Reati a evento differito e reati abituali: tempo di commissione del reato e successione di leggi penali
Il problema del tempus commissi delicti è delicato e complesso. All’art. 2 co.1 del c.p. il legislatore ha espressamente sancito che al reo si applica <<la legge del tempo in cui fu commesso il reato>>.
Attraverso l’utilizzo di questa espressione, il legislatore ha posto agli interpreti il problema di individuare quale sia la legge vigente applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Sul punto data l’esistenza di una diversità di reati non può dirsi sussistente un unico criterio, posto che c’è chi ai fini dell’individuazione della legge del tempo in cui fu commesso il reato guarda al momento in cui il reo ha posto in essere la condotta, e chi, per individuare tale legge guarda al momento consumativo del reato.
La necessità di individuare il tempus commissi delicti rileva non solo per l’individuazione della legge applicabile al reo nelle ipotesi in cui vi sia una successione di leggi nel tempo, ma anche per l’individuazione del dies a quo della prescrizione; per l’individuazione della capacità di intendere e di volere del soggetto agente nel momento in cui commette il reato; per determinare il momento di flagranza del reato; per stabilire se è possibile applicare una causa di estinzione del reato o della pena; per stabilire il concorso di determinati soggetti con altri nella commissione del reato.
Il problema del tempus diviene rilevante nel momento in cui, dopo che il soggetto ha posto in essere la condotta il legislatore emana una norma successiva sfavorevole rispetto a quella vigente nel momento in cui è stata posta in essere la condotta, e ciò in quanto bisogna individuare quale delle due norme debba essere applicata al soggetto agente, se la norma vigente al momento della commissione del fatto, o la norma vigente al momento del verificarsi dell’evento.
Questo problema di individuazione della norma applicabile si pone in relazione ai reati a evento differito i quali si caratterizzano perché sono reati naturalistici, ciò vuol dire che solo se si verifica l’evento conseguente alla condotta il reo può essere punito, se invece l’evento conseguente alla condotta non dovesse verificarsi il reo resta impunito. Il momento consumativo di questi reati dovrebbe quindi coincidere con il momento in cui si verifica l’evento, ma ciò non è così pacifico. Per lungo tempo la giurisprudenza ha ritenuto che tali reati si considerano commessi quando si verifica l’evento, per cui -anche nell’ipotesi in cui nel lasso di tempo intercorrente tra il momento in cui è stata posta in essere la condotta e il momento in cui si verifica l’evento- qualora dovesse essere emanata una norma successiva seppur sfavorevole per il reo è questa norma che deve trovare applicazione. Di diverso avviso, invece, sono state le Sezioni Unite, le quali al fine di individuare il tempus commissi delicti hanno fatto riferimento al criterio della condotta, con la conseguenza che, se dopo la condotta ma prima del verificarsi dell’evento dovesse essere emanata una norma successiva più sfavorevole per il reo rispetto alla norma vigente nel momento in cui lo stesso ha posto in essere la condotta, questa non può trovare applicazione, non può quindi applicarsi retroattivamente. Attraverso l’utilizzo del criterio della condotta viene rispettata la ratio del principio di irretroattività sfavorevole ossia l’autodeterminazione della persona la quale deve sempre essere messa in condizione di calcolare le conseguenze penali del proprio agire.
Al reo quindi, si applica la norma vigente nel momento in cui è stata posta in essere la condotta. Questa tesi, sposata dalle Sezioni Unite era stata pienamente avallata anche nei lavori preparatori al codice penale, in cui espressamente era sancita l’applicabilità al reo della legge vigente al momento in cui lo stesso poneva in essere la condotta; tuttavia l’applicazione del criterio della condotta è criticabile in quanto, è vero che al reo si applicherebbe la norma più favorevole, però allo stesso tempo è vero anche che si finirebbe per applicare una norma vigente al momento in cui non sussiste il reato, visto che lo stesso si consuma solo se l’evento viene a realizzarsi. Nonostante però questa critica, è ormai pacifica l’applicazione del criterio della condotta per individuare la legge che deve essere applicata al reo nei reati a evento differito e ciò in quanto è solo in codesto momento che rileva la volontà del soggetto di porsi in contrasto con l’ordinamento; è solo nel momento in cui è posta in essere la condotta che è assolta la funzione di prevenzione generale della norma incriminatrice, è solo in quel momento che la funzione rieducativa della pena riesce a realizzarsi, posto che qualora il legislatore decidesse di punire un fatto che prima dell’entrata in vigore di una norma non era qualificabile come reato o era punito meno severamente sarebbe svuotata di contenuto la funzione della pena.
Questo ragionamento quindi, porta ad escludere -in caso di successione di leggi nel tempo nei reati a evento differito- l’applicazione della norma successiva sfavorevole vigente al momento in cui si verifica l’evento in quanto se la si applicasse si darebbe vita a un fenomeno di retroattività sfavorevole occulta. A sostegno di queste argomentazioni, si può riportare in esempio l’art. 439 del c.p., norma che disciplina il reato di avvelenamento di acque o sostanze alimentari. Questo reato rappresenta un’ipotesi tipica di reato a evento differito per effetto del quale al reo, utilizzando il criterio della condotta è pacifico che, si applichi la norma in cui la stessa è stata posta in essere, e non la norma più sfavorevole entrata in vigore quando si è verificato l’evento.
Rispetto ai reati abituali il problema dell’individuazione del tempus commissi delicti ai fini della successione di leggi penali si pone perché anche questi reati si caratterizzano per il fatto che tra il momento perfezionativo della condotta e quello di consumazione del reato intercorre un certo arco temporale. I reati abituali, infatti, a prescindere dalla loro qualificazione come reati propri o impropri si caratterizzano per l’abitualità delle condotte della stessa specie poste in essere dal soggetto agente che si reiterano nel tempo ma il reato si consuma quando è posto in essere l’ultimo atto della condotta cioè quando cessa l’offesa.
Il problema che si pone quindi, rispetto a tali reati attiene alle ipotesi in cui quando è ancora in corso il reato viene emanata dal legislatore una norma successiva sfavorevole, perché occorre capire se tale norma possa applicarsi anche se il reato si è già perfezionato. A riguardo si prospettano due tesi: una prima tesi, meno garantista, ritiene che la norma successiva sfavorevole può applicarsi al reo solo se lo stesso dopo l’entrata in vigore della norma successiva sfavorevole anche se il reato si è già perfezionato pone in essere una sola azione, e ciò in quanto per questa tesi il momento consumativo dei reati abituali coincide con l’ultima azione. Altra tesi, più garantista ritiene che la norma successiva sfavorevole può applicarsi al reo solo se lo stesso, dopo l’entrata in vigore della norma sfavorevole, nonostante il reato si sia già perfezionato continua a porre in essere azioni reiterate.
In tale contesto recentemente la giurisprudenza ha cercato di risolvere il problema relativo all’ applicazione di una norma successiva sfavorevole contenente l’aggravante di cui al 572 co.2 c.p. In particolare, ci si è chiesti se, -nonostante il perfezionamento del reato di maltrattamenti in famiglia- possa essere applicata al reo l’aggravante contenuta in una norma successiva nelle ipotesi in cui la condotta si verifichi in presenza di minori.
Se si aderisce alla prima tesi, quella secondo la quale la norma successiva sfavorevole può applicarsi alle condotte poste in essere dopo la sua entrata in vigore anche se il reato si è già perfezionato, allora, qualora il reo dovesse porre in essere una sola azione di maltrattamenti innanzi ai minori allo stesso può applicarsi l’aggravante. La giurisprudenza non aderisce a tale tesi, perché ritiene che in tal modo si andrebbe ad applicare al reo una norma sfavorevole e ciò lederebbe la ratio del principio di irretroattività sfavorevole, quindi sarebbe più auspicabile aderire alla seconda tesi, quella per la quale si prevede che solo se, -dopo l’entrata in vigore della norma successiva sfavorevole nonostante il reato si sia perfezionato,- il reo pone in essere più condotte reiterate di maltrattamenti innanzi a un minore gli si può applicare l’aggravante.
Il problema della norma successiva sfavorevole che prevede l’applicazione di un’aggravante in caso di condotte reiterate innanzi a un minore, si sostanzia nel fatto che questa circostanza è un aggravante non abituale di un reato abituale, ciò comporta che essa può applicarsi al reo anche se dopo la sua entrata in vigore il reo ponga in essere una sola azione di maltrattamenti in presenza di un minore, e ciò è giustificabile alla luce del fatto che, è vero che il reato di maltrattamenti si è perfezionato prima dell’entrata in vigore della norma successiva contenente l’aggravante però, l’azione posta in essere dal reo da cui dipende l’applicazione dell’aggravante è stata compiuta dopo l’entrata in vigore della norma.
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Avvocato Antonella Fiorillo
Laureata in giurisprudenza.
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