Le società miste e le società in “house providing”: l’attuale quadro normativo

Le società miste e le società in “house providing”: l’attuale quadro normativo

Sommario: 1. Premessa – 2. Le società miste nella normativa precedente la legge delega 7 agosto 2015, n. 124 – 3.  Le norme attuali e la riforma Madia – 4.  Le Società in “house providing” – 5. Conclusioni

 

1. Premessa

Al fine di comprendere l’attuale quadro normativo in materia di Servizi pubblici locali di rilevanza economica è necessario ripercorrere in maniera sintetica le principali norme che disciplinavano la materia, successivamente abrogate con Decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n.  113, a seguito di referendum popolare.

2. Le società miste nella normativa precedente la legge delega 7 agosto 2015, n. 124

La materia dei “servizi pubblici locali a rilevanza economica” – la cui disciplina era precedentemente contenuta nell’art. 113 del Testo Unico sulla legislazione degli enti locali e nella legislazione di settore – era stata definita dall’articolo 23 bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133.

L’articolo 23 bis, composto di dodici commi, racchiudeva disposizioni aventi lo scopo,  delineato al comma 1, “di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione”.

L’importanza della normativa in commento era testimoniata dal fatto che le relative disposizioni “si applicavano a tutti i servizi pubblici locali e prevalevano sulle relative discipline di settore con esse incompatibili”.

Con l’art. 23 bis, si passava, da un’ottica integrativa ad un’ottica di prevalenza della norma generale su quella settoriale e, sul piano dell’ambito di estensione, da situazioni di esclusione di taluni settori ad una chiara compenetrazione dei principi generali recati dalla riforma che interessano “tutti i servizi pubblici locali”.

Perplessità potevano essere mosse in merito al riparto di competenza tra Stato e Regioni per la disciplina della materia che tale disposizione era destinata a produrre.

Infatti, sebbene il legislatore invocasse espressamente il principio costituzionale della sussidiarietà per garantire la tutela degli utenti dei servizi pubblici locali tuttavia era proprio da questo assioma costituzionale che tale principio, pur comparendo tra i principi costituzionali che presiedevano all’affidamento e gestione dei servizi pubblici locali, appariva violato dalla norma in quanto il legislatore sanciva la prevalenza dell’art. 23 bis – di natura statale – rispetto alle norme di settore con essa incompatibili ed, al contempo, stabiliva che gran parte delle norme di settore avevano origine regionale.

Era, pertanto, necessaria una profonda revisione della normativa in questione e per i suddetti motivi è stata emanata la Legge 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche che contiene 14 importanti deleghe legislative tra cui quella in materia di  razionalizzazione e controllo delle società partecipate.

3. Le norme attuali e la riforma Madia

Come sopra accennato con il referendum del 2011 riguardante la privatizzazione del servizio idrico, è emersa una chiara posizione degli elettori contraria alle disposizioni dell’art. 23 bis del Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133) che, come abbiamo visto prevedeva, una limitazione delle gestioni pubbliche favorendo un’apertura obbligatoria agli operatori privati.

Allo stato attuale, anche in esecuzione della sentenza n. 251 del 2016 della Corte Costituzionale, le Società a partecipazione mista pubblico-privata, sono disciplinate dal decreto legislativo n. 175/2016 così come integrato dal d.lgs. 100/2016, ponendo fine al vuoto normativo che si era venuto a creare.

Le nuove norme stabilite dal Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 175, sulle società a partecipazione pubblica devono essere viste anche alla luce del Decreto Legislativo n. 50/2016 [1]sugli appalti e contratti pubblici.

Il nuovo contesto normativo ha posto ordine parziale sulla materia emanando norme precise di controllo sulla razionalizzazione delle società partecipate e sulla scelta dell’ente locale, e ponendo limitazioni all’iniziativa economica privata. Un ruolo significativo viene assunto dalla Corte dei Conti (art. 20), che deve verificare i relativi piani sottoposti dagli enti locali con un’apposita relazione tecnica.

Con questo decreto è stata ammessa la possibilità per le società partecipate dai Comuni, in possesso di determinati requisiti (bilanci attivi e che producono servizi di interesse economico generale), nel caso di servizi pubblici locali di rilevanza economica, di partecipare alle gare anche fuori dall’ambito territoriale di riferimento.

Il decreto fissa poi determinate scadenze per l’approvazione, dei piani di razionalizzazione straordinaria (30 settembre 2017) delle partecipazioni possedute, per l’adeguamento degli Statuti delle società controllate (31 luglio 2017) per la ricognizione del personale in servizio (30 settembre 2017) per adeguare la quota minima di partecipazione del socio privato per le società miste (31 dicembre 2017), per assumere personale a tempo indeterminato (30 giugno 2018). Con la norma in esame è stato anche abrogato l’obbligo di fornire motivazioni sulla costituzione di una società a partecipazione pubblica e sull’eventuale destinazione alternativa delle risorse impegnate.

L’articolo 4 del suddetto decreto al comma 1 stabilisce che “Le Amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società” e che  le stesse possono costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società, in modo diretto o indiretto solo al fine di svolgere le attività elencate al comma 2 e riguardanti ad esempio la produzione di servizi di interesse generale come definiti all’articolo 1 dello stesso decreto, la realizzazione di opere pubbliche o, ancora, la gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato come previsto dall’articolo 180 del Decreto Legislativo n. 50 del 2016.

L’art. 17, sulle società a partecipazione mista pubblico-privata, stabilisce che la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento e  che la procedura di selezione pubblica dello stesso dev’essere svolta nel rispetto dell’art. 5, comma 9, del Decreto Legislativo n. 50 del 2016, e “ha ad oggetto, al contempo la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista”. I commi 2-5 del medesimo articolo, prevedono i requisiti che devono essere posseduti dal socio privato e la documentazione che dev’essere allegata all’avviso pubblico (bozza dello statuto e degli eventuali accordi parasociali, gli elementi essenziali del contratto di servizio e dei disciplinari e regolamenti di esecuzione).

Il bando di gara deve precisare l’oggetto dell’affidamento, i requisiti di qualificazione (generali, speciali, tecnico ed economico-finanziari) dei partecipanti e i criteri di aggiudicazione per garantire che la valutazione delle offerte avvenga “in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’amministrazione pubblica che ha indetto la procedura”.

Da sottolineare il fatto che la durata della società non può superare quella dell’appalto e della concessione per l’affidamento e l’esecuzione.

Lo statuto delle suddette società deve prevedere meccanismi idonei per lo scioglimento del rapporto societario nel caso ci sia la risoluzione del contratto di servizio.

Il comma 4 disciplina il contenuto degli statuti e prevede anche alcune deroghe al codice civile in materia di controllo interno del socio pubblico sulla gestione dell’impresa (artt. 2380-bis e 2409-novies c. c.) deroghe all’art. 2479, comma 1, c.c. per l’attribuzione di particolari diritti (art. 2468, comma 3, c.c.) e all’art. 2479, comma 1, c.c. per eliminare o limitare la competenza dei soci.

Alle società per azioni è consentita l’emissione di speciali categorie di azioni anche con prestazioni accessorie da assegnare al socio privato; i patti parasociali, in deroga all’art. 2341-bis, comma 1, c.c. possono avere una durata superiore a cinque anni sempre entro i limiti previsti dal contratto.

La norma stabilisce, inoltre, che alle società disciplinate dall’articolo in argomento e che non siano organismi di diritto pubblico, non si applicano le disposizioni del decreto legislativo n. 50 del 2016, se ricorrono determinate condizioni.[2]

Al fine di “ottimizzare” la realizzazione e la gestione di più opere e servizi, anche contestuali, lo statuto può prevedere che la società può emettere azioni correlate all’art. 2350, comma 2, c.c. o costituire patrimoni destinati o essere assoggettata a direzione o coordinamento da parte di un’altra società.

L’art. 18 stabilisce particolari modalità per la quotazione di società a controllo pubblico in mercati regolamentati. e l’art. 8 introduce norme per le operazioni di acquisto di partecipazioni in società già costituite.

Da quanto sopra riportato si evince il ruolo centrale che continuano ad avere le società miste che, pur essendo soggette a numerosi vincoli normativi, continuano ad essere considerate uno strumento valido sia per le imprese private che per gli Enti locali.

Le società miste potrebbero da un lato limitare gli svantaggi dovuti ad una gestione solo privata o solo pubblica e consentire dall’altro il raggiungimento degli obiettivi propri dell’Ente pubblico ma con strumenti di gestione più snelli che garantiscono altresì il reperimento di risorse economiche.

In altre parole, le società miste, potrebbero racchiudere i vantaggi della presenza pubblicistica per quanto riguarda la forza e la capacità contrattuale mentre la presenza della componente privatistica potrebbe, tra l’altro, assicurare maggiori investimenti e una gestione più flessibile seppure nel rispetto di determinate regole.

Nelle suddette società il privato operatore economico oltre a conferire capitali e altri beni, partecipa attivamente all’esecuzione e alla gestione delle attività, adotta atti di indirizzo attraverso gli obiettivi individuati nei piani industriali da realizzare e disposizioni statutarie riguardanti la regolazione dei rapporti societari interni e quelli con terzi.

Il socio pubblico ha unicamente il ruolo di controllore dell’operato della società ma non partecipa alla funzione di indirizzo per il piano industriale, in quanto socio destinatario della disciplina della società stessa, con l’obiettivo di tutelare gli interessi pubblici e rispettare il regime di concorrenza.

La necessità di coinvolgere il privato, scelto con procedure di evidenza pubblica, nelle società miste e nel partenariato istituzionalizzato trova la sua logica nella necessità per gli enti pubblici di reperire le risorse necessarie (capitali, innovazioni tecnologiche e organizzative) per erogare il servizio pubblico.

Si viene così a creare una collaborazione tra due soggetti, uno pubblico e uno privato, attraverso la costituzione di una nuova entità giuridica, detenuta da entrambi, al fine di erogare un servizio pubblico di cui beneficerà l’intera collettività.

4. Le Società in house providing

Da diversi anni il legislatore si è preoccupato di disciplinare l’istituto dell’in house providing, intesa come ipotesi eccezionale, attraverso cui un ente soggetto in linea generale alla disciplina in materia di contratti pubblici, può non applicare detta normativa in caso di affidamenti ad un soggetto con requisiti tali da poter essere assimilato ad un’articolazione interna dell’Amministrazione affidante.

Il temine in house providing è stato utilizzato per la prima volta in sede comunitaria nel Libro Bianco Libro COM (98) 143[3]  ed una adeguata regolamentazione era già contenuta nell’art. 113 comma 5 lett. C) del TUEL, nell’ambito del quale era stato strutturato in modo da porsi in conformità al diritto comunitario[4].

La Comunità Europea, come noto, aveva già affrontato la questione della compatibilità dell’affidamento in house con le norme ed i principi comunitari, ed in particolare con il principio di concorrenza, ed aveva risolto tale questione mediante l’elaborazione di una serie di requisiti che tale tipologia di affidamento avrebbe dovuto possedere perché possa essere adottata senza sollevare questioni di legittimità dal punto di vista del diritto comunitario.

Infatti, l’in house – caratterizzato dal fatto di essere l’unica forma di affidamento ad avvenire in modo diretto – affinché potesse configurarsi come forma di affidamento conforme al diritto comunitario e  sottrarsi dall’essere impiegata quale strumento per aggirare le norme comunitarie in materia di appalti, avrebbe dovuto possedere tre fondamentali requisiti – elaborati dalla giurisprudenza comunitaria – che sono in particolare: la proprietà interamente pubblica del soggetto; il controllo del soggetto  che dev’essere analogo a quello esercitato dalla amministrazione aggiudicatrice sui propri servizi;                       l’attività svolta dal soggetto deve essere, nella parte più importante, rivolta nei confronti dell’ente che lo controlla .

Il diritto comunitario, pertanto, aveva già posto dei limiti e dei rimedi ad eventuali problemi di contrarietà dell’istituto de quo con i principi europei ritenendo che gli stessi fossero sufficienti a tutelate il principio della concorrenza.

Le caratteristiche di tale tipo di istituto sono state individuate e successivamente consolidate nella giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E.[5] per essere da ultimo codificate, con qualche novità, nelle direttive europee in materia di contratti pubblici del 2014.

In seguito, a partire dalla legge delega n. 124/2015 e successivamente con tutti gli interventi normativi che si sono susseguiti, il legislatore ha voluto razionalizzare la disciplina delle società partecipate e di quelle in house, conservando le gestioni pubbliche esistenti, aumentando come visto nel paragrafo precedente, i controlli sulle società e stabilendo vincoli di diverso tipo.

Allo stato attuale la materia è disciplinata da due gruppi di norme fondamentali il codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) e il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (d.lgs. n. 175/2016), entrambi, come già detto, modificati da interventi correttivi nel corso del 2017.

All’art. 5 il codice dei contratti prevede l’esclusione dal suo ambito applicativo di quei contratti affidati da un’amministrazione aggiudicatrice ad una persona giuridica di diritto pubblico o privato, in presenza di determinate condizioni[6]:

L’art. 192 del suddetto codice istituisce presso l’ANAC l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house.

L’ANAC deve verificare il possesso dei requisiti da parte dei richiedenti e con le Linee guida n. 7, di attuazione del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 recanti «Linee Guida per l’iscrizione nell’Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016», ha fornito le relative indicazioni procedurali.

Dette linee guida introducono i concetti di in house «a cascata»,  che si ha quando un’amministrazione controlla un soggetto in house che a sua volta ne controlla un altro ancora e la prima concede un affidamento diretto alla terza, di in house «verticale invertito» o «capovolto» (quando un’amministrazione ne controlla un’altra che è un’amministrazione aggiudicatrice e la seconda concede un affidamento diretto alla prima), di in house «orizzontale» (un’amministrazione ne controlla  altre due e la seconda concede un affidamento diretto alla terza).

L’autorità deve verificare la presenza dei requisiti richiesti dalla normativa su tutti i soggetti coinvolti ed anche in caso di controllo congiunto.

Le amministrazioni pubbliche, pertanto, ogniqualvolta in cui il rapporto di controllo analogo può essere desunto in una delle fattispecie previste e disciplinate dall’art. 5 cit. possono affidare legittimamente agli organismi in house servizi, lavori e forniture.

Le previsioni contenute nel codice dei contratti pubblici vanno coordinate con quelle inserite nel testo unico in materia di società a partecipazione pubblica di cui al d.lgs. n. 175/2016.

L’art. 2 lett. O, del citato decreto definisce in house come quelle società sulle quali un’amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all’articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell’attività prevalente di cui all’articolo 16, comma 3.

Per «controllo analogo», ai sensi del sopracitato articolo 2, lettera C si intende “la situazione in cui l’amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione partecipante”.

Il «controllo analogo congiunto» si ha quando detto controllo è esercitato congiuntamente tra più Amministrazioni quando ricorrono le condizioni di cui all’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

L’articolo 16 del decreto legislativo n. 175/2016 così come integrato dal decreto legislativo 100/2016, anche in esecuzione della sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale disciplina le società in house e contiene alcune precisazioni innovative in merito alle modalità di esercizio del controllo analogo e al requisito dell’attività prevalente.

Riguardo al primo profilo, la disposizione specifica che dette società possono ricevere affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo e che a tal fine si possono introdurre clausole in deroga alle disposizioni dell’articolo 2380-bis e dell’articolo 2409-novies del codice civile nel caso delle S.p.A., mentre nel caso di s.r.l. si possono attribuire particolari diritti ai soci sulla base dell’art. 2480 del codice civile. Per soddisfare i requisiti del controllo analogo, possono essere conclusi patti parasociali di durata anche superiore ai cinque anni imposti ordinariamente.

Il testo unico introduce anche una deroga allo svolgimento di almeno l’80% dell’attività a favore dell’amministrazione controllante (soglia calcolata sul fatturato e da inserire nello statuto societario), purché l’ulteriore produzione oltre detto limite consenta il raggiungimento di «economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale».

In caso di mancato rispetto della suddetta soglia, l’irregolarità può anche essere sanata attraverso la soluzione dei contratti che determinano la violazione o la rinuncia agli affidamenti diretti in house.

Un’altra previsione importante contenuta nel testo unico riguarda il limite al tipo di attività che può essere esercitata da una società in house: gli oggetti sociali ammessi in via esclusiva (ed eventualmente anche cumulativa) sono infatti l’esercizio di un servizio di interesse generale, la progettazione e realizzazione di un’opera pubblica, l’erogazione di servizi strumentali o di servizi di committenza (art. 4, comma 4 del testo unico).

5. Conclusioni

Da quanto sopra riportato si evince che gli ultimi interventi normativi hanno mirato da un lato a snellire le procedure di decisione e di controllo da parte della pubblica amministrazione e dall’altro ad adeguare l’intera normativa nazionale, ivi compresi i rapporti tra soggetti pubblici e privati, a quella comunitaria.

L’obiettivo che si è inteso perseguire è quello di attirare capitali e quindi investimenti privati superando la vecchia logica delle contribuzioni pubbliche.

 

 

 

 


Bibliografia essenziale
Decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n.113 – Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008)
NAPOLITANO G., Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, 2006.
ANTONIAZZI, Società miste e servizi pubblici locali. Esperienze nazionali e modello europeo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2017, 62
DIPACE, I contratti alternativi all’appalto per la realizzazione di opere pubbliche, in www.giustamm.it, n. 10/2008;

[1] Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50, di recepimento delle Direttive n. 23, n. 24 e n. 25 del 2014, integrato dal Decreto Legislativo correttivo 19 aprile 2017, n. 56.
[2] Comma 6 art 17 d.lgs. 175/2016. “Alle società di cui al presente articolo che non siano organismi di diritto pubblico, costituite per la realizzazione di lavori o opere o per la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di concorrenza, per la realizzazione dell’opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite non si applicano le disposizioni del decreto legislativo n. 50 del 2016, se ricorrono le seguenti condizioni: a) la scelta del socio privato è avvenuta nel rispetto di procedure di evidenza pubblica; b) il socio privato ha i requisiti di qualificazione previsti dal decreto legislativo n. 50 del 2016 in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita; c) la società provvede in via diretta alla realizzazione dell’opera o del servizio, in misura superiore al 70% del relativo importo”.
[3] Libro Bianco Libro COM (98) 143 def., 1.3.1998, punto 2.1.3, p. 11, nt. 10
[4]   Così come sancito e suggellato dalla Corte di Giustizia Europea (Sentenza 6 aprile 2006 – proc. C/410/04).
[5] Corte di giustizia europea, Sez. V, 18/11/1999 n. C-107/98
[6] . Una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione del presente codice quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

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Valerio Di Stefano

Dottore in Giurisprudenza, laureato presso l'Università degli Studi Roma Tre con tesi in diritto amministrativo. Dottorando di ricerca in energia e ambiente, collabora con la cattedra di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi Roma Tre e con la cattedra di diritto ambientale all'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

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