Il ruolo della clausola di buona fede nell’estinzione del contratto: dal contratto al contatto sociale qualificato

Il ruolo della clausola di buona fede nell’estinzione del contratto: dal contratto al contatto sociale qualificato

Sommario: 1. La solidarietà – 2. L’ultrattività della buona fede nella fase estintiva del rapporto – 3. Il ruolo della buona fede nella formazione del contratto: contatto sociale – 4. Dal contratto al contatto

 

1. La solidarietà nella sua accezione filosofica si esprime mediante l’esigenza della ragione e assurge a presupposto dell’intangibilità della condotta, quale condizione necessaria alla realizzazione della propria unità attraverso lo sviluppo dell’umanità.

Per Fichte l’uomo è tale, quale essere ragionevole e libero, soltanto in mezzo agli altri uomini, e necessita della convivenza con gli altri, solo così potrà realizzare il suo destino, poiché è in mezzo a loro che si trova la ragione d’essere dell’individuo[1].

Tale principio ispira e regola la convivenza dei consociati ed è volto a operare come regola fondamentale della società, quale legge naturale che governa la molteplicità dei fatti sociali e per effetto della stessa l’individuo raggiunge la dignità umana[2].

Orbene, sul profilo giuridico, il concetto di solidarietà ispira l’età delle codificazioni e rinviene già nel Code Civil del 1804, quale impegno attraverso il quale le persone si vincolano reciprocamente le une per le altre e le une per tutte, e si positivizza nella Carta costituzionale dove la solidarietà è un principio fondamentale dell’uomo, posto a tutela della persona, quale diritto inviolabile direttamente applicabile, espressione di tutela dell’uomo la cui cogenza non incontra limiti e si estende a tutte le situazioni atipiche, non fungendo da mero contenitore di diritti ricompresi in altre disposizioni[3].

L’idea di persona e di solidarietà realizzano un connubio inscindibile la cui essenza si estrinseca in un obbligo di prendersi cura dell’altro[4], volto ad imporre il rispetto di un “ordine pubblico costituzionale”[5], esulando l’interprete dall’astenersi da una valutazione della stessa secondo un approccio meramente patrimonialistico, bensì esortandolo a considerare la solidarietà come valore volto allo sviluppo della persona[6].

Oggi la solidarietà guida il comportamento del consociato e lo orienta all’interno della vita costituzionale[7], pertanto è un valore unitario, funzionale allo sviluppo della persona, e idoneo parametro costituzionale di un controllo di conformità della condotta del soggetto all’interno della società.

La rilettura in termini assiologici e sistematici del valore della persona caratterizza il dibattito e l’evoluzione giuridica, affida al giurista il ruolo di valorizzare la sensibilità degli istituti giuridici ai principi fondamentali che conformano l’ordinamento nella sua totalità, cogliendo l’essenza della pluralità dei comportamenti dei consociati che, seppur non tipizzabili, possono essere sussunti in norme primarie e precettive di portata generale.

2.– La cogenza del valore solidale all’interno dell’ordinamento impone al giurista non solo una operazione di riconcettualizzazione e di lettura degli istituti civili ma gli impone, enfatizzando il principio di atipicità delle fonti dell’obbligazione, di considerare i rapporti fattuali che altrimenti non avrebbero nel neminem leadere una tutela effettiva.

Con l’avvento della Costituzione successivamente alla caduta del periodo fascista prende avvio nel pensiero giuridico un percorso interpretativo proiettato all’affermazione del principio di atipicità delle fonti.

Il legislatore del 1942 è intervenuto nel libro delle obbligazioni nella consapevolezza dell’impossibilità di classificare le varie cause delle obbligazioni, diverse dal contratto e dall’illecito, in modelli riconducibili a tali fonti, ed è mosso anche dalla consapevolezza che la quadripartizione del codice del 1865 che evocava le categorie del quasi-delitto e del quasi-contratto non avevano neanche solide basi storiche riconducibili al diritto romano classico.

Il legislatore, pertanto, abbandona quella quadripartizione e individua tre fonti: il contratto, il fatto illecito e ogni altro atto o fatto idoneo a produrle secondo l’orientamento giuridico, senza più richiamare la legge.

La legge viene richiamata sotto altre spoglie ossia mediante la locuzione “gli atti o fatti” idonei a produrre l’obbligazione secondo l’ordinamento giuridico.

Tale richiamo probabilmente serviva per dare spazio  anche a quelle norme che appartenevano all’ordinamento corporativo prive di un rango legislativo.

Oggi questa formula riveste una pregnante importanza volta a consentire l’individuazione di fatti generatori del rapporto obbligatorio tra i fondamenti normativi generatrici dell’obbligazione nonché tra i principi costituzionali quali: il principio di solidarietà, di correttezza e buona fede riletti in un’ottica costituzionalmente orientata.

Il presupposto di tale orientamento prende atto di tutte quelle circostanze che sebbene non formalmente predeterminate dalla legge come fonti dell’obbligazioni sono idonee a generare un’aspettativa di protezione e richiedono una maggior tutela.

Un primo strumento di attualizzazione della solidarietà avviene mediante la concettualizzazione della clausola di buona di fede, immolandola a norma primaria e precettiva, e la cui portata non va intesa soltanto nel momento di formazione del rapporto tra singoli, ma caratterizza e valorizza la fase esecutiva, interpretativa ma anche estintiva.

Sottrarre l’operatività della buona fede nella fase di estinzione è riduttivo e non appagante in funzione del contenuto di cui è espressione, ossia di un valore della persona.

Una interpretazione assiologica dell’ordinamento civile ai rigidi dettami costituzionali obbliga il giurista ad applicare la regola di buona fede nel momento dinamico di formazione del contratto, nel momento statico ma anche in quello estintivo.

Limitare la sua portata cogente con l’esclusione di quest’ultima fase riverbera un atteggiamento riduttivo, arbitrario e lesivo  della tutela della persona.

La peculiarità di tale principio, e la portata di assolutezza che lo connota, si evince nel vincolo posto all’interprete di considerare tale valore come garanzia di tutti i rapporti.

La solidarietà al più può essere suddivisa in obblighi positivi o obblighi negativi, operando a volte come obbligo di facere volto a imporre al singolo di attivarsi al fine di proteggere l’altro, e altre volte come obbligo di astensione dal lederlo.

Il rapporto che si instaura tra le parti, sia esso di natura contrattuale o soltanto fattuale, non deve essere limitato soltanto ad una sua sottoposizione ad un giudizio di conformità con la clausola di buona fede, nel momento formativo, esecutivo o interpretativo ma va valutato anche nella fase estintiva.

La clausola di buona fede impone obblighi di protezione che sono primari potendo operare in aggiunta ad un obbligo di prestazione qualora sussista un rapporto formale, oppure in via principale quando non vi è un obbligo di protezione.

Tuttavia l’estinzione di un rapporto non necessariamente deve intendersi come limite all’operatività di obblighi in ottemperanza alla buona fede, come spartiacque e linea di demarcazione tra gli obblighi positivi e obblighi di astensione.

Vi sono casi, nei quali si assiste a un declassamento del contratto a contatto sociale qualificato.

Quest’ultimo quale corollario applicativo del principio di atipicità delle fonti si basa sull’obbligo di protezione del soggetto, tenuto conto della qualità soggettiva che ricopre un soggetto qualificato e dell’affidamento ingenerato nell’altro.

Il declassamento del contratto a contatto è risibile nel licenziamento collettivo, quale causa estintiva del rapporto contrattuale ma allo stesso tempo come situazione di formazione di un rapporto di fatto tra le parti.

Non si può di certo ritenere che il datore di lavoro al termine del rapporto di lavoro sia un quisque de populo, sia per la sua qualifica soggettiva sia per l’affidamento ingenerato nel lavoratore.

Al fine di valorizzare il ruolo della persona nell’ordinamento giuridico si ritiene che in tali casi il rapporto fattuale sussistente tra il datore di lavoro e l’ex lavoratore, in seguito al licenziamento, sia tutelato mediante la disciplina applicabile alla formazione del contratto.

La clausola di buona fede obbliga il datore a comportarsi con lealtà poiché il rapporto intercorrente è ascrivibile ad un contatto sociale più che qualificato.

La normativa sul licenziamento collettivo è ispirata al principio di solidarietà e impone al datore di lavoro un obbligo di preferenza dei lavoratori licenziati in caso di nuova assunzione.

Tale fase, pertanto, obbliga il datore a comportarsi secondo buona anche nella fase successiva al licenziamento non essendo estinto tale obbligo neanche con il termine del rapporto di lavoro.

In questa particolare situazione le parti sono in una fase di contrattazione e proiettate, qualora il datore avesse i mezzi necessari e l’esigenza di assumere, alla conclusione di un nuovo contratto.

3.– Le parti nella fase precontrattuale sono portatori di un principio di autonomia contrattuale, proprio della logica mercantile dello scambio, conformato ai valori costituzionali e non suscettibile di essere inteso in senso assoluto, né può essere oggetto e strumento di abuso, bensì incontra l’esigenza di salvaguardare la solidarietà.

L’autonomia contrattuale conformata ai valori dell’ordinamento[8] impone alla parte un comportamento adeguato alla trattativa e deve essere volto a consentire all’altra, in ottica della reciprocità e solidarietà, di esercitare liberamente la sua autonomia privata.

L’attualizzazione dell’autonomia nel contratto perde la sua individualità e acquisisce le spoglie di un “plusvalore di carattere sociale e pubblicistico”[9] quale strumento idoneo alla valorizzazione della persona e alla sua formazione sociale.

Le logiche mercantili non sono espressione di una libertà economica assoluta ma sono subordinate al rispetto dei valori fondamentali garantiti sia dalla Grundnorm del 48’ sia dalle disposizioni sovranazionali.

Da ciò discende inevitabilmente un obbligo delle parti scaturente direttamente dalla buona fede e si estrinseca in un dovere di reciproca collaborazione, ove il debitore deve eseguire oltre alla prestazione principale anche quelle che sono strumentali e accessorie alla realizzazione dell’interesse creditorio.

Specularmente la posizione del creditore è permeata dal dovere di cooperazione al fine di agevolare l’adempimento del debitore e per evitare futili aggravi.

Il consolidamento dell’espansione della clausola di buona fede si coglie nella propensione rivalutativa della dottrina e della giurisprudenza conseguente alla rilettura dell’art. 2 Cost. in termini assiologici ed esaltanti la sensibilità degli istituti giuridici.

La buona fede è una locuzione dagli ampi confini, potenzialmente illimitata, dal significato non unitario, e si presenta di volta in volta caratterizzata da una certa eterogeneità nella pluralità degli istituti.

Per mezzo della buona fede è possibile recuperare nonostante “l’oggettivazione dello scambio e la spersonalizzazione dell’accordo”[10], una prospettiva di tutela della persona.

La buona fede è un contenitore, una clausola elastica, generale, idonea a ricomprendere un numero indefinito di comportamenti non tipizzabili preordinatamente in modo completo ed esaustivo[11] .

D’altronde la clausola è il frutto di una elaborazione preterintenzionalmente voluta elastica per consentire una flessibilità attuativa nella sua concreta applicazione.

Le parti devono conformare il proprio comportamento nel rispetto delle regole di lealtà, onestà e correttezza[12] che il codice impone all’art. 1175 c.c.

L’orientamento della giurisprudenza[13] è consolidato nel ritenere la clausola di buona fede quale cardine della disciplina legale delle obbligazioni, la cui violazione si ha sia quando la parte agisce con proposito doloso, sia quando il comportamento tenuto viola le regole non scritte improntate al rispetto dei canoni di diligenza, correttezza[14] e senso di solidarietà.

I soggetti sono tenuti a modellare il reciproco comportamento ai canoni di lealtà e probità al fine di soddisfare gli interessi propri e altrui[15] astenendosi dall’adottare qualsiasi condotta lesiva e sleale[16].

L’impostazione dogmatica sottesa riecheggia la condivisione della clausola di buona fede nella sua accezione precettiva e non di validità, sicché quale regola aurea[17] delle obbligazioni, va intesa come regola di condotta.

L’orientamento[18] volto a considerare il rispetto di tale canone quale presupposto di validità valorizza la lettura congiunta degli artt. 2 Cost. , 1175, 1322 c.c. dal quale si concepisce l’autonomia negoziale come strumento  mediante il quale si perseguono fini solidali, ai quali si aggiunge un controllo volto a vagliare la meritevolezza.

L’adesione a tale impostazione sottende la necessità che il contratto risulti idoneo alla produzione di un risultato conforme al giudizio di buona fede, e la violazione di tale regola inficia l’invalidità del contratto per contrasto all’art. 1418 comma 1, c.c.

Tuttavia, tale orientamento non trova condivisione nella giurisprudenza[19] che concepisce la regola di buona fede come regola di comportamento, idonea non solo a svolgere un ruolo di integrazione del contenuto contrattuale ma anche quale fonte di ulteriori obblighi.

L’ordinamento tutela anche la relazione, priva di fondamento contrattuale tra due soggetti, laddove l’uno faccia affidamento nell’adempimento di questi doveri di diligenza e buona fede in ragione delle qualità tecnico professionali[20] dell’altro.

Il rapporto posto in essere seppur esistente sul piano fattuale è idoneo a generare obblighi riconducibili nell’alveo di applicazione dell’art. 1173 c.c. quale connotato dall’atipicità delle fonti dell’obbligazione.

L’intuito di cogliere questa relazione fattuale è riconducibile all’elaborazione della culpa in contrahendo di Rudolf Von Jhering[21] volto a trarre dal sistema un rimedio a quella concezione propria della Willenstheorie, la quale negava la tutela risarcitoria a quelle ipotesi di invalidità contrattuale conseguenti all’errore colposo della parte, sull’assunto che in assenza di un contratto solo il dolo avrebbe legittimato una pretesa risarcitoria[22].

L’esigenza dell’autore si coglieva nella ricerca di uno strumento giuridico che potesse garantire una evasione dalla rigidità del sistema tedesco con l’obiettivo di accordare al singolo una tutela effettiva e aggirare un sistema della responsabilità civile prettamente enfatizzato dal sistema delittuale del diritto romano.

In realtà l’obiettivo era quello di sottrarre tale relazione dalla disciplina della responsabilità civile per inserirla nella responsabilità contrattuale quale conseguenza della violazione dei doveri di correttezza[23] e considerare la buona fede fonte di obblighi di protezione, per esaltare sul piano pratico la regola del Treu und Glabe, sancita all’art. 242 BGB.

In Italia il recepimento di questa impostazione dogmatica non è avvenuto senza ostacoli tra favorevoli[24] e contrari ma è stato tenuto in considerazione dal legislatore del ‘42[25] che ha tipizzato l’istituto della responsabilità precontrattuale negli artt. 1337 e 1338 c.c. lasciando aperto il dibattito circa l’effettiva natura della responsabilità.
Tali articoli, nel prevedere il generale rispetto del canone della buona fede, non forniscono una qualificazione della responsabilità e hanno generato dubbi sulla esatta ascrivibilità della stessa come delittuale, contrattuale, o del tertium genus.

L’orientamento tradizionale[26] ritiene che ogni accadimento relativo alla fase prenegoziale debba essere ricondotto al generale principio del neminem laedere e non debba trovare applicazione la disciplina dell’inadempimento dell’obbligazione, poiché non è idoneo a realizzare un rapporto obbligatorio, il quale postula la necessaria stipulazione del contratto.

Di conseguenza la responsabilità per illecito aquiliano si configura in tutti quei casi non rientranti nella fattispecie contrattuale e, pertanto, tutti gli illeciti commessi durante la fase della trattativa e prima della conclusione del contratto rientrerebbero nell’alveo dell’art. 2043 c.c.

Nella casistica giurisprudenziale la teoria del contatto sociale qualificato, seppur fondata nel campo della responsabilità precontrattuale, è stata condivisa in primis nel campo della responsabilità del sanitario, nella responsabilità dell’insegnante per autolesioni del minore, nella responsabilità del mediatore e soltanto recentemente[27] è stata applicata alla responsabilità ex artt. 1337 e 1338 c.c.

Tali articoli, nel prevedere il rispetto del canone della buona fede e non qualificando la responsabilità, hanno aperto alla ricostruzione dogmatica  del contatto sociale la quale impone la rilettura del sistema delle fonti ex art. 1173 c.c.[28]

Nella dogmatica ricorre di frequente l’accezione secondo cui il contatto sociale nasce da un’obbligazione senza obbligo di primario di prestazione.

Secondo una prima tesi si fa riferimento all’obbligazione accessoria di protezione e si afferma che dall’art. 1175 c.c. si evinca un obbligo secondario di protezione che impone al debitore di eseguire la prestazione con diligenza e con correttezza al fine di soddisfare l’interesse del creditore.

Si da atto che nelle relazioni di natura contrattuale l’obbligo primario di prestazione convive con l’obbligo secondario e accessorio di protezione e realizza in tal modo un rapporto complesso[29].  Difatti si fa riferimento alla distinzione tra contratto a favore di terzi e contratto con effetti protettivi verso il terzo[30] ove il terzo non è titolare di un diritto alla prestazione ma solo alla protezione.

Nelle relazioni di fatto tale obbligo di protezione è autonomo e non si inserisce in una struttura complessa comprensiva dell’obbligo di prestazione, ma scaturisce da un affidamento a tutela del quale una parte è tenuta nei confronti dell’altra.

Secondo un’altra tesi l’espressione obbligazione senza prestazione, invece, configura la mancanza di una preesistente prestazione.

In tal caso la cogenza del vincolo sussiste nel momento in cui il soggetto che non ha un obbligo di eseguire la prestazione da esecuzione alla stessa e, nel momento in cui inizia ad eseguirla, l’altro ha il diritto di pretendere che la porti a termine.

Pertanto la normale sequenza che vede l’obbligazione precedere la prestazione qui viene capovolta e la prestazione è ontologicamente preesistente, per questo si preferisce utilizzare la locuzione di “prestazione senza obbligazione” piuttosto che di “obbligazione senza prestazione”[31].

Si afferma che in queste obbligazioni che nascono da contatto la prestazione precede l’obbligazione, ossia il medico non è obbligato a curare ma se inizia ad eseguire la sua attività medica e inizia la prestazione nasce l’obbligazione e quindi il fatto che abbia iniziato a curare lo obbliga come se ci fosse un contratto.

Il codice del 42 pur essendo pre-costituzionale questa idea di protezione la prevede e, se si inizia ad eseguire la prestazione ingerendosi nella sfera dell’altro si diventa obbligati a portarla a termine.

Nella negotiorum gestio se il soggetto si ingerisce negli affari altrui ha un obbligo di portarla a termine e il gerito ben può avanzare pretese nei confronti di chi in presenza dei requisiti di cui all’art.2028 c.c. si è ingerito nella sua sfera giuridica.

Nella disciplina della formazione del contratto dove la prestazione inizia senza preventiva accettazione il soggetto che non accetta ma inizia l’esecuzione della prestazione conclude il contratto.

L’inizio dell’esecuzione fa nascere un obbligo di prestazione e il soggetto deve portarla a termine secondo il regime della responsabilità contrattuale.

Nel 1327 c.c. non c’è un’accettazione e ciò che rileva è il fatto oggettivo che l’oblato che riceve la proposta a prescindere dalla sua volontà inizia l’esecuzione, e tale inizio equivale all’ingerenza nella sfera altrui.

L’art. 1327 c.c. riassume un’esigenza protettiva e l’esecuzione senza accettazione configura un negozio unilaterale dove non c’è accettazione e si prescinde dalla sua volontà.

La teoria del contatto sociale qualificato apre un dibattito circa la sua ammissibilità nell’ordinamento italiano.

Tale teoria nasce nell’ordinamento tedesco con l’obiettivo di superare i limiti della tutela aquiliana propri di un sistema tipico dell’illecito aquiliano (art. 823 BGB) e da una disciplina particolare relativa alla responsabilità degli ausiliari[32].

Il sistema tedesco, infatti, non conosce una clausola generale del risarcimento del danno come quella del 2043 c.c. e la pretesa risarcitoria è subordinata alla lesione di un diritto assoluto o di un bene giuridico,  in conseguenza di un comportamento contrario a una previsione normativa e, infine, a fronte di un comportamento doloso contrario al buon costume.

Oggi in Germania la teoria del contatto sociale qualificato è stata quasi del tutto abbandonata e si rinviene soltanto nel settore della responsabilità precontrattuale (art. 311 BGB)[33] e in particolare nel contratto prenogoziale quale fonte di obblighi di protezione e di correttezza ancor prima che prenda avvio la trattativa.

Nel dibattito giurisprudenziale, invece, un arresto all’utilizzo della teoria del contatto sociale qualificato nel settore della responsabilità precontrattuale si è verificato nella recente pronuncia delle Sezioni Unite[34]     ove si fa riferimento al pre-preliminare e si ritiene che in caso di inadempimento l’unica conseguenza rilevante risulta essere una contrattualizzazione della responsabilità, in quanto dopo la conclusione del pre-preliminare la correttezza assurge ad una vera e propria obbligazione e la cui violazione viene sottratta alla disciplina della responsabilità aquiliana[35].

Tale orientamento presuppone, quindi, l’idea che in assenza di un pre-preliminare l’inosservanza dell’obbligo di correttezza nella fase della trattativa postuli la riconducibilità della responsabilità all’interno del neminem leadere, in contrasto con il precedente orientamento[36] volto a configurare la trattativa all’interno di una forma di contatto sociale qualificato.

Il sistema delle fonti delle obbligazioni non è bipartito: contratto e fatto illecito e ricomprende la tripartizione di Gaio tra contratto, torto e quasi contratto quale rapporto non contrattuale dal quale discendono degli obblighi di protezione, di informazione che ha ad oggetto un obbligo di prestazione primaria[37].

Gli elementi che qualificano tale contatto sono lo scopo volto al perseguimento di una finalità concreta, e l’affidamento di una parte sul rispetto dei doveri di diligenza dell’altra.

Nella fase precontrattuale lo scopo richiesto quale elemento costitutivo della teoria del contatto sociale consiste nel raggiungimento della conclusione contratto, e tale contatto in formazione genera un affidamento che è tanto maggiore quanto è seria la trattativa.

Nella formazione del contratto il principio di solidarietà manifesta la sua cogenza attraverso i suoi corollari applicativi: della buona fede, proporzionalità, reciprocità, obbligo di protezione e rispetto del principio di autodeterminazione negoziale.

La complessità e l’importanza di tale fase spiega il ruolo della responsabilità precontrattuale quale strumento per tutelare la libertà negoziale dei soggetti che entrano in contatto nella fase di formazione della loro volontà che si rafforza in modo sempre più crescente con l’evolversi della fase precontrattuale[38].

L’esercizio di tale libertà negoziale proiettata al contrarre genera un affidamento che la parte rimette nell’altra e questo evidenzia il ruolo della clausola di buona fede nella trattativa.

Il contatto sociale qualificato è pertanto l’esaltazione dei valori costituzionali nella fase precontrattuale e può ben affermarsi che la sua qualificazione è più che qualificata da un obbligo di legge: l’art. 1337 c.c.

La violazione degli obblighi precontrattuali: obbligo di informazione, correttezza, diligenza, lealtà, collaborazione, riservatezza e protezione sono la declinazione della clausola precettiva di buona fede.

Sul piano patologico l’eventuale inadempimento di tali obblighi che sorgono dal contatto sociale sono fonte di responsabilità da inadempimento dell’obbligazione ex art. 1218 c.c. e non tecnicamente da responsabilità contrattuale seppur la disciplina applicabile è la medesima, in quanto quest’ultima è la species del genus della responsabilità da inadempimento.

Infatti nelle obbligazioni da contatto ad essere contrattuale è soltanto la disciplina sul rapporto ma non la fonte che viene ricondotta all’art. 1173 c. 3. c.c. e per tale motivo non trova applicazione la disciplina relativa all’accordo, ma solo quella della responsabilità.                      

4. Il ruolo della solidarietà nelle relazioni sociali tra i consociati non può ridursi ad essere delimitato dai termini del contratto, e manifesta la sua cogenza prescindendo dal rapporto contrattuale o fattuale ingeneratosi tra i soggetti.

La precettività di tale valore arricchisce la clausola di buona fede la cui operatività non può essere arbitrariamente legata alla vigenza di un rapporto contrattuale e impone all’interprete di delineare i casi in cui dall’estinzione di un rapporto contrattuale si produce un risultato caducatorio e irreversibile tra le parti, le quali interrompono ogni collegamento e sono sottese al rispetto del solo principio del neminem leadere, da quei casi in cui l’estinzione non è totale, e impone viceversa alle parti di adempiere a quegli obblighi che traggono la fonte nella buona fede.

Con l’estinzione del contratto i soggetti, che già nella fase contrattuale avevano regolato i propri interessi e reciproci obblighi convenzionalmente determinati, non vanno considerarsi alla stregua di perfetti estranei.

L’estinzione del contratto può rappresentare il presupposto per il declassamento del contratto in contatto, e quindi si deve accertare se tutti gli effetti sussistenti nella vigenza del negozio si siano esauriti, o se invece la relazione tra le stesse abbia ingenerato un affidamento.

D’altronde l’ordinamento ammette l’ultrattività di un rapporto, basti pensare all’obbligo di mantenimento del coniuge successivamente al divorzio, dal quale cessano gli effetti civili del matrimonio,  o al caso della sorte dei lavoratori collettivamente licenziati.

Successivamente al rapporto di lavoro cessato, in conformità alla disciplina sul licenziamento collettivo, il lavoratore mantiene il diritto di preferenza nell’ipotesi che il suo ex datore di lavoro dovesse nuovamente avere la necessità di assumere.

Si evidenzia che tale disciplina è espressione di un principio di solidarietà volto a tutelare il lavoratore, proprio per la sua debolezza contrattuale e la ratio legis è quella di prendere atto delle difficoltà che possono caratterizzare la ricerca di una nuova assunzione nel mercato del lavoro.

In questa fase nel lavoratore si genera un legittimo affidamento sui doveri di correttezza e lealtà che gravano sul datore a cagione della sua qualità tecnico-professionale.

Il rapporto fattuale che si ingenera in tale ipotesi è ascrivibile al contatto sociale qualificato, la cui qualificazione è in tale caso ancora maggiore se si considera che è la stessa legge a prevedere una sorta di diritto alla prelazione c.d. repechage.

Il datore di lavoro è tenuto a realizzare l’interesse del lavoratore proiettato alla possibilità di stipulare un nuovo contratto di lavoro, e assistito da un legittimo affidamento ingenerato dall’obbligo di legge (art. 8 comma 1 L. 223/91) che prevede il diritto alla riassunzione nel caso in cui sussistano le condizioni per offrire il lavoro.

La buona fede è posta a presidio sia dell’aspettativa legittima della conclusione del contratto ma soprattutto della lealtà e correttezza del datore, la cui violazione è oggetto di risarcimento del danno sussumibile al modello della responsabilità precontrattuale da mancata stipulazione ex art. 1337 c.c.

Pertanto il ruolo della buona fede e i suoi corollari applicativi, quali gli obblighi di lealtà, reciprocità e correttezza, non si estinguono con la conclusione del contratto ma permangono, e si assiste ad un declassamento dal contratto al contatto, la cui fonte trae origine dall’art. 1173 c.3 c.c. e, in caso di inadempimento, la disciplina applicabile è riconducibile all’operatività dell’art. 1218 c.c.

La fase dell’estinzione del contratto non obbliga soltanto le parti a tenere un comportamento conforme all’obbligo di buona fede nel momento in cui si apprestano ad attivare le modalità convenzionalmente stabilite per la cessazione del contratto ma le obbliga anche successivamente alla conclusione.

Si deve cogliere che tra le parti viene ad instaurarsi un contatto molto intenso e il datore se senza un ragionevole motivo, e quindi ingiustificatamente, interrompe la trattativa, preferendo l’assunzione di un altro lavoratore, sacrifica arbitrariamente l’affidamento dell’ex lavoratore che legittimamente confida nel rispetto dell’obbligo di ripescaggio, quale espressione di un dovere di solidarietà al quale il datore non può sottrarsi.

Pertanto la violazione degli obblighi di legge imposto al datore di lavoro sono riconducibili alla violazione della clausola di buona fede precontrattuale in quanto si impedisce la stipulazione di un contratto, interrompendo l’aspettativa del lavoratore.

L’ingiustificata violazione degli obblighi di legge imposti dalla normativa sul licenziamento collettivo in spregio ai doveri di buona fede impone al datore l’obbligo di risarcire il lavoratore dell’interesse negativo, in quanto il recesso deve comunque essere esercitato in maniera da salvaguardare l’interesse dell’altra parte tenendo conto dell’apprezzabile sacrificio[39].

In tali casi il valore della persona nell’ordinamento si desume dall’ esigenza di solidarietà che si forma e trova una tutela non solo nel principio di astensione dalla lesione di un interesse altrui, ma anche mediante gli obblighi positivi che costituiscono il contenuto precettivo della clausola di buona fede, la cui operatività non può essere rimessa alla vigenza del rapporto contrattuale, ma che trova tutela anche nei casi riconducibili al cd. contatto sociale qualificato.

 

 

 

 

 


[1] F. FICHTE, citato da Xavier Lèon, in Le fondement rationel de l’idée de solidaritè, Essai d’une philosophie de la solidaritè, pag. 244; G. NICOLETTI, voce Solidarietà e personalismo, in Noviss. Dig. XVII, Torino, 1957, pag. 836; M.C. BLAIS, La solidarietà. Storia di un’idea, Milano, pag. 334.
[2] A. COMTE, Cours de phil.Positive, I, IV, lez. 48, Parigi, 1832; G. NICOLETTI, Op  cit. pag. 836.
[3] P. PIERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, pag. 175.
[4] A. FLAMINI, Responsabilità civile e costituzione, in Annali della Facoltà giuridica, 2, Camerino, 2013, pag. 15
[5] P. PIERLINGIERI, Op. cit., pag. 14.
[6] P. PIERLINGIERI, FEMIA, Nozioni introduttive e principi fondamentali del diritto civile, Napoli, 2004, pag. 72.
[7] P. BARILE,  Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova, 1953, pag. 148.
[8] E. CAPOBIANCO, Lezioni sul contratto, Torino, 2014, pagg. 131-132 afferma che “l’autonomia privata è dunque ab origine conformata e modulata dal legislatore. In questo senso, ragionare in termini di limitazioni all’autonomia, sarebbe, oltre che riduttivo, anche fuorviante, laddove limiti apparenti non vi siano. La dinamica dell’evoluzione normativa del diritto dei contratti induce a dubitare del fatto che sia ancora corretto parlare da un lato di libertà contrattuale e dall’altro di limitazioni…è più coerente pensare, quindi, ad una conformazione-modulazione dell’autonomia privata in base ai valori prevalenti nell’ordinamento. In questo senso nuova linfa riceve oggi il requisito della meritevolezza dell’atto di autonomia. Esso può oggi considerarsi il precipitato pratico dei valori pregnanti l’ordinamento complessivamente considerato. Valori che vanno attinti anche al di là del contesto nazionale di riferimento: in ambito europeo.
[9] E. CAPOBIANCO, Op. cit, pag. 6.
[10] M. PENNASILICO, Contratto e interpretazione, lineamenti di ermeneutica contrattuale, 2015, Torino, pag. 64. il quale afferma che il richiamo alla buona fede “consente di riequilibrare il rapporto tra tutela della persona e integrità del mercato, quali finalità che devono essere perseguite nell’esercizio dell’impresa…il primato riconosciuto alla persona dall’ordinamento costituzionale, la transizione dell’individualismo al personalismo che segna la modifica della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la valorizzazione della dignità umana e della dimensione sociale ed ecologica dell’economia di mercato, che connota i nuovi trattati europei, impongono, invece di porre al vertice della gerarchia dei valori la tutela della persona, considerando servente, rispetto a questa finalità, la tutela dell’integrità del mercato”.
[11] A. ZACCARIA, art. 1337 c.c. Commentario breve al codice civile, Milano, 2014, pag. 1439.
[12] F. GALGANO, Trattato di diritto civile, II, 2015, Padova, pag. 647
[13] Cass. 18 febbraio 1986, n. 960
[14] F. CARUSI, Correttezza (Obblighi di), in Enc. dir., X, Milano 1962, pag. 710
[15] G. ROMANO, Interessi del debitore e adempimento, pag. 87 secondo cui “molteplici ed eterogenee risultano, dunque, le attività che il creditore può essere chiamato a porre in essere alla fase attuativa del programma di cui consta l’obbligazione. Si tratta in larga parte di attività che con giudizio a posteriori potrebbero essere intese come specificazioni del comportamento improntato a buona fede e correttezza. La circostanza, tuttavia, che il legislatore abbia dedicato una disciplina ad hoc per particolari tipi di obbligazioni potrebbe offrire argomento per escludere l’imposizione al creditore di attività positive all’infuori di quelle espressamente previste. Tuttavia, l’orientamento dottrinale prevalente tende a riconoscere alla clausola generale di buona fede un’efficacia integrativa del rapporto obbligatorio, per lo meno con riguardo a taluni obblighi accessori”.
[16] E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni I, Milano, 1953, pag. 81.
[17] A. DI MAJO, Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Riv. Dir. Privato, 1984, pag. 553
[18] F. GALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, in Contratto e Impresa, 1997, pag. 423.
[19] Cass, Sez. Un. 19 settembre 2007, n. 26724
[20] A. CUCUZZA, in Manuale di diritto civile, a cura di G. CHINE’- M. FRATINI- A. ZOPPINI, Molfetta-Roma, 2016 pag. 786.
[21] R. VON JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadensersatz bei nichtigen oder nicht zur Perfection gelangten Vertragen, 1861.
[22] Si veda sul punto l’opera di VON SAVIGNY, System des heutigen Romischen Rechts, Berlino, 1840
[23] P. GALLO, Responsabilità precontrattuale: la fattispecie, in Obbligazioni e contratti, Riv. Dir. Civ. 2004,2, pag. 129.
[24] G. FAGGELLA, Dei periodi contrattuali e della loro vera ed esatta costruzione scientifica, in Studi Fadda, III, Napoli, 1906, pag. 271; P. GALLO, Op. cit.; L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità extracontrattuale, in Riv. Dir. Comm. 1956, II, pag. 362; F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, Padova, 1999, pag. 553;
[25]  D .RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, pag. 434.
[26] Sui profili della natura giuridica della responsabilità si veda: F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1966; P. GALLO, Contratto e buona fede, Roma, 2009; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv., a cura di ZATTI, Milano 2001; F. GALGANO, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. comm, Milano, 2002; F. BENATTI, Responsabilità precontrattuale, in Enc.Giur.Treccani, Roma, 1990; L. MENGONI, Op. cit.; C. SCOGNAMIGLIO, Responsabilità precontrattuale e “contatto sociale qualificato”, in Nuova Giur.civ.comm.II, 2016.
[27] Cass. 12 luglio 2016, n. 14188
[28] L.MENGONI, I principi generali del diritto e la scienza giuridica, in I principi generali del diritto, Roma, 1992, pag. 317
[29] H.STOLL- R.FAVALE-M.FEOLA, L’obbligazione come rapporto complesso, Torino, 2016
[30] G.VARANESE, Il contratto con effetti protettivi per i terzi, Napoli, 2004, pagg. 1-202; L.LAMBO, Obblighi di protezione, Padova, 2007; M.PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, in Rivista di Diritto Civile, 2001, pag.333; A.DI MAJO, La protezione del terzo tra contratto e torto, in Europa e diritto privato, 2000, pag. 6; C.CATRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in Jus 1976,I.II, pag. 123; C.CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano 2006;
[31] A. DI MAJO, Le tutele contrattuali, Torino, 2009
[32] In merito alla disciplina dell’inadempimento dell’obbligazione nell’ordinamento tedesco si veda H. STAUB, Die positiven Vertragsverletzungen und ihre Rechtsfolgen, in Festscher F. den XXVI Deutschen Juristentag, 1902; L.MENGONI, Obbligazioni di “risultato” e obbligazioni di “mezzo”, in Riv. Dir, Comm. I, 1954, pag. 305;
[33] H.STOLL- R.FAVALE- M.FEOLA, L’obbligazione come rapporto complesso, Torino, 2016, pag.110
[34] S.U. n. 12527 del 21.5.2018
[35] H.STOLL-R.FAVALE-M.FEOLA, Op. cit. pag.106
[36] Cass.civile sez.I sentenza del 12.7.2016 n. 14188
[37]C. CASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in scritti in onore di Mengoni, vol.I, Milano, 1995, pag. 197
[38] C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, pag. 423
[39] C. M. BIANCA, Op. cit. pag. 741

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