L’utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico

L’utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico

Fino all’introduzione dell’articolo 42 bis del D.P.R. n. 327 dell’8 giugno 2001 (il testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità), le soluzioni volte a rimediare al problema della occupazione illegittima di un bene immobile privato da parte dell’autorità che lo avesse utilizzato sine titulo per la realizzazione di un’opera pubblica erano di natura esclusivamente pretoria[1].

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[2] rilevarono che, anche a fronte di occupazione senza titolo, la realizzazione di un’opera pubblica avrebbe fatto perdere al suolo del privato la sua connotazione originaria, imprimendogli la stessa qualificazione pubblica che caratterizza l’opera nella sua unità[3].

La Corte poneva a fondamento dell’effetto traslativo l’istituto dell’accessione di cui all’articolo 934 c.c., applicandolo alla luce dell’articolo 42 della Costituzione che attribuirebbe prevalenza all’interesse pubblico su quello privato: in tali ipotesi si verificava una inversione dell’effetto traslativo dell’opera pubblica al suolo ai sensi dell’articolo 939[4], riconducibile all’istituto della accessione invertita sulla base dei principi di diritto desumibili per analogia iuris dall’articolo 938 c.c..

Successivamente, le sezioni unite della Corte di Cassazione[5] precisarono come il perfezionamento dell’effetto traslativo della proprietà da parte della pubblica amministrazione non imponeva l’adozione del decreto di esproprio, anche tardivamente adottato dalla pubblica amministrazione, essendo sufficiente la sussistenza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità: qualora, viceversa, mancasse anche la dichiarazione di pubblica utilità ovvero la stessa risultasse invalida la realizzazione dell’opera pubblica su un terreno posseduto senza titolo avrebbe integrato gli estremi di un istituto distinto, ossia la cosiddetta occupazione usurpativa.

Le conclusioni alle quali era giunta la Corte di Cassazione, oltre a sollevare una serie di incertezze relative all’ambito oggettivo di applicazione, venivano censurate da parte della Corte europea dei diritti umani[6].

Per rimuovere le censure sollevate dalla Corte Europea, l’articolo 43 del testo unico espropri introduceva l’acquisizione sanante, il quale, investito da ampie critiche dottrinali e giurisprudenziali, era dichiarato incostituzionale per eccesso di delega: il legislatore, tuttavia, ha reintrodotto l’istituto, sia pure rivisitato nelle modalità applicative e nei presupposti, con l’articolo 42 bis inserito nel DPR 2001 numero 327, dall’articolo 34 comma 1 del decreto-legge 6 luglio 2011 numero 98, convertito nella legge numero 111 del 15 luglio 2011, il quale ha superato positivamente Il vaglio della Consulta.

Oggi, quindi, la fattispecie dell’acquisizione provvedimentale è disciplinata dall’articolo 42 bis del testo unico ed è configurabile nelle ipotesi in cui l’autorità utilizzi un bene immobile per scopi di interesse pubblico e quest’ultimo subisca una variazione senza un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità.

La disciplina riconosce in capo all’amministrazione, al termine di un confronto degli interessi coinvolti, il potere di disporre l’acquisto, non retroattivo, del bene detenuto che viene devoluto al suo patrimonio indisponibile.

Al proprietario spetta la corresponsione di un indennizzo, per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, che dovrà essere forfettariamente liquidato nella misura del 10% del valore venale del bene oggetto di acquisizione sanante.

La pubblica amministrazione ha due alternative: restituire i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo status quo ante oppure acquisire un legittimo titolo di acquisto dell’area da parte del suo legittimo proprietario[7].

L’istituto ha natura del tutto eccezionale poiché idoneo a determinare un’espropriazione sostanziale, nella violazione della sequenza procedimentale nelle garanzie partecipative ordinariamente previste per l’espletamento delle procedure ablatorie.

Il legislatore subordina l’attivazione di un siffatto procedimento ad un intenso obbligo motivazionale[8].

Il provvedimento di acquisizione sanante va rilasciato all’esito dello svolgimento di un procedimento amministrativo, improntato al medesimo rispetto delle ordinarie garanzie partecipative a favore dei soggetti interessati. La norma stabilisce che nell’atto che dispone l’acquisizione si pronunci in relazione alla liquidazione dell’indennizzo spettante al privato, il cui pagamento dovrà avvenire nel termine di trenta giorni. Il provvedimento di acquisizione deve essere notificato al proprietario ed è soggetto a trascrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari a cura dell’amministrazione procedente.

 

 

 

 

 


Note bibliografiche
[1] L’articolo 42 bis ha riformulato il precedente istituto dell’acquisizione sanante di cui all’articolo 43, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza della Consulta numero 293 del 2010.
[2] Cass., SS. UU., sent. n. 1464 del 26 febbraio 1983.
[3] Veniva così data forma giuridica all’istituto dell’occupazione appropriativa o dell’accessione invertita, poi aspramente criticato dalla dottrina e dalla giurisprudenza. F. Caringella, Il sistema del diritto amministrativo, V, Dike Giuridica, Roma, 2019, p. 150.
[4] L’articolo 939 c.c. statuisce al primo comma, che quando più cose appartenenti a diversi proprietari sono state unite o mescolate in guisa da formare un sol tutto, ma sono separabili senza notevole deterioramento, ciascuno conserva la proprietà della cosa sua e ha diritto di ottenerne la separazione. In caso diverso, la proprietà ne diventa comune in proporzione del valore delle cose spettanti a ciascuno. Al secondo comma, l’articolo 939 c.c. stabilisce che quando però una delle cose si può riguardare come principale o è di molto superiore per valore, ancorché serva all’altra di ornamento, il proprietario della cosa principale acquista la proprietà del tutto. Egli ha l’obbligo di pagare all’altro il valore della cosa che vi è unita o mescolata; ma se l’unione o la mescolanza è avvenuta senza il suo consenso ad opera del proprietario della cosa accessoria, egli non è obbligato a corrispondere che la somma minore tra l’aumento di valore apportato alla cosa principale e il valore della cosa accessoria. Il terzo comma precisa che è inoltre dovuto il risarcimento dei danni in caso di colpa grave.
[5] Cass., SS. UU., sent. n. 3940 del 10 giugno 1988.
[6] L’istituto della occupazione appropriativa è stato ritenuto contrario all’articolo 1, protocollo 1 della Carta E.D.U., in quanto contrastante con il riconoscimento della natura fondamentale del diritto del proprietario al rispetto dei propri beni (sentenze Carbonara e Ventura c/Italia e Belvedere Alberghiera c/Italia).
[7] CdS, Sez. III, sent. n. 257 del 23 febbraio 2018.
[8] Sulla portata e la rilevanza del costrutto motivazionale si è espressa la Corte Costituzionale secondo la quale l’adozione del provvedimento acquisitivo presuppone una valutazione comparata degli interessi in conflitto, qualitativamente diversa da quella tipicamente effettuata nel normale procedimento espropriativo.

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Avv. Tullio Facciolini

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