Nota a Cass. Pen., sez. Un., ud. 28 settembre 2023 (dep. 16 febbraio 2024) n. 7029

Nota a Cass. Pen., sez. Un., ud. 28 settembre 2023 (dep. 16 febbraio 2024) n. 7029

Massima

Ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., il giudice dell’esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta”, che identifica la “violazione più grave”, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza. Ai sensi dell’art. 671 c.p.p. e art. 187 disp. att. c.p.p., in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, c.p.p. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), il giudice dell’esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato.

La vicenda. Il caso di specie prende le mosse dall’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, del 31 gennaio 2022, con la quale veniva accolta la richiesta del condannato di applicazione della disciplina della continuazione, ex art. 671 c.p.p., in relazione a sei reati oggetto di separate sentenze irrevocabili di condanna.

Il Giudice dell’esecuzione, evidenziato che, ad eccezione di una, tutte le sentenze di condanna risultavano emesse nell’ambito di giudizi svoltisi con rito abbreviato, individuava l’omicidio volontario aggravato ai sensi dell’art. 7 Legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416 bis.1 c.p.), punito con l’ergastolo, sostituito ex art. 442 c.p.p. con la reclusione ad anni trenta, quale violazione più grave ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p.

In considerazione di ciò, il giudice operava l’aumento sulla pena base dell’ergastolo, applicando su di essa le frazioni di pena a titolo di continuazione con gli ulteriori reati per i quali era stata pronunciata sentenza di condanna, giungendo, in questo modo, a trentatré anni e mesi nove di reclusione, da ridursi di un terzo, in forza della riduzione per il rito. Ai sensi dell’art. 72, co. 2 c.p. veniva, sulla pena base dell’ergastolo, applicato l’isolamento diurno. La successiva riduzione operata ex art. 442 c.p.p. permetteva di individuare, quale pena finale, l’ergastolo.

Avverso tale ordinanza, ha proposto ricorso per Cassazione il condannato, per mezzo del proprio difensore, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, con riguardo agli artt. 78 e 81 c.p., 671, co. 2 c.p.p. e 187 disp. att. c.p.p., per avere il giudice dell’esecuzione individuato, quale pena inflitta per la violazione più grave, l’ergastolo, anziché la reclusione ad anni trenta, concretamente inflitta previa riduzione per il rito abbreviato. Osserva il condannato che il criterio di calcolo seguito nell’ordinanza del 31 gennaio 2022 avrebbe comportato un trattamento deteriore in sede di esecuzione, in quanto, nonostante il riconoscimento della continuazione, la pena temporanea della reclusione, applicata, in sede di cognizione, in ciascuno dei processi di cui si tratta, era stata sostituita con quella di specie diversa e più grave dell’ergastolo.

Viene investita del ricorso la Prima Sezione penale, la quale, individuata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, con ordinanza del 21 dicembre 2022, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, con riferimento al quesito se il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, co. 2, terzo periodo c.p.p. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), comporti che, in sede esecutiva, per “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., debba intendersi quella risultante dalla riduzione per il rito speciale ovvero quella antecedente alla suddetta riduzione.

Gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità. La Prima Sezione penale della Corte di Cassazione, nel rimettere la suesposta questione alle Sezioni Unite, ha delineato, nell’ordinanza n. 10019/23, in maniera chiara ed analitica i due orientamenti contrapposti in ordine alla nozione di “pena più grave inflitta” volta ad identificare la “violazione più grave” di cui all’art. 187 disp. att. c.p.p.

In base ad una prima e più rigida impostazione, l’individuazione della violazione più grave va effettuata assumendo come parametro di riferimento la pena applicata dal giudice di cognizione nella sua entità antecedente alla riduzione di un terzo che consegue all’applicazione dell’art. 442 c.p.p.

È questo l’orientamento cui ha aderito il Giudice per le Indagini Preliminari nel caso di specie, sulla scorta di quanto affermato recentemente dalla giurisprudenza di legittimità nella sentenza n. 37168/2019, che ha applicato il principio in virtù del quale il riconoscimento, in sede esecutiva, della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente alla riduzione di un terzo ex art. 442 c.p.p., l’aumento per continuazione su tale pena base e, solamente al termine di tale operazione, l’applicazione della diminuente per il rito abbreviato.

La ratio di tale orientamento è da rinvenire, come spiegato dalla stessa Corte di Cassazione, nel fatto che la diminuente di rito di cui all’art. 442 c.p.p. ha natura prettamente processuale, la quale si manifesta in un’operazione di carattere matematico, a seguito della scelta del rito effettuata dall’imputato, che viene posta in essere, logicamente e temporalmente, solamente a seguito della determinazione della pena operata dal giudice in ottemperanza alle norme di carattere sostanziale [Si vedano Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 31041 del 20.04.2018; Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 43044 del 04.05.2015; Cass. Pen, Sez. I, sent. n. 20007 del 05.05.2010; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 26758 del 29.05.2009; Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 18368 del 09.12.2003; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 6217 del 07.04.1994].

Diverso e opposto indirizzo è stato, da ultimo, affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 13756 del 21.02.2020. La stessa ha preso le mosse dalla considerazione secondo cui l’art. 187 disp. att. c.p.p., nell’indicare la violazione più grave, ha riguardo a quella per cui è stata inflitta la pena più grave, anche in caso di giudizio abbreviato, dove il participio “inflitta” rimanda alla pena da espiare in concreto e, quindi, alla pena in seguito alla riduzione di un terzo per il rito.

Effettuata tale premessa, la Corte ha potuto affermare il principio di diritto in base al quale, in executivis, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati con la pena ad anni trenta di reclusione in sostituzione dell’ergastolo, la diminuente ex art. 442 c.p.p. può essere calcolata sulla pena complessiva solo se la specie di pena resta la medesima di quella applicata in sede di cognizione; diversamente, se comporta la sostituzione della reclusione con l’ergastolo, non è applicabile, in quanto, in tale sede, non si applica la regola speciale di cui all’art. 73, co. 2 c.p., bensì quella generale sancita all’art. 78 c.p. Ciò sulla base della considerazione per cui gli artt. 81, co. 1 e 2 c.p., 187 disp. att. c.p.p. e 671, co. 2 c.p.p. delineano un sistema che, come parametro per il calcolo della pena del reato continuato, sceglie il cumulo giuridico, anziché il cumulo materiale.

Dunque, la continuazione non può comportare un mutamento in peius della base sanzionatoria, la trasformazione della pena della reclusione in ergastolo [V. Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 13756 del 21.02.2020; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 48204 del 10.12.2008; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 38331 del 05.06.2014; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 36463 del 28.04.2021; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 58481 del 10.10.2018; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 8978 del 2016].

L’adesione all’uno o l’altro orientamento, peraltro, non è priva di ricadute pratiche, come ben evidenziato nell’ordinanza della Prima Sezione della Suprema Corte.

Invero, qualora si accogliesse l’impostazione secondo cui l’art. 187 disp. att. c.p.p., nel caso di riconoscimento della continuazione in sede di esecuzione tra il delitto di omicidio volontario, punito con la reclusione ad anni trenta in sostituzione dell’ergastolo, e altri delitti giudicati con rito abbreviato, comporti che la pena base è rappresentata dall’ergastolo, allora si applicherebbe l’art. 72 c.p., in materia di concorso di reati che importano l’ergastolo e di reati che importano pene detentive temporanee. Da ciò discendono due possibili alternative:

– se le pene inflitte con la diversa o diverse sentenze sono pene detentive temporanee superiori a cinque anni, viene applicato l’ergastolo con isolamento diurno;

– se le pene inflitte con la diversa o diverse sentenze sono pene detentive temporanee inferiori a cinque anni, la pena dell’ergastolo, ex art. 442 c.p.p. viene convertita in anni trenta di reclusione.

Diversamente, se si considerasse come violazione più grave quella concretamente tale, in caso di riconoscimento della continuazione con reati-satellite puniti con pene detentive temporanee, a prescindere dal fatto che siano inferiori o meno ai cinque anni, il giudice dell’esecuzione sarebbe chiamato ad applicare l’art. 78, co. 1, n. 1 c.p., per mezzo di una valutazione all’esito della quale la pena finale risulterebbe essere di trent’anni di reclusione.

I motivi della decisione. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, dopo aver ricostruito i due opposti indirizzi come sopra, ne hanno accolto il secondo.

Tale conclusione è supportata da un argomento letterale e uno logico-sistematico:

– in primo luogo, si valorizza l’uso, all’art. 187 disp. att. c.p.p., del participio passato “inflitta” con riguardo alla “pena più grave” volta ad individuare la “violazione più grave”. Ad avviso del giudice di legittimità, in virtù del criterio di interpretazione letterale di cui all’art. 12 Preleggi, con tale sintagma il Legislatore ha inteso fare riferimento alla pena in concreto irrogata dal giudice della cognizione, così come indicata nel dispositivo, e, in caso di accesso al rito abbreviato, alla pena risultante a seguito dell’applicazione della diminuente di un terzo.

– in secondo luogo, le Sezioni Unite si soffermano sulla natura derogatoria dell’art. 187 disp. att. c.p.p. rispetto alla norma generale di cui all’art. 81 c.p., sulla scorta di quanto già affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità [cfr. Cass. Pen., Sez. Un., sent. n. 25939 del 28.02.2013], secondo la quale la previsione contenuta nella disposizione di attuazione è ispirata all’esigenza di adattamento dell’istituto della continuazione al proprium dell’esecuzione.

In particolare, le differenze a livello di disciplina tra le due ipotesi sono dovute al fatto che non si può non tenere conto del fatto che, nel caso dell’art. 81 c.p., si tratta di una mera ipotesi di pena applicabile, mentre nel caso dell’art. 187 disp. att. c.p.p., ci si riferisce a pene già concretamente applicate.

Secondo le Sezioni Unite, dunque, l’art. 187 disp. att. c.p.p. richiede che, nella sequenza di operazioni che il giudice è chiamato a svolgere al fine di rideterminare il trattamento sanzionatorio del reato continuato in executivis, la riduzione per il giudizio abbreviato assuma rilievo in limine, dovendosi avere riguardo alla pena concretamente inflitta in esito all’applicazione della riduzione di un terzo, prima dell’eventuale applicazione dell’art. 78 c.p.

Peraltro, tale impostazione interpretativa, ad avviso del giudice di legittimità, valorizza la natura anche sostanziale della diminuente di cui all’art. 442, co. 2 c.p.p.

Il primo orientamento, quello superato dalla pronuncia ora considerata, faceva leva sulla natura processuale della riduzione di pena applicata a seguito del giudizio abbreviato, che, quale mera operazione aritmetica, non sarebbe stata in grado di incidere sull’individuazione della nozione giuridica di pena di cui all’art. 187 disp. att. c.p.p.

Orbene, le Sezioni Unite rilevano che senza dubbio la diminuente di cui si tratta ha natura processuale, ma ne mettono in evidenza anche la portata sostanziale degli effetti.

Invero, come sostenuto plurime volte dai giudici di legittimità, «la disposizione di cui all’art. 442, comma 2, c.p.p., nelle varie versioni succedutesi nel tempo, pur disciplinando aspetti processuali (…), coniuga tali aspetti con una indubbia portata sostanziale, quale deve ritenersi quella relativa alla diminuzione o alla sostituzione della pena, che integra un trattamento penale di favore, sia pure con caratteristiche peculiari, perché ricollegabili alla condotta dell’imputato successiva al reato e connotata dalla scelta processuale di accesso al rito alternativo» [Cass. Pen., Sez. Un., sent. n. 18821 del 24.10.2013].

Dunque, non importa, secondo le Sezioni Unite, stabilire la natura della diminuente o della sostituzione della pena, in quanto ciò che interessa è sottolineare che essa si risolve in un trattamento penale di favore e che non assume rilevanza la circostanza che il trattamento penale di favore dipenda da un comportamento posto in essere solo successivamente alla commissione del reato.

La natura, anche sostanziale, della diminuente oggetto della pronuncia, ad avviso delle Sezioni Unite, è emersa in maniera ancora più prorompente nelle diverse pronunce giurisprudenziali occasionate dalle vicende modificative della disciplina in tema di accesso al rito abbreviato che si sono succedute negli anni 1999 e 2000, pronunce che hanno concordemente riconosciuto che gli aspetti processuali propri del giudizio abbreviato sono strettamente collegati con gli aspetti sostanziali, relativi alla diminuzione o sostituzione della pena.

Dunque, va sottolineato che dalla ormai condivisa natura sostanziale delle ricadute sul trattamento sanzionatorio, derivanti dall’accesso al rito abbreviato, consegue l’applicabilità degli artt. 2 c.p. e 25 Cost.

In conclusione, i giudici di legittimità chiariscono che, ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., va considerata, quale pena più grave inflitta, la pena concretamente irrogata dal giudice della cognizione e che, ex artt. 671 c.p.p. e 187 disp. att. c.p.p., in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con l’ergastolo, per il quale, a seguito dell’accesso al rito abbreviato, il giudice abbia applicato la pena della reclusione ad anni trenta, la pena più grave, in sede di esecuzione, è rappresentata da quella conseguente alla riduzione di un terzo.

Sulla base di suddetti principi, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso, avendo il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, individuato come pena base quella dell’ergastolo, anziché i trenta anni di reclusione, al netto della riduzione ex art. 442 c.p.p., su cui apportare gli aumenti per i reati-satellite e, successivamente, applicare l’art. 78, co. 1, n. 1 c.p., rideterminando la pena definitiva in anni trenta di reclusione.

La Suprema Corte, dunque, considerando applicabile l’art. 620, lett. l) c.p.p. e non ritenendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ha, così, provveduto alla rideterminazione della pena.

Il dispositivo. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla statuizione della pena che, ai sensi dell’art. 620 lett. l) c.p.p., ridetermina in anni trenta di reclusione.


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Chiara Squizzato

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