistenza».
Il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione, aderendo all’orientamento restrittivo già affermato in giurisprudenza amministrativa. Nella motivazione, il Collegio chiarisce che il comma 5-bis dell’art. 42, come modificato dal d.lgs. 119/2011, va letto «nella sua interezza», poiché introduce un doppio limite disponendo: «sia che una persona in situazione di handicap grave abbia diritto a due anni di assistenza da parte dei familiari individuati dalla legge […] sia che il familiare lavoratore che provvede all’assistenza possa fruire di un periodo massimo di due anni di congedo nell’arco della propria vita lavorativa».
In tal modo il Consiglio recepisce la tesi, già fatta propria dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (sentt. n. 894/2021 e n. 990/2024), secondo cui il legislatore ha voluto fissare un limite temporale assoluto sia per la persona assistita sia per il lavoratore. Tale impostazione, osserva il Collegio, trova conferma anche nelle circolari INPS n. 64/2001 e INPDAP n. 31/2004, che rilevano come “il limite di due anni debba essere conteggiato con riferimento a tutti i beneficiari e per ogni soggetto disabile”, costituendo il tetto complessivo “fruibile tra tutti gli aventi diritto, per ogni persona handicappata”.
La pronuncia si pone così in netto contrasto con l’orientamento della Cassazione civile (Sez. lavoro, 5 maggio 2017, n. 11031; 23 novembre 2020, n. 26605), secondo cui il limite biennale «si riferisce a ciascun figlio che si trovi nella prevista situazione di bisogno». Per il giudice amministrativo, tuttavia, «non bisogna valorizzare […] soltanto l’inciso “per ciascuna persona portatrice di handicap”», ma considerare anche quello «nell’arco della vita lavorativa», dal quale discende un vincolo cumulativo.
In termini pratici, ciò significa che un dipendente che abbia già fruito di due anni di congedo straordinario, anche per assistere un familiare diverso, non potrà beneficiare di ulteriori periodi retribuiti. L’istituto, dunque, non si rinnova con il mutare della persona assistita.
Particolare rilievo assume, nella decisione, il riferimento alla specificità dell’ordinamento militare. Richiamando l’art. 1493 del Codice dell’ordinamento militare, il Collegio ribadisce che «al personale militare […] si applica, tenendo conto del particolare stato rivestito, la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità». Da ciò deriva la necessità di un bilanciamento tra il diritto all’assistenza familiare e l’esigenza, costituzionalmente tutelata dall’art. 97 Cost., di garantire la continuità operativa dei corpi militari e di polizia. Non a caso, la sentenza sottolinea che tali settori “sono strettamente preordinati alla tutela di interessi pubblici primari […] e connotati da forti elementi di specialità”.
Il principio finale è di stretta interpretazione: il congedo straordinario, misura di natura eccezionale, non può essere esteso oltre i confini testuali fissati dal legislatore. La Sezione osserva che «data la natura eccezionale del congedo straordinario in generale, i requisiti di concessione debbono ritenersi governati dalla regola della stretta interpretazione».
Sotto il profilo sistematico, la decisione conferma l’impostazione già prevalente in ambito amministrativo, ma riapre la frattura con la giurisprudenza di legittimità. Da un lato, la Cassazione valorizza la ratio solidaristica e il principio di tutela effettiva del disabile, dall’altro, il Consiglio di Stato accentua la funzione limitativa del testo normativo, ponendo il baricentro sull’organizzazione del lavoro e sulla sostenibilità del sistema pubblico.
La conseguenza è una evidente divergenza di piani: la Cassazione, giudice dei rapporti di lavoro privati e pubblici contrattualizzati, privilegia la lettura personalistica della tutela; il Consiglio di Stato, interprete dell’azione amministrativa autoritativa e dei rapporti di servizio militare, richiama invece il principio di funzionalità dell’amministrazione e l’esigenza di uniformità.
È difficile non notare, tuttavia, che la scelta interpretativa restrittiva rischia di svuotare la portata solidaristica dell’art. 42, collocandolo in una dimensione meramente contabile. Il limite dei due anni “nell’arco della vita lavorativa” appare infatti concepito dal legislatore come garanzia contro abusi, non come divieto assoluto di rinnovazione in presenza di nuovi e diversi bisogni assistenziali.
In prospettiva, la sentenza n. 7960/2025 potrebbe consolidare un orientamento destinato a orientare anche le amministrazioni civili, riducendo di fatto l’effettività del diritto dei lavoratori-caregiver. Il rischio è quello di una asimmetria tra tutela del disabile e rigore amministrativo, che il legislatore sarà forse chiamato a colmare, chiarendo definitivamente se il limite dei due anni sia riferito al singolo assistito o al lavoratore.
Fino ad allora, la linea tracciata dal Consiglio di Stato è chiara: il congedo straordinario non è un diritto illimitato, ma un beneficio da interpretarsi secundum legem, nel rispetto del doppio limite e della funzionalità dell’apparato pubblico.
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Avv. Giacomo Romano
Ideatore e Coordinatore a Salvis Juribus
Nato a Napoli nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ottobre 2012 con pieni voti e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Le c.d. clausole esorbitanti nell’esecuzione dell’appalto di opere pubbliche", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Nel luglio 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Subito dopo, ha collaborato per un anno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli occupandosi, prevalentemente, del contenzioso amministrativo. Nell’anno successivo, ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore amministrativo. Successivamente, si è occupato del contenzioso bancario e amministrativo presso studi legali con sede in Napoli e Verona. La passione per l’editoria gli ha permesso di intrattenere una collaborazione professionale con una nota casa editrice italiana. È autore di innumerevoli pubblicazioni sulla rivista “Gazzetta Forense” con la quale collabora assiduamente da giugno 2013. Ad oggi, intrattiene collaborazioni professionali con svariate riviste di settore e studi professionali. È titolare di “Salvis Juribus Law Firm”, studio legale presso cui, insieme ai suoi collaboratori, svolge quotidianamente l’attività professionale avendo modo di occuparsi, in particolare, di problematiche giuridiche relative ai Concorsi Pubblici, Esami di Stato, Esami d’Abilitazione, Urbanistica ed Edilizia, Contratti Pubblici ed Appalti.
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