Mezzi di coercizione indiretta all’adempimento

Mezzi di coercizione indiretta all’adempimento

Nell’ordinamento interno sono previsti mezzi di induzione all’esecuzione della prestazione, oggetto del rapporto obbligatorio, in quanto l’adempimento rileva sul piano economico come costo per la collettività. L’adempimento, infatti, postula e garantisce una rapida circolazione della ricchezza ed una sicurezza dei traffici economici. La previsione di mezzi di coercizione all’adempimento rinviene la propria giustificazione nell’esigenza di tutelare, prima ancora che il singolo creditore, interessi generali di tenuta del sistema economico.

I mezzi di coercizione all’adempimento intervengono, ontologicamente, in via preventiva. Si tratta, infatti, di strumenti finalizzati ad evitare le conseguenze negative che potrebbero derivare in punto di responsabilità per il debitore inadempiente. Tali forme di coazione si risolvono in una minaccia di sanzione, in quanto il rimedio incide sulla sfera giuridica del singolo non al fine di assicurare al titolare dell’interesse le utilità del bene, quanto piuttosto in funzione di una coazione all’adempimento.

Nell’ambito degli strumenti di induzione all’adempimento possono ricomprendersi variegate figure, diversificate sul piano strutturale, ma unificate sul piano funzionale. Si pensi alla clausola penale di cui all’art. 1382 c.c. che rappresenta un mezzo pattizio di coercizione all’adempimento. Invero le parti, nell’esercizio della loro autonomia privata, possono inserire nel contratto una clausola accessoria con cui si conviene, in caso di inadempimento o ritardo, il pagamento di una somma di denaro a prescindere dalla prova del danno. La penale, oltre ad una funzione di liquidazione forfettaria del danno, vale come mezzo di coercizione all’adempimento (Cassazione Sezioni Unite sentenza n. 18128/2005).

Altra parte della dottrina inquadra tra gli altri strumenti di coazione all’adempimento anche la disciplina posta in materia di interessi moratori, valorizzando in particolare la norma di cui all’art. 1224 c.c. Invero, la sola previsione di interessi, dovuti dal giorno della mora ed indipendentemente dalla produzione di un danno in capo al creditore, induce il debitore ad adempiere. Nell’ottica di evitare la corresponsione di interessi moratori, il debitore è quindi spinto ad eseguire esattamente e senza ritardo la prestazione dovuta.

L’ordinamento interno conosce, altresì, la possibilità che il giudice disponga a carico del datore di lavoro, inottemperante all’ordine di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, di risarcire il danno cagionato fino alla data della reintegrazione (art. 18, IV comma, St. dei lavoratori). Tale misura ha una duplice funzione: compensativa, in punto di danno sofferto dal lavoratore non immediatamente reintegrato, ma anche coercitiva all’adempimento da parte del datore dell’ordine giudiziale impartito.

Analoga funzione coercitiva hanno le pene giudiziali con le quali il giudice può rafforzare l’ordine inibitorio in materia di proprietà intellettuale ( artt. 124, 131, 132 Codice della proprietà industriale e art. 163 L. 633/1941).

Si tratta di misure settoriali che denotano l’assenza di una disciplina unitaria di strumenti di tutela coattiva dell’adempimento. La questione, peraltro, involge in modo problematico le obbligazioni di fare e non fare le quali difficilmente, nel caso di violazione, possono essere convertite nell’equivalente pecuniario non avendo generalmente un contenuto patrimoniale.

Orbene, il D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito dalla L. 132/2015, ha inserito nel codice di rito un nuovo Titolo IV bis relativo alle misure di coercizione indiretta, costituito da un unico articolo 614 bis c.p.c. La norma introduce la regolamentazione di uno strumento volto a garantire, in modo effettivo, l’esecuzione di provvedimenti di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro. Pertanto qualsiasi condanna, esclusa quella al pagamento di somme di denaro, potrà essere accompagnata dalla misura coercitiva indiretta. Nello specifico, il legislatore dispone che l’obbligato è tenuto al pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento giudiziale.

Il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, per espressa previsione normativa, costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme a titolo coercitivo. Si ravvisa, pertanto, una contestualità temporale tra la suddetta misura e la fase cognitoria, nel senso che è attribuito al giudice della cognizione, al momento della pronuncia di condanna, il potere di irrogare l’astreinte. Non sono mancate critiche sollevate al riguardo dalla dottrina che evidenzia la circostanza per cui al momento della pronuncia di condanna non sono prevedibili i successivi comportamenti dell’obbligato. Il creditore, pertanto, si tutela richiedendo la misura, azionabile ad istanza di parte, in vista di un futuro inadempimento.

Sul piano processualistico è, peraltro, discusso il momento di presentazione dell’istanza ex art. 614 bis c.p.c. Alcuni autori propendono per escludere qualsiasi preclusione temporale per la formulazione della domanda, salvo la necessità di rispettare il principio del contraddittorio e del doppio grado di giudizio. Altra parte della dottrina ammette, invece, che l’istanza possa essere presentata per la prima volta anche in fase di appello.

L’art. 614 bis c.p.c. condiziona la concessione della misura alla non manifesta iniquità della stessa. La valutazione demandata al giudice in punto di applicazione della misura è ampiamente discrezionale, dal momento che la norma non offre parametri di riferimento della manifesta iniquità. Il quantum della misura è determinato tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.

Vale la pena richiamare una figura similare all’art. 614 bis c.p.c. prevista dal legislatore nell’ambito del processo amministrativo. Si tratta dell’art. 114 lett. e del codice del processo amministrativo D.lgs. 104/2010. Il giudice dell’ottemperanza laddove accolga il ricorso “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo”.

La sovrapponibilità delle due misure non è assoluta. In primo luogo, il legislatore all’art. 114 lett. e) C.P.A. riconosce al giudice il potere di negare la misura non solo quando essa risulti manifestatamente iniqua, ma anche in presenza di altre ragioni ostative. In secondo luogo, la concessione della misura coercitiva nel processo amministrativo è demandata al giudice della ottemperanza, quale giudice di una fase mista cognitoria ed esecutiva. Nel processo civile la sanzione è quindi ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna pro futuro, al fatto eventuale dell’inadempimento; al contrario, nel processo amministrativo la misura può essere di immediata esecuzione in quanto disposta dal giudice dell’ottemperanza che ha già accertato l’inadempimento.

Merita di essere, peraltro, segnalata la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2014 volta ad estendere la portata applicativa delle astreintes nel processo amministrativo quando l’esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro. Tra le argomentazioni addotte dal Supremo Consesso si fa richiamo, in primo luogo, al tenore letterale dell’art. 114 lett. e) C.P.A.. A differenza di quanto desumibile dall’art. 614 bis c.p.c., non si ricava dal testo della norma un riferimento a tipologie di sentenze di condanna, ben potendo dunque la misura coercitiva nel processo amministrativo operare in presenza di sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro.

A ciò si aggiunge l’assenza di qualsiasi discriminazione e disparità di trattamento per le diverse tecniche di esecuzione previste nel settore pubblico rispetto il settore privato. Secondo l’Adunanza Plenaria, infatti, tale differenziazione costituisce “il precipitato logico e ragionevole della peculiare condizione in cui versa il soggetto pubblico destinatario di un comando giudiziale. La pregnanza dei canoni costituzionali di imparzialità, buona amministrazione e legalità che informano l’azione dei soggetti pubblici, qualificano in termini di maggiore gravità l’inosservanza, da parte di tali soggetti, del precetto giudiziale, in guisa da giustificare la previsione di tecniche di esecuzione più penetranti, tra le quali si iscrive il meccanismo della penalità di mora”.

Il breve excursus condotto rivela l’intima essenza dei mezzi di coercizione indiretta all’adempimento. La prospettiva di analisi dell’istituto deve essere colta valorizzando la visione polifunzionale della responsabilità civile, orientata non solo in chiave meramente riparatoria, ma anche preventiva e sanzionatoria. Le pene giudiziali, infatti, sanzionano la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolano il debitore all’adempimento, a prescindere dalla verificazione di un danno. Tale circostanza rinviene la propria giustificazione nella tendenza ordinamentale a stigmatizzare il pericolo di inadempimento, ritenuto pregiudizievole ex sé per la collettività sociale e per la tenuta del sistema economico.


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