L’istituto della messa alla prova nel processo penale a carico del minore: l’indefinitezza del quadro normativo tra opportuna flessibilità ed eccessiva discrezionalità

L’istituto della messa alla prova nel processo penale a carico del minore: l’indefinitezza del quadro normativo tra opportuna flessibilità ed eccessiva discrezionalità

L’istituto della messa alla prova è una forma di probation giudiziale che tende al recupero sociale del minore imputato, offrendogli la possibilità di sospendere l’ iter processuale in corso e di svolgere delle attività c.d. ‘’di prova’’ (individuate dagli operatori del servizio sociale in un apposito programma) determinando, in caso di esito positivo, la declaratoria di estinzione del reato.

L’istituto, nato su input europeo, è regolamentato nel nostro ordinamento dal decreto 448/88 recante “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni”: tale decreto offre il principale quadro di riferimento normativo dell’istituto.

Dall’analisi della disciplina ivi delineata, emerge immediatamente come la sospensione del processo con messa alla prova sia una misura estremamente flessibile, che si caratterizza per la scelta -volontaria e consapevole- del legislatore di non porre dei rigidi limiti alla sua applicazione, per garantire l’adattamento della risposta penale alle peculiarità del caso concreto e del suo giovane protagonista. Tale flessibilità, pur assumendo significati differenti, connota tutti e tre i momenti fondamentali in cui si snoda l’applicazione dell’istituto: la concessione, lo svolgimento della prova, valutazione finale del suo esito.

Più in particolare, già nella prima fase, quella della decisione del giudice circa l’applicazione o meno dell’istituto, la disciplina normativa non pone dei presupposti espliciti né di carattere oggettivo (quindi attinenti la fattispecie di reato) né di carattere soggettivo (quindi attinenti le caratteristiche personali del minore imputato) all’ applicazione dell’istituto. Questo risulta quindi essere applicabile ad una vasta ed eterogenea gamma di casi concreti.

A questa circostanza segue il chiaro rilievo che, la generale “disponibilità” dell’istituto si traduce in un ampliamento della discrezionalità del giudice.

Proprio tale ampissimo margine discrezionale riconosciuto al giudice nel delicato momento della decisione sulla concessione o meno della misura, è stato oggetto di un vivace dibattito: autorevole dottrina ha infatti opinato che la flessibilità del quadro normativo in questa fase si ridurrebbe a mera lacunosità, giacché, in assenza di puntuali riferimenti normativi, è solo il giudice a dover operare una valutazione, inevitabilmente discrezionale, sull’ opportunità dell’applicazione della messa alla prova nell’ottica della crescita e dello sviluppo dell’imputato minorenne. Si è dunque fortemente sollecitata un’integrazione del testo normativo al fine di rendere espliciti e ben determinati i presupposti applicativi dell’ istituto, sottraendoli così alla discrezionalità del giudice e garantendo esiti applicativi uniformi.

Negli altri due momenti che caratterizzano l’applicazione dell’istituto, quello dello svolgimento della prova e quello della sua valutazione, la flessibilità del quadro normativo assume invece un differente e fondamentale rilievo:

Il giudice, ove ritenga possibile il recupero sociale del minorenne imputato, potrà sospendere con ordinanza la prosecuzione del processo e disporre l’affidamento del minore ai servizi sociali. Questi saranno incaricati di elaborare un progetto d’intervento indicante le attività di prova che il giovane dovrà attendere per ottenere l’estinzione del reato.

Proprio con riferimento all’elaborazione ed al contenuto di questo progetto d’intervento, l’estrema flessibilità del quadro normativo manifesta la sua più squisita espressione. Non individuando aprioristicamente soluzioni “standardizzate”, il legislatore consente infatti agli operatori del servizio sociale  di elaborare un progetto di intervento che si plasmi sulle circostanze concrete (come il tipo di reato perseguito nel processo, l’età e lo sviluppo del minore, il contesto sociale di provenienza ecc…) e che contenga quindi le attività di carattere rieducativo più opportune, che meglio si prestano, al recupero sociale di quello specifico soggetto.

Non esiste quindi, sotto il profilo contenutistico, un progetto-standard applicabile indifferenziatamente a tutti gli imputati sottoposti alla messa alla prova: le prescrizioni devono essere individualizzate, pensate di volta in volta “su misura” al ragazzo, in maniera da risultare più efficaci possibili rispetto alla sua personalità ed al suo momento evolutivo. Questa impostazione garantisce la possibilità dell’individuazione delle attività a partire dal ragazzo e non a partire dalla norma.

Infine, al termine dello svolgimento delle attività di prova, si terrà una nuova udienza, durante la quale il giudice sarà chiamato a valutare l’esito della prova. La flessibilità del quadro normativo è chiamata nuovamente a svolgere, in questa fase, il delicato e fondamentale compito di scardinare il binomio formalistico “superamento della prova = esito positivo dell’attività”: a prescindere dal risultato concretamente ottenuto nelle singole attività del progetto, ad essere unico e centrale oggetto dell’attenzione del giudicante saranno l’impegno e la condotta tenuti dall’imputato.

Solo laddove quest’ultimo abbia manifestato il proprio impegno e la propria adesione alle attività progettuali, egli potrà ottenere la conclusione del processo mediante sentenza di estinzione del reato.


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