Legittima difesa e “nuova” legittima difesa domiciliare: problematiche ed eccesso colposo di cui alla L. 36/2019

Legittima difesa e “nuova” legittima difesa domiciliare: problematiche ed eccesso colposo di cui alla L. 36/2019

Sommario: Premessa 1. La legittima difesa “comune”: normativa, ratio e caratteristiche – 2. La legittima difesa domiciliare – 2.1. La legittima difesa domiciliare di cui alla L. 59/2006 – 2.2. La “nuova” legittima difesa domiciliare di cui alla L. 36/2019 – 3. L’eccesso colposo e la L. 36/2019 – 3.1. Breve ricostruzione dell’eccesso colposo – 3.2. Problematicità sulla legittima difesa domiciliare ed eccesso colposo di cui alla L. 36/2019

 

Premessa

Prima di analizzare compiutamente la nuova disciplina della “nuova” legittima difesa domiciliare operata a seguito della L. 36/2019 e le relative problematiche ad essa connesse, occorre ripercorrere la normativa, la ratio e le caratteristiche della legittima difesa c.d. comune , così da poter effettuare le dovute differenze e da comprenderne al meglio le implicazioni, sia riguardo all’eccesso colposo che alle diverse teorie dottrinali e giurisprudenziali avanzate sul tema.

1. La legittima difesa c.d. comune: normativa, ratio e caratteristiche

La legittima difesa è disciplinata all’art. 52 del c.p. , dove al co. 1 viene statuito che: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.

La ratio di tale  principio, trova la sua origine nel diritto romano dove secondo il brocardo “vim vi repellere licet” era consentito di respingere la violenza con la violenza. Si tratta di un residuo di autotutela che lo Stato concede al cittadino, a seguito di eccezionali situazioni in cui l’Autorità non può intervenire tempestivamente. L’ordinamento giuridico quindi, in virtù di un bilanciamento di interessi tra il soggetto aggressore e colui che deve necessariamente difendersi, attribuisce prevalenza all’interesse di quest’ultimo.

Dall’art. 52 c.p. emerge che la struttura della legittima difesa si concentra su due specifici requisiti contrapposti fra di loro: la condotta aggressiva e la reazione difensiva, che al fine di una loro migliore comprensione, appare opportuno trattare separatamente.

La condotta aggressiva, di norma deve scaturire da un comportamento umano, se invece proviene da animali o cose, è necessario che sia rinvenibile un soggetto obbligato ad esercitare su di essi una vigilanza. L’offesa può dipendere anche da una condotta omissiva, come nel caso in cui il proprietario di un cane feroce si rifiuti di richiamarlo a seguito di un’aggressione di un bambino; o può consistere in una comportamento attivo dell’aggressore che espone ad un pericolo attuale un diritto del soggetto agente o di un terzo.

La condotta aggressiva rileva altresì ai fini dell’ingiustizia dell’offesa, anche in virtù di una posizione di garanzia da cui derivano obblighi di protezione. E’ il caso del genitore che abbandona materialmente il proprio neonato rischiando di causargli la morte impedita dall’intervento anche violento del soggetto agente, quest’ultimo quindi, potrà avvalersi della causa di giustificazione della legittima difesa nei confronti della condotta offensiva, di natura omissiva, del terzo nei confronti del bambino.

La reazione difensiva all’offesa ingiusta è altresì giustificata, nei confronti del soggetto immune o non imputabile: secondo l’art. 52 c.c. l’applicabilità della legittima difesa, è di natura oggettiva e prescinde dunque dai difetti di imputabilità che sono di natura soggettiva. Recentemente si è posto il problema avuto riguardo al soggetto agente che ponga in essere la condotta difensiva per salvare un diritto del terzo dalla condotta attiva od omissiva di quest’ultimo: è il caso ad esempio del cane chiuso in auto sotto il sole che rischierebbe di morire, e di un passante che accortosi del pericolo attuale rompa il vetro della vettura per salvarlo. A tal proposito ci si è chiesti se in questi casi possa essere invocata la scriminante dello stato di necessità, dove occorre espressamente  la presenza del pericolo di un danno  grave alla persona di regola non estensibile analogicamente nel caso in cui il pericolo sia nei confronti di un animale. Pur non essendoci casi giurisprudenziali sul tema, è stato prospettata la possibilità, qualora siano presenti tutti i requisiti, dell’attualità del pericolo, di proporzionalità tra offesa e difesa, e di necessità tra difesa e offesa, una rilettura funzionale ed estensiva della legittima difesa di cui all’art. 52 c.p. In tal senso, non si esclude che il diritto da proteggere possa essere dello stesso autore dell’offesa e che il soggetto agente abbia agito per difendere il “diritto altrui”.

L’offesa dunque, come si è avuto modo di anticipare, deve essere necessariamente ingiusta, non potrà infatti rientrare nella scriminante della legittima difesa, salvi i casi delle scriminanti putative, qualora la condotta aggressiva al diritto proprio o altrui sia espressamente autorizzata dall’ordinamento, come per le fattispecie scriminanti di esercizio di una facoltà legittima, dell’adempimento di un dovere giuridico o dell’esercizio di una funzione pubblica.

Riguardo all’oggetto dell’aggressione deve trattarsi di un diritto proprio od altrui: l’art. 52 c.p. utilizza il termine generico “diritto”, ben potendosi trattare non solo di un diritto soggettivo in senso stretto, ma di qualsiasi interesse considerato meritevole di protezione da parte del nostro ordinamento giuridico.

Altro presupposto indefettibile della scriminante della legittima difesa è l’attualità del pericolo: il pericolo non deve essere né passato, né futuro, l’offesa infatti deve essere presente al momento del fatto, così da giustificare la reazione difensiva come l’unico mezzo per proteggere il bene.

Pertanto,  allo stesso modo, non potrà essere invocata la scriminante nel caso in cui il pericolo sia venuto meno in corso d’opera, in tal caso dunque  il soggetto agente sarà tenuto ad arrestare la propria condotta reattiva. Per quanto concerne l’attualità del pericolo, giova precisare che la giurisprudenza minoritaria di merito, considera la possibilità di estendere l’art. 52 c.p. ai casi in cui il pericolo seppur non attuale sia certo ed inevitabile, per esigenze che impongono un’anticipazione della difesa che in un momento successivo, risulterebbe inutile.  La legittima  difesa, si è evidenziato, fa infatti riferimento alla condotta tipica dell’agente ed è finalizzata a prevenire un’offesa futura e non a reagire successivamente ad un’offesa subita.  Non potrà dunque essere invocata la scriminante in esame nel caso in cui si tratti di una mera vendetta del soggetto agente successiva alla condotta offensiva del terzo ormai consumata, sarà al  contrario invocabile nel caso in cui il diritto risulti già offeso dalla condotta lesiva del terzo, purché il pericolo risulti ancora attuale come aggravamento delle sue conseguenze o delle sue offese,  quantunque oltre che presente anche futuro.

Infine appare opportuno specificare, pur nel silenzio del legislatore, che la giurisprudenza e parte della dottrina sono inclini nel ritenere che la scriminante non possa essere invocata nel caso in cui la situazione di pericolo sia volontariamente cagionata dal soggetto reagente, in quanto verrebbe meno il requisito della costrizione.

La costrizione è un requisito autonomo rispetto alla ingiustizia dell’offesa che viene meno se la situazione di pericolo è volontariamente causata . Si tratta di un è un giudizio da valutare ex ante e basato sulla prevedibilità dello stesso. Tale conclusione appare condivisibile non solo perché, diversamente opinando, difetterebbe l’involontarietà del pericolo ma anche in ragione della ratio sottesa alla scriminante: i contendenti infatti non si trovano nell’impossibilità di invocare l’aiuto dell’Autorità, in quanto hanno creato la situazione di rischio.

Per quanto concerna la reazione difensiva, essa è giustificata in presenza di due requisiti: la necessità e la proporzionalità.

La necessità, c.d. commodus discessus, della reazione attiene alla inevitabilità della stessa, non è  stato possibile cioè compiere una condotta diversa meno offensiva da quella posta in essere. Tale giudizio, di natura relativa,  è rilevabile  solo a posteriori, non è possibile infatti ex ante prendere in considerazione  tutte le circostanze del caso.

Riguardo al requisito della necessità, da tempo sia la dottrina che la giurisprudenza hanno discusso in ordine alla possibilità di riconoscere la scriminante in esame nel caso in cui l’aggredito sia in grado di mettersi in salvo con la fuga. Come anticipato, la ratio della legittima difesa impone che il soggetto ricorra all’autotutela laddove non sia possibile fare altrimenti, e quindi non solo nel caso in cui non sia possibile ricorrere all’Autorità, ma anche laddove anche la via di fuga non sia percorribile. Dunque, per ragioni facilmente comprensibili, non si può più ritenere valido l’orientamento secondo il quale la fuga sarebbe esclusa dalle opzioni vagliate a sostegno della difesa legittima, in quanto considerata come un comportamento “vile” e disonorevole. L’auto-difesa nel nostro ordinamento è considerata come l’extrema ratio e quindi opera solo laddove non vi siano ulteriori ed efficaci possibilità. Giova specificare che il giudizio di valutazione di tale circostanza non risulta di  immediata percezione, in quanto devono essere vagliate in concreto tutte le modalità della difesa e dell’offesa, nonché le effettive possibilità di fuga e le relative conseguenze sia nei confronti del soggetto agente che dei terzi.

Tuttavia le problematiche più rilevanti sorgono nei confronti del secondo requisito ovvero della proporzione tra offesa e difesa.

Secondo un primo orientamento, ormai superato, la valutazione dovrebbe essere effettuata tenendo conto dei mezzi  difensivi disponibili dall’aggredito e di quelli concretamente da lui utilizzati.  Tale tesi non può essere più accolta in quanto si aprirebbe alla possibilità di ammettere una reazione difensiva maggiore e proporzionata rispetto a quella ricevuta, sulla base dei soli mezzi impiegati dall’agente, senza una opportuna valutazione degli interessi in gioco.

Altro orientamento, anch’esso non più attuale, afferma che bisognerebbe considerare il valore tra i beni e gli interessi in conflitto e dunque, effettuato il giudizio di bilanciamento, ammetterebbe il requisito della proporzione laddove il diritto difeso risulti di maggiore o almeno di pari rilevanza rispetto a quello subito.

Per contro, altra dottrina ritiene invece che quest’ultimo criterio del valore giuridico non possa essere considerato valido, in quanto il relativo giudizio di  bilanciamento opererebbe in astratto, occorrendo invece un giudizio che stabilisca in concreto se sussista la proporzione tra la condotta difensiva e l’offesa ingiusta, un giudizio che tenga inoltre in considerazione anche i mezzi utilizzati.  Anche tale criterio legato ai mezzi di offesa e di difesa  non è risultato vincente a fini del giudizio di proporzionalità:  è possibile infatti che, un mezzo astrattamente più innocuo, sia nel concreto più offensivo se messo in relazione all’interesse leso e alle circostanze concrete, e viceversa.

Appare pertanto più idoneo considerare un criterio misto, che tenga conto nel concreto, non solo del giudizio di  proporzionalità fra difesa e offesa, ma anche della gravità del pregiudizio arrecato  e della rilevanza del bene giuridico violato, indipendentemente dal mezzi utilizzati.  Occorre da ultimo specificare che il giudizio di comparazione tra i beni in gioco non deve essere considerato solo  in senso “statico” ovvero basato su un mero criterio gerarchico di prevalenza fra i beni in gioco, ma anche dal punto di vista dinamico, ovvero tenendo conto dell’intensità della lesione del bene. In tal senso la valutazione sarebbe più rispondente ai requisiti non solo di proporzionalità di cui agli artt. 2 e 3 Cost., ma anche di ragionevolezza (in tal senso Cass. pen. n.20727/2003).

2. La legittima difesa domiciliare

Proprio il requisito della proporzione sopra esaminato, è stato oggetto di due recenti interventi normativi incidenti sulla legittima difesa: il primo ad opera della legge n.59/2006 che al co. 1 ha introdotto la legittima difesa domiciliare nei nuovi commi 2 e 3 dell’art. 52 c.p. ; e il secondo ancora più recente, grazie alla legge n. 36/2019 che ne ha modificato sensibilmente il contenuto.

2.1. La legittima difesa domiciliare di cui alla L. 59/2006

Riguardo la prima novella giova da subito specificare, che la ratio sottesa alla legittima difesa domiciliare risiede nello scopo voluto dal legislatore, di ampliare i presupposti della stessa ai casi in cui l’aggressione avvenga nella propria abitazione o in un luogo ad essa assimilabile, così da differenziare la legittima difesa domiciliare da quella c.d. comune.

Nello specifico, occorre analizzare i commi 2 e 3 introdotti della suesposta normativa del 2006 in relazione al requisito della proporzione  in base al quale il legislatore ne ha specificato sia l’ambito operativo che i requisiti per la sua applicazione.

Il comma secondo dell’art. 52 c.p. richiama espressamente le fattispecie previste dai commi primo e secondo dell’art. 614 c.p. disciplinante il delitto di violazione di domicilio. In entrambi i casi richiamati dalla novella, la condotta si concretizza nel domicilio o in altro luogo ad esso assimilabile, contro la volontà o in difetto di conoscenza del proprietario, possessore o detentore dell’immobile. Le due condotte si distinguono a seconda che  il reo si introduca o sia a già presente nel luogo di privata dimora.

Il comma 3 dell’art 52 c.p., estende le condotte di cui al comma due del medesimo articolo, ai casi in cui l’accesso o la permanenza ha ad oggetto “ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”. In relazione a quest’ultimo inciso,  si sono sollevate due diverse interpretazioni della norma, l’una restrittiva,  avente ad oggetto esclusivamente l’effettiva ed attuale dimora della persona offesa; l’altra ampliativa che ha esteso la tutela penale anche al bagagliaio dell’auto.

La suesposta disciplina come originariamente introdotta dalla novella del 2006, consente all’agente , che sia legittimamente presente nel suo domicilio o nel luogo di privata dimora, di utilizzare l’arma o altro mezzo idoneo nei confronti di chi si sia introdotto o trattenuto illecitamente all’interno degli stessi. Lo scopo della scriminante in esame risulta legittimo quando è finalizzato  a difendere: a) la propria o l’altrui incolumità, b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

Ciò chiarito, bisogna soffermarsi sulla problematica affrontata dalla dottrina con riguardo ai rapporti tra la legittima difesa c.d. domiciliare e la legittima difesa il primo comma dell’art. 52 c.p.

Parte della dottrina considera la legittima difesa domiciliare come una scriminante autonoma e diversa rispetto a quella della difesa legittima comune, ma non ne ha individuato né i limiti e né i presupposti;

Diversamente, per altra parte della dottrina, non si tratta di una causa di giustificazione autonoma rispetto a quella comune, basata quindi su un diritto assoluto alla difesa domiciliare o su un generale diritto alla protezione della propria sfera privata, bensì essa si pone in un rapporto di genere a specie rispetto alla normativa generale alla quale deroga in relazione all’esclusivo requisito di proporzione. Laddove infatti non sussistono i presupposti specializzanti della legittima difesa domiciliare, e fatti salvi i requisiti del pericolo attuale dell’offesa ingiusta e dell’inevitabilità del pericolo, valevoli per entrambe le fattispecie,  si applica la regola generale della legittima difesa comune di cui al co.1 dell’art. 52 c.p.  Tale orientamento sarebbe altresì confermato dall’espresso rinvio al comma primo contenuto nel secondo comma e dalla pronuncia della Corte Suprema di Cassazione n.28802 del 2014 che. Avallando questa seconda tesi, si esprime in ordine alla non autosufficienza della legittima difesa domiciliare rispetto a quella comune.

Riguardo al mezzo utilizzato, deve trattarsi di un’arma legittimamente detenuta, sia sotto il punto di vista del relativo titolo, che delle modalità di conservazione, o di un altro mezzo idoneo alla difesa; è altresì necessario che  la reazione dell’agente sia finalizzata a difendere la propria o altrui incolumità, anche nel caso in cui la reazione del terzo sia volta ad aggredire il patrimonio e non via sia desistenza e sussista il pericolo per le persone.

Per quanto concerne l’ultimo inciso riguardante la protezione dei beni propri o altrui, è necessario che l’intruso non abbia desistito e che vi sussista pericolo di aggressione. Nello specifico, prevale l’interpretazione dottrinale secondo cui la norma non autorizza ad utilizzare armi o altri mezzi per difendersi al solo fine di tutelare beni patrimoniali, ma è necessario che sussista il pericolo di aggressione all’incolumità fisica del soggetto agente. Non è considerato quindi sufficiente, anche nel caso della mancanza di desistenza, il pericolo per i propri beni o altrui a giustificare l’uso delle armi.

In presenza di tutti i descritti presupposti il requisito di proporzione tra difesa e offesa risulta soddisfatto.

In merito alle caratteristiche specializzanti della legittima difesa domiciliare, avente ad oggetto la presunzione di proporzionalità di cui al co. 2 dell’art 52 c.p., la dottrina si è divisa in due orientamenti.

Il primo, considera la presunzione in esame tra difesa ed offesa, in senso assoluto, c.d. iure et de iure, ciò comporterebbe che il giudice non solo sarebbe esentato dal suo accertamento, ma si impedirebbe l’ammissione della prova contraria. Tale tesi trova la sua ratio giustificatrice nell’esigenza di rafforzare la sicurezza dei privati anche attraverso l’autotutela.

A tal riguardo, si è criticato, che tale indirizzo contrasterebbe con i principi tutelati espressamente dall’art. 2 Cedu, che consente il ricorso alla violenza solo laddove sia assolutamente necessario, ed anche dalla nostra Carta Costituzionale che considera la salute di cui all’art. 32 Cost. un diritto fondamentale del nostro ordinamento.

Sulla base delle suesposte ragioni, si ritiene preferibile avallare un secondo orientamento, seguito anche dalla Cass. n.11610/2011, che considera la proporzione in termini relativi, così da consentire da una parte al giudice di accertare nel caso concreto l’assoluta necessità di utilizzo dell’arma da parte dell’agente per difendersi nei confronti dell’aggressione dell’intruso; e, dall’altra, alla pubblica accusa di dimostrare l’assenza della proporzione e, allo stesso modo, sollevare l’imputato dall’obbligo di allegazione.

2.2. La “nuova” legittima difesa domiciliare di cui alla L. 36/2019

La recente L.36/2019  si compone di 9 articoli ed ha apportato rilevanti novità, sia in relazione al requisito della proporzione da ultimo suesposto, sia in materia di eccesso colposo che verrà analizzato specificamente a seguire, ed anche avuto riguardo alla sospensione condizionale della pena mediante aumenti di pena per determinati reati.

Nello specifico, l’art. 1 della summenzionata legge, modifica i co. 2 e 3 dell’art. 52 c.p. in tema di legittima difesa domiciliare, ed introduce un nuovo quarto comma che, come vedremo, non ha mancato anche in questo caso di suscitare notevoli perplessità e dubbi in dottrina.

Per quanto concerne le modifiche apportate al co. 2 dell’art. 52 c.p., il legislatore ha aggiunto l’avverbio “sempre” specificando che tale presunzione di proporzionalità ha valore assoluto e sostanziale e non relativo e probatorio. Tali considerazioni hanno creato forti dubbi soprattutto in ordine alla posizione della giurisprudenza della Corte Edu, che con la nota sentenza in Causa Alikaj c. Italia, del 2011, pur pronunciatasi in riferimento alla differente ipotesi delle armi di cui all’art. 53 c.p., presenta forti analogie con la norma in esame.I Giudici di Strasburgo nella sentenza suesposta, hanno infatti affermato che il ricorso alla forza deve essere assolutamente necessario, ed è considerato tale nel caso in cui il pericolo di aggressione alla propria o altrui incolumità sia effettivo e idoneo in concreto a ledere la vita di chi si difende.

La medesima direzione è seguita dalla Corte di legittimità, nella recente sentenza n.49883/2019 che, attraverso una lettura costituzionalmente orientata della lettera b), co. 2, dell’art. 52 c.p. così come modificato dalla L. 36/2019, pone l’accento sulla congiunzione “e” presente nello stesso. Un’interpretazione quella dei giudici di legittimità conforme sia Costituzione che alla sentenza Causa Alikaj c. Italia, del 2011 , in quanto dispone che la proporzione non può essere presunta nel caso in cui sussista  la necessità di tutelare solo beni di natura patrimoniale, e non per proteggere anche l’incolumità all’integrità personale.

E’ al contrario, minoritaria la tesi che considera la presunzione in esame applicabile solamente nel caso di minorata difesa o di  turbamento psichico, sulla base delle condizioni limitative di cui all’art. 55 , comma 2 c.p.

Per quanto concerne l’introduzione del nuovo quarto comma dell’art. 52 c.p., esso prevede che nel caso di non precisate ipotesi di “intrusione” da respingere, la presunzione assoluta (espressamente così intesa dall’utilizzo, anche in questo caso, dell’ avverbio “sempre”) considera tutti i casi di legittima difesa di cui al primo e comma e opera nel caso di violenza o “altri mezzi di coazione fisica da parte di una o più persone”. Come già annunciato, anche tale comma non è stato esente da critiche, stante l’ampiezza del raggio d’applicazione e la vaghezza dei presupposti della norma. Il quarto comma inoltre, troverà applicazione “ anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

Sempre in relazione al medesimo comma, giova evidenziare che un’interpretazione gerarchica del comma 4, considera che anche nel caso di intrusione, la presunzione abbia ad oggetto solo la proporzione e non la difesa che è sempre legittima stante la tutela del valore universale della sovranità domiciliare.

Infine in relazione ai requisiti spaziali, personali e reali dei commi 2 e 3 ai quali il  comma quarto rinvia , autorevole dottrina afferma che nel caso di intrusione, la reazione potrebbe essere attuata da chiunque agisca per difendersi e non solo dunque dal soggetto legittimamente presente nel domicilio.

3. L’eccesso colposo e la L. 36/2019

L’ultima modifica operata dalla L. 36/2019 sull’art. 52 c.p  attiene, come accennato, all’eccesso colposo di cui all’art. 55 c.p., che ha introdotto al suo interno un secondo comma secondo cui “ la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o dell’altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’art. 61, primo comma, numero 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”.

3.1. Breve ricostruzione dell’eccesso colposo

Giova premettere che il soggetto abbia dovuto colposamente eccedere nell’esercizio della legittima difesa: l’agente  infatti deve aver dovuto porre in essere una condotta che supera, colposamente, il limiti entro cui il fatto possa essere giustificato,  incappando nella responsabilità a titolo di colpa.

A tal proposito occorre brevemente evidenziare che la colpa del soggetto può essere causata conseguentemente a due tipologie di errore: errore giudizio ed errore materiale. Nel caso dell’errore giudizio l’agente valuta erroneamente la gravità o l’intensità dei presupposto, incorrendo in ciò che la dottrina e la giurisprudenza considerano come “eccesso nei fini”; nel secondo caso, l’errore è materiale, ed è rinvenibile nell’uso eccessivo dei mezzi o di modalità esorbitanti della propria condotta

Tanto l’errore giudizio che quello modale, devono essere commessi con colpa dal soggetto agente al fine di integrare la fattispecie di eccesso colposo in esame. Diversamente quando il superamento dei limiti della scriminante sia intenzionale e non dovuto ad un errore del reo, l’agente incorrerà nella diversa ipotesi di eccesso doloso.

3.2. Problematicità sulla legittima difesa domiciliare ed eccesso colposo di cui alla L. 36/2019

Esplicitate le dovute premesse,  è possibile adesso, occuparci della nuova ipotesi di eccesso colposo introdotta dal legislatore del 2019 nel caso della “nuova” legittima difesa domiciliare e della problematiche ad essa connesse.

Si tratta di una causa di non punibilità, collegata all’art. 61 n. 5 espressamente richiamato dalla novella, cioè allo stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto, ovvero dalle condizioni di minorata difesa.

La norma in esame in deroga all’art. 90 c.p. che nega l’incidenza degli stati d’animo soggettivi, risulta una scelta discrezionale del legislatore, che in conseguenza di un reato, anche se colposo, ha previsto l’esclusione della punibilità per mere ragioni di opportunità.

Tale causa speciale di non punibilità dell’eccesso colposo ex art. 55 c.p., in caso di minorata difesa o grave turbamento psichico produce una forte anomalia politica, tecnica e strutturale, con evidenti incidenze in termini di ragionevolezza: essa infatti esclude la sanzionabilità di un fatto giuridico e colpevole dando rilevanza a stati soggettivi, ed inoltre si applica anche ai fatti pregressi in quanto legge più favorevole ex art. 2, co. 4, c.p..

Si rischiano così di estendere all’art. 55 c.p. le doglianze già suesposte in sul nuovo articolo 52 c.p. in merito di compatibilità con i principi Cedu di cui all’art. 2 della Convenzione, che tutelano il bene supremo della vita..

Giova evidenziare un’altra anomalia che ha ad oggetto l’art. 7 della novella che aggiunge all’art. 2044 c.c. il comma 2 e 3 . L’art. 2043 c.c. infatti già statuiva che “ Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri”, e  se si considera che le scriminanti hanno un effetto generale, privativo del carattere dell’antigiuridicità anche in materia civile, amministrativa o disciplinare, il nuovo comma secondo cui “ Nei casi di cui all’articolo 52 c.p., commi secondo, terzo e quarto, del codice penale, la responsabilità di chi ha compiuto il fatto è esclusa, appare inutile e superfluo.

Per concludere, per quanto concerne il terzo comma dell’art. 52 c.p. in esame, giova considerare che il legislatore allarga alle summenzionate ipotesi il regime previsto per lo stato di necessità, che prevede un indennizzo  nel caso di condotta lecita scriminata dall’art. 54 c.p.

Sembra dunque alquanto peculiare che il legislatore abbia considerato il ristoro mediante il solo indennizzo  per mere ragioni di opportunità, a fronte di un illecito aquiliano, tipico e colposo.

La causa di non punibilità in senso stretto, infatti, non preclude il risarcimento in sede civile, ma in questo caso avviene mediante la corresponsione di mero un indennizzo, con la conseguenza di soddisfare il danneggiato, a fronte di un fatto illecito, non punibile, somme di importo inferiore rispetto all’ordinario rimedio risarcitorio.


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