Devianza minorile e sistema penale: tra educazione e prevenzione

Devianza minorile e sistema penale: tra educazione e prevenzione

La devianza minorile è da sempre un tema complesso e al centro di discussione.

Tale termine ricomprende varie condotte che non necessariamente sfociano nella commissione di un reato ma più semplicemente nella violazione di regole sociali, morali e di costume.

Tuttavia, la devianza, in presenza di molteplici fattori, può comportare la commissione di reati anche di rilevante gravità; attuale e allarmante è la vicinanza dei minori alla criminalità organizzata che molto spesso si traduce in vere e proprie forme di affiliazione.

Perché i minori delinquono?

La risposta a tale quesito è alquanto difficile, istintivamente si potrebbe rispondere che forse la società ha fallito ma sarebbe troppo facile.

Sarebbe necessario in primis partire da un principio che si evince da varie disposizioni della nostra Carta costituzionale, ossia l’inderogabilità del diritto all’educazione.

Il compito di educare spetta a famiglia e Stato che devono svolgere tale compito in maniera sinergica, a ciò si aggiunga che esistono fattori esterni patogeni che incidono sul percorso formativo del minore.

Tali fattori racchiudibili in tre categorie, degrado ambientale, diseguaglianze economiche e diseguaglianze sociali, possono confliggere in uno stato di devianza.

Il d.P.R. 448 del 1998 delinea un microsistema dove tutto è flessibile poiché l’interesse primario è il recupero, la responsabilizzazione del minore.

Ebbene, nel processo penale minorile non si accerta soltanto il fatto ma si effettuano varie operazioni, necessarie affinché si accertino le condizioni in cui il fatto è stato commesso e le condizioni psico-sociali gravitanti intorno al minore.

Il fulcro del sistema penale minorile è l’art.9 del d.P.R summenzionato, disciplinante l’istituto dell’accertamento della personalità che assegna agli operatori giuridici il compito di raccogliere elementi relativi a condizione personale, familiare, sociale e ambientale del minore affinché si possa vagliare il grado di responsabilità e scegliere la migliore strategia da applicarsi in sede processuale.

Tale norma, generale ma anche di settore, trova la sua ratio nella necessità di indagare sulle cause della devianza e garantire la celere fuoriuscita del minore dal processo penale.

La norma consente al Pubblico Ministero e al Giudice di acquisire “elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili[1]

L’accertamento è funzionale alla responsabilizzazione del minore.

Da una lettura prima facie della norma si evince che la devianza minorile non è determinata solo dalla personalità del soggetto ma anche da ulteriori fattori, quei fattori già menzionati che deviano il minore e che interrompono quel processo naturale formativo.

Inoltre, un ruolo importante è assegnato ai servizi minorili che hanno il compito di raccogliere elementi utili ai fini dell’accertamento della personalità anche se nella pratica in alcuni territori ne risulta difficile l’utilizzo.

Il co.2 dell’art.9 delinea ulteriori strumenti di indagine, l’assunzione di informazioni da persone che hanno avuto rapporti con il minore e il parere di esperti.

L’articolo in questione risulta innovativo in un sistema processuale che vieta all’art.220 c.p.p., salvo quanto previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, la perizia volta ad accertare in generale la personalità e il carattere dell’imputato (adulto).

Nell’ottica prospettata, si comprende che il sistema penale minorile più che alla rieducazione si pone il fine di educare il minore autore di reato.

Il fine “educativo”  emerge anche da altre disposizioni del d.P.R 448/1988, una rapida occhiata all’art.20 relativo alla misura cautelare personale delle prescrizioni, all’art.28 relativo alla sospensione del processo e MAP (messa alla prova)

Pertanto, si è cercato di costruire un sistema a misura di minore.

Non a caso la giustizia riparativa, c.d.restorative justice, ha trovato terreno fertile proprio nel processo penale minorile; antecedentemente alla c.d. riforma Cartabia, forme di giustizia ripartiva venivano implementate all’interno del processo penale minorile. Con la Direttiva 2012/29/Ue, l’Unione Europea oltre a sancire norme minime a protezione della vittima, sancì l’importanza dell’approccio riparativo che consente una maggiore presa di coscienza nel minore autore di reato in quanto si raffronta al danno sofferto dalla vittima.

Ebbene, prima di giungere ad un accertamento penale forse bisognerebbe indagare sul perché del comportamento deviante che culmina con la commissione di reati anche di natura violenta e che per alcuni esperti è un comportamento deviante comunicativo.

Se per il principio dell’inderogabilità del diritto dell’educazione famiglia e Stato devono cooperare in maniera sinergica, allora forse nel sistema qualcosa non ha funzionato ed è proprio all’interno di questi che sarebbe necessario ricercare la chiave per invertire la tendenza a un comportamento deviante.

Da più parti si chiede di abbassare l’età imputabile e da ultimo si chiede di equiparare in termini punitivi minori e maggiorenni sulla scorta che il mondo è cambiato e che i minori di oggi non sono i minori di 30 anni addietro dimenticandosi che i minori dispongono di un sistema di controllo cognitivo non ancora del tutto sviluppando.

Anzi, la neuroscienza ci insegna che le diverse aree celebrali hanno tempi diversi di maturazione e alcuni aree completano il proprio sviluppo solo dopo i 20 anni; equiparare le capacità cognitive di un adulto e di un minore di 15/16 anni è alquanto errato seppur si assiste a una sorta di adultizzazione del minore.

Il sistema penale minorile come si evince dalla disamina dell’art.9 d.P.R 448/1998 nasce con lo scopo di rieducare il minore e consentire la rapida fuoriuscita dal sistema penale affinché non venga maggiormente compromesso lo sviluppo psicofisico e la soluzione al crescente aumento del numero di reati, soprattutto di natura violenta,  commessi dai minori non consiste in una politica repressiva, abbassamento dell’età imputabile e equiparazione tra minori e maggiorenni ma è necessario un intervento interdisciplinare.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Art.9 co.1 d.P.R 22 settembre 1998 n.448

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