I vincoli di destinazione e la loro incidenza sul trust
La disciplina contenuta nell’art. 2645 ter c.c., che ha dato ingresso alla figura del vincolo reale di destinazione, ha inciso in maniera significativa sul dibattito relativo all’ammissibilità del cd. trust interno, ossia del trust i cui elementi importanti sono tutti localizzati in Italia.
Prima di addentrarci nel cuore della questione, appare opportuno esaminare la figura di cui all’art. 2645 ter c.c. che il legislatore ha introdotto a partire dal 2005.
Il vincolo di destinazione è uno schema astratto dal contenuto atipico, che si presta agli usi più disparati.
Il legislatore ne prevede espressamente la trascrizione ai fini dell’opponibilità ai terzi; tutto questo realizza un fenomeno di separazione patrimoniale a danno dei creditori del proprietario del bene.
La disposizione assume un’importanza straordinaria, in quanto incide su numerosi principi e istituti cardine del diritto civile, in particolare, il principio del numerus clausus dei diritti reali, il principio di universalità della responsabilità patrimoniale (art. 2740 co.1 c.c.), il principio di tassatività delle fattispecie trascrivibili (art. 2643 c.c.) e, infine, sulle caratteristiche proprie della proprietà di cui all’art. 832 c.c., che sembrano essere “alterate” nel contesto in cui opera il vincolo di destinazione.
L’ingresso di questo nuovo istituto è stato senza dubbio difficile, dal momento che ha messo in crisi il sistema civilistico italiano.
Il legislatore ha, però, previsto una serie di requisiti formali e sostanziali ai fini dell’operatività del vincolo di cui all’art. 2645 ter c.c.
La norma in esame, infatti, richiede necessariamente la forma dell’atto pubblico, una durata massima che non può superare i novanta anni, o la durata della vita della persona fisica beneficiaria del vincolo, e come oggetto di destinazione i beni immobili o i beni mobili registrati.
Il vincolo di destinazione deve essere finalizzato alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 co. 2 c.c., riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche.
Questo requisito non deve essere considerato come un’inutile e sterile ripetizione di quanto già previsto in materia di contratti.
Il legislatore ha previsto una giustificazione causale pregnante ai fini dell’operatività del vincolo in esame.
Secondo un orientamento sono meritevoli quegli interessi superiori, espressione di valori costituzionalmente rilevanti, invece, secondo una tesi contrapposta e maggioritaria, sono meritevoli tutti gli interessi sufficientemente seri in grado di prevalere sull’interesse economico generale di natura patrimoniale o morale.
L’art. 2645 ter c.c. non ha introdotto un nuovo negozio giuridico, come sostenuto inizialmente da una parte della dottrina, si tratta di una norma sugli effetti.
L’effetto prodotto è unitario: il diritto reale che fa capo al fiduciario risulta funzionalizzato in vista dell’obiettivo da perseguire, con la conseguenza che la violazione del vincolo, realizzata attraverso l’alienazione del bene ad altra persona legittima il fiduciante, o un altro interessato, ad agire nei confronti del fiduciario, ma anche del terzo acquirente per il recupero del bene.
L’introduzione dell’art. 2645 ter c.c. ha inciso sul dibattito relativo all’ammissibilità del cd. trust interno.
Secondo una parte della dottrina, attraverso questa norma, l’Italia non può più considerarsi come uno Stato “non trust”, cioè come Stato che non conosce l’istituto di derivazione anglosassone del trust e diffuso nei sistemi di common law.
La Convenzione dell’Aja del 1985, che l’Italia ha ratificato nel 1989, è un accordo di diritto internazionale privato che prevede una nozione “minima” di trust agli articoli 2 ed 11.
I trust sono rapporti giuridici posti in essere dal costituente, con atto inter vivos o mortis causa, e posti sotto il controllo del trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico.
I beni in trust costituiscono una massa separata dai beni oggetto del patrimonio del trustee, il quale ha l’obbligo di amministrare, gestire e disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge.
Tali elementi minimi del trust si rinvengono nella fattispecie di nuovo conio di cui all’art. 2645 ter c.c., che corrisponde alla nozione “convenzionale” di trust.
Sia il trust che il vincolo di destinazione producono l’effetto di separazione patrimoniale e la conseguente funzionalizzazione, opponibile ai terzi, della proprietà allo scopo di destinazione.
Queste considerazioni possono ormai ritenere superata la tesi passata, secondo cui la Convenzione dell’Aja non consentiva ai privati di dare vita al trust interno, cioè il trust privo di elementi di internazionalità.
La Convenzione, operante come disciplina di diritto internazionale privato, consentiva di individuare la legge straniera applicabile al trust internazionale, solo occasionalmente oggetto di un contenzioso dinnanzi al giudice nazionale.
Questa tesi, oramai, non ha più seguito per effetto dell’incidenza che ha avuto l’art. 2645 ter c.c.: l’Italia si inserisce a pieno titolo nel novero degli Stati trust, ed è ipotizzabile sia la costituzione di un “trust italiano”, regolato dall’art. 2645 ter c.c., sia la costituzione di un trust interno, i cui elementi importanti siano localizzati in Italia, ma viene regolato dalla legge straniera scelta dal disponente.
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