
I conferimenti societari e il problema delle criptovalute
Abstract. Il presente contributo si propone l’obiettivo di analizzare il tema delle criptovalute e del loro possibile conferimento a capitale sociale.
Attraverso una disamina della disciplina dei conferimenti in ambito societario, si passa ad un’analisi del fenomeno delle criptovalute che permette di capire la funzione e la natura giuridica di questi beni puramente digitali, evidenziando i tentativi di regolamentazione da parte della giurisprudenza europea ed italiana.
Da ultimo, l’indagine si focalizza sulle diverse posizioni della dottrina e della giurisprudenza rispetto alla conferibilità delle criptovalute, alla luce dei provvedimenti del Tribunale e della Corte d’Appello di Brescia.
Sommario: 1. I conferimenti societari: uno sguardo alle società di persone e alle società di capitali – 2. Criptovalute: la ricostruzione del fenomeno – 2.1. La natura giuridica e la funzione delle criptovalute – 2.2. I tentativi di regolamentazione in Europa e in Italia – 3. Sull’ammissibilità dei conferimenti aventi ad oggetto criptovalute: le pronunce bresciane – 3.1. La contrapposta visione della dottrina – 4. Conclusioni
1. I conferimenti societari: uno sguardo alle società di persone e alle società di capitali
I conferimenti sono le prestazioni cui le parti del contratto di società si obbligano. Essi rappresentano i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società.
La funzione dei conferimenti è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo svolgimento dell’attività di impresa. Attraverso i conferimenti i soci destinano per tutta la durata della società parte della propria ricchezza personale all’attività comune e si espongono al rischio di non ricevere alcuna remunerazione laddove la società non consegua utili.
I conferimenti possono essere diversi da socio a socio sia per quanto riguarda l’oggetto sia per quanto riguarda l’ammontare.
L’articolo 2247 c.c. stabilisce in maniera generica che i conferimenti possono essere costituiti da beni e servizi: denaro, beni in natura trasferiti in proprietà o concessi in godimento alla società, prestazioni di attività lavorativa sia manuale sia intellettuale.
Il principio enucleato dall’articolo 2247 c.c. va, però, coordinato con la disciplina dei conferimenti dettata per i diversi tipi di società.
Per quanto riguarda le società di persone l’articolo 2253 co.1 c.c. stabilisce che “il socio è obbligato a eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale”.
La determinazione convenzionale del conferimento dovuto da ciascun socio non è essenziale per la valida costituzione delle società di persone.
Nel silenzio del contratto si presume che i conferimenti devono essere eseguiti in danaro (art. 2342 co.1 c.c.) e i soci sono obbligati a conferire in parti uguali tra loro quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale (art. 2553 co.2 c.c.).
Nelle società di persone può essere conferita ogni entità suscettibile di valutazione economica ed utile per il conseguimento dell’oggetto sociale, quindi, qualsiasi prestazione di dare, fare o non fare.
Il codice detta una specifica disciplina per alcuni tipi di conferimenti diversi dal danaro: conferimenti di beni in natura, conferimenti di crediti, conferimenti d’opera. Disciplina frammentaria e che si risolve per lo più nel rinvio ad altre norme.
Per il conferimento di beni in proprietà, è previsto che “la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita” (art. 2254 co.1 c.c.).
Per il conferimento di beni in godimento, diversamente da quanto accade per il conferimento di beni proprietà ove trova applicazione il principio res perit domino, il rischio grava a carico del socio che le ha conferite (art. 2254 co.2 c.c.).
La garanzia per il godimento è regolata con rinvio alle norme sulla locazione, trovando applicazione, quindi, gli articoli 1578 ss c.c.
Per il conferimento di crediti, l’articolo 2255 c.c. dispone che il socio “risponde dell’insolvenza del debitore nei limiti indicati dall’articolo 1267 c.c. per il caso di insolvenza convenzionale della garanzia”.
Nelle società di persone il conferimento può realizzarsi anche nell’obbligo del socio di prestare la propria attività lavorativa, manuale o intellettuale, a favore della società.
Il socio d’opera non è un lavoratore subordinato e non ha diritto al trattamento salariale e previdenziale proprio dei lavoratori subordinati.
Il compenso per il suo lavoro è rappresentato dalla partecipazione ai guadagni della società, pertanto egli può correre il rischio di non ricevere alcun corrispettivo per l’uso sociale del proprio danaro.
Nella società per azioni i conferimenti devono essere effettuati in denaro se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente (art. 2342 co.1 c.c.).
Per garantire l’effettività almeno parziale del capitale ai fini della costituzione della società, è previsto l’obbligo di versamento immediato presso una banca di almeno il venticinque per cento dei conferimenti in denaro o dell’intero ammontare se si tratta di società unipersonale (art. 2342 co. 2 c.c.).
Diversamente da quanto previsto per le società di persone non ogni entità economica diversa dal denaro può essere conferita in società per azioni.
L’articolo 2342 co. 5 c.c. stabilisce che non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi.
La ratio sottesa a tale divieto si comprende in quanto è difficile dare una valutazione oggettiva ed attendibile a tali prestazioni e che, quindi, mal si concilia con l’esigenza di garantirne l’effettiva acquisizione da parte della società e l’effettiva formazione del capitale reale.
Le prestazioni di opera o di servizi possono formare oggetto solo di prestazioni accessorie, distinte dai conferimenti.
Per quanto riguarda i conferimenti diversi dal danaro, ovvero i conferimenti in natura e di crediti, l’articolo 2343 c.c. stabilisce che essi devono formare oggetto di uno specifico procedimento di valutazione, al fine di assicurare una valutazione oggettiva e veritiera.
Il procedimento si articola in più fasi.
Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare una relazione la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società che ne attesti il relativo valore.
Il valore del conferimento è oggetto da parte degli amministratori di una verifica che deve avvenire entro centottanta giorni dalla costituzione della società.
La stima non è necessaria in caso di conferimento (art. 2343 ter c.c.): di valori mobiliari ovvero di strumenti del mercato monetario, se il valore ad essi attribuito è pari o inferiore al prezzo medio ponderato al quale sono stati negoziati nei mercati regolamentati nei sei mesi precedenti il conferimento; o di beni in natura o crediti cui sia attribuito un valore pari o inferiore ai casi indicati alle lettere a),b),c) della norma in esame.
Infine, con riferimento alle società a responsabilità limitata, si evidenzia come a partire dalla riforma del 2003, sono caduti in larga parte i limiti e i divieti previsti per la società per azioni riguardo all’oggetto del conferimento.
Per le società a responsabilità limitata è previsto all’articolo 2464 co. 2 c.c. che possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica.
Se l’atto costitutivo non prevede diversamente, il conferimento deve farsi in denaro.
Il conferimento può avvenire anche mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria posta a garanzia degli obblighi assunti dal socio aventi ad oggetto la prestazione d’opera o di servizi a favore della società.
Nonostante la legge non lo preveda espressamente, è opinione prevalente che anche i conferimenti di opere e servizi debbano essere oggetto di stima, come quelli in natura.
2. Criptovalute: la ricostruzione del fenomeno
Le criptovalute, in base all’unica definizione disponibile contenuta nella legislazione antiriciclaggio, costituiscono delle“rappresentazioni digitali di valore” o di diritti, utilizzate come “mezzo di scambio ad opera di investimenti”. Si tratta, nella sostanza, di beni puramente digitali che possono essere trasferiti, negoziati e archiviati elettronicamente, attraverso tecnologie basate su registri decentralizzati, cd. blockchain.
Le blockchain rappresentano un insieme di tecnologie che permettono di mantenere un registro distribuito di dati, sottoforma di “una catena di blocchi”, ciascuno dei quali contiene un certo numero di transazioni che varia a seconda del tipo di blockchain.
Questi blocchi sono collegati tra loro in base ad un principio di ordine cronologico, la cui integrità ed immutabilità è garantita per mezzo di un sistema di algoritmi di consenso e di regole crittografiche.
Per le criptovalute la blockchain costituisce una piazza finanziaria senza che sia necessario l’intervento di un’autorità che emetta e controlli la moneta e il suo valore.
Negli ultimi dieci anni il fenomeno delle criptovalute ha assunto una rilevanza sempre più crescente nel contesto economico e finanziario globale.
Tuttavia, l’indagine degli studiosi del diritto rispetto a questo fenomeno, è resa ardua dalla novitas della materia, che necessita di valutazioni caso per caso, nonostante l’intento degli stessioperatori del diritto sia quello di ricondurre il fenomeno nell’alveo delle tradizionali categorie giuridiche, con risultati non sempre del tutto convincenti.
La creazione delle criptovalute risponde all’esigenza di garantire ai privati la più ampia libertà nell’utilizzo della moneta, esse aspirano, infatti, a fornire a chiunque e in qualunque luogo una valida alternativa all’utilizzo delle monete tradizionali, subordinate al penetrante controllo degli Stati.
A livello comunitario, il tema delle criptovalute è stato oggetto di ampia riflessione.
Si segnala, in modo particolare, l’intervento della Banca Centrale Europea che ha ritenuto corretto qualificare le valute virtuali come mezzi di scambio e non come mezzi di pagamento, sottolineando la non riconducibilità delle stesse, da un punto di vista giuridico, al concetto di moneta avente corso legale.
Tali considerazioni sono state recepite dal legislatore europeo, il quale nella definizione di criptovalute contenuta nella direttiva 2018/843/UE ha eliminato qualsivoglia riferimento all’accezione monetaria o valutaria e, maggiormente significativa, è stata la scelta di sostituire l’espressione mezzo di pagamento con quella di mezzo di scambio.
La scelta è sintomatica del fatto che le criptovalute, allo stato attuale, sono in grado solo in maniera parziale di assolvere alle tradizionali funzioni del denaro elaborate dalla letteratura economica, ovvero, mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore.
In conclusione, ad oggi, vi è una netta distinzione tra moneta e criptovalute, legata a fattori tecnici, sociali e di mercato.
2.1. La natura giuridica e la funzione delle criptovalute
La dottrina, consapevole delle difficoltà di conciliare i peculiariprofili delle criptovalute con altre e più specifiche categorie previste dall’ordinamento, ha cercato di ricostruire l’esatta natura giuridica delle criptovalute.
L’orientamento prevalente emerso in dottrina propende per una qualificazione delle criptovalute come beni giuridici immateriali.
La chiave di volta è rappresentata da una lettura aperta dell’articolo 810 c.c. rispetto alle nuove forme di ricchezza e di interessi economici.
Si è affermato che il concetto di “cosa” di cui all’articolo 810 c.c. può riferirsi anche ad entità immateriali, prive del requisito della corporeità, accogliendo una nozione “giuridica” e non “corporale” del termine “cosa”, che ostacolerebbe, invece, la ricostruzione delle criptovalute come “beni”.
A sostegno di questa lettura evolutiva del concetto di bene, depone l’emanazione del d. lgs. N. 90 del 2017 e della direttiva 2018/843/UE, che rappresentano l’esplicito riconoscimento delle valute virtuali come mezzi di scambio.
Appare del tutto evidente che, laddove una determinata entità sia un mezzo di scambio, vuol dire che ancora prima sia anche un bene in senso giuridico.
La non riconducibilità delle criptovalute alla categoria del denaro in senso tradizionale, allo stato attuale, deve portare ad escludere l’applicabilità alle stesse della disciplina delle obbligazioni pecuniarie, non solo con riferimento alle norme previste nei confronti della moneta avente corso legale (art. 1277 c.c.), ma anche alle norme previste per le monete non aventi corso legale (art. 1278 c.c.).
Esistendo ormai diverse tipologie di criptovalute, è necessario, inoltre, capire la loro funzione, soprattutto alla luce della problematica legata alla definizione del concetto di criptovaluta.
Sicuramente le criptovalute non sono strumenti finanziari, dal momento che l’elencazione degli strumenti finanziari fornita dal T.U.F., in base all’orientamento prevalente, costituisce un numerus clausus, tale da non ricomprenderle al suo interno.
Invece, sul piano normativo risulta più agevole ricondurre alcune operazioni aventi ad oggetto criptovalute nel più ampio genus dei prodotti finanziari, in modo da poter estendere ad esse la disciplina del T.U.F.
I prodotti finanziari, in base all’articolo 1 lett. u del T.U.F., sono rappresentati da strumenti finanziari e da ogni altra forma di investimento di natura finanziaria.
Tale categoria comprende, quindi, delle operazioni atipiche che, secondo gli interpreti, a determinate condizioni possono avere ad oggetto criptovalute.
Più nel dettaglio, affinchè un’operazione avente ad oggetto criptovalute possa essere ricondotta nell’alveo dei prodotti finanziari, è necessario che sussistano tre elementi: l’utilizzo di capitale, l’assunzione di un rischio connesso al suo impiego e l’aspettativa di un rendimento di natura finanziaria.
Tale soluzione è stata accolta con favore anche dalla Consob, la quale ha ammesso la possibilità di operazioni aventi ad oggetto criptovalute attraverso la loro equiparazione a prodotti finanziari, equiparazione questa non apodittica, ma condotta in ragione degli elementi che in concreto connotano le operazioni economiche.
2.2. I tentativi di regolamentazione in Europa e in Italia
Il legislatore italiano e il legislatore europeo, a fronte di un fenomeno embrionale e alquanto eterogeneo, hanno tentato di offrire una disciplina del fenomeno.
A livello nazionale vi è la disciplina antiriciclaggio, il d. lgs. 90/2017 e la direttiva 2018/843 oggetto di recepimento in Italia da parte del d. lgs. 125/2019.
Una definizione di criptovaluta è fornita, inoltre, dall’articolo 1 del d.lgs. 184/2021 in materia di antifrode e falsificazione di mezzi di pagamento, secondo cui è “valuta virtuale una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è legata necessariamente a una valuta legalmente istituita e non possiede lo status giuridico di valuta o denaro, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio, e che può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.
La definizione è sintomatica di quello che è l’intento del legislatore, che richiama una casistica ampia, variegata e difficilmente codificabile, alla luce soprattutto dell’obiettivo della disciplina che è il contrasto al riciclaggio.
La nozione domestica di criptovaluta si pone in linea con quella proposta alcuni anni fa, segnatamente nel 2015, dalla BCE, infatti si esclude il valore di moneta legale e la si considera come una alternativa alla stessa.
La normativa eurounitaria, inoltre, ha introdotto (art.3 punto 19)una definizione di titolari di portafogli virtuali, i quali sono dei soggetti che predispongono dei servizi di wallet (all’interno dei quali vengono detenute le monete virtuali) e che compiono le relative operazioni.
Inoltre, come previsto dal nuovo art. 47 par. 1, vi è oggi l’obbligo degli Stati membri di registrare i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali, i prestatori di servizi di portafoglio digitale e le aziende che offrono tali servizi, al fine di stabilire un controllo sulle movimentazioni che coinvolgono tali soggetti.
In tale contesto l’Italia e l’Unione Europea devono necessariamente confrontarsi con il panorama internazionale che ha previsto diversi interventi regolatori.
Il Canada è stato il primo paese a legiferare in materia di bitcoin, gli Stati Uniti hanno inquadrato la valuta virtuale tra le monete.
In particolare gli Stati di New York, della California e del Connecticut sono stati i primi a regolare l’utilizzo delle monete virtuali, garantendo una forma di tutela da parte dei consumatori.
Altri stati come la Cina, la Turchia, l’Egitto e l’Algeria, vietano ai propri cittadini la possibilità di operare sulle criptovalute, essendo vietato l’accesso alle piattaforme di trading.
Alla luce del contesto attuale, l’auspicio per il futuro è quello di creare un quadro regolamentare più uniforme e condiviso a livello internazionale, in modo da evitare problemi di discriminazione o concorrenza tra gli Stati.
Che questa sia la direzione più giusta da seguire non vi sembra vi siano dubbi.
3. Sull’ammissibilità dei conferimenti aventi ad oggetto criptovalute: le pronunce bresciane
Le criptovalute non sono danaro avente corso legale in alcun ordinamento (ad eccezione del caso singolare dello Stato di El Salvador), non hanno come sottostante alcun bene, non integrano un credito a una prestazione di fare oppure un credito pecuniario: questo è un dato di fatto che, a ben vedere, pone non pochi problemi rispetto al tema della possibilità di un loro conferimento a capitale sociale.
Il presente contributo, alla luce di un quadro normativo ancora nebuloso e alla difficoltà di giungere ad esiti certi circa la natura giuridica delle criptovalute, si pone l’obiettivo attraverso l’analisi di due provvedimenti del Tribunale e della Corte d’Appello di Brescia, di capire quale sia l’utilità per la società conferitaria di effettuare tali tipologie di conferimenti e se gli stessi possano avere un valore economico funzionale alla copertura del capitale sociale.
Le pronunce bresciane fanno seguito all’opposizione di un amministratore unico di una società a responsabilità limitata, contro il diniego di un notaio rogante di provvedere all’iscrizione al registro delle imprese di una delibera assembleare che disponeva l’aumento parziale del capitale della società attraverso il conferimento di criptovalute (nel caso di specie si trattava di Onecoin).
Le motivazioni del diniego si collegano alla volatilità della criptovaluta, la quale non consentirebbe una valutazione dell’effettivo aumento del capitale e del conferimento.
Il Tribunale e la Corte d’Appello di Brescia negano, soprattutto perché influenzate dal tipo di criptovaluta oggetto della vicenda, entrambi la possibilità di un conferimento di criptovalute a capitale sociale.
Il Tribunale di Brescia ha ritenuto non legittimo, seppur non in astratto, il conferimento di criptovalute in relazione al caso di specie poiché non corrispondenti ai requisisti propri dei beni conferibili, ossia: l’idoneità ad essere oggetto di valutazione, l’esistenza di un mercato del bene e l’idoneità ad essere oggetto di esecuzione forzata.
Il provvedimento di primo grado equipara le criptovalute a dei conferimenti di beni in natura.
La Corte d’Appello di Brescia, invece, ha ritenuto in generale non legittimo il conferimento di criptovalute in società di capitali.
Secondo i Giudici della Corte d’Appello di Brescia, la criptovaluta è assimilabile al danaro, una moneta di scambio di beni e di servizi che, però, non è equiparabile ai beni acquistati con la stessa.
Tuttavia, dal momento che il conferimento in danaro può avvenire solo nel caso in cui la moneta abbia corso legale nello Stato, la Corte d’Appello esclude la possibilità di effettuare conferimenti di criptovalute nelle società di capitali.
3.1. La contrapposta visione della dottrina
Al di là delle pronunce bresciane che negano, seppur in base a considerazioni diverse il conferimento di criptovalute a capitale sociale, numerose sono le voci dissonanti in dottrina avvalorate, tra l’altro, da casi in cui ha avuto luogo il conferimento di criptovalute in sede di costituzione di società o di aumento di capitale sociale.
Si segnalano due fattispecie oggetto di studi giuridici ed economici: nel 2015 è stata costituita Oraclize s.r.l., la prima società unipersonale con conferimento in bitcoin, qualificati come beni, e nel 2019 nel nostro Paese ha avuto luogo il primo conferimento “multi-cripto-currency” a fine di aumento di capitale.
La dottrina maggioritaria, occorre necessariamente evidenziarlo,include le criptovalute nel novero dei token crittografici, ovvero monete pattizie, il cui conferimento rientrerebbe nell’ambito dei conferimenti di beni in natura e non nell’ambito dei conferimenti in danaro.
La considerazione cui è giunta la dottrina maggioritaria si spiega alla luce del fatto che, in tal modo, si garantirebbe un filtro preliminare con cui vengono indicati dei criteri di valore certi.
A parere di chi scrive, tuttavia, l’indagine sulla esatta natura giuridica delle criptovalute risulta essere del tutto sterile.
Difatti se la possibile configurazione della criptovaluta come moneta trova un limite nel fatto che il conferimento in danaro è quello della moneta avente corso legale, anche la stessa qualificazione della criptovaluta come bene in natura trova un limite nella mancanza di un qualsivoglia valore d’uso.
Il percorso logico da seguire allora, a prescindere dalla esatta natura giuridica delle criptovalute, è quello di riuscire ad attribuire alle stesse un valore economico effettivo e applicare la disciplina dei conferimenti prevista per il tipo societario cui si faccia di volta in volta riferimento, tale da garantire la relativa porzione del capitale sociale.
Le eventuali complessità nell’esecuzione del conferimento, riguardanti le modalità di trasferimento delle criptovalute dal soggetto conferente al soggetto conferitario, riguarderebbero solamente la meccanica del procedimento.
4. Conclusioni
Il presente lavoro ha il dichiarato fine di analizzare la tematica dei conferimenti societari in criptovalute, strumenti inediti ma ormai largamente diffusi, alla luce di un panorama dottrinale e giurisprudenziale ancora non compiutamente descritto.
Dall’analisi svolta ben si avverte la forte esigenza di avere una regolamentazione chiara da parte del legislatore nazionale ed europeo, in modo da evitare conflitti.
Nell’attesa e, nel forte auspicio, di interventi ad hoc, si deve evidenziare come la complessità della materia, ancora in uno stato fluido potremmo dire, non permette di giungere a conclusioni che potrebbero, invece, risultare del tutto fuorvianti.
Come, infatti, evidenziato nella disamina svolta, il metodo più appagante sarebbe quello di privilegiare approcci casistici basati sulla funzione degli istituti.
Il legislatore dovrebbe farsi carico di offrire delle valide soluzioni che per ora sono lasciate all’arduo compito degli interpreti, i qualisi muovono in campi non ancora arati, i quali, a loro volta, non posso negare l’importanza sempre più crescente di istituti di nuovo conio estremamente cangianti che rappresentano una ricchezza per la società del futuro.
In uno scenario in continuo movimento, occorre, quindi, esplorare nuovi filoni di ricerca con lo spirito proprio del neofita, ma senza avere timore di ciò che ancora non conosciamo, perché ciò di cui si parla è un futuro presente.
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