La rinuncia al diritto del multiproprietario

La rinuncia al diritto del multiproprietario

Sommario: 1. Dalla proprietà alle proprietà: evoluzione storico-culturale e funzione economico-sociale del diritto di proprietà – 2. La multiproprietà: caratteristiche generali, tesi a confronto e fondamento giuridico – 2.1. La rinuncia del diritto del multiproprietario – 2.1.1. La rinuncia abdicativa ex art. 1104 c.c. è compatibile con la disciplina della multiproprietà?

 

1. Dalla proprietà alle proprietà: evoluzione storico-culturale e funzione economico-sociale del diritto di proprietà

Il diritto di proprietà con l’avvento del codice civile del 1942 è notevolmente mutato. Si è passati da una nozione di proprietà univoca, assoluta e inviolabile ad una moltiplicazione del concetto di proprietà in linea con il passaggio da una realtà statica, agricola e rurale basata sulla proprietà terrena antecedente al codice vigente ad una realtà dinamica, commerciale e basata sulla dematerializzazione della ricchezza.

Tale rivoluzione storico-culturale e di conseguenza giuridica ha conformato una nuova concezione del diritto in esame che si riverbera sulle sue caratteristiche che possono essere così sintetizzate: l’elasticità ovvero riducibilità in caso di diritti reali parziari, l’imprescrittibilità cioè in caso di non uso il diritto non si perde ad eccezione fatta nel caso di usucapione, e perpetuità salvo i casi di proprietà temporanea indicate dalla legge.

Si configurano così tante proprietà quanti sono i beni che la caratterizzano: proprietà terrena, industriale, di carattere culturale, archeologica, ambientale, paesaggistica. La legge quindi disciplina regole e limiti diversi che si modellano sulle caratteristiche delle categorie di appartenenza. Alle norme generali di cui agli artt. 833-838 c.c., il codice civile detta una specifica disciplina per la proprietà di beni storico-artistici art. 839 c.c., per la proprietà rurale ex art. 846 c.c. e per la proprietà edilizia art. 869 c.c. e ss., una disciplina che viene inoltre approfondita da leggi urbanistiche e di settore come in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali e storici.

E’ rinvenibile quindi una natura ambivalente del diritto in esame, che accorpa una veste formale di stampo privatistico con un’essenza pubblicistica. Tale dicotomia comporta una specificazione delle proprietà in relazione al bene in esame con caratteristiche e discipline molto diverse fra loro e di non facile individualizzazione.

Mentre a livello convenzionale tale diritto è disciplinato all’art. 1 Prot. 1 Cedu come diritto fondamentale della persona umana e a livello unionale all’art. 17 Carta di Nizza come diritto dell’individuo, nel nostro ordinamento a livello Costituzionale tale diritto è disciplinato dall’art. 42 all’interno dei rapporti economici, quindi non viene considerato né fra i diritti fondamentali, né fra i diritti inviolabili dell’uomo ed ha come scopo quello di assicurare la funzione economico-sociale e di renderla accessibile a tutti.

Proprio in ordine alla funzione economico-sociale della proprietà sono sorte diverse interpretazioni: una prima ricostruzione di matrice cattolica, la considera come divieto assoluto di abuso del diritto riconducibile al divieto di atti emulativi ex art. 833 c.c.; una seconda ricostruzione di stampo laico, adotta l’impostazione francese secondo cui è l’ordinamento che a monte attribuisce al titolare diritti e facoltà; altra tesi di stampo marxista la considera come prevalenza dell’interesse collettivo su quello privato; infine la tesi più moderna frutto delle considerazioni summenzionate, impone una concezione pluralistica della proprietà dove convergono istanze di diritto pubblico e privato.

Al di là della impostazione accolta la nuova nozione di proprietà intesa quale funzione economico-sociale racchiude tre principali limiti: un limite negativo inteso come divieto di intromissione nell’altrui sfera giuridica, un limite passivo inteso come obbligo di limitazione o estinzione del proprio diritto nei casi contemplati dal legislatore, ed un limite positivo inteso come obbligo di fare nei casi espressamente stabiliti dalla legge.

Tale funzione sociale quindi inserisce il diritto in esame all’interno di una prospettiva unionale, solidaristica e di protezione altruistica che fa sorgere nuove proprietà, fra le quali rientra la multiproprietà e le connesse problematiche sulla rinuncia alla stessa oggetto della presente disamina.

2. La multiproprietà: caratteristiche generali, tesi a confronto e fondamento giuridico

La multiproprietà nasce a seguito delle sempre maggiore tendenza dei ceti agiati alla vacanza ed al conseguente sfruttamento del patrimonio immobiliare esistente. Si tratta di un istituto già conosciuto in Inghilterra agli inizi del ‘900 e in Francia nella seconda meta del XX secolo.

La multiproprietà è un contratto di godimento a tempo parziale di un bene con il quale il fornitore cede verso corrispettivo, al consumatore il diritto di utilizzare periodicamente uno o più beni per un determinato arco temporale. Nella multiproprietà un bene costituisce l’oggetto di più diritti dello stesso contenuto di cui sono titolari più soggetti. La caratteristica della multiproprietà consiste quindi nel godimento turnario del bene.

E’ possibile distinguere tre tipi di multiproprietà: quella immobiliare che ha ad oggetto un bene immobile, quella azionaria dove il titolare dell’immobile è un soggetto giuridico che attribuisce ai soci il diritto al godimento di azioni privilegiate, e infine un terzo modello la multiproprietà alberghiera che ha ad oggetto una unità predeterminata solo nel genere.

In relazione al diritto in esame sorge il problema relativo alla natura giuridica che di conseguenza influisce sulla disciplina relativa alla rinuncia allo stesso.

Secondo parte della dottrina si tratterebbe di un’autonoma figura di diritto reale atipico, ma a tale tesi si obietta la violazione del principio generale del numerus clausus dei diritti reali.

Secondo altra impostazione si tratterebbe di uno schema riconducibile alla comunione, in quanto anche in quest’ultimo caso è possibile regolamentare un uso turnario del bene, ma contro tale ricostruzione si pongono d’ostacolo l’immodificabilità del bene oggetto della multiproprietà e la non espansione della quota nel caso di rinuncia di uno dei partecipanti.

La tesi prevalente configura il titolare di una porzione del diritto di multiproprietà come diritto di proprietà su una cosa delimitata nello spazio e nel tempo, al contrario di quella “ordinaria” che ha ad oggetto un bene individuato solo spazialmente. Anche a tale orientamento si è obiettato che la multiproprietà sarebbe una forma di proprietà “atipica” in quanto fortemente limitata e non caratterizzata dalla assolutezza e dalla perpetuità, caratteristiche concernenti invece il dominio. Mentre effettivamente alla multiproprietà è vietato apportare modifiche sia all’interno che all’esterno dell’immobile, riguardo le critiche in ordine alla perpetuità si è rilevato che il vincolo temporale riguarda solo il singolo godimento della res.

E’ possibile quindi considerare la multiproprietà come una nuova posizione giuridica soggettiva, che diverge non solo dalla proprietà ma anche dalle altre forme di contitolarità come la comunione e il condominio, in quanto sussistono sia l’aspetto reale relativo nella perpetuità ed opponibilità del bene che l’assenza di un potere da parte del multiproprietario della gestione del bene.

La multiproprietà è contenuta negli artt. 69 e ss. del Codice del Consumo novellati dal D.Lgs. 79/2011, pertanto anche la critica in ordine alla violazione del numerus clausus sarebbe superata a favore della espressa violazione di legge e non dunque frutto della mera autonomia privata.

Oltre al diritto al pieno godimento del bene limitato nel tempo e nel rispetto della destinazione d’uso e del diritto degli altri titolari al godimento turnario, il multiproprietario può cedere tale diritto sia per atto inter vivos che mortis causa, viene escluso come già accennato il diritto di gestione del bene. Se si tratta di un bene immobile all’interno dell’edificio o di un complesso residenziale, i titolari del diritto di multiproprietà saranno anche condomini rispetto alle parti comuni dell’edificio.

Effettuate le dovute premesse contenutistiche e problematiche giuridiche, è adesso possibile soffermarsi sulla rinuncia del diritto del multiproprietario.

2.1. La rinuncia del diritto del multiproprietario

E’ utile evidenziare che non vi sono molte pronunce giurisprudenziali in merito se non quelle che verranno evidenziate in seguito e che dottrina e giurisprudenza non hanno una visione unanime in quanto partono da un diversa impostazione sulla natura giuridica del diritto in esame.

Autorevole dottrina  considera infatti la multiproprietà rientrante all’interno della comproprietà, quindi si applicheranno le relative regole anche in tema di rinuncia abdicativa ex art. 1401 c.c. Nello specifico secondo impostazione l’effetto della rinuncia alla multiproprietà non comporterebbe l’attribuzione del diritto a cui si è rinunciato allo Stato ex art. 827 c.c. in quanto si verificherebbe solo nel caso in cui il proprietario sia unico, ma comporterà l’espansione delle quote degli altri titolari e cioè l’accrescimento a favore di quest’ultimi.

Gli altri multiproprietari inoltre non potranno opporsi agli effetti dell’accrescimento, ma solo eventualmente rinunciare a loro volta alla quota. La rinuncia alla multiproprietà si realizzerebbe attraverso un atto notarile soggetto a trascrizione nei registri immobiliari.

Infine tale rinuncia ai sensi dell’art. 1401 c.c. è di tipo liberatorio ovvero libera il titolare dagli obblighi di sostenere le spese per la conservazione e il godimento non solo future ma anche precedenti all’atto della rinuncia, da qui la necessità della trascrizione per rendere l’atto conoscibile e quindi opponibile ai terzi. La rinuncia abdicativa summenzionata è infatti un istituto non recettizio, ovvero si perfeziona a prescindere dalla conoscenza del destinatario.

Questa tesi sulla multiproprietà quale comproprietà e quindi passibile di rinuncia abdicativa ex art. 1401 c.c. non è stata però condivisa dalla più recente giurisprudenza che si è comunque raramente occupata della questione.

La Corte  Suprema di Cassazione prima nel 2010 e più di recente nel 2018, ha ritenuto che in tema di multiproprietà si debba far riferimento alle norme sulla comunione e, relativamente ai servizi e alle parti comuni sul condominio. La riforma dell’art. 1117 c.c. ha infatti esteso alla multiproprietà la disciplina sulle parti comuni del condominio. Le peculiarità della multiproprietà impediscono però che si possano applicare totalmente le norme citate. Le diversità tra comunione e multiproprietà infatti ostano all’estensione normativa della prima nei confronti della seconda.

Nello specifico, infatti la comunione prevede il godimento contemporaneo di comproprietario sul medesimo bene, mentre nella multiproprietà il godimento è necessariamente turnario in quanto pieno ed esclusivo solo per un tempo limitato. Inoltre nella comunione vi è la contitolarità della stessa situazione giuridica sullo stesso bene, invece nella multiproprietà le situazioni giuridiche soggettive sono autonome e separate.

Infine nella comunione a norma dell’art. 1111 c.c. è possibile chiederne in qualsiasi momento lo scioglimento, con l’obbligo massimo di rimanere in comunione per 10 anni, al contrario nella multiproprietà è vietato procedere allo scioglimento, pena la modifica della destinazione del bene.

La differenza fra i due istituti è ontologica, nel primo caso il legislatore favorisce lo scioglimento, nel secondo lo vieta, emerge pertanto che l’indivisibilità perpetua della multiproprietà sia incompatibile con l’istituto della comunione.

2.1.1. La rinuncia abdicativa ex art. 1104 c.c. è compatibile con la disciplina della multiproprietà?

Le differenze suesposte sono di notevole rilevanza fra le due discipline, in quanto comportano che sebbene alcune norme sulla comunione siano applicabili alla multiproprietà, bisogna verificare caso per caso se le stesse siano compatibili con la ratio di quest’ultimo istituto.

E’ il caso infatti, ai fini della tematica oggetto di traccia e in virtù delle considerazioni suesposte, verificare se l’applicazione dell’art. 1104 c.c. sia compatibile con la multiproprietà. Tale disposizione vigente in materia di comunione differisce da quella sul condominio di cui all’art. 1118 c.c. a norma del quale il condomino non può rinunciare al suo diritto sulle parti comuni, ed ha l’obbligo di contribuire alle relative spese. Come evidenziato sia la Corte di legittimità che l’art. 1117 c.c. prevedono che per le parti comuni si applichino alla multiproprietà le norme sul condominio e non quelle sulla comunione. Da tale considerazione emergerebbe pertanto, secondo questa differente impostazione l’inapplicabilità dell’art. 1104 c.c. alla multiproprietà, tale assunto sarebbe inoltre avvalorato anche da ulteriori considerazioni.

Prima di tutto perché se la multiproprietà ha ad oggetto il godimento turnario del bene, la rinuncia da parte di un multiproprietario non potrebbe comportare l’effetto dell’accrescimento nei confronti degli altri titolari, che continuerebbero a godere del bene solo per il loro turno prestabilito, senza alcun incremento.

In secondo luogo è stato affermato da autorevole dottrina che al principio dell’irrinunciabilità dei diritti reali, fanno eccezione quelle situazioni in cui risultano individuabili dei profili obbligatori che in quanto tali non possono essere dismessi se non nei casi espressamente previsti dalla legge e ancor meno senza il consenso altrui. Tale considerazione collide con la natura giuridica della rinuncia abdicativa che infatti come evidenziato non ha carattere recettizio.

 Dunque posto che la ratio dell’art. 1104 c.c. è quella di dismettere un determinato diritto, esso non può trovare adito all’interno di una logica di scambio insita nella multiproprietà, che nasce e si evolve sulla base di un rapporto di tipo consensualistico fra i multiproprietari che non può essere unilateralmente reciso.

Inoltre l’inapplicabilità della rinuncia abdicativa emergerebbe anche dalla considerazione che oggetto del diritto di proprietà è un diritto reale pieno, perpetuo ed esclusivo anche se relativo allo specifico arco temporale prestabilito, e se si ritenesse ammissibile l’applicabilità dell’art. 1104 c.c. verrebbe meno l’essenza del vincolo stesso che unisce i diritti del godimento turnario del bene e gli obblighi dei multiproprietari di partecipare alle spese, alla conservazione, alla manutenzione e alla gestione dei servizi oggetto della cosa.

In base alla seconda ricostruzione, di stampo giurisprudenziale, si esclude quindi che si possa applicare la rinunzia abdicativa alla multiproprietà, in quanto non sarebbe possibile liberarsi di un’obbligazione esistente rinunciando al proprio diritto e trasferendo le proprie obbligazioni a terzi. Gli altri multiproprietari infatti rimarrebbero solo gravati dagli oneri a seguito della rinuncia, senza il maggior godimento del bene.

E’ inoltre stata avanzata la possibilità di ovviare a tale rimedio mediante una nuova rinuncia abdicativa con trasferimento del bene allo Stato.

Quindi la problematica concerne la possibilità da parte dei multiproprietari, a fronte di un bene che comporti solo oneri e costi o comunque per la maggior parte, di potervi rinunciare così da gravare il peso sullo Stato.

Per risolvere tale quesito è stato chiesto l’intervento dell’Avvocatura dello Stato che nel 2017 ha dato parere negativo. Si è affermato infatti che anche se il proprietario ha diritto a rinunciare al proprio diritto dominicale, esistono comunque dei limiti alla stesso che devono essere valutati in relazione alle ragioni sottese alla volontà del privato di spogliarsi del bene. La volontà del privato non deve infatti essere mossa da meri scopi egoistici e finalizzata al conseguimento di un illecito vantaggio ai danni dello Stato che graverebbe quindi poi sui contribuenti. In tal caso la causa del negozio abdicativo sarebbe illecita ex art. 1343 c.c. e di conseguenza comporterebbe la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418, secondo comma, c.c.

Tale rinuncia finirebbe per configurare un’ipotesi di negozio in frode alla legge ex art. 1344 c.c. in quanto sarebbe volto a conseguire un interesse contrario alla legge e quindi al fine di eludere norme imperative.

Tale atto di rinuncia sarebbe anche contrario all’art. 1345 c.c. in quanto sarebbe determinato da un motivo illecito.

La rinuncia alla multiproprietà immobiliare, secondo l’Avvocatura dello Stato, risulterebbe giustificata solo laddove non sia mossa da meri scopi egoistici ed utilitaristici.

Si potrebbe prospettare tanto nell’ipotesi della rinuncia del singolo multiproprietario di cui sopra, che nell’ultimo caso evidenziato e cioè della rinuncia di tutti i multiproprietari il divieto di abuso del diritto ex artt. 833, 1175 e 1375 c.c., divieto ormai espressamente consacrato anche a livello convenzionale all’art .17 Cedu e unionale all’art. 54 Carta di Nizza. Il divieto di abuso del diritto è infatti pacificamente inteso come uno uso disfunzionale da parte del titolare del proprio diritto, quindi come una divergenza tra l’utilizzo da parte del privato e lo scopo per il quale l’ordinamento conferisce tutela.

Nel primo caso infatti il multiproprietario rinuncerebbe al proprio diritto unilateralmente con il solo fine di “scaricare” oneri e costi sugli altri titolari, nel secondo invece il medesimo abuso si verificherebbe ai danni dello Stato.


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