La tutela delle persone mentalmente fragili

La tutela delle persone mentalmente fragili

di Michele Di Salvo

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui non consente di ritenere equivalente o prevalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89c.p., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-quater, dello stesso art. 628.

Questo quanto stabilito nella Sentenza n.130/2025 del 7 luglio 2025.

La rilevanza può apparire marginale e circoscritta ma in realtà si inserisce pienamente nel più ampio e complessivo contesto della discussione sulla capacità della persona.

Una discussione che anche alla luce delle ricerche neuroscientifiche degli ultimi trent’anni dovrebbe portare ad un ripensamento profondo della giustizia penale.

Michel Foucault In Storia della follia nell’età classica nota che un nuovo metodo per la cura dei malati di mente sorse alla metà del Seicento e si diffuse rapidamente in tutt’Europa. In precedenza c’era stato l’uso o di esiliare i folli oppure di tollerarli e di consentire loro di andare in giro. Alla metà del Seicento essi cominciarono a essere accolti in istituti assieme agli indigenti e ai disoccupati, una mescolanza piuttosto eterogenea ai nostri occhi. Noi possiamo considerare questa classificazione insensata o crudele, ma, come sostiene Foucault, un tale giudizio non ci aiuterà a capire meglio il Seicento. Perché classificare insieme il povero, il disoccupato e il malato di mente? Quale tema comune poteva ispirare un tale ordinamento?

Foucault sostiene che la nascita della moderna società commerciale condusse a una nuova designazione del vizio capitale, quello che doveva essere reso invisibile, internando tutti quelli che, per qualsiasi ragione, si voltolavano in esso. Tale peccato era l’ozio, e Foucault dimostra che la pigrizia sostituì l’antica maledizione medievale della superbia come il più fondamentale fra i sette peccati capitali nei testi del Seicento. Poco importava che il malato di mente non lavorasse per ragioni biologiche o psicologiche, e il disoccupato per mancanza di opportunità di lavoro.

Se questo ragionamento può sembrare distante dai nostri tempi e progressi nel campo della salute mentale, possiamo tranquillamente toglierci il nostro amato velo di civiltà.

Sono numerose, e sempre più ravvicinate, le sentenze sia europee che nazionali in tema di TSO che mettono sotto il riflettore la straordinaria violenza e la cancellazione quasi radicale di diritti della persona.

Da ultimi si vedano l’ordinanza della Cassazione civile del 19 dicembre 2024, n. 33290 e la sentenza n. 76 del 2025 della Corte Costituzionale.

Nel delirio machista di dimostrare – con i muscoli del diritto penale – attenzione ai problemi di sicurezza, vengono sistematicamente violati e limitati i diritti delle persone con fragilità mentale, ma con grande raffinatezza: non con un atto deliberato esplicito, ma attraverso la “dimenticanza” ormai sistemica della previsione delle scriminanti e delle attenuanti, anche nel caso di reati di minore o banale entità.

Ciò fa leva sulla circostanza oggettiva che difficilmente la persona fragile avrà la chance in concreto di far valere i propri diritti con una adeguata difesa, e ciò non tanto per la qualità del difensore, quanto per la capacità di ricorse spendibili nella propria difesa.

Inoltre – e di questo incivilmente è ben consapevole il legislatore – i tempi della giustizia e il meccanismo del ricorso costituiscono un elemento certo di deflazione statistica dal ricorso alle magistrature superiori capaci di sancire l’illegittimità della misura.

È nel disvelare questa tendenza che si manifesta il disvalore ontologico della misura penale sproporzionata nei confronti della persona fragile, e ciò mostra ancor di più la qualità del legislatore e il disvalore civile da questi trasfuso nella norma penale, che finisce con il diventare strumento di detenzione e di allontanamento e di reclusione del cittadino mentalmente fragile.

In questo siamo ben più vicini alla realtà descritta da Foucault di quanto non immaginiamo.

La sentenza attiene e prende le mosse dal giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Macerata, nel procedimento penale a carico di A. A.

Con ordinanza dell’8 maggio 2024, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, censurandolo nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante del vizio parziale di mente, prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-quater), dello stesso art. 628.

Il rimettente procede, con giudizio abbreviato, nei confronti di A. A., imputato, tra l’altro, di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, terzo comma, numeri 1) e 3-quater), cod. pen. oltre che dalla recidiva semplice, per essersi impossessato della somma di quaranta euro, mediante minaccia consistita nel puntare un coltellino contro la persona offesa, che aveva appena fruito dei servizi di uno sportello automatico adibito al prelievo di denaro; nonché di tentata rapina, sempre aggravata ex art. 628, terzo comma, numeri 1) e 3-quater), cod. pen. oltre che dalla recidiva semplice, per avere egli compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di ulteriori somme di denaro della medesima persona offesa, in particolare brandendo il coltello e successivamente spruzzando spray urticante all’interno dell’autovettura in cui questa si era rifugiata.

Dalla perizia disposta dal rimettente emerge che l’imputato era, all’epoca dei fatti, parzialmente incapace di intendere e di volere, a causa di un disturbo di personalità antisociale.

Il rimettente riporta in particolare le motivazioni con cui questa Corte ha ritenuto che l’art. 628, quinto comma, cod. pen. violasse il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), perché – nel prevedere un generale divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti diverse dalla minore età rispetto a talune aggravanti, tra cui quella, allora rilevante, dell’aver commesso la rapina in un luogo di privata dimora – introduceva una deroga in favore dei soli condannati minorenni e non anche degli imputati affetti da vizio parziale di mente, benché per entrambe le categorie soggettive sussistesse una condizione di ridotta rimproverabilità e colpevolezza.

Ad avviso del giudice a quo, le considerazioni svolte dalla Corte sarebbero riferibili anche al caso di specie, in cui il testo vigente dell’art. 628, quinto comma, cod. pen. ancora prevede, al cospetto della circostanza l’aggravante di cui all’art. 628 terzo comma, numero 3-quater), una deroga al divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti riferita solo alla minore età e non anche al vizio parziale di mente.

La questione sarebbe, infine, rilevante nel giudizio a quo, in cui il rimettente è chiamato a «valutare le conseguenze in ordine alla determinazione della pena a seguito del raffronto tra la aggravante di cui all’art. 628 terzo comma, numero 3-quater) e la attenuante di cui all’art. 89 cp, non implausibilmente riconoscibile all’imputato alla luce della CTU e del complessivo quadro emergente dagli atti».

Il GUP del Tribunale di Macerata ha censurato – in riferimento all’art. 3 Cost. – l’art. 628, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante del vizio parziale di mente (art. 89 cod. pen.), allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-quater), del medesimo art. 628.

L’art. 628, terzo comma, numero 3-quater), cod. pen. prevede un’aggravante a effetto speciale a carico di chi abbia commesso una rapina nei confronti di una persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro. Tale aggravante, in forza della disposizione censurata, è sottratta all’ordinario meccanismo di comparazione con eventuali circostanze attenuanti stabilite dall’art. 69 cod. pen., con l’effetto che le diminuzioni di pena discendenti dalle attenuanti devono operarsi sulla pena (della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 2.000 a euro 4.000) prevista dallo stesso art. 628, terzo comma, numero 3-quater), cod. pen.

Con la sentenza n. 217 del 2023, questa Corte ha già dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., l’art. 628, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui non consentiva di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628, ritenendo sussistente un’irragionevole disparità rispetto al trattamento riservato alla circostanza attenuante della minore età di cui all’art. 98 cod. pen., espressamente sottratta dal legislatore al divieto di equivalenza o prevalenza rispetto alle circostanze aggravanti elencate dall’art. 628, quinto comma.

L Corte ha in particolare osservato che, essendo lo scopo perseguito con il quinto comma dell’art. 628 cod. pen. quello di assicurare a talune ipotesi di rapina aggravata – ritenute dal legislatore produttive di particolare allarme sociale – una pena più severa di quella cui condurrebbe, nella generalità dei casi, l’applicazione dell’ordinario meccanismo di bilanciamento tra circostanze eterogenee del reato previsto dall’art. 69 cod. pen., la ratio della deroga a tale disciplina in favore dei condannati minorenni «non può che sottendere la valutazione, da parte del legislatore, di una più ridotta meritevolezza di pena di chi abbia commesso il fatto essendo ancora minorenne, per quanto già giudicato imputabile dal giudice».

Ma tale ratio, fondata sulla ridotta rimproverabilità e colpevolezza, «non può […] non essere affermata» anche con riferimento a chi, essendo affetto da vizio parziale di mente, abbia agito trovandosi in «tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere» (art. 89 cod. pen.). Una simile condizione «sottende, infatti, un’anomalia psichica significativa, che comprende – in base alla consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità – le vere e proprie malattie mentali, nonché i disturbi della personalità “di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere” […] (Cass., n. 9163 del 2005)»; e comporta «una rilevante compromissione della capacità di intendere e di volere dell’agente […] sì da determinare un “minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta” e una “minore capacità di controllo dei propri impulsi” (sentenza n. 73 del 2020, punto 4.2. del Considerato in diritto)».

Identica, dunque, risulta la ratio delle due diminuenti, così come la conseguenza sulla commisurazione della sanzione collegata alle due situazioni poste a raffronto; situazioni del resto equiparate, nell’ordinamento penale, a vari altri fini, tra cui, precipuamente, la disciplina del bilanciamento eterogeneo con circostanze aggravanti cosiddette privilegiate (art. 577, terzo comma, cod. pen., come introdotto dall’art. 11, comma 1, lettera c, della legge 19 luglio 2019, n. 69, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere»).

La Corte ne ha tratto che la scelta del legislatore «non super[asse] lo scrutinio di legittimità costituzionale al metro dell’art. 3 Cost.» e che «un imperativo di coerenza, per linee interne al sistema», imponesse l’applicazione della deroga prevista dall’art. 628, quinto comma, cod. pen. per gli imputati minorenni, anche a quelli affetti da vizio parziale di mente; imputati rispetto ai quali, anzi, «le ragioni dell’attenuazione di pena valgono a fortiori», dal momento che la notevole riduzione della capacità di intendere e di volere della persona è in questa ipotesi oggetto di un accertamento caso per caso da parte del giudice, mentre per il minorenne la minore colpevolezza è presunta in via generale dal legislatore.

La diversità tra la circostanza aggravante cosiddetta privilegiata che veniva allora in considerazione (commissione del fatto nei luoghi di cui all’art. 624-bis cod. pen. o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa: art. 628, terzo comma, numero 3-bis, cod. pen.) e quella oggi rilevante (commissione del fatto nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro: art. 628, terzo comma, numero 3-quater, cod. pen.) non giustifica infatti una soluzione di segno differente.

In effetti, quella pronuncia ha censurato la mancata estensione all’attenuante del vizio parziale di mente della deroga – invece contemplata per la diminuente della minore età – al meccanismo di “blindatura”, ex art. 628, quinto comma, cod. pen., dell’aggravante cosiddetta privilegiata di cui al terzo comma, numero 3-bis), del medesimo articolo, sulla base di considerazioni fondate non già sulla natura di tale aggravante, ma sull’equiparabilità tra la condizione dell’infermo parziale di mente e quella del minorenne; considerazioni che risultano pienamente trasponibili anche al caso di specie.


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