Interessi diffusi e legittimazione attiva degli enti esponenziali: Adunanza Plenaria 2020

Interessi diffusi e legittimazione attiva degli enti esponenziali: Adunanza Plenaria 2020

Nella società moderna, in virtù dell’art. 2 Cost., hanno trovato riconoscimento non solo gli interessi della persona come singolo, ma anche quelli che lo stesso vanta in virtù dell’appartenenza ad un gruppo, ovvero i c.d. interessi superindividuali.

All’interno di tale nozione sono state individuate due categorie: gli interessi collettivi e gli interessi diffusi.

Gli interessi collettivi sono interessi che fanno capo ad un ente esponenziale di un gruppo sociale organizzato ed individuabile, consistenti nella somma di una pluralità d’interessi omogenei espressione dei bisogni imputabili ad una singola e determinata collettività.

Di contro, gli interessi diffusi sono interessi privi di titolare, c.d adespoti, in quanto comuni a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente, consistenti nella sintesi di quegli stessi interessi individuali.

L’oggetto degli interessi diffusi  non è altro che il godimento di un bene non frazionabile e non suscettibile di divenire di proprietà del singolo, come l’ambiente, la sicurezza o la preservazione di un bene di rilevanza storico-artistica.

Astrattamente, gli interessi diffusi non sarebbero tutelabili nè in un procedimento amministrativo e nè in un processo amministrativo o ordinario.

Tuttavia, l’evoluzione della sensibilità sociale circa gli interessi comuni a più individui, sebbene non individuabili in capo ad un gruppo specifico, ha portato, prima la giurisprudenza e poi il legislatore, ha risolvere tale problematica distaccandosi da una visione meramente formale e dando prevalenza alla sostanza del fenomeno.

Per quel che concerne il procedimento amministrativo, l’art. 9 della legge n. 241 del 1990 pone fine ai dubbi circa la procedibilità degli interessi diffusi ammettendo l’intervento per i “portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati“.

Il problema della giustiziabilità, invece, viene risolto, a partire dagli anni ’70, dapprima soggettivizzando ed individualizzando solo alcuni degli interessi diffusi, ovvero quelli più meritevoli e corrispondenti a valori costituzionali, in capo ad enti esponenziali, di fatto facendogli acquisire natura di interessi collettivi ovvero di diritti soggettivi, dunque tutelabili di fronte al giudice amministrativo ovvero al giudice ordinario.

Il riconoscimento della titolarità degli interessi diffusi in capo ad un ente aveva come unico limite il possesso di alcuni requisiti giurisprudenzialmente individuati, ovvero l’effettiva rappresentatività, la finalità statutaria, la stabilità e non occasionalità, nonchè, in taluni casi, il collegamento con il territorio (Cons. Stato, V, 9.3.1973, n. 253; Cass., S.U., 8.5.1978, n. 2207; Cons. Stato, A.P., 19.11.1979, n. 24).

Successivamente, è intervenuto il legislatore riconoscendo gli interessi collettivi in materia ambientale e  la possibilità per le associazioni ambientaliste individuate in base all’art. 13 della legge n. 349 del 1986 (ossia quelle ricomprese in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro dell’Ambiente) di “intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi”, ai sensi dell’art. 18, comma 5, della legge n. 349 del 1986 (comma sopravvissuto all’abrogazione disposta dall’art. 318 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152).

Tale intervento legislativo ha suscitato un dibattito circa la generalità o esclusività della legittimazione ad agire:

– una parte di dottrina e giurisprudenza sostiene il principio del “doppio binario”, in base al quale l’iscrizione nell’elenco di cui all’art. 13 della legge 349/86 non determina un rigido automatismo circa la possibilità di rappresentare gli interessi diffusi c.d. soggettivizzati, potendo il giudice, all’esito di una verifica della concreta rappresentatività, ammettere all’esercizio dell’azione anche associazioni non iscritte in esso, ammettendo il c.d. associazionismo spontaneo. Tale soluzione è in linea con la garanzia costituzionale della libertà di associazione, ex art. 18 Cost. che impone di interpretare in senso ampliativo la possibilità per le associazioni di azionare la tutela degli interessi diffusi.In più, eliminando il vaglio del giudice circa l’effettiva rappresentatività dell’ente, si rischierebbe di rimettere alla discrezionalità del legislatore ordinario la tutela in giudizio di interessi di notevole peso e valore sociale (ambiente, salute o la stabilità dei mercati finanziari) che potrebbero essere protetti solo in forma associata, con evidente limitazione dell’effettività della tutela garantita dall’ art. 24 Cost.Dunque, si sostiene una vera e propria legittimazione generale, secondo la quale gli enti collettivi sono legittimati ad agire di fronte al giudice amministrativo, impugnando i provvedimenti che ritengono lesivi degli interessi diffusi della collettività della quale si configurano come ente esponenziale, quando, alternativamente: lo prevede espressamente la legge; rispettano i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza, costituiti dall’effettivo e non occasionale impegno a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, dall’esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come compito istituzionale dell’associazione, e dalla rispondenza del paventato pregiudizio agli interessi giuridici protetti posti al centro principale dell’attività dell’associazione.

– l’opposto orientamento ammette la legittimazione ad agire avverso i provvedimenti amministrativi ritenuti illegittimi solo per le associazioni presenti all’interno dell’ elenco, sostenendo una visione meramente formale e rigida della previsione legislativa. Tale posizione è stata da ultimo perorata dalla Sezione VI del Consiglio di Stato con sentenza del 21 luglio 2016 n.3303. Il fondamento di tale teoria risiede nella convinzione che gli interventi legislativi a tutela degli interessi legittimi collettivi dinanzi al giudice amministrativo siano stati emessi con il chiaro intento di rendere tassative le azioni, sia oggettivamente che soggettivamente. Ergo, si sostiene che la legittimazione degli enti esponenziali sia eccezionale e sussista nei soli casi espressamente previsti dalla legge.

A tal proposito, si è recentemente pronunciata l’Adunanza Plenaria che, con sentenza n. 6 del 20 febbraio 2020, risolve la seguente questione giuridica: se, alla luce dell’evoluzione ordinamentale, fermo il generale divieto di cui all’ art. 81 c.p.c., possa ancora sostenersi la sussistenza di una legittimazione generale degli enti esponenziali in ordine alla tutela degli interessi collettivi dinanzi al giudice amministrativo, o se sia piuttosto necessaria, a tali fini, una legittimazione straordinaria conferita dal legislatore.

L’Adunanza non è d’accordo con l’orientamento che sostiene la tassatività della legittimazione ad agire, sia dal punto di vista del tipo di azioni che del soggetto legittimato attivamente, e ne spiega i motivi.

In primis, riflette sul fondamento teorico della cd. collettivizzazione dell’interesse diffuso a mezzo della sua entificazione che risiede nella individuazione di interessi che, in ragione del carattere sociale e non esclusivo del godimento bene correlato a quell’ interesse, sono riferibili ad una collettività o a una categoria più o meno ampia di soggetti (fruitori dell’ambiente, consumatori, utenti, etc.) o in generale a una formazione sociale, senza alcuna differenziazione tra i singoli che quella collettività o categoria compongono.

Poi si sofferma sul carattere generale di tali interessi e, dunque, sulla loro rimessione alla cura della pubblica amministrazione che, per molti, risulta un limite alla personalizzazione degli stessi.

Tuttavia, l’Adunanza Plenaria chiarisce che gli stessi interessi generali possono essere soggettivamente riferibili, sia pur indistintamente, a formazioni sociali che si occupino di rappresentare gli effettivi e finali fruitori del bene comune della cui cura trattasi.

Quindi avremo: l’amministrazione che ha il dovere di curare l’interesse pubblico astratto e dunque gode di una situazione giuridica capace di incidere sulle collettività e sulle categorie, ovvero la potestà; le associazioni rappresentative delle collettività o delle categorie invece incarnano l’interesse sostanziale, ne sono fruitrici, e dunque la situazione giuridica della quale sono titolari è quella propria dell’interesse legittimo, id est, quella pertinente alla sfera soggettiva dell’associazione, correlata a un potere pubblico, che, sul versante processuale, si pone in senso strumentale ad ottenere tutela in ordine a beni della vita, toccati dal potere riconosciuto all’amministrazione.

A dimostrazione dell’esistenza di situazioni soggettive di natura diffusa e collettiva vi sono svariate disposizioni di legge: l’art. 2 del Codice del consumo (decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206) prevede che “sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa”; l’art. 4, co. 2 dello Statuto delle imprese (legge del 11 novembre 2011, n. 180) riconosce, alle associazioni di categoria maggiormente rappresentative ai diversi livelli territoriali, la legittimazione ad impugnare gli atti amministrativi “lesivi di interessi diffusi”; l’art.9 della legge sul procedimento amministrativo (legge n. 241/90) prevede che “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento”.

Dunque, l’Adunanza plenaria conclude affermando che l’intento dal legislatore, a fronte dell’esistenza di un diritto vivente che ha dato protezione giuridica ad interessi sostanziali diffusi, è stato semplicemente quello di riconoscere il rilievo dell’interesse diffuso, in linea con il ruolo che l’art. 2 Cost. assegna alle formazioni sociali, oltre che con la più attenta ed evoluta impostazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost.

In altre parole, l’introduzione della tutela degli interessi diffusi anche all’interno di disposizioni legislative non può essere letta in una chiave che si risolva nella diminuzione della tutela, così come accadrebbe se si sostenesse l’orientamento del principio di tassatività, oggettiva e soggettiva, della tutela giurisdizionale degli stessi.

Prosegue l’Adunanza, menzionando una critica a questo orientamento, ovvero quella fondata sul generale divieto di sostituzione processuale sancito nell’ art. 81 del Codice di procedura civile: a mente del quale “fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.

In merito, si diceva che la soggettivizzazione di un interesse diffuso in capo ad un ente esponenziale è frutto di una mera fictio iuris che non altera il connotato sostanziale del rapporto sottostante e non riesce, quindi, a superare il dato ontologico rappresentato dalla oggettiva alterità esistente tra la effettiva titolarità dell’interesse (il singolo) e il soggetto che lo fa valere (l’ente).

Dunque, non può ammettersi che tale fictio iuris si traduca in una forma di legittimazione processuale straordinaria e generalizzata, priva di base legislativa, in palese contrasto con la regola sancita dall’art. 81 c.p.c.

A tal proposito, l’Adunanza non ravvisa una fictio iuris bensì un giudizio di individuazione e selezione degli interessi da proteggere, in virtù del principio di meritevolezza, a seguito di una rigorosa verifica della rappresentatività del soggetto collettivo che ne vorrebbe promuovere la tutela.

In conclusione, l’Adunanza conferma l’indirizzo del c.d. doppio binario, sostiene la legittimazione ad agire generale per gli enti esponenziali, a prescindere da una disposizione legislativa in tal senso, purchè risultino in possesso dei requisiti che dimostrino l’effettiva idoneità a rappresentare gli interessi del caso, verificati in concreto dal giudice amministrativo.

Nonostante il ragionamento dell’Adunanza nasce e si sviluppa in riferimento all’ambito ambientale, la stessa ci tiene a sottolineare che il principio di diritto che ne scaturisce è applicabile in riferimento a tutti gli interessi diffusi suscettibili di essere ricondotti alla categoria degli interessi collettivi, dunque anche al settore consumeristico, come nel caso di specie.

A tal proposito, l’art. 32-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico della finanza) prevede testualmente che: “Le associazioni dei consumatori inserite nell’elenco di cui all’articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di gestione collettiva del risparmio, nelle forme previste dagli articoli 139 e 140 del predetto decreto legislativo”.

Dallo specifico riferimento alle “forme previste dagli articoli 139 e 140” deriverebbe – secondo la ricostruzione giurisprudenziale che sostiene il principio di tassatività – che le uniche azioni possibili sono quelle proponibili dinanzi al giudice ordinario, tese a: a) inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate” (così l’art. 140 cit.)

Dunque, mancherebbe, nell’ attuale ordinamento, una norma che abiliti le associazioni ad agire dinanzi al giudice amministrativo a mezzo dell’azione di annullamento.

L’Adunanza plenaria, applicando il ragionamento logico giuridico sviluppato nell’intero corpo della sentenza, chiarisce che la circostanza che il legislatore sia intervenuto espressamente a disciplinare, in ambito processual-civilistico, un caso di legittimazione straordinaria per la tutela di interessi collettivi non può leggersi come l’epilogo di un percorso di delimitazione soggettiva della legittimazione degli enti associativi nonchè oggettiva di tipizzazione delle azioni esperibili in ogni e qualsiasi altro ambito processuale, come, nello specifico, quello amministrativo.

Deve quindi ritenersi che un’associazione di utenti o consumatori, iscritta nello speciale elenco previsto dal codice del consumo oppure che sia munita dei requisiti individuati dalla giurisprudenza per riconoscere la legittimazione delle associazioni non iscritte, sia anche abilitata a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità.

La legittimazione, in altri termini, si ricava o dal riconoscimento del legislatore quale deriva dall’iscrizione negli speciali elenchi o dal possesso dei requisiti a tal fine individuati dalla giurisprudenza. Una volta “legittimata”, l’associazione è abilitata a esperire tutte le azioni eventualmente indicate nel disposto legislativo e comunque l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità.

Alla luce di quanto sino ad ora argomentato, l’Adunanza formula il seguente principio di diritto:

Gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso”.

L’Adunanza, in merito al caso di specie, dato che sembra esserci la compresenza di interessi individuali e collettivi, specifica ulteriori elementi per risolvere tale questione: se la sussistenza di interessi individualmente protetti, e quindi azionabili dagli interessati uti singuli, escluda di per sé la possibilità di una “personalizzazione” in capo all’ente di un interesse diffuso e la sua conseguente azionabilità quale interesse proprio di natura collettiva.

In proposito, l’Adunanza ritiene che quando si ravvisi una compresenza di interessi collettivi in capo all’ ente associativo e di interessi individuali azionabili singolarmente dagli interessati, questi coesistono.

Infatti, occorre distinguere: l’interesse del singolo, che resta individuale ed azionabile autonomamente, pur se plurisoggettivo; l’interessa dell’ente che sta facendo valere un interesse proprio di natura collettiva.

Tale accertamento non può che essere condotto alla luce dei seguenti punti fermi:

– l’interesse collettivo del quale si è occupata la giurisprudenza fin’ora è una “derivazione” dell’interesse diffuso per sua natura adespota, non una “posizione parallela” di un interesse legittimo comunque ascrivibile anche in capo ai singoli componenti della collettività (sul punto, Consiglio di Stato, Sez V, 12 marzo 2019, n. 1640).

– esso può considerarsi sussistente ove riferito a beni materiali o immateriali a fruizione collettiva e non esclusiva, tenendo comunque presente, in linea generale, che è pur possibile che un provvedimento amministrativo incida al contempo su interessi sia collettivi che individuali, ma che l’associazione è legittimata ad agire solo quando l’interesse collettivo possa dirsi effettivamente sussistente secondo la valutazione che ne fa il giudice;

– l’interesse collettivo è un interesse dell’ente e, per questo, si differenzia ontologicamente dall’interesse individuale eventualmente leso dall’esercizio del potere amministrativo, quindi non sarebbe ragionevole porsi anche il problema dell’omogeneità degli interessi legittimi individuali dei singoli;

E’ ben noto al Collegio quanto affermato da questa Adunanza plenaria con la decisione n. 9/2015, a mente della quale “E’, inoltre, indispensabile che l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 27 aprile 2015, n.2150)”.

Tuttavia, l’Adunanza specifica che l’omogeneità dell’interesse diffuso nella comunità o categoria rappresentata è infatti requisito sostanziale dell’interesse collettivo tutelato, inteso quale aggregazione di interessi diffusi oggettivamente assonanti secondo la valutazione che ne fa il giudicante.

Di contro, l’omogeneità non è requisito che debba riferirsi agli interessi legittimi individuali.

Volendo porre sul piano pratico tale ragionamento, lo stesso può tradursi nel senso che non è necessario che la tutela dell’interesse collettivo si traduca anche in un materiale ed effettivo vantaggio per tutti i singoli componenti della comunità o della categoria che, in relazione agli atti contestati, vantino un interesse individuale, concreto e qualificato.

Esemplificando, e con riferimento al caso di specie, se l’interesse collettivo incarnato dall’associazione è quello di tutelare i risparmiatori in presenza di vicende amministrative o normative che ne possano mettere in pericolo il relativo patrimonio, il requisito dell’omogeneità potrà escludersi solo se può ragionevolmente ipotizzarsi che nell’ ambito della categoria rappresentata, vi possano essere risparmiatori presso i quali è diffuso un interesse opposto.


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