Le società pubbliche – D.Lgs. n. 175/2016 e il correttivo del 2017

Le società pubbliche – D.Lgs. n. 175/2016 e il correttivo del 2017

1. Premessa

Il fenomeno delle società pubbliche[1] sottende l’attuale dibattito sul rapporto tra diritto pubblico e diritto privato, ossia l’utilizzo da parte del diritto amministrativo degli schemi tipici del diritto privato.

A tal proposito una nota sentenza del Consiglio di Stato[2] ha precisato che “è compito dell’interprete individuare le possibili ipotesi di convivenza di schemi lontani fra loro, nella consapevolezza che non bisogna mai trasporre, per un malinteso senso delle simmetrie giuridiche o per un’artificiosa reductio ad unitatem dell’intero sistema giuridico, categorie civilistiche nel diritto amministrativo”.

Le ragioni che hanno ispirato il T.U. in materia di società a partecipazione pubblica sono rappresentate dalla necessità di semplificare e razionalizzare un numero impressionante di società pubbliche[3]; problema che, invece, era sconosciuto all’epoca della legge di unificazione del 1865.

Orbene, ai fini dell’analisi della disciplina oggi contenuta nel d.lgs. 175/2016, occorre dare una definizione, di soggetto pubblico e, pertanto, è necessario principiare dai modelli di enti pubblici che si sono conosciuti nel corso del tempo.

2. L’evoluzione del concetto di soggetto pubblico

L’organizzazione amministrativa dello Stato liberale era semplice ed era caratterizzata da pochi enti territoriali: Stato, Province e Comuni. Erano, altresì, pochissimi gli enti pubblici economici diversi dagli enti territoriali, che per lo più erano caratterizzati da una struttura associativa (es. ordini professionali).

Tale Stato (c.d. “Stato guardiano notturno”) si preoccupava essenzialmente di controllare l’ordine pubblico interno e la difesa del territorio da nemici esterni, lasciando libero il mercato di ricercare il suo equilibrio.

Verso la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo si è assistito al potenziamento dello Stato, con la relativa crescita dei Ministeri e delle Agenzie che iniziarono ad occuparsi dei servizi pubblici.

Questo momento storico segna l’avvio del processo di dilatazione delle strutture organizzative originarie dello Stato, con la nascita, a livello statale, delle AZIENDE AUTONOME (enti inseriti in ambito ministeriale dotati di autonomia di gestione e di una diversa disciplina finanziaria, contabile e dei controlli); mentre a livello locale, delle AZIENDE MUNICIPALIZZATE (quali diramazione degli enti territoriali che svolgevano, ai livelli più vicini al cittadino, le medesime funzioni delle aziende autonome); nonché con la moltiplicazione degli enti pubblici funzionali, che ha determinato una progressiva differenziazione e moltiplicazione degli enti pubblici.

Si passa, in questo modo, da uno Stato controllore ad uno “interventista”.

A seguito della crisi del 1929, così come nel dopoguerra, si è registrato un forte intervento dello Stato nell’economia a causa delle difficoltà economiche consequenziali a tali eventi storici.

In particolare, lo Stato ha iniziato a rilevare i pacchetti azionari di società private in dissesto al fine di evitarne il fallimento (es. l’acquisto di partecipazioni azionarie da parte dell’IRI, istituto per la ricostruzione industriale).

Si è così passati ad un modello di Stato imprenditore e finanziatore.

Con l’entrata in vigore della Costituzione il panorama degli enti pubblici si è arricchito di un altro ente: la REGIONE (ente pubblico dotato di potestà legislativa e statutaria in determinate materie elencate dall’art. 117 Cost.) e con la riforma del Titolo V le funzioni amministrative sono state redistribuite in un’ottica di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza[4].

Nella stessa prospettiva di evoluzione della compagine dei soggetti pubblici, la legge sul parastato (l. 70\1975) ha continuato l’opera di trasformazione mediante una proliferazione incontrollata di enti pubblici necessari, qualificati come parastatali, che operavano in settori importanti come la ricerca scientifica, la cultura e la promozione economica.

Tale quadro ha reso arduo dare un’unica definizione di Pubblica Amministrazione; la persona giuridica pubblica ha assunto una rilevanza tale che ne è divenuto difficile discernere il complesso panorama.

Oggi si parla, infatti, di PLURALISMO DELLE PA o PA A GEOMETRIA VARIABILE.

Tale pluralismo organizzativo si presenta come:

  • pluralismo di pubblici poteri (Stato, Regioni ed enti locali),

  • pluralismo dell’organizzazione statale (pluralità di ministeri),

  • pluralità di ENTI PUBBLICI (ossia organizzazioni differenziate dai pubblici poteri in senso stretto e dotate di propria personalità giuridica, ma ad essi collegate da più o meno intensi legami organizzativi).

L’uniformità ha lasciato il posto alla diversificazione di modelli, prospettandosi un sistema di amministrazione non più ruotante attorno allo Stato-apparato, bensì ispirato al principio del pluralismo istituzionale, in virtù del quale accanto allo Stato, ente pubblico per antonomasia, operano altri soggetti dotati di capacità giuridica di diritto pubblico e deputati al perseguimento di finalità di pubblico interesse.

L’intervento così penetrante dello Stato nell’economia ha determinato un incremento incontrollabile del debito pubblico, imponendo un peculiare processo di liberalizzazione e privatizzazione al fine di ridurlo.

Tale fenomeno si è articolato in due fasi:

  1. privatizzazione fredda: trasformazione degli enti pubblici in società per azioni controllate in tutto o in parte dallo Stato (fase realizzatasi con successo);

  2. privatizzazione calda: dismissione totale o parziale dei pacchetti azionari in mano pubblica (fase mai giunta a completo compimento in quanto il socio pubblico ha continuato a mantenere il controllo sull’ente c. d. Golden share).

Si è tornati a politiche liberali e antistataliste, dando vita ad modello di Stato Arbitro e regolatore, di cui esempio sono le Autorità Amministrative Indipendenti, preposte a regolare diversi settori sensibili.

Con il processo di privatizzazione di cui sopra, però, sono sorti problemi di inquadramento formale della disciplina; infatti, all’interno del sintagma “società pubbliche” possono, nella pratica, essere racchiuse figure tra loro profondamente eterogenee, come:

  • società totalmente pubbliche, pubbliche maggioritarie o minoritarie;

  • società partecipate in modo diretto o indiretto;

  • società che esercitano attività amministrative in forma privata (ossia società che integrano moduli organizzativi di funzioni amministrative);

  • società che operano sotto la protezione pubblica;

  • società monopolistiche in settori ancora non liberalizzati o imprese pubbliche che sottostanno alla legge del mercato.

In virtù di tale variegato quadro, parte della dottrina[5] ha operato una macro distinzione tra:

–>società a partecipazione pubblica che svolgono attività di impresa, in cui si registra una separazione effettiva tra socio e società, con la conseguenza che la qualificazione pubblicistica dell’azionista non si estende alla società. Per tali compagini sociali non si pongono particolari problemi, in quanto l’unico collegamento con lo Stato e gli enti pubblici si riferisce alla titolarità pubblica del pacchetto azionario o di una sua parte consistente: la PA è azionista. Pertanto si tratta di soggetti che mantengono la loro natura privata essendo pubblico solo il socio che partecipa ad esse;

–>e società deputate allo svolgimento di funzioni pubbliche, caratterizzate da un particolare rapporto tra socio e società, tant’è che, in alcuni casi, si discorre di propagazione della mano dell’azionariato pubblico sulla natura e sul funzionamento della società[6].

Nel concetto di PUBBLICHE FUNZIONI rientrano tutte le attività – non solo svolte da soggetti pubblici a ciò istituzionalmente designati, ma anche da soggetti privati a ciò deputati per legge – finalizzate alla cura di interessi collettivi mediante l’esercizio di poteri amministrativi di stampo pubblicistico. È per tale motivo che non può più accogliersi una nozione statica di ente pubblico, anzi, deve darsi atto del fatto che recentemente il CDS (con sentenza n. 2660\2015) si è orientato verso una “nozione funzionale e cangiante di ente pubblico: uno stesso soggetto può avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti e può, invece, non averla ad altri fini, conservando, rispetto ad altri istituti, regimi normativi di natura privatistica”.

Questa seconda categoria di società, a differenza di quanto si è detto per la prima, ingenera rilevanti problemi, in particolar modo per quanto attiene alla disciplina applicabile.

Infatti alla qualificazione pubblicistica di un ente si connettono rilevanti conseguenze.

In primo luogo il soggetto pubblico deve rispettare una serie di principi:

  • il principio di imparzialità (art. 97 Cost.) in virtù del quale l’azione amministrativa non può esercitarsi in modo arbitrario ed è sempre finalizzata al raggiungimento di determinati scopi secondo un procedimento decisionale ragionevole e trasparente, in misura più o meno articolata, predeterminato dalla normativa. La PA quando agisce deve tener conto anche degli interessi dei terzi;

  • il principio del buon andamento, in virtù del quale l’azione amministrativa deve produrre risultati utili per la collettività. A tal fine essa ha bisogno di un’organizzazione efficiente che possa dare luogo ad azioni efficaci e produttive di risultati utili per la collettività, in termini pratici e con riferimento agli interessi di vita, lavoro, benessere, nonché a quelli economici di tutti i cittadini coinvolti nell’esercizio di una determinata azione amministrativa;

  • il principio dell’economicità dell’azione amministrativa e della sua gestione finanziaria in virtù del quale non si possono produrre ottimi risultati per i cittadini spendendo troppo, al di fuori delle compatibilità finanziarie dell’ente;

  • i principi di diritto comunitario.

In secondo luogo, laddove una società venga qualificata come pubblica, in virtù dei fini (pubblicistici) che la stessa persegue, viene assoggettata, oltre alle regole codicistiche (proprie di quella forma), anche alla disciplina ordinaria pubblicistica, che deroga a quella di diritto comune per quanto concerne la disciplina: -dell’accesso (art. 22 legge 241/1990); -del procedimento (art. 29 legge 241/1990, per le società a maggioranza pubblica); -della sindacabilità degli atti (in virtù del d.lgs. 104\2010); -degli appalti (art. 3 d.lgs. n. 50/2016); -della selezione del personale (art. 18 d.l. n. 112/2008, cd. decreto Tremonti); -del controllo contabile (Corte Cost. n. 466/1993); – della responsabilità erariale (Cass., Sez. Unite n. 5848/2015).

In considerazione della mole di deroghe cui sono assoggettate le società c.d. pubbliche, rispetto alla disciplina comune prevista nel codice civile, la dottrina maggioritaria ha spesso evocato il termine di semi-amministrazioni: società formalmente private, ma sostanzialmente sottoposte a un regime pubblicistico.

Per tale motivo si è posto il dubbio sulla ammissibilità di enti pubblici in forma societaria e dunque della compatibilità dello schema societario (tipico del diritto privato) col perseguimento del pubblico interesse (tipico del diritto amministrativo).

3. Compatibilità dello strumento societario e dello scopo di lucro con le finalità pubblicistiche

Sul punto si sono registrate due teorie:

  • TESI PRIVATISTICA: la veste societaria è incompatibile con l’ente pubblico; lo scopo di lucro non può essere in alcun modo obliterato, poiché, diversamente ragionando i soci privati vedrebbero sacrificata la redditività dei loro investimenti. Del resto il codice civile è perentorio nell’indicazione del fine, di ripartizione degli utili (art. 2247 c.c.), che la società si propone di perseguire. Disconoscere questo aspetto, trasformando la società in uno schema neutro vuol dire, secondo quest’orientamento, violare il principio di democraticità degli azionisti, il principio di maggioranza, il potere di controllo all’interno della società, nonché eliminare il forte rischio insito nelle società di capitali.

Tale ricostruzione sarebbe suffragata dalla Relazione al codice civile nella parte in cui afferma che lo Stato può partecipare ad una società per azioni, ma in questi casi deve sottoporsi alla disciplina prevista dal codice civile, salvo che non sia diversamente stabilito.

  • TESI PUBBLICISTICA (accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie) secondo cui vige il principio di neutralità delle forme giuridiche, pertanto il modello societario è compatibile con la gestione della cosa pubblica. La società è un contenitore neutro idoneo a perseguire interessi pubblici, nel senso che tale necessità ha trasformato la società commerciale in uno strumento utilizzabile anche per finalità differenti (es. società cooperative contrassegnate dallo scopo mutualistico, art. 2511 c.c.). D’altronde lo stesso c.c. all’art. 2332 tra le cause di nullità delle società non contempla la mancanza dello scopo di lucro.

Di tale compatibilità può darsi prova facendo riferimento anche alla l. 887\1984 che ha previsto la costituzione dell’AGECONTROL s.p.a., una società per azioni con personalità di diritto pubblico.

La giurisprudenza più recente ha avallato questo secondo orientamento ritenendo indifferente il nomen iuris, e ponendo maggior attenzione agli aspetti sostanziali ed economici; pertanto, anche laddove una società venga privatizzata nella forma, restando soggetta al controllo dello Stato e funzionalizzata al fine pubblico da perseguire con moduli amministrativistici, dovrà considerarsi un ente pubblico ed essere soggetta alla relativa disciplina.

Acclarata la possibilità per la PA di ricorrere allo strumento societario per il perseguimento dell’interesse pubblico, vanno individuati i criteri identificativi che permettono di qualificare la società partecipata dallo Stato quale ente pubblico, distinguendola, così, dalle società di diritto civile.

Gli indici elaborati dall’orientamento maggioritario sono: -costituzione ad iniziativa pubblica (requisito non ritenuto da solo sufficiente); -predeterminazione dello scopo da perseguire da parte dello Stato; -assoggettamento ad un sistema di controlli pubblici; -ingerenza dello Stato o di altra PA nella nomina e nella revoca dei dirigenti dell’ente e\o nella sua amministrazione; -partecipazione dello Stato, o della diversa PA, alle spese di gestione; -esercizio da parte dello Stato, o di diversa PA, di un potere di direttiva sugli organi dell’ente ai fini del perseguimento di determinati obiettivi; -corresponsione di finanziamenti pubblici.

Detto ciò occorre capire se le società pubbliche debbano, o meno, essere considerate degli enti pubblici in assoluto.

Ebbene, secondo la tesi preferibile, le stesse vanno considerate come veri e propri enti pubblici solo laddove operino come pubbliche amministrazioni, ossia in base al fine perseguito.

Emerge, in tal modo, una nozione elastica di ente pubblico che non è tale in ogni sua sfera di azione o manifestazione, infatti queste società:

-seguono le regole privatistiche in materia di organizzazione: atti di auto-organizzazione, funzionamento dei servizi e degli uffici, organi sociali, rapporti tra soci e rapporti di lavoro,

-essendo, invece, considerate enti pubblici per ciò che riguarda i singoli istituti che derogano alla normativa di diritto comune, ossia in riferimento all’accesso, alle gare di appalto, alla selezione del personale, al controllo contabile, alla responsabilità; d’altronde una società pubblica può essere un ente pubblico solo nei campi in cui operi una norma espressa che, in conformità ai principio di riserva di legge e di legalità, lo doti di poteri pubblici e di uno statuto di diritto pubblico.

4. La riforma

Il quadro normativo, in materia di società pubbliche, ante riforma del 2016, rappresentava il risultato di una serie di interventi frammentari adottati in contesti storici diversi per perseguire finalità di volta in volta imposte da esigenze contingenti[7].

La situazione presentava un forte disordine normativo che ha caratterizzato negativamente la disciplina delle partecipazioni societarie detenute dalle pubbliche amministrazioni.

In considerazione di ciò è stato necessario introdurre una disciplina unitaria finalizzata a risolvere i problemi di inquadramento e di regime giuridico di tali soggetti.

È per questo motivo che il Parlamento, con la legge del 7 agosto 2015[8], ha delegato il Governo ad adottare un decreto di riforma della pubblica amministrazione nel suo complesso[9].

Lo scopo della riforma, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato nel parere n. 968/2016, è quello di “semplificare e razionalizzare le regole vigenti in materia, attraverso il riordino delle disposizioni nazionali e la creazione di una disciplina generale organica”.

Questi i punti essenziali dell’intervento delegato dalla Riforma Madia:

  • innanzitutto, limitare la costituzione di nuove società pubbliche; rendere trasparenti i bilanci delle società in controllo pubblico; ridurre il numero di società pubbliche; impedire il proliferare di società non necessarie;

  • in secondo luogo, ridurre le aree di intervento delle società pubbliche; eliminare o limitare le società pubbliche non in equilibrio economico; ridefinire il sistema di gestione del personale delle società a controllo pubblico; garantire che l’attività delle società a partecipazione pubblica sia maggiormente efficiente;

  • infine, migliorare i servizi erogati a cittadini e imprese; dando maggiore credibilità e trasparenza alla pubblica amministrazione; favorendo il migliore utilizzo delle risorse pubbliche, mediante l’efficiente allocazione delle stesse e la rimozione delle fonti di spreco.

È questo il quadro in cui si inserisce il d.lgs. 175\2016.

Il Testo Unico si articola sostanzialmente in quattro tipologie di intervento:

  • disposizioni introduttive recanti: l’indicazione dell’oggetto e dell’ambito di applicazione del T.U.; la formulazione delle definizioni; l’individuazione dei tipi di società in cui è ammessa la partecipazione pubblica;

  • disposizioni volte a stabilire condizioni e limiti delle partecipazioni pubbliche, nonché a ridefinire le regole per la costituzione di società o per l’assunzione o il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche, e di alienazione di partecipazioni pubbliche;

  • disposizioni in materia di organi di amministrazione e di controllo delle società a controllo pubblico;

  • disposizioni volte ad incentivare l’economicità e l’efficienza mediante l’introduzione di procedure di razionalizzazione periodica e di revisione straordinaria, di gestione del personale, di specifiche norme finanziarie per le partecipate degli enti locali e di promozione della trasparenza.

Il decreto ha, poi, subìto una modifica ad opera del correttivo, d.lgs. n. 100/2017 pubblicato sulla GU n. 147 del 26 giugno 2017, con il quale il Governo da un lato, ha dato completa attuazione alla legge delega n. 124/2015, dall’altro, ha adeguato la disciplina contenuta nel d.lgs.175/2016 alla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 251/2016, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale delle legge delega (124/2015) per quanto attiene alla modalità procedurale di adozione dei decreti attuativi della riforma, nella parte in cui era previsto che i decreti legislativi attuativi della c.d. riforma di semplificazione della P.A. fossero adottati previa acquisizione del parere reso in Conferenza unificata, anziché previa intesa.

D’altronde la disciplina organica delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche, come ha sottolineato la Corte Costituzionale, “coinvolge inevitabilmente, profili pubblicistici, che attengono alle modalità organizzative di espletamento delle funzioni amministrative e dei servizi riconducibili alla competenza residuale regionale, … e profili privatistici, inerenti alla forma delle società partecipate, che trova nel codice civile la sua radice, e aspetti connessi alla tutela della concorrenza, riconducibile alla competenza esclusiva del legislatore statale”.

Considerando che non si può individuare un ambito prevalente tra materie di competenza statale e materie di competenza regionale, la disciplina va regolata mediante applicazione del principio di leale collaborazione, perciò il Testo Unico sulle partecipate può trovare attuazione solo dopo idonee trattative tra Stato ed enti locali, da formalizzare non con il mero parere, ma attraverso l’intesa in sede di Conferenza unificata.

5. Analisi del Testo Unico

Come precisato sopra, il decreto 175/2016 interviene su quattro punti fondamentali, di seguito analizzati.

Tra le disposizioni introduttive particolare attenzione va posta:

Sull’indicazione dell’oggetto e dell’ambito di applicazione del T.U. (art. 1).

La riforma ha ad oggetto la costituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche, l’acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, estendendo la disciplina anche alle società quotate ove espressamente previsto.

Sulla formulazione delle definizioni (art.2).

Il T.U., all’art. 2, opera un’importante distinzione tra:

  • società PARTECIPATE da una PA qualora quest’ultima sia titolare di rapporti comportanti la qualità di socio in società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi; tale partecipazione può essere anche indiretta nella misura in cui sia detenuta da un’amministrazione pubblica per il tramite di società o altri organismi soggetti a controllo da parte della medesima amministrazione pubblica;

  • società CONTROLLATE da una PA ove versino in una situazione di controllo come descritta nell’art. 2359 c.c.. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.

Si precisa poi che:

  • il CONTROLLO ANALOGO è quella “situazione in cui l’amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione partecipante” (cd. in house a cascata)[10];

  • mentre il CONTROLLO ANALOGO CONGIUNTO è la “situazione in cui l’amministrazione esercita su una società, congiuntamente con altre amministrazioni, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”[11].

Sull’individuazione dei tipi di società in cui è ammessa la partecipazione pubblica (art. 3).

La partecipazione pubblica è ammessa nelle società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni e società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa.

L’individuazione delle tipologie di società è completata dagli artt. 16, 17 e 18, dedicati, rispettivamente, alle società in house, alle società miste pubblico-private, al procedimento di quotazione di società a controllo pubblico in mercati regolamentati.

Il fenomeno delle SOCIETA’ IN HOUSE nasce nella giurisprudenza europea, con la storica sentenza della CGUE, in causa Teckal (1999), con la finalità di limitare le ipotesi in cui si può derogare alle regole della “concorrenza per il mercato”[12] mediante il ricorso a forme di affidamenti diretti di compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici.

I giudici sovranazionali, in quella sede, indicarono, tra i requisiti necessari ai fini della configurazione dell’in house: -la partecipazione interamente pubblica; -l’esercizio da parte dell’amministrazione di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; -lo svolgimento dell’attività prevalentemente a favore dell’amministrazione controllante.

Il legislatore europeo ha poi trasfuso l’esperienza giurisprudenziale nelle direttive del 2014, tratteggiando i requisiti dell’istituto ma modificando, in parte qua, quanto stabilito dalla giurisprudenza gli anni addietro.

La disposizione contenuta nell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE è stata recepita, prima nel Codice dei contratti pubblici all’art. 5, poi nell’art. 16 d.lgs. 175/2016 da quale emerge che:

– sono state ammesse, eccezionalmente, forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati e che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata;

– è stata prevista la necessità che oltre l’80% dell’attività svolta dall’ente deve essere a favore dell’amministrazione pubblica. Il mancato rispetto di tale limite di fatturato costituisce grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c. e dell’art. 15 d.lgs. 175/2016, ma può esservi una sanatoria laddove, entro tre mesi dalla data in cui si è manifestata l’irregolarità, la società rinunci ad una parte dei rapporti di fornitura con soggetti terzi o rinunci agli affidamenti diretti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci;

– ferma, poi, la previsione di forti poteri di gestione del socio pubblico nella forma del controllo analogo, elemento che, in riferimento all’assetto organizzativo della società, deroga la disciplina del codice civile.

In considerazione di tali caratteri, la prevalente giurisprudenza ha ritenuto che in riferimento alla società in house manca il requisito dell’alterità soggettiva rispetto all’amministrazione pubblica, pertanto, più che collocarsi come un’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, è una sua articolazione interna, una sorta “longa manus della pubblica amministrazione”, ne consegue che l’affidamento pubblico in tali casi neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa[13].

L’art. 17 del T.U. in commento reca specifiche disposizioni relative alle SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE MISTA PUBBLICO-PRIVATA, costituite per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica o per l’organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale, attraverso un contratto di partenariato di cui all’art. 180 d.lgs. 50/2016, con un imprenditore che sia stato selezionato con una gara a doppio oggetto[14], ossia una gara che riguarda sia la scelta del socio, sia l’affidamento del contratto d’appalto o di concessione, oggetto esclusivo dell’attività della società mista.

Quanto ai criteri di scelta del socio privato nelle società miste, questa deve essere rimessa al principio dell’evidenza pubblica, considerato un principio immanente nell’ordinamento italiano anche dalla giurisprudenza amministrativa, in particolare si richiama una sentenza del TAR Lazio del 2016 secondo cui “La scelta del socio privato non si può sottrarre ai principi di concorrenzialità e par condicio, sia che si tratti di società miste di maggioranza che miste di minoranza. Dunque, la conformità al diritto eurounitario del modello delle società miste impone che la selezione del socio privato sia oggetto di una procedura trasparente e concorrenziale”.

Il soggetto scelto deve possedere i requisiti di qualificazione previsti dalle norme legali o regolamentari in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita. Il bando di gara deve specificare l’oggetto dell’affidamento, i necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziario dei concorrenti, nonché il criterio di aggiudicazione che garantisca una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per la PA che ha indetto la procedura. All’avviso pubblico sono allegati la bozza dello statuto e degli eventuali accordi parasociali, nonché degli elementi essenziali del contratto di servizio e dei disciplinari e regolamenti di esecuzione che ne costituiscono parte integrante.

Una volta individuato il socio privato ed affidato a lui l’appalto o la concessione, il rapporto con la PA si limita alla durata del lavoro, servizio o fornitura.

Quanto, poi, all’individuazione del giudice competente a conoscere delle controversie sorte a seguito dell’annullamento degli atti della procedura ad evidenza pubblica che si riflettono sui contratti di società stipulati a valle, le SS. UU. hanno affermato che “la giurisdizione in materia di controversie aventi ad oggetto l’attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria spetta al G.A., in quanto la delibera di costituire una società, provvedendo anche alla scelta del socio privato, è una determinazione di natura pubblicistica. Sono invece attribuite alla giurisdizione del G.O. le controversie aventi ad oggetto gli atti societari a valle, interamente assoggettate alle regole di diritto commerciale proprie del modello recepito”.

Per completare il quadro relativo alle tipologie di società in cui è ammessa la partecipazione pubblica, occorre rilevare che l’art. 18 del T.U., come sopra già accennato, prevede la possibilità della quotazione in mercati regolamentati, per le società a controllo pubblico.

Proseguendo nell’analisi dei punti fondamentali della disciplina in materia di società pubbliche, gli artt. 4-10 del T.U. stabiliscono condizioni e limiti delle partecipazioni pubbliche e ridefiniscono le regole per la costituzione di società o per l’assunzione o il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche, e di alienazione di partecipazioni pubbliche.

L’art. 4 interviene sul delicato aspetto inerente le finalità perseguibili attraverso le società partecipate e pone un vero e proprio vincolo teleologico.

Riprendendo quanto sancito già dalla finanziaria per il 2008 (legge n. 244/2007), dispone che le pubbliche amministrazioni non possono, direttamente o indirettamente, detenere partecipazioni, acquisire o mantenere società aventi ad oggetto attività di produzioni di beni e servizi non strettamente necessarie alle proprie finalità istituzionali. Fermo restando quanto detto, il comma 2, prevede espressamente che le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società ovvero mantenere o acquisire partecipazioni solo per le sotto elencate attività: a) produzione di un SIG[15], inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi stessi; b) progettazione e realizzazione di un’opera in base ad un accordo di programma fra PP.AA. e, ove opportuno, attraverso la costituzione di una società pubblica di progetto, senza scopo di lucro, anche consortile, partecipata dai soggetti aggiudicatori e dagli altri soggetti pubblici interessati (art. 193 del d.lgs. n. 50/2016); c) realizzazione e gestione di un’opera pubblica o di un SIG mediante la costituzione di società mista, avente ad oggetto esclusivo l’attività inerente l’appalto o la concessione, con imprenditore privato selezionato mediante procedura ad evidenza pubblica a c.d. doppio oggetto, avente quota di partecipazione non inferiore al 30% del capitale; d) autoproduzione di beni e servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti; e) servizi di committenza a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni dello Stato, enti pubblici territoriali, altri enti pubblici non economici, organismi di diritto pubblico, associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti (art. 3, c.1, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016).

Al fine di comprimere la discrezionalità amministrativa nella costituzione di strutture societarie, il legislatore ha previsto l’obbligo di osservare una serie di vincoli procedimentali, sia nella costituzione delle società che nell’acquisto di quote societarie.

Infatti, a norma comma 1 dell’art. 5, rubricato Oneri di motivazione analitica, è previsto che, ad eccezione dei casi in cui la costituzione di una società o l’acquisto di una partecipazione, anche attraverso l’aumento di capitale, avvenga in conformità ad espresse previsioni legislative, l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica, anche nei casi di società mista o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all’articolo 4, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa. Ciò in ossequio al canone di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost..

Inoltre, ai sensi del co. 2, l’atto deliberativo di cui al comma 1 deve dare atto della compatibilità dell’intervento finanziario previsto con le norme dei trattati europei e, in particolare, con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato alle imprese. Gli enti locali sottopongono lo schema di atto deliberativo a forme di consultazione pubblica, secondo modalità da essi stessi disciplinate.

L’amministrazione invia l’atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta alla Corte dei Conti, a fini conoscitivi, e all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che può esercitare i poteri di cui all’articolo 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287.

L’art. 6 dispone che le società a controllo pubblico, qualora svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con attività svolte in regime di economia di mercato, non è necessaria una separazione societaria, ma è fondamentale che adottino sistemi di contabilità separata, al fine di favorire un’effettiva trasparenza finanziaria nei rapporti tra l’ente pubblico e le imprese da questo controllate, evitando, così, distorsioni della concorrenza.

Dalla disciplina contenuta nel T.U. in materia di società pubbliche, emerge la necessità che, qualora una società ottenga pagamenti o altre forme di compensazione da parte dell’ente pubblico, finalizzate alle attività di interesse pubblico, tali somme non siano, poi, utilizzate dalle stesse società come un indebito vantaggio, determinando, in tal modo, una discriminazione ai danni degli altri operatori economici.

A norma dell’art. 7, poi, la costituzione di tali società deve avvenire secondo forme particolari e qualora ciò non avvenga, ovvero la delibera di cui al co. 1 sia dichiarata nulla o venga annullata, l’amministrazione partecipante dovrà liquidare la propria partecipazione societaria; laddove, poi, detta partecipazione risulti essenziale ai fini del conseguimento dell’oggetto sociale, la nullità o l’assenza della deliberazione travolge necessariamente l’intera compagine societaria, ed in tal caso troveranno applicazione le disposizioni di cui all’art. 2332 c.c. in tema di nullità della società (art. 7 comma 6).

Allo stesso modo in caso di acquisto di una partecipazione pubblica in società già costituite, la mancanza o l’invalidità dell’atto deliberativo produrrà l’inefficacia del contratto di acquisto della partecipazione da parte dell’amministrazione partecipante (art. 8).

L’art. 9 si preoccupa di individuare i soggetti deputati a esercitare i diritti dell’azionista: – per le partecipazioni statali, il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministeri competenti per materia; – per le partecipazioni regionali, la Presidenza della Regione, salvo diversa disposizione di legge della Regione titolare delle partecipazioni; – per le partecipazioni degli enti locali, il Sindaco o il Presidente o un loro delegato; – in tutti gli altri casi le partecipazioni sono gestite dall’organo amministrativo dell’ente.

L’art. 10, infine, riguarda la procedura di alienazione delle partecipazioni sociali, che va effettuata nel rispetto dei princìpi di pubblicità e trasparenza. Solo in casi eccezionali, ed in presenza di una convenienza economica dell’operazione, l’alienazione può essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente.

Il terzo punto fondamentale attiene alle disposizioni in materia di organi di amministrazione e di controllo delle società a controllo pubblico, con riferimento ai seguenti profili:

Governance societaria, requisiti dei componenti degli organi di amministrazione e compensi dei membri degli organi sociali (art. 11).

Nella scelta degli amministratori deve essere assicurato il rispetto del principio di equilibrio di genere ed i componenti devono possedere i requisiti di onorabilità, professionalità ed autonomia.

La disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità è contenuta nel decreto legislativo n. 39 del 2013:

– le cariche di amministratore delegato e di presidente di organi amministrativi di società a controllo pubblico non possono essere attribuite a chi ricopre incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle medesime pubbliche amministrazioni o enti pubblici che hanno conferito l’incarico;

– vi è incompatibilità tra gli incarichi di componente degli organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della Regione, nonché di Province, Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti (o forme associative di comuni aventi la medesima popolazione) e gli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello provinciale o comunale;

– infine, è vietato conferire incarichi in organi di governo di società controllate dalle amministrazioni pubbliche a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza, con l’eccezione dei casi in cui detti incarichi siano svolti a titolo gratuito.

Regime di responsabilità dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti (art. 12).

La norma prevede che i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali. È fatta  salva, invece, la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. La norma, poi, dà una definizione di danno erariale stabilendo che è quel danno, patrimoniale o non patrimoniale, subìto dagli enti partecipanti, nonché il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che nell’esercizio dei diritti di socio hanno – con dolo o colpa grave – pregiudicato il valore della partecipazione. La giurisdizione sulle controversie  in  materia  di danno  erariale è di competenza della Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica.

La formulazione della disposizione riflette gli approdi cui è pervenuta, nel corso degli anni, la giurisprudenza.

1°FASE: SS. UU. 1998: “A carico degli amministratori o funzionari di enti pubblici economici (o anche di enti a partecipazione pubblica) la giurisdizione contabile della Corte dei Conti sussiste limitatamente agli atti esorbitanti l’esercizio di attività imprenditoriale ed integranti espressione del potere autoritativo di autorganizzazione, ovvero di funzioni pubbliche svolte in sostituzione di amministrazioni dello Stato o di enti pubblici non economici. Ciò in virtù del fatto che gli enti pubblici economici non hanno il requisito della natura pubblica. Questi, pur perseguendo finalità di carattere pubblico, normalmente svolgono la loro attività nelle forme del diritto privato e in tale svolgimento sono soggetti alla disciplina dell’imprenditore privato. Il rigore del controllo della contabilità pubblica mal si addice alla loro natura”.

2° FASE: SS. UU. 2003: “Ai fini del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, non deve aversi riguardo alla qualità del soggetto che gestisce il denaro pubblico – che può essere un privato o un ente pubblico non economico -, bensì alla natura, pubblica o privata, delle risorse utilizzate, nonché alla natura del danno. Qualora l’amministratore di un ente privato cui sono erogati fondi pubblici, per sue scelte negative svia le finalità perseguite provocando un danno all’ente, risponde del relativo danno erariale”.

3° FASE: SS. UU. 2004: “Il rapporto di servizio che si viene ad istaurare tra la società e l’ente che vi partecipa implica l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando la natura privatistica dell’ente affidatario e\o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione”.

4° FASE: SS. UU. 2009: “Premesso che non esiste un rapporto di servizio tra l’ente pubblico partecipante e l’amministratore della società partecipata, in presenza di un atto di mala gestio perpetrato dagli organi societari, non è configurabile un danno erariale, quale pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico partecipante al capitale sociale”.

5° FASE: SS. UU. 2015: “Non si configurano come erariali le perdite della società, in quanto l’autonomia patrimoniale della stessa esclude ogni rapporto di servizio tra agente ed ente pubblico eventualmente danneggiato. Tuttavia non può dirsi del tutto esclusa la giurisdizione della Corte dei Conti, in ordine ad eventuali comportamenti illegittimi imputabili agli organi delle società a partecipazione pubblica laddove sia scaturito un danno per il socio pubblico. Spetta al G.O. la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subìti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, mentre si radica la giurisdizione della Corte dei conti:

– nei confronti di colui il quale abbia consapevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio pregiudicando il valore della partecipazione,

– e qualora i comportamenti tenuti dall’amministratore abbiano compromesso la stessa partecipazione dell’ente pubblico à c.d. danno all’immagine dell’ente pubblico”.

Regime di controllo, con riguardo:

-All’attivazione del controllo giudiziario (art. 13).

Nelle società a controllo pubblico, ciascuna PA socia, indipendentemente dall’entità della partecipazione di cui è titolare, è legittimata a presentare denunzia al Tribunale laddove riscontri irregolarità poste in essere dagli amministratori, in deroga a quanto previsto ai sensi dell’art. 2409 c.c. che, invece, attribuisce tale azione solo ai soci che rappresentano 1/10 del capitale sociale.

-Alla prevenzione della crisi di impresa (art. 14).

La norma stabilisce espressamente che le società partecipate sono soggette alla disciplina fallimentare, al concordato preventivo – e se vi sono le condizioni – all’amministrazione straordinaria; nonché prevede uno o più indicatori di crisi aziendale nelle società a controllo pubblico, definiti nell’ambito di programmi di valutazione del rischio, dettando specifiche procedure per prevenire l’aggravamento della crisi, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause fra cui, in primo luogo, un piano di risanamento che l’organo amministrativo della società deve adottare.

L’inerzia nell’adozione di tale piano costituisce grave irregolarità (ai sensi dell’art. 2409 c.c.).

La previsione di ripianamento delle perdite da parte del socio pubblico può, quindi, essere considerata un provvedimento adeguato solo ed esclusivamente se accompagnata da un piano di ristrutturazione aziendale dal quale si evincano chiaramente concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività.

È fatto divieto alle amministrazioni di effettuare aumenti di capitale (o trasferimenti secondari, aperture di credito o rilascio di garanzie) – salvo perdite di oltre 1/3 del capitale e la riduzione di quest’ultimo al di sotto del minimo stabilito – per le società per azioni e le società a responsabilità limitata (escluse le quotate e gli istituti di credito) che hanno registrato per 3 anni consecutivi perdite di esercizio ovvero che hanno utilizzato riserve per il ripiano di perdite anche infrannuali.

Sono, invece, consentiti i trasferimenti straordinari  alle  società,  a  fronte  di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico  interesse  ovvero  alla  realizzazione  di  investimenti,  purché  le  misure  siano previste in un piano di risanamento, approvato dall’Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei Conti che preveda l’equilibrio finanziario entro 3 anni.

Inoltre, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su richiesta dell’amministrazione interessata, può comunque autorizzare con decreto i succitati interventi a sostegno delle società partecipate nei casi in cui ciò sia necessario per salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità.

Infine, è previsto che nei 5 anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico affidataria diretta, le PA controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, se queste ultime gestiscono i medesimi servizi di quella dichiarata fallita.

Sulla FALLIBILITA’ DELLE SOCIETA’ IN HOUSE deve essere richiamata la sentenza della Cassazione n. 3196\2017.

Il Collegio[16] afferma il seguente principio: “In tema di società partecipate dagli enti locali, la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità.” D’altronde l’art.1 della legge fallimentare esenta i soli enti pubblici dalle procedure concorsuali, non anche le società pubbliche. La Corte precisa che il profilo pubblicistico della società in house, in cui l’ente pubblico esercita sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ed uffici, appare ispirato dal mero obiettivo di dispensare l’affidamento diretto (della gestione di attività e servizi pubblici a società partecipate) dal rispetto delle norme concorrenziali, ma senza che possa dirsi nato, ad ogni effetto e verso i terzi, un “soggetto sovraqualificato” rispetto al tipo societario eventualmente assunto. Anzi, su tale società si determina anche una responsabilità aggiuntiva (contabile) rispetto a quella comune, ma senza il prospettato effetto di perdere l’applicazione dello statuto dell’imprenditore. Le norme speciali volte a regolare la costituzione della società, la partecipazione pubblica al suo capitale e la designazione dei suoi organi, non possono dunque incidere sul modo in cui essa opera nel mercato, né possono comportare il venir meno delle ragioni di tutela dell’affidamento di terzi contraenti contemplate dalla disciplina civilistica[17]. Invero, il sistema di pubblicità legale, mediante il registro delle imprese, determina nei terzi un legittimo affidamento sull’applicabilità alle società ivi iscritte di un regime di disciplina conforme al nomen juris dichiarato; affidamento che, invece, verrebbe aggirato ed eluso qualora il diritto societario venisse disapplicato e sostituito da particolari disposizioni pubblicistiche.

Una volta adottata, anche da parte dell’ente pubblico, la forma societaria, la scelta di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali (e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico) comporta, in primo luogo che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, in secondo luogo che non siano esentate dalla disciplina relativa al fallimento.

-Al controllo e monitoraggio da parte del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 15).

Si tratta di istituire una struttura centrale con funzioni di indirizzo, monitoraggio e controllo, anche attraverso strumenti ispettivi, e di realizzare elenchi di dette società.

L’ultimo punto cui è rivolta la disciplina contenuta nel d.lgs. 175/2016 attiene alle disposizioni volte a incentivare l’economicità e l’efficienza mediante l’introduzione:

Di procedure di razionalizzazione periodica e di revisione straordinaria (artt. 20 e 24).

Il principale strumento attraverso cui è stata perseguita l’esigenza di ridurre la spesa pubblica si ravvisa negli obblighi di razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche, cui sono tenute annualmente le amministrazioni.

Il decreto dispone all’art. 20 che siano effettuati annualmente piani di razionalizzazione, mediante messa in liquidazione, alienazioni e dismissioni di società.  Tali piani di razionalizzazione, corredati dalla relazione tecnica sono adottati se, in sede di analisi, l’amministrazione riscontra anche uno solo dei seguenti elementi: – partecipazioni societarie in categorie non ammesse ai sensi dell’articolo 4 del decreto; – società prive di dipendenti, ovvero con numero amministratori superiore ai dipendenti; – partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o simili ad altre società o enti pubblici strumentali; – partecipazioni in società che nel triennio precedente hanno conseguito un fatturato medio non superiore a 1 milione di euro; – partecipazioni in società per servizi diversi da SIG aventi 4 risultati negativi su 5 esercizi; – contenimento dei costi di funzionamento; – necessità di aggregare società esercenti attività consentite ai sensi del provvedimento.

A completamento del procedimento di riordino, l’art. 24 del decreto disciplina e regola la procedura per la revisione straordinaria obbligatoria delle partecipazioni detenute, direttamente o indirettamente, dalle amministrazioni pubbliche, per l’alienazione ovvero la razionalizzazione di alcune fattispecie di società.

Di gestione del personale (artt. 19 e 25).

L’art. 19 dispone che al personale delle società a controllo pubblico, si applicano le disposizioni del Codice civile e le norme previste dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, incluse quelle relative ad ammortizzatori sociali, ai sensi della vigente normativa e del CCNL di riferimento.

Le società a controllo pubblico stabiliscono con propri provvedimenti – da pubblicare obbligatoriamente sul sito istituzionale della società stessa, pena le specifiche sanzioni di cui al d.lgs. 33/2013 – criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi normativi validi per le PP.AA.

Ai fini retributivi – fatto salvo quanto previsto dall’art. 2126 c.c. – la mancanza di provvedimenti di reclutamento da parte delle società determina la nullità dei contratti di lavoro, fermo restando la giurisdizione ordinaria in materia. È, inoltre, previsto che le amministrazioni pubbliche socie debbano fissare, con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate anche mediante contenimento degli oneri contrattuali, le assunzioni di personale o di eventuali divieti o limitazioni in tal senso.

Le società a controllo pubblico devono garantire il concreto perseguimento dei succitati obiettivi tramite propri provvedimenti da recepire, ove possibile, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, in sede di contrattazione di secondo livello.

Prima di poter effettuare nuove assunzioni, le amministrazioni pubbliche, nel caso di reinternalizzazione di funzioni o servizi prima affidati ad una società partecipata, procedono – nei limiti dei posti vacanti nelle dotazioni organiche e nell’ambito delle facoltà assunzionali disponibili – al riassorbimento delle unità di personale già dipendenti dall’amministrazione e transitate alle dipendenze della società interessata da tale reinternalizzazione, utilizzando specifici processi di mobilità.

È, infine, previsto che le disposizioni in materia di gestione delle eccedenze di personale delle società partecipate, di cui alla legge di stabilità per il 2014, trovano applicazione esclusivamente alle sole procedure in corso alla data di entrata in vigore del decreto.

A norma dell’art. 25 le società a controllo pubblico devono effettuare, entro il 30 settembre 2017, una ricognizione del personale in servizio al fine di individuare eccedenze, trasmettendo, poi, il relativo elenco alla Regione nel cui territorio ha sede la società.

Fino al 30 giugno 2018, le società a controllo pubblico non possono assumere a tempo indeterminato se non attingendo da questi elenchi; chiaramente si deve tener conto di una eccezione, ossia l’ipotesi in cui si verifichino casi di infungibilità. Tale disciplina, inoltre, non si applica alle società a prevalente capitale privato che producono servizi di interesse generale e che abbiano ottenuto un risultato positivo nei tre esercizi precedenti l’assunzione.

Di specifiche norme finanziarie per le partecipate degli enti locali (art. 21).

Qualora le società partecipate dalle PA locali presentino un risultato di esercizio negativo, l’ente pubblico è tenuto ad accantonare, nell’anno successivo, in un apposito fondo vincolato, un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione.

Nel caso di risultato negativo è possibile, in un’ottica di contenimento dei costi degli organi sociali, ridurre i compensi degli amministratori, i quali possono essere revocati per giusta causa laddove si sia determinato il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi.

Di promozione della trasparenza (art. 22).

L’art. 22, richiamando le disposizioni del d.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013, prevede espressamente che le società a controllo pubblico sono tenute ad assicurare il massimo livello di trasparenza sull’uso delle proprie risorse e sui risultati ottenuti.

In proposito è utile ripercorrere l’iter argomentativo della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 13\2016 inerente il diritto di accesso – a norma degli articoli 22 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, come successivamente modificata ed integrata – dei dipendenti di Poste Italiane s.p.a., con riferimento al rapporto di impiego (di natura privata) in corso fra gli stessi e la citata società.

È noto come, sul piano soggettivo, la società Poste Italiane sia subentrata, con intenti di efficientamento del servizio, alla preesistente amministrazione centrale, nata dopo l’Unità d’Italia con legge 5 maggio 1862, n. 604 (cosiddetta riforma postale, che prevedeva l’offerta di servizi a tariffa unica su tutto il territorio nazionale), assumendo prima la forma di ente pubblico economico, poi di società per azioni.

L’attuale società per azioni è concessionaria del cosiddetto servizio postale universale.

Sussistono, dunque, sul piano soggettivo, sufficienti elementi per qualificare la società Poste Italiane come organismo di diritto pubblico; ciò rende pacifica l’estensione a detta società delle norme in tema di accesso, ma non chiarisce i limiti entro cui l’attività societaria deve ritenersi di “pubblico interesse”.

Appare difficile negare che il rapporto di lavoro implichi lo “svolgimento di un’attività strettamente connessa e strumentale alla quotidiana attività di gestione del servizio pubblico”[18], inoltre è evidente che i dipendenti della società, incaricata di tale servizio vantino un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento a cui si chiede l’accesso”[19], ma allo stesso modo configura una disparità di trattamento l’attuazione di modalità differenziate di tutela del predetto interesse, a seconda che si tratti di utenti o di lavoratori.

L’Adunanza Plenaria ritiene che non si possa prescindere dal recente rafforzamento del principio di trasparenza[20] definita come “livello essenziale….delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili”, anche con specifico riferimento a “concorsi e prove selettive per l’assunzione di personale”, nonché alle “progressioni in carriera”[21].

Con la modifica dell’art. 1, comma 1 ter della legge n. 241 del 1990, quello di trasparenza è stato inserito tra i principi generali dell’attività amministrativa, pertanto anche i soggetti privati, “preposti all’esercizio di attività amministrative”, devono fornire “un livello di garanzia non inferiore a quello a cui sono tenute le pubbliche amministrazioni…”.

Tuttavia, nel settore lavorativo di cui trattasi opera l’accezione restrittiva rilevata per l’applicazione della direttiva 2004/17/CE, riferita agli enti erogatori di acqua e di energia, nonché a quelli che forniscono servizi di trasporto e servizi postali. Tali enti – in quanto titolari di diritti speciali ed esclusivi – agiscono nell’ambito dei settori sopra indicati, ma svolgono anche attività in pieno regime di concorrenza, direttamente esposti alle regole del mercato e possono, per tale ragione, vedere in qualche misura attenuata la disciplina propria delle amministrazioni pubbliche.

In considerazione di tale percorso argomentativo, l’Adunanza Plenaria afferma i seguenti principi di diritto:

a) la società Poste Italiane s.p.a. è soggetta alla disciplina, di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, con riferimento al pubblico servizio di cui è affidataria;

b) il diritto di accesso è esercitabile dai dipendenti della medesima società, limitatamente alle prove selettive di accesso, alla progressione in carriera ed ai provvedimenti di auto-organizzazione degli uffici, incidenti in modo diretto sulla disciplina, di rilevanza pubblicistica, del rapporto di lavoro.

Completano l’intervento delegato una serie di norme contenenti:

  • una clausola di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome (art. 23);

  • un intervento di coordinamento con la normativa vigente (art. 27);

  • e le disposizioni in materia di partecipazioni societarie che vengono abrogate perché confluite nel d.lgs. 175/2016 o ritenute non più necessarie (art. 28).

È evidente la complessità del fenomeno contenuto nel T.U. delle società partecipate.

La disciplina, infatti, va letta non in maniera asettica ma con l’ausilio del compendio normativo vigente, in particolare ponendo l’attenzione al nuovo Codice dei contratti pubblici, che contiene una serie di norme di fondamentale importanza per la definizione di istituti affini.


Bibliografia

Caringella, Il sistema di diritto amministrativo, DIKE GIURIDICA EDITORE

Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, GIAPPICHELLI EDITORE

Garofoli, Focus magistratura, NEL DIRITTO EDITORE

Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale del 8 marzo 2017, Schema di decreto legislativo concernente “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”

Dossier XVII legislatura, Senato della Repubblica e Camera dei deputati, T.U. sulle società a partecipazione pubblica


Note

[1] SOCIETA’ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: fenomeno in cui lo strumento societario, tipico del diritto privato, vede la partecipazione, più o meno ampia, al capitale della medesima società, della mano pubblica, intesa quale PA in senso ampio. Si assiste ad una compenetrazione tra diritto privato e diritto amministrativo che, di conseguenza, induce l’interprete a verificare come il diritto amministrativo sia capace di adattarsi all’utilizzo di istituti che, normalmente, non appartengono al suo modus agendi.

[2] Consiglio di Stato sentenza n.4364\2013

[3] Un rapporto Istat del 2014 evidenzia la presenza di moltissimi enti societari nei quali sono impiegati all’incirca 977.972 lavoratori. Di questi il 25,6% è partecipato al 100% da soggetti pubblici, il 29,1% per una quota compresa tra il 50 e il 99,9%, il 18% per una quota tra il 20% e il 50%, mentre il 27,1% per una quota inferiore al 20%. È, altresì emerso, che attualmente in Italia ci sono 7.757 organismi attivi a partecipazione pubblica, non tutti aventi forma societaria, con a carico complessivi 953.100 impiegati, di questi organismi all’incirca 5.000 sono società pubbliche, in prevalenza partecipate da enti territoriali con a carico più di 500.000 unità. Con riferimento a queste ultime società la Corte dei Conti ha evidenziato che meno della metà svolgono attività di servizio pubblico: soltanto 1.700 svolgono un servizio pubblico, le restanti si occupano esclusivamente di attività strumentali. Inoltre, tra le società pubbliche censite, ben 988 hanno un numero di impiegati inferiore ai membri del consiglio di amministrazione: circa 2.479 società partecipate risultano avere un numero di impiegati inferiore a 20 unità, e quasi 1.600 delle società in questione hanno una produzione inferiore al milione di euro.

[4] Art. 5 Cost. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

Art. 118 Cost. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

[5] F. Caringella, Il sistema di diritto amministrativo, DIKE GIURIDICA EDITORE

[6] In questa categoria rientrano anche le c.d. SOCIETA’ IN HOUSE.

[7] Si segnalano in proposito: l. 142/1990, l. 448/1992, D.lgs. 267/2000 (che fanno espresso ricorso al modello societario); l. 127/1997 (in materia di obbligo di trasformazione societaria di aziende speciali e consortili); diverse leggi finanziarie fino alla l. 311/2004 (di incentivazione alla esternalizzazione anche attraverso società di attività e servizi); d.l. 223/2006 (che regola la disciplina sulle società strumentali e tutela della concorrenza rispetto alle attività esercitate attraverso soggetti a partecipazione pubblica); l. 244/2007, d.l. 78/2010 e l. 190/2012 (che ammettono il ricorso a società); d.l. 112/2008, d.l. 138/2011 e d.l. 179/2012 (in materia di interventi di tipo restrittivo per le società che gestiscono servizi pubblici locali); l.296/2006, d.l. 78/2010 e d.l. 95/2012 (disciplina su costi della politica e azioni di spending review); l. 147/2013, d.l. 16/2014, d.l. 90/2014 e l. 190(2014 (introduzione di vincoli più stringenti e sostanziali, soprattutto di natura finanziaria, per gli enti locali; definizione più chiara di limiti e opportunità. In materia finanziaria e organizzativa, a cui sono assoggettati società e altri organismi partecipati da enti pubblici).

[8] Deleghe al governo per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

[9] In particolare l’art. 16, comma 4, della legge 7 agosto 2015 delega il Governo ad adottare decreti legislativi di semplificazione dei seguenti settori: a) lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa; b) partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche; c) servizi pubblici locali di interesse economico generale.

Nell’esercizio della delega il Governo si deve attenere ai seguenti principi e criteri direttivi generali: a) elaborazione di un Testo unico delle disposizioni in ciascuna materia, con le modifiche strettamente necessarie per il coordinamento delle disposizioni stesse, salvo quanto previsto nelle lettere successive; b) coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni legislative vigenti, apportando le modifiche strettamente necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo; c) risoluzione delle antinomie in base ai principi dell’ordinamento e alle discipline generali regolatrici della materia; d) indicazione esplicita delle norme abrogate, fatta salva l’applicazione dell’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile; e) aggiornamento delle procedure, prevedendo la più estesa e ottimale utilizzazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, anche nei rapporti con i destinatari dell’azione amministrativa.

Invece a norma dell’art. 18 «1. Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche è adottato al fine prioritario di assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza, con particolare riferimento al superamento dei regimi transitori, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, che si aggiungono a quelli di cui all’articolo 16: a) distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte, agli interessi pubblici di riferimento, alla misura e qualità della partecipazione e alla sua natura diretta o indiretta, alla modalità diretta o mediante procedura di evidenza pubblica dell’affidamento, nonché alla quotazione in borsa o all’emissione di strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati, e individuazione della relativa disciplina, anche in base al principio di proporzionalità delle deroghe rispetto alla disciplina privatistica, ivi compresa quella in materia di organizzazione e crisi d’impresa; b) ai fini della razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, l’assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, quale la gestione di servizi di interesse economico generale; applicazione dei principi della presente lettera anche alle partecipazioni pubbliche già in essere; c) precisa definizione del regime delle responsabilità degli amministratori delle amministrazioni partecipanti nonché dei dipendenti e degli organi di gestione e di controllo delle società partecipate; d) definizione, al fine di assicurare la tutela degli interessi pubblici, la corretta gestione delle risorse e la salvaguardia dell’immagine del socio pubblico, dei requisiti e della garanzia di onorabilità dei candidati e dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società, anche al fine di garantirne l’autonomia rispetto agli enti proprietari; e) razionalizzazione dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, finalizzati al contenimento dei costi, tenendo conto delle distinzioni di cui alla lettera a) e introducendo criteri di valutazione oggettivi, rapportati al valore anche economico dei risultati; previsione che i risultati economici positivi o negativi ottenuti assumano rilievo ai fini del compenso economico variabile degli amministratori in considerazione dell’obiettivo di migliorare la qualità del servizio offerto ai cittadini e tenuto conto della congruità della tariffa e del costo del servizio; f) promozione della trasparenza e dell’efficienza attraverso l’unificazione, la completezza e la massima intelligibilità dei dati economico-patrimoniali e dei principali indicatori di efficienza, nonché la loro pubblicità e accessibilità; g) attuazione dell’articolo 151, comma 8, del Testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di consolidamento delle partecipazioni nei bilanci degli enti proprietari; h) eliminazione di sovrapposizioni tra regole e istituti pubblicistici e privatistici ispirati alle medesime esigenze di disciplina e controllo; i) possibilità di piani di rientro per le società con bilanci in disavanzo con eventuale commissariamento; l) regolazione dei flussi finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione pubblica e società partecipate secondo i criteri di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private e operatore di mercato; m) con riferimento alle società partecipate dagli enti locali: 1) per le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative, definizione di criteri e procedure per la scelta del modello societario e per l’internalizzazione nonché di procedure, limiti e condizioni per l’assunzione, la conservazione e la razionalizzazione di partecipazioni, anche in relazione al numero dei dipendenti, al fatturato e ai risultati di gestione; 2) per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale, individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che comportino obblighi di liquidazione delle società, nonché definizione, in conformità con la disciplina dell’Unione europea, di criteri e strumenti di gestione volti ad assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico e ad evitare effetti distorsivi sulla concorrenza, anche attraverso la disciplina dei contratti di servizio e delle carte dei diritti degli utenti e attraverso forme di controllo sulla gestione e sulla qualità dei servizi; 3) rafforzamento delle misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di qualità, efficienza, efficacia ed economicità, anche attraverso la riduzione dell’entità e del numero delle partecipazioni e l’incentivazione dei processi di aggregazione, intervenendo sulla disciplina dei rapporti finanziari tra ente locale e società partecipate nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e al fine di una maggior trasparenza; 4) promozione della trasparenza mediante pubblicazione, nel sito internet degli enti locali e delle società partecipate interessati, dei dati economico-patrimoniali e di indicatori di efficienza, sulla base di modelli generali che consentano il confronto, anche ai fini del rafforzamento e della semplificazione dei processi di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle amministrazioni pubbliche partecipanti e delle società partecipate; 5) introduzione di un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei principi di razionalizzazione e riduzione di cui al presente articolo, basato anche sulla riduzione dei trasferimenti dello Stato alle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni in materia; 6) introduzione di strumenti, anche contrattuali, volti a favorire la tutela dei livelli occupazionali nei processi di ristrutturazione e privatizzazione relativi alle società partecipate; 7) ai fini del rafforzamento del sistema dei controlli interni previsti dal Testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, revisione degli obblighi di trasparenza e di rendicontazione delle società partecipate nei confronti degli enti locali soci, attraverso specifici flussi informativi che rendano analizzabili e confrontabili i dati economici e industriali del servizio, gli obblighi di servizio pubblico imposti e gli standard di qualità, per ciascun servizio o attività svolta dalle società medesime nell’esecuzione dei compiti affidati, anche attraverso l’adozione e la predisposizione di appositi schemi di contabilità separata».

[10] Si tratta della medesima definizione contenuta nella direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici. Il “controllo analogo” è un controllo effettivo e strutturale sui soggetti in house da parte dell’ente pubblico. La Corte costituzionale, con  sentenza n. 46/2013, ha precisato che si configura tale forma di controllo allorquando manca “un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante e affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo”. La terminologia nasce nella giurisprudenza comunitaria, in particolare con la pronuncia della CGUE, in causa Parking Brixen (2005), laddove si afferma che sul soggetto concessionario deve essere esercitato “un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti”. Tale definizione, codificata prima nell’art. 12, par. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2014/24/UE in materia di appalti pubblici, è poi stata recepita dal legislatore italiano sia nell’art. 5, comma 2, del nuovo codice dei contratti pubblici sia nell’art. 2 d.lgs. 175/2015.

[11] Detta situazione si verifica al ricorrere delle condizioni di cui all’articolo 5, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016, a norma del quale “a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata devono essere composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti”.

[12] In diritto comunitario è particolarmente avvertita la necessità che sia rispettato il principio di concorrenza, finalizzato ad assicurare la “libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi, e dei capitali” (art. 26 TFUE). Pertanto sono dettate tre tipologie di regole:

àLe regole antitrust (artt.  101 e 107 TFUE) che impongono, da un lato, ai soggetti che svolgono attività di impresa di evitare di porre in essere comportamenti idonei a restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno; dall’altro, agli Stati membri di falsare o minacciare di falsare la concorrenza, concedendo aiuti o risorse, sotto qualsiasi forma, solo a talune imprese. Occorre, dunque, rispettare il principio di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private. Infatti, considerando che, a norma dell’art. 106 TFUE “gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei Trattati”, un eventuale trattamento di favore per le sole imprese private potrebbe comportare una grave violazione delle regole della concorrenza. Per tale motivo è risultato di fondamentale importanza separare le attività di impresa dalle attività amministrative, che godono di privilegi pubblici, così da evitare che l’impresa possa utilizzare i vantaggi che le derivano dall’essere considerata una PA, con tutto ciò che ne deriva in materia di agevolazioni.

àLa concorrenza nel mercato presuppone, invece, l’adozione di misure di liberalizzazione finalizzate ad eliminare o ridurre barriere di accesso al mercato per assicurare l’esercizio delle libertà fondamentali. Non si può consentire allo Stato membro di dar vita a forme di monopoli o oligopoli legali, che possano riconoscere e/o attribuire, a talune imprese, una posizione particolarmente agevolata dalla quale trarre vantaggi che altre imprese normalmente non sono in grado di ottenere.

àInfine, la concorrenza per il mercato si preoccupa di fornire la disciplina di diritto pubblico relativa alla scelta del soggetto che può erogare una determinata prestazione di servizi; considerando, però, la particolare eccezione rappresentata dalla possibilità di rivolgersi direttamente ad alcune imprese, laddove siano solo alcuni i soggetti in grado di svolgere quella specifica attività, in quanto resta necessario assicurare determinate prestazioni. Ma ciò sempre nel rispetto dei principi fondamentali del diritto europeo.

[13] Cass. civ., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283; id., 10 marzo 2014, n. 5491; 26 marzo 2014, n. 7177; 9 luglio 2014, n. 15594; 24 ottobre 2014, n. 22609; 24 marzo 2015, n. 5848; si v. anche Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1

[14] Si tratta di un modello di affidamento dapprima previsto in ambito giurisprudenziale europeo. Infatti nella pronuncia della CGUE, in causa Acoset S.p.A (2009) si legge che le norme comunitarie “non ostano all’affidamento diretto di un servizio pubblico che preveda l’esecuzione preventiva di determinati lavori a una società a capitale misto, pubblico e privato, costituita specificamente al fine della fornitura di detto servizio e con oggetto sociale esclusivo, nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere e delle caratteristiche dell’offerta in considerazione delle prestazioni da fornire, a condizione che detta procedura di gara rispetti i principi di libera concorrenza, di trasparenza e di parità di trattamento imposti dal Trattato CE per le concessioni”. Si è, poi, espressa anche la giurisprudenza interna. Sul punto, Consiglio di Stato (sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555), ha precisato che “Le condizioni che devono sussistere affinché il ricorso ad una società mista, sia legittimo sono: 1) che esista una norma di legge che autorizzi l’amministrazione ad avvalersi di tale “strumento”; 2) che il partner privato sia scelto con gara; 3) che l’attività della costituenda società mista sia resa, almeno in via prevalente, in favore dell’autorità pubblica che ha proceduto alla costituzione della medesima; 4) che la gara (unica) per la scelta del partner e l’affidamento dei servizi definisca esattamente l’oggetto dei servizi medesimi (deve trattarsi di servizi “determinati”); 5) che la selezione della offerta migliore sia rapportata non alla solidità finanziaria dell’offerente, ma alla capacità di svolgere le prestazioni specifiche oggetto del contratto; 6) che il rapporto instaurando abbia durata predeterminata”. Il principio della gara a doppio oggetto ha trovato codificazione, nel comma 12 dell’art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, fino, poi, ad essere trasfuso nella disciplina di cui al d.lgs. 175/2016.

[15] Servizio di interesse generale quale “attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbe svolta dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbe svolta a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale” (art. 2). Questi ultimi, invece sono definiti, sempre all’art. 2 d.lgs. 175/2016, come quei “servizi di interesse generale erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato”.

[16] In conformità al precedente n. 22209 del 2013

[17] Sul punto già Cass. 21991/2012 aveva precisato che, ai fini dell’esclusione di una società mista dal fallimento, non è di per sé rilevante la soggezione al potere di vigilanza e di controllo pubblico, che consista nella verifica della correttezza dell’espletamento del servizio comunale svolto, riguardando, pertanto, la vigilanza l’attività operativa della società nei suoi rapporti con l’ente locale o con lo Stato, non nei suoi rapporti con i terzi e le responsabilità che ne derivano.

[18] Ad. Plen. n. 4/1999

[19] A norma dell’art. 22, comma 1, lettera “b” della legge n. 241/1990

[20] Operato col già richiamato d.lgs. n. 33 del 2013

[21] Di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 150 del 2009


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