L’irripetibilità degli accertamenti tecnici nel sistema processuale italiano
Nel processo penale italiano, l’irripetibilità degli accertamenti tecnici rappresenta un principio fondamentale che garantisce la tutela dei diritti dell’imputato e l’affidabilità della prova. Questo principio si inserisce all’interno del più ampio quadro delle garanzie processuali, volte a garantire un processo equo, come previsto dall’art. 111 della Costituzione.
L’irripetibilità è il fenomeno che impedisce la ripetizione di un accertamento tecnico già effettuato, stabilendo che il relativo risultato abbia valore probatorio solo se l’atto di accertamento è stato compiuto in presenza delle parti, in modo tale da consentire la loro partecipazione attiva.
La norma di riferimento è l’art. 220 del Codice di Procedura Penale (c.p.p), che stabilisce che gli accertamenti tecnici siano irripetibili, a meno che non vi sia una giusta causa che giustifichi la necessità di ripetizione, quale l’impossibilità di acquisire nuovi elementi probatori in altro modo.
Tuttavia, l’irripetibilità non si applica in tutte le circostanze. In alcuni casi, per esempio, la legge prevede che possano essere ripetuti accertamenti in caso di particolari necessità di chiarimento o quando l’esito dell’accertamento precedente è viziato da errori. Si pensi, ad esempio, agli accertamenti tecnici sul corpo del reato, come l’autopsia, dove la ripetizione può essere necessaria in casi di contestazioni sulla validità dell’accertamento originario.
La finalità dell’irripetibilità risiede nella protezione della prova, che deve essere il risultato di un’attività svolta con la massima trasparenza e nel rispetto dei diritti di difesa. Ogni accertamento tecnico che possa incidere sulla posizione dell’imputato o sulla valutazione della sua colpevolezza, pertanto, deve essere condotto in presenza e sotto il controllo delle parti. La parte della difesa, per esempio, ha il diritto di assistere agli accertamenti e di formulare eventuali osservazioni, così da poter validamente contrastare l’operato del perito.
La funzione primaria dell’irripetibilità è dunque quella di cristallizzare la prova in un contesto di trasparenza procedurale, impedendone la manipolazione a posteriori e ponendo un argine a derive inquisitorie. Essa garantisce che l’attività probatoria sia svolta non solo in modo tecnicamente corretto, ma anche in condizioni di veridicità, rispetto e imparzialità. È un principio che, in buona sostanza, vieta le “prove a sorpresa”, tanto care ai legal drama d’Oltreoceano quanto incompatibili con i principi di civiltà giuridica dell’ordinamento italiano.
La presenza della difesa al momento dell’accertamento non è una mera formalità: è, invece, condizione per la legittimità del risultato probatorio. Il difensore ha infatti il diritto – e il dovere – di assistere, osservare, formulare osservazioni, avvalersi eventualmente di propri consulenti tecnici. È in questo spazio processuale che si realizza, in concreto, l’eguaglianza delle armi.
Se è vero che l’irripetibilità non rappresenta un dogma assoluto, è altrettanto vero che le sue deroghe debbono essere valutate cum grano salis. Esse costituiscono eccezioni giustificate unicamente da esigenze straordinarie, le quali devono essere rigorosamente documentate, così da non svuotare di contenuto la garanzia che il principio intende presidiare.
In prospettiva de iure condendo, il principio dell’irripetibilità potrebbe rappresentare il fulcro attorno a cui ridefinire una cultura della prova sempre più orientata all’integrazione tra garanzie difensive e rigore scientifico. Una giustizia penale matura, del resto, non ha timore di sottoporre la verità processuale al vaglio del contraddittorio: ne ha bisogno.
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Valentina Mellino
Valentina Mellino, avvocato penalista.
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