Conflitto di interessi potenziale. Il punto del Consiglio di Stato

Conflitto di interessi potenziale. Il punto del Consiglio di Stato

Sommario: 1. Il fatto – 2. La decisione – 3. Conclusioni

 

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha ricostruito i principi generali in materia di conflitto di interessi, ricordando che, anche laddove una specifica ipotesi non sia tipizzata ex lege, la S.A. può valutarne la sussistenza sulla base del «potenziale conflitto» che potrebbe da essa sorgere.

1. Il fatto

Con provvedimento del 18.11.2022, la S.A. ha escluso la ricorrente dalla procedura di gara per l’affidamento del servizio tecnico di direzione per l’esecuzione del contratto relativo all’appalto del servizio di igiene urbana.

Più nello specifico, l’Amministrazione ha ritenuto sussistente un conflitto di interessi tra l’amministratore unico dell’impresa esclusa e la società esecutrice dell’appalto relativo al servizio di igiene urbana, in quanto il primo, avendo già svolto in passato attività di consulenza per la seconda, si ritiene non avrebbe potuto ricoprire l’incarico di direttore dell’esecuzione del contratto di appalto de quo.

Avverso la sentenza del T.A.R. con cui il giudice riconosceva l’esistenza del conflitto di interessi, l’impresa esclusa ha proposto appello innanzi al Consiglio di Stato.

La difesa ha articolato due motivi.

Anzitutto, con un primo mezzo di gravame, la parte appellante ha assunto l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha scelto di conferire rilevanza, sotto il profilo del ravvisato conflitto di interessi, a situazioni verificatesi oltre tre anni prima.

Invero, secondo la ricorrente, dal combinato disposto dell’art. 42, co. 2, d. lgs. n. 50/2016[1] – che introduce, quale presupposto essenziale per il verificarsi di una situazione di conflitto di interesse, il requisito dell’attualità – e l’art. 6, d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62[2] – che circoscrive la rilevanza temporale dell’obbligo dichiarativo del dipendente nei rapporti con soggetti privati agli «ultimi tre anni» – sussisterebbe un limite temporale oltre il quale il conflitto di interessi risulterebbe irrilevante ai fini della partecipazione ad una procedura di gara.

Ancora, con un secondo mezzo di gravame, la parte ricorrente ha contestato la sentenza impugnata, in quanto, di contro a quanto affermato dal giudice di prime cure, le attività di consulenza poste in essere nell’interesse dell’impresa aggiudicataria del servizio di igiene urbana sarebbero caratterizzate da «tenuità e inconsistenza» tali da essere «insuscettibili di influenzare il processo organizzativo e decisionale della stazione appaltante» e, in ultima analisi, non idonee ad arrecarne un effettivo pregiudizio.

2. La decisione

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 9850/2023, ha ritenuto l’appello infondato. La motivazione, di seguito prospettata, si muove su due piani.

Sotto un primo profilo – teorico – il giudice ha ricostruito la disciplina italiana anticorruzione, valorizzando le ragioni giuridiche sottese all’adozione delle specifiche disposizioni in materia.

Più nello specifico, con riferimento a tale disciplina, rileva la legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione) che, in linea con la normativa extra-nazionale[3], prevede – ricorda il Collegio – «un sistema di tutela anticipata, che affianca il classico modello sanzionatorio imperniato su forme di tutela repressiva post crimen patratum».

In altri termini, nel contesto giuridico italiano, il sistema anti-corruttivo si basa non già su un modello sanzionatorio strictu sensu, ma su una serie di meccanismi preventivi che intervengono prima ancora che il fenomeno di corruzione si sia verificato: «In alternativa al tradizionale modello sanzionatorio imperniato su forme di tutela repressiva, la normativa anticorruzione si basa sul principio secondo il quale i fenomeni di corruzione all’interno delle amministrazioni pubbliche vanno affrontati e combattuti anche prima che i fenomeni corruttivi si siano consumati».

Sotto un altro profilo – pratico – la sentenza ha ricondotto il conflitto di interessi de quo – non ascrivibile, formalmente, ad alcuna fattispecie prevista ex lege – ad una categoria «residuale», non tipizzata, desumibile ex art. 6-bis, l. n. 241/1990.

Invero, secondo il giudice, la norma di cui alla legge sul procedimento amministrativo – il cui ancoraggio costituzionale è l’art. 97 Cost. – nel prevedere che «Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale», introduce un concetto di conflitto di interessi «non tipizzato», in quanto non direttamente codificato dal paradigma normativo.

In altri termini, emerge, ex art. 6-bis, l. n. 241/1990, la «potenzialità» quale elemento ulteriore sulla base del quale valutare la sussistenza di un conflitto di interessi, sicché la S.A., anche in assenza di un’esplicita previsione normativa, può ritenere, ex ante, che una specifica condizione giuridica o di fatto ben potrebbe comunque ingenerare dubbi di parzialità.

Tale interpretazione del Collegio è avvallata da ulteriori disposizioni di legge, che assurgono la «potenzialità» a «paradigma tassonomico» che permette di rilevare la sussistenza di un conflitto di interessi: l’art. 53, d. lgs. n. 165/2001, nel punto in cui prevede la verifica o la dichiarazione di situazioni di conflitto di interesse, «anche potenziale»;  l’art. 7, d.P.R. n. 62/2013, nel prevedere l’obbligo di astensione anche nel caso in cui sussistano «gravi ragioni di convenienza»; infine, l’art. 51 c.p.c., che, a sua volta, rimanda a «gravi ragioni di convenienza», di cui all’art. 7.

Invero, secondo i giudici di palazzo Spada, la presenza del «potenziale conflitto» può convergere in due differenti tipi di situazione: una prima, che si evolve «de futuro verso il conflitto» e una seconda, che favorisce «de praeterito il conflitto».

In altri termini, mentre, nel primo caso, il «potenziale conflitto», seppur non tipizzato, è destinato «ad evolvere in un conflitto tipizzato», nel secondo «può favorire l’insorgere di un rapporto di favore o comunque di non indipendenza e imparzialità in relazione a rapporti pregressi, solo però se inquadrabili per sé nelle categorie dei conflitti tipizzati».

A supporto di tale tesi, inoltre, il giudice ha richiamato lo stesso art. 42, co. 2, D. lgs. n. 50/2016, ritenendo che la disposizione, nel prevedere, quale (ulteriore) condizione di rilevanza del conflitto, il fatto che la situazione possa «essere percepita» come una minaccia all’imparzialità della S.A., sia a sua volta espressione della volontà del legislatore di considerare la mera «potenzialità» quale elemento sufficiente a valutare la sussistenza di un conflitto di interessi.

Si tratta, secondo il Collegio, di un’interpretazione supportata dalla stessa ANAC, che ha ritenuto le fattispecie di conflitto di interessi tipizzate ex art. 42, co. 2, D. lgs. n. 50/2016, meramente esemplificative, rappresentando «ipotesi predeterminate per le quali la valutazione della possibile sussistenza del rischio di interferenza dell’interesse privato nelle scelte pubbliche è operato a monte dal legislatore» (paragrafo 2.6 delle Linee Guida n. 15).

Parimenti il giudice ha analizzato la fattispecie de qua sotto il profilo soggettivo, ritenendo l’affidatario del servizio di direzione e vigilanza della fase esecutiva dell’appalto ovvero il soggetto che opera, per conto della stazione appaltante, quale direttore della fase esecutiva tra i soggetti suscettibili di configurare l’ipotesi di conflitto di interessi.

Sul punto – come chiarito dal Collegio – rileva la stessa giurisprudenza amministrativa, la quale, interpretando in modo estensivo l’art. 42, co. 2, D. lgs. n. 50/2016, ha incluso, nella nozione di «personale della stazione appaltante», non solo i «dipendenti in senso stretto (ossia, i lavoratori subordinati) dei soggetti giuridici ivi richiamati», ma anche «quanti, in base ad un valido titolo giuridico (legislativo o contrattuale), siano in grado di validamente impegnare, nei confronti dei terzi, i propri danti causa o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l’attività esterna»[4].  In altre parole, affinché si possa configurare l’ipotesi di conflitto di interessi, non è necessario che il soggetto intrattenga con l’Amministrazione un rapporto di lavoro dipendente.

Ancora, non coglie nel segno, secondo i giudici, il primo mezzo di gravame della ricorrente, in quanto, pur essendo vero che il conflitto di interessi risalga a oltre il triennio, la disposizione richiamata, ex art. 6, d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62,  è riferibile ai soli dipendenti pubblici che hanno esercitato «poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni», a nulla valendo, dunque, tale richiamo nel caso de quo.

Infine, il Collegio ha ritenuto non suscettibile di favorevole considerazione il secondo mezzo di gravame, poiché, «pur condividendo in astratto il rilievo», l’attività di consulenza prestata in favore della società aggiudicataria dell’appalto del servizio di igiene urbana è stata ritenuta «concretamente idonea ad influire sul corretto esercizio della funzione amministrativa», determinandosi, in tal maniera, un contrasto, anche solo potenziale, tra il soggetto che ha ricoperto l’incarico di consulente e le funzioni di vigilanza e controllo che gli sarebbero state attribuite.

3. Conclusioni

Dalla sentenza emergono due rilievi.

Anzitutto, i giudici di palazzo Spada hanno ricostruito i principi generali che regolano la normativa italiana anticorruzione, ricordando che, nell’ordinamento italiano, il fenomeno corruttivo è combattuto attraverso l’introduzione di misure che intervengono in fase preventiva rispetto al verificarsi del comportamento anti-giuridico.

Ancora, l’individuazione delle ipotesi di conflitto di interessi da parte del legislatore è da ritenersi esemplificativa, sicché, utilizzando le parole del Consiglio di Stato, «le situazioni di conflitto di interessi, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite».

In conclusione, la sentenza amplia la portata applicativa del principio di imparzialità dell’attività amministrativa, interpretando, in chiave estensiva, l’istituto del conflitto di interessi, sicché quest’ultimo può ritenersi configurabile anche laddove, in assenza di un’espressa previsione normativa, la pubblica amministrazione ne valuti la sussistenza sulla base di un «potenziale conflitto» che potrebbe da esso sorgere.

 

 

 

 

 

***

[1] L’art. 42, co. 2, d. lgs. n. 50/2016, stabiliva che «Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione […]». L’art. 16, co. 1, d. lgs. n. 36/2023, ha riprodotto sostanzialmente la disposizione.
[2][2] L’art. 6, d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, afferma che «[…] il dipendente, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni […]».
[3] Più nello specifico, il Collegio ricorda l’art. 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e gli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110.
[4] Il riferimento è a Cons. Stato, Sez. V, 11/07/2017, n. 3415. Si veda anche ANAC, Linee guida n. 15 recanti «Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici», secondo cui l’ambito soggettivo del conflitto di interessi riguarda non solo i dipendenti in senso stretto delle pubbliche amministrazioni ma anche coloro che possano «obiettivamente influenzarne l’attività esterna».

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Pietro Losciale

Istruttore direttivo amministrativo presso il Comune di Montemurlo (PO). Già Istruttore amministrativo presso il Comune di Firenze e il Comune di Bari.

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