La violazione del principio di anonimato è sempre causa di annullamento. O no?
Uno dei principi cardine nella gestione delle procedure concorsuali è quello della garanzia dell’anonimato, corollario del principio di imparzialità, che richiede l’adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire, come dispone l’art. 35 D.Lgs. 165/2001. L’iter concorsuale è oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, nell’ottica di garantire la selezione dei candidati più preparati e meritevoli; non a caso sono previste anche misure volte alla prevenzione della corruzione da applicare sia ai componenti della commissione, sia nella redazione dei bandi di concorso e finanche nello scorrimento delle graduatorie, laddove si dispone un’assunzione già conoscendo il candidato che verrà assunto.
Proprio in materia di tutela dell’anonimato è interessante una casistica che è stata oggetto di una recentissima pronuncia del TAR per la Lombardia, Sezione V, n. 2074 del 09/06/2025: oggetto del ricorso è la richiesta di annullamento del verbale della Sottocommissione di concorso, con il quale è stata annullata la prova pratica della ricorrente nel concorso per l’accesso ai ruoli del personale docente della scuola secondaria di I e II grado. I fatti traggono origine dall’errore commesso dalla candidata, la quale, a conclusione dello svolgimento della prova pratica, consegnava la busta “grande” contenente sia il proprio elaborato, sia la busta “piccola” con i dati anagrafici, inserita aperta, con ciò violando il principio cardine dei concorsi pubblici, ovvero quello dell’anonimato. Non essendole consentito, da parte della commissione, di riprendere subito la busta consegnata, in quanto “non vi era evidenza di quale fosse la busta della candidata in questione”, la ricorrente, il giorno successivo, inviava una mail alla Direzione generale dell’U.S.R. e alla Commissione, chiedendo che si potesse procedere alla correzione della prova pratica; la Commissione, tuttavia, escludeva dalla valutazione la prova della candidata per “evidenti segni di riconoscimento del candidato”, annullandone la prova.
Il ricorso intentato verte su tre censure: violazione dell’art. 14 del DPR 487/1994, eccesso di potere per travisamento dei presupposti e illogicità manifesta, in quanto rispetto alle prove pratiche non sussiste la necessità di anonimato.
Il Collegio richiama preliminarmente l’orientamento giurisprudenziale consolidato sull’applicazione del principio dell’anonimato nella prova pratica concorsuale, seguito anche dalla stessa Sezione in casi relativi alla medesima prova pratica del suddetto concorso (sentenze nn.387/2025, 2606/2024 e 2606/2024), secondo il quale “la regola dell’anonimato, posta a garanzia del generale principio di imparzialità, è estensibile alle prove pratiche laddove le stesse consistano in toto nella redazione di un elaborato scritto e non anche nei casi in cui, pur contenendo qualche elemento scritto, si svolgano con modalità implicanti un contatto diretto e immediato del candidato o del contenuto della prova con la commissione, perché tale contatto rende inevitabile la previa identificazione dell’esaminando e materialmente impossibile il rispetto dell’anonimato (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 25 settembre 2007, n. 4925; id., Sez. III, 22 maggio 2019, n. 3323; id., Sez. VI, 23 dicembre 2020, n. 8271; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 2 maggio 2017, n. 436).
Nel caso di specie, la prova pratica è consistita in un’esperienza di laboratorio, proposta dalla commissione esaminatrice, su temi o con materiali posti a disposizione dalla commissione, afferenti ai contenuti previsti nel programma, al termine della quale è stata redatta una sintetica relazione volta a illustrare i criteri seguiti nella programmazione, nella preparazione e nell’esecuzione dell’esercitazione. La relazione finale si è profilata come un momento conclusivo e di sintesi che ha fatto seguito all’esercitazione vera e propria, durante la quale è avvenuta un’interlocuzione diretta tra candidata e commissione, pertanto il Collegio ritiene che “la regola dell’anonimato non trovi applicazione in relazione alla sopra citata prova pratica”. Ne consegue che la Commissione avrebbe dovuto procedere alla correzione della prova pratica, una volta accertato che il compito inserito nella busta fosse riconducibile con certezza alla ricorrente, in quanto la presenza di “evidenti segni di riconoscimento” non era ragione di esclusione.
Il Collegio conclude che l’annullamento della prova pratica, motivato in base alla violazione dell’anonimato, è illegittimo in quanto tale principio non deve essere assicurato nelle prove pratiche come congegnate nell’ambito della selezione di cui trattasi: al pari della prova pratica su cui è apposta la firma da parte del candidato (che la giurisprudenza ritiene non annullabile), la prova pratica della ricorrente poteva essere esaminata, non essendo preclusiva alla correzione la circostanza che la Commissione potesse venire a conoscenza dell’autore dell’elaborato. Accolto il ricorso, ne deriva l’annullamento degli atti di annullamento della prova pratica, con conseguente obbligo per la commissione esaminatrice di procedere alla valutazione della prova pratica della candidata, il cui esito, se favorevole, potrà avere effetti sulla graduatoria finale di merito impugnata con i motivi aggiunti.
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Ornella Rossi
Segretario Comunale in Toscana, OIV presso Enti Locali e ASL, privacy officer, interessata alla formazione in ogni settore degli Enti Locali
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