
“Vendilo su Vinted”, ma fa concorrenza al datore di lavoro: licenziamento legittimo
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il caso – 3. L’obbligo di fedeltà – 4. La sentenza
1. Introduzione
Da qualche anno sta spopolando Vinted, sito di vendita online per l’acquisto, la vendita e lo scambio di articoli nuovi o di seconda mano.
Qualora sia svolta dal lavoratore dipendente, tale attività di vendita si configura come attività concorrenziale rispetto all’attività di impresa svolta dal datore di lavoro?
Una prima pronuncia in senso affermativo è stata emanata dal Giudice del lavoro di Torino, il quale -con sentenza n. 2322/2025 del 22 ottobre 2025- ha dichiarato la legittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore, in virtù dell’accertamento del carattere concorrenziale dell’attività di vendita su Vinted.
2. Il caso
Un lavoratore -dipendente di una tabaccheria che, oltre a svolgere attività di commercio al dettaglio di prodotti del tabacco, svolge anche attività di commercio al dettaglio di articoli di profumeria e prodotti per l’igiene della persona- viene licenziato per giusta causa, con effetto immediato, in quanto la datrice di lavoro scopre che il dipendente vende prodotti per la cura del corpo attraverso il sito di vendita online Vinted.
L’attività di vendita svolta dal dipendente -seppur non in forma imprenditoriale- viene infatti ritenuta illecita dalla datrice di lavoro, poiché messa in atto in violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c.
3. L’obbligo di fedeltà
L’obbligo di fedeltà è sancito dall’art. 2105 c.c., il quale dispone che “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
A ben vedere, la succitata disposizione normativa impone al lavoratore -per tutta la durata del rapporto di lavoro- l’osservanza di due obblighi di natura negativa (il divieto di concorrenza e l’obbligo di riservatezza), la cui violazione “può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari” (art. 2106 c.c.) costituire fonte di un obbligo risarcitorio verso l’azienda che provi di aver subìto un danno derivante dalla condotta illecita del prestatore di lavoro.
L’obbligo di fedeltà, quindi, si sostanzia nell’obbligo di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro, ovvero, nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro.
In virtù di tale obbligo, quindi, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c., ma anche qualsiasi altra condotta che sebbene non attualmente produttiva di danno- sia dotata di potenziale lesività, ovvero, risulti in contrasto con gli obblighi connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell’impresa stessa o siano comunque idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto i lavoro, dovendosi integrare l’art. 2105 c.c. con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono l’osservanza dei doveri di correttezza e di buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, sì da non danneggiare il datore di lavoro (cfr., ex plurimis, Cass. n. 35066/2023; Corte d’Appello di Milano, n. 774/2022).
Inoltre, ad avviso dei giudici di merito, rientra nella sfera di tale dovere “il divieto di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore nel medesimo settore produttivo o commerciale, senza che rilevi la idoneità o meno di tale comportamento ai fini della sussistenza della concorrenza sleale a termini degli artt. 2592, 2593 e 2598 c.c.” (Trib. Novara n. 64/2022. Nello stesso senso, cfr., ex plurimis, Corte d’Appello di Brescia n. 204/2021).
La valutazione è, tuttavia, rimessa al giudice di merito, il quale “deve, pertanto, valutare gli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo” (Cass. n. 34456/2019).
4. La sentenza
Ricevuta la lettera di licenziamento, il lavoratore ha impugnato il provvedimento espulsivo e si è rivolto al Giudice del lavoro di Torino al fine di ottenere la pronuncia di illegittimità del licenziamento per insussistenza della giusta causa e la contestuale condanna della datrice di lavoro alla riassunzione o al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 8 della Legge 15 luglio 1966, n. 604[1].
Il Tribunale di Torino, tuttavia, ha respinto il ricorso del lavoratore, confermando la bontà dell’operato della datrice di lavoro.
Secondo il Giudice, infatti, l’attività di vendita di prodotti su Vinted -svolta dal dipendente in modo non occasionale, anche se non in forma imprenditoriale- è configurabile come ipotesi di violazione dell’obbligo di fedeltà -e, più in particolare, come ipotesi di violazione del divieto di concorrenza- di cui all’art. 2105 c.c.; ciò in quanto detta attività è idonea a ledere gli interessi della datrice di lavoro, sebbene -come accertato in corso di causa- quest’ultima si occupi solo in via secondaria della vendita di prodotti per la cura del corpo e venda prodotti di marche diverse rispetto a quelle vendute online dal dipendente licenziato.
[1] Art. 8, Legge n. 604/1966: “Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti”.
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Avv. Andrea Persichetti
Dopo aver conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Camerino con tesi in Diritto Amministrativo ("Il principio di precauzione e la valutazione del rischio: il caso dei vaccini obbligatori"), ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino.
Svolge la professione di Avvocato occupandosi di diritto civile e di diritto del lavoro, con particolare riguardo alla responsabilità civile, alla materia previdenziale, alle questioni di infortunistica sul lavoro e controversie INAIL.
È abilitato a presentare istanze e ricorsi all'INPS ed è Intermediario abilitato a svolgere attività in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, ai sensi della Legge n. 12/1979.
Dal 2023 al 2025 ha ricoperto il ruolo di membro Consigliere dell’Associazione dei Giovani Avvocati di Torino – AGAT.
È autore di articoli di interesse giuridico.
È iscritto all'Ordine degli Avvocati di Torino (Studio legale in Torino, Via Pietro Palmieri n. 23 - Tel.: 011/4366268 - Mail: avvocatoandreapersichetti@gmail.com).







