
Il contratto pubblico come strumento di sostenibilità sociale: nuove frontiere tra concorrenza e tutela del lavoro
Abstract. Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023) segna una svolta nella funzione sociale dell’appalto, trasformandolo da strumento economico di allocazione delle risorse a meccanismo di tutela sostanziale del lavoro. Il principio di equivalenza dei contratti collettivi, introdotto dall’art. 11, impone un confronto analitico tra il CCNL indicato dalla stazione appaltante e quello eventualmente proposto dall’operatore economico, al fine di garantire livelli retributivi e normativi non inferiori. Tale innovazione supera il precedente criterio della semplice coerenza, contrastando fenomeni di dumping salariale e rafforzando la centralità dei diritti costituzionali del lavoratore. Ne deriva un nuovo equilibrio tra libertà d’impresa e dignità del lavoro, che attribuisce alla stazione appaltante un ruolo attivo di garante sociale e richiede all’operatore economico un onere probatorio stringente. La giurisprudenza amministrativa e la normativa europea confermano questa prospettiva, inquadrando l’appalto pubblico in una dimensione di sostenibilità sociale integrata con i principi ESG. L’equivalenza diviene così il cardine di un moderno “contratto sociale” tra amministrazione, impresa e lavoratore, fondato sulla responsabilità pubblica e sulla tutela dei diritti fondamentali.
Sommario: 1. Introduzione: l’appalto pubblico al crocevia tra economia e diritto sociale – 2. Il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) e il paradigma sociale – 3. Cosa significa “equivalenza” nel contesto degli appalti pubblici – 4. Cosa significa “equivalenza”: un viaggio dalla libertà di impresa alla tutela sostanziale – 5. Perché l’equivalenza è cruciale: oltre la gara, la funzione sociale – 6. Il ruolo di imprese e amministrazioni: la necessità di un dialogo documentato e vigile – 7. La giurisprudenza: il punto di svolta e la chiusura della porta al ribasso salariale – 8. La prospettiva europea: le radici lontane della dimensione sociale – 9. Prospettive future: l’appalto pubblico come nuova frontiera del contratto sociale – 10. Conclusione: l’appalto pubblico come strumento di giustizia sostanziale
1. Introduzione: l’appalto pubblico al crocevia tra economia e diritto sociale
L’appalto pubblico non è un mero strumento tecnico-economico, ma rappresenta uno dei principali meccanismi attraverso cui lo Stato e gli enti locali esercitano la propria funzione di spesa, incidendo direttamente sul servizio pubblico e sulla qualità della vita collettiva. Costituendo una quota significativa del prodotto interno lordo, la disciplina dei contratti pubblici si configura come un punto nevralgico del diritto, posto a salvaguardia di risorse collettive e, al contempo, come fattore strategico per l’efficienza economica nazionale. La sua rilevanza, pertanto, travalica la sfera amministrativa per investire l’intera comunità.
Storicamente, il diritto degli appalti è stato dominato dai principi di concorrenza ed economicità. Il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023), tuttavia, ne ha mutato radicalmente la prospettiva, elevando la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori a criterio di legittimità dell’azione amministrativa.
In questo mutato scenario, l’obiettivo non è più solo l’efficienza, ma la sostenibilità sociale. In gioco vi è la compatibilità delle scelte contrattuali con i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità (art. 97 Cost.) e, soprattutto, con il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36 Cost.). La sfida è bilanciare la flessibilità amministrativa con la salvaguardia delle condizioni di lavoro, impedendo che la competizione tra imprese si trasformi in “dumping sociale” a scapito dei dipendenti.
2. Il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) e il paradigma sociale
Il Decreto Legislativo n. 36 del 31 marzo 2023 ha formalmente elevato la tutela del lavoro a principio cardine della contrattualistica pubblica. L’Articolo 11, comma 4, in particolare, costituisce la norma di maggior impatto in questa riorganizzazione. Esso impone alle Stazioni Appaltanti (SA) di indicare nei documenti di gara il contratto collettivo nazionale e territoriale applicabile al personale impiegato nell’appalto.
Cruciale, tuttavia, è la successiva previsione che concede all’operatore economico la facoltà di applicare un contratto diverso da quello indicato dalla SA, a condizione che lo stesso garantisca “le stesse tutele economiche e normative” rispetto al contratto di riferimento. Questo meccanismo impone alla SA un obbligo di verifica stringente: il cosiddetto giudizio di equivalenza. La tutela dei lavoratori cessa, dunque, di essere una mera clausola accessoria per divenire un requisito sostanziale di ammissibilità dell’offerta.
La vera cesura introdotta dal Codice del 2023 si misura nel superamento del criterio precedentemente in vigore, basato sulla “coerenza” del CCNL.
Nel Codice previgente (D.Lgs. 50/2016, Art. 30, comma 4), l’orientamento tendeva a valorizzare il criterio del contratto collettivo “strettamente inerente all’attività oggetto dell’appalto”, consentendo di fatto una certa flessibilità, spesso interpretata in modo ampio. Tale formulazione, non esigendo un raffronto puntuale tra i livelli di tutela, rischiava di legittimare l’uso dei cosiddetti “contratti pirata”, ovvero CCNL meno rappresentativi che, pur formalmente pertinenti, offrivano tutele notevolmente inferiori, innescando un meccanismo di dumping contrattuale e abbassamento del costo del lavoro.
Il principio di “equivalenza” (Art. 11, comma 4) segna un decisivo inasprimento. Esso sposta l’asse dalla semplice pertinenza settoriale a un confronto analitico e globale tra i corpus normativi ed economici dei contratti. La valutazione, pertanto, deve riguardare l’insieme delle condizioni (retribuzione minima, scatti di anzianità, indennità, permessi, ferie, previdenza integrativa, ecc.) e deve attestare che, a parità di mansioni, l’operatore economico si impegni a garantire un livello complessivo di tutela non inferiore a quello del CCNL di riferimento. Questo passaggio rappresenta una cruciale evoluzione del diritto amministrativo, trasformando l’organo appaltante in un vero e proprio garante della par condicio sociale tra gli operatori.
3. Cosa significa “equivalenza” nel contesto degli appalti pubblici
L’essenza del principio di equivalenza risiede in un bilanciamento tra la libertà costituzionale d’impresa (Art. 41 Cost.) e la tutela del lavoro (Art. 36 Cost.), ponendo un limite di sostanza all’esercizio della prima.
Il Codice del 2023 conferma la libertà dell’operatore economico di non essere vincolato a priori al CCNL espressamente indicato dalla Stazione Appaltante (SA) nella lex specialis. Questa libertà, tutelata dall’ordinamento in ossequio alla libertà sindacale (Art. 39 Cost.) e di organizzazione aziendale, permette all’impresa di applicare il contratto che meglio si adatta alle proprie specifiche esigenze organizzative, purché si tratti di un CCNL sottoscritto dalle associazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
L’Art. 11 subordina la libertà di scelta a un onere probatorio stringente: l’operatore economico deve dimostrare alla SA che il CCNL alternativo scelto offre tutele equivalenti. L’equivalenza non è una semplice coerenza formale (come nel passato), ma un raffronto analitico e globale che valuta il livello complessivo delle condizioni, per evitare che la competizione si sposti sul costo del lavoro.
Il giudizio di equivalenza deve coprire due macro-aree: l’equivalenza economica e l’equivalenza normativa. L’equivalenza economica si basa sul confronto tra i minimi tabellari e le componenti fisse della retribuzione, imponendo che il valore retributivo complessivo annuale non risulti inferiore. L’eventuale previsione di un “superminimo” per colmare un gap economico è ammessa solo se stabile e non discrezionale, come ribadito dalla giurisprudenza. L’equivalenza normativa, invece, si riferisce a tutti gli istituti che regolano il rapporto di lavoro.
Per chiarire il concetto, l’equivalenza va verificata su elementi concreti. Per quanto riguarda la retribuzione, non solo il livello minimo deve essere comparabile, ma anche l’importo e la cadenza degli scatti di anzianità. Sul fronte delle tutele, il monte ore complessivo di ferie e permessi retribuiti, a parità di anzianità e livello, non deve essere inferiore. Relativamente al trattamento di malattia, devono essere equivalenti o più favorevoli sia la percentuale di retribuzione erogata durante l’assenza sia la durata del periodo di comporto. Infine, i livelli di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, la frequenza della formazione obbligatoria e le specifiche coperture assicurative devono risultare allineati.
In sintesi, il principio di equivalenza trasforma la Stazione Appaltante in un controllore sociale, chiamato a garantire che la concorrenza tra imprese avvenga sul piano dell’efficienza e della qualità, e non attraverso la compressione salariale o la riduzione dei diritti.
4. Cosa significa “equivalenza”: un viaggio dalla libertà di impresa alla tutela sostanziale
L’anima del nuovo Codice dei Contratti risiede proprio qui, in questa parola: equivalenza. Essa incarna il punto di incontro, o forse di scontro, tra due forze costituzionali titaniche: la libertà dell’iniziativa economica (Art. 41 Cost.) e l’ineludibile tutela del lavoro (Art. 36 Cost.).
Non fraintendiamoci: all’impresa è mantenuta la sua sacrosanta libertà di scelta. La Stazione Appaltante indicherà pure il contratto collettivo di riferimento, quello che ritiene più aderente al settore, ma l’operatore economico può deviare da questa indicazione, applicando il CCNL che meglio riflette la sua organizzazione interna. Ma fino a che punto si spinge questa libertà? L’Art. 11 risponde con chiarezza: si ferma dove iniziano i diritti fondamentali.
L’equivalenza è, in sostanza, un giudizio di merito, un ponte di guardia eretto per impedire che la competizione economica si traduca in una guerra al ribasso sulla pelle dei lavoratori. Non basta più la vecchia “coerenza formale”, il titolo del contratto: si impone un raffronto analitico, un check-up completo sulle condizioni offerte.
Significa che l’impresa deve dimostrare, senza ombra di dubbio, che il suo CCNL alternativo, pur diverso, bilancia il piatto della bilancia con lo stesso peso. Questo giudizio si scompone in un’analisi economica e una normativa. Sul fronte economico, si valuta il pacchetto retributivo complessivo: non solo il minimo tabellare, ma anche la presenza e la cadenza degli scatti di anzianità e l’entità delle indennità fisse. Se il contratto scelto ha minimi inferiori, è qui che la giurisprudenza, come il TAR Campania ha ben sottolineato, è intervenuta per precisare che l’eventuale “superminimo” compensativo deve essere stabile, strutturale, non una mera promessa discrezionale. Perché la tutela, se non è certa, non è tutela.
Ma l’equivalenza va oltre la busta paga. Tuffiamoci nella dimensione normativa. Dobbiamo chiederci: il lavoratore che cambia contratto ha le stesse garanzie? L’analisi deve riguardare istituti cruciali: il monte ore di ferie e permessi è lo stesso? E in caso di malattia, il trattamento economico è equivalente o viene penalizzato? Le coperture per la sicurezza sul lavoro e la frequenza della formazione sono allineate?
Tanto chiarito , l’equivalenza non è una complicazione burocratica, ma l’espressione di una ritrovata etica pubblica. Essa trasforma la Stazione Appaltante in un garante sociale, chiamato a vigilare affinché il denaro pubblico, nel finanziare un servizio, non si faccia strumento involontario di ingiustizia sociale. È una presa di coscienza che il costo del lavoro non può essere un fattore competitivo, ma deve rappresentare il limite invalicabile della dignità umana.
5. Perché l’equivalenza è cruciale: oltre la gara, la funzione sociale
A questo punto, potremmo chiederci: al di là del tecnicismo giuridico, perché tutta questa attenzione all’equivalenza? Perché imporre un onere così gravoso alla Stazione Appaltante e all’operatore economico? La risposta risiede nella finalità ultima del diritto dei contratti pubblici: garantire che l’interesse economico non prevalga sui valori costituzionali.
Il primo e più urgente motivo è evitare il dumping contrattuale. Per troppo tempo, la gara d’appalto è stata un terreno fertile per strategie predatorie: imprese che, pur di vincere, sceglievano contratti collettivi privi di effettiva rappresentatività e con minimi salariali drammaticamente inferiori. Il risultato? L’appalto veniva aggiudicato non al più efficiente, ma a chi offriva il massimo ribasso sui diritti dei lavoratori. L’equivalenza chiude questa porta, trasformando il costo del lavoro da variabile competitiva a costo sociale protetto. L’unico modo per prevalere ora è l’efficienza organizzativa, non la compressione del diritto.
Questo ci conduce al secondo punto: mettere al centro la dignità del lavoratore. L’Art. 36 della Costituzione non parla solo di retribuzione sufficiente, ma di dignità. Un appalto pubblico, finanziato dalla collettività, non può in alcun modo contribuire a creare sacche di sottoccupazione o di retribuzione inadeguata. L’equivalenza assicura che il lavoratore impiegato in un servizio pubblico goda di una tutela che non è una semplice concessione aziendale, ma un diritto inalienabile, garantito dallo Stato stesso. È la pubblica amministrazione che si fa carico di una funzione di garanzia sociale.
Infine, il principio di equivalenza rafforza intrinsecamente la funzione sociale dell’impresa. L’operatore economico, partecipando a una gara pubblica, accetta implicitamente di non perseguire il profitto a qualunque costo. Egli diventa un partner dell’amministrazione nel perseguimento dell’interesse generale, che include la promozione del benessere collettivo e la tutela dei diritti. Non è forse questo il vero significato di responsabilità sociale d’impresa applicata al pubblico? Il nuovo Codice non solo regola un mercato, ma plasma la condotta etica degli attori che vi partecipano, in un esercizio di sostenibilità sociale che è ormai inseparabile dalla sostenibilità economica e ambientale.
6. Il ruolo di imprese e amministrazioni: la necessità di un dialogo documentato e vigile
Il principio di equivalenza, con la sua portata sostanziale, non è un mero esercizio di lettura normativa; è un vero e proprio spartiacque di responsabilità che ridefinisce i compiti di tutti gli attori coinvolti nel procedimento di appalto. Si configura, di fatto, un nuovo e rigoroso dialogo procedurale tra soggetti privati e pubblici.
Se l’operatore economico sceglie un CCNL diverso da quello indicato nel bando, non può più nascondersi dietro formule generiche. A lui spetta l’intero onere della prova. Non si richiede una semplice dichiarazione d’intenti, ma una dimostrazione analitica, numerica e inequivocabile dell’equivalenza. L’impresa deve produrre una vera e propria scheda tecnica di comparazione, una sorta di “referto” che, voce per voce (dalla retribuzione agli scatti, dal welfare aziendale ai giorni di malattia), certifichi la parità di trattamento. Perché questo rigore? Perché se non si dimostra l’equivalenza con documenti concreti, il rischio immediato è l’esclusione dalla gara. Questo meccanismo trasforma l’impresa in un attore pienamente responsabile, chiamato a una trasparenza che va oltre la logica del massimo ribasso.
Di fronte a questa montagna di documenti, il ruolo della Stazione Appaltante (SA) diviene cruciale. L’amministrazione non può, non deve, limitarsi a timbrare un foglio. Deve, al contrario, entrare nel merito, esercitando un dovere di controllo effettivo e meticoloso.
La verifica non è solo tecnica, ma investe la discrezionalità amministrativa nella sua dimensione sociale: la SA deve accertare la fondatezza delle comparazioni, analizzando se il livello di tutela sia realmente equivalente e se l’impresa non stia celando un costo del lavoro artificiosamente basso. La correttezza di questo giudizio deve essere espressa in una motivazione adeguata: non un formulario standard, ma una spiegazione convincente sul perché l’equivalenza sia stata accolta o negata. Non è forse questo il cuore della trasparenza amministrativa nel nuovo millennio? Sentenze recenti hanno ammonito le amministrazioni: una motivazione lacunosa è un vizio fatale che può portare all’annullamento dell’aggiudicazione. L’Amministrazione, dunque, non è più un mero gestore di procedure, ma un arbitro dei diritti, e la sua vigilanza è l’ultima e decisiva difesa della dignità del lavoratore nel contesto dell’appalto pubblico.
7. La giurisprudenza: il punto di svolta e la chiusura della porta al ribasso salariale
La vera spinta verso l’applicazione rigorosa dell’equivalenza non è stata una mera esecuzione legislativa, ma un imperativo impresso con forza dalla giurisprudenza amministrativa, che ha saputo leggere la riforma del Codice come un mandato costituzionale.
Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 36/2023, il dibattito si concentrava sul concetto di coerenza: bastava che il Contratto Collettivo scelto dall’impresa fosse pertinente all’attività oggetto dell’appalto. Questo approccio, pur tutelando la libertà di impresa, apriva vaste maglie al rischio di dumping, permettendo di vincere la gara scegliendo contratti meno rappresentativi e più economici. Sebbene la giurisprudenza del Consiglio di Stato già vigilasse, mancava quel vincolo stringente sulla sostanza economica e normativa.
Oggi, la musica è cambiata. Il legislatore ha dettato la regola e la giurisprudenza ne ha fissato il rigore. L’emblema di questo cambiamento è la pronuncia del TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 22 ottobre 2025, n. 2848/2025. Questa sentenza non è una semplice decisione, ma un vero e proprio punto di svolta interpretativo.
Qual era il caso concreto in discussione? La controversia nasceva da un appalto per servizi di manutenzione rotabili di Trenitalia. La Stazione Appaltante aveva indicato il CCNL Metalmeccanici Industria come riferimento. L’impresa aggiudicataria, Arcobaleno Multiservice, aveva proposto invece l’applicazione del CCNL Pulizie Multiservizi. Il concorrente escluso ha impugnato l’aggiudicazione, sostenendo che quest’ultimo garantisse tutele inferiori in termini di retribuzione, ferie, malattia e previdenza.
Ecco dove il giudizio di equivalenza ha mostrato il suo muscolo sociale.
Il TAR Campania ha chiarito in modo definitivo che la verifica non può essere un atto formale , ma deve garantire tutele sostanziali ed effettive. Il messaggio è inequivocabile: l’amministrazione non può utilizzare la flessibilità dell’Art. 11 come strumento di riduzione del costo del lavoro, poiché ciò significherebbe alterare la concorrenza e pregiudicare i diritti. In questo modo, la giurisprudenza ha chiuso la porta al ribasso salariale, trasformando il costo del lavoro da variabile competitiva a costo sociale protetto. La discrezionalità della SA è ora un potere “responsabile” , vincolato alla tutela dei diritti fondamentali.
La convergenza di questi orientamenti conferma una tendenza ineludibile: il sistema degli appalti pubblici non può più essere letto in chiave esclusivamente economica, ma deve essere inteso in funzione del principio di sostenibilità sociale che permea l’intero nuovo Codice.
8. La prospettiva europea: le radici lontane della dimensione sociale
Il rigoroso approccio italiano sul principio di equivalenza, con la sua ineluttabile enfasi sulla tutela del lavoro, non è un’invenzione locale, bensì l’attuazione di un mandato che affonda le radici nella giurisprudenza e nelle Direttive dell’Unione Europea.
Da dove nasce l’esigenza di un appalto socialmente responsabile? L’impulso viene dalle Direttive UE del 2014 (in particolare la 2014/24/UE), le quali hanno dato un segnale inequivocabile agli Stati membri. L’appalto pubblico non è più visto come una procedura neutrale, ma come un potente strumento di politica pubblica. L’Europa non si è limitata a suggerire, ma ha imposto agli Stati di adottare misure idonee a garantire che nell’esecuzione dei contratti vengano rispettati gli obblighi in materia di diritto del lavoro e di accordi collettivi. L’Articolo 11 del nostro Codice, con il suo principio di equivalenza, non fa altro che tradurre in norma domestica questo dovere europeo di protezione sociale.
Questo percorso è stato tracciato da sentenze seminali della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) che hanno, passo dopo passo, aperto varchi alla dimensione sociale.
Pensiamo alla celebre pronuncia RegioPost del 2015: la Corte ha stabilito in modo netto che una normativa nazionale che subordini l’aggiudicazione di un appalto all’obbligo di pagare un salario minimo prefissato è pienamente compatibile con il diritto UE. Si è trattato di un chiarimento fondamentale che ha legittimato gli Stati a porre un limite sociale invalicabile alla competizione transfrontaliera. Allo stesso modo, le precedenti sentenze SECAP e Santorso avevano già rafforzato il potere delle amministrazioni di controllare i costi del lavoro, sanzionando quelle offerte che violassero gli obblighi sociali.
Qual è la morale di questo quadro europeo? Essa è chiara: la libertà di concorrenza, pilastro del mercato unico, non può essere interpretata come una licenza per la regressione sociale. L’equivalenza italiana è la risposta nazionale a questo imperativo. Essa ci dice che un appalto pubblico deve essere sostenibile su tutti i fronti: economico, ambientale e, soprattutto, sociale. Non stiamo costruendo barriere protezionistiche, ma stiamo edificando la tutela della dignità del lavoro su basi giuridiche solide e pienamente condivise a livello comunitario.
Il principio di equivalenza, con tutta la sua carica di rigore giuridico e sociale, non resta confinato negli schemi normativi, ma produce conseguenze pratiche immediate e pervasive. Ci troviamo di fronte a un cambiamento radicale nel modo in cui le procedure di appalto vengono gestite e percepite.
Ma cosa significa questo, in termini di responsabilità e tutele, per gli attori sul campo?
Il primo impatto è sulla Pubblica Amministrazione, che non può più lavarsi le mani in caso di mancata o insufficiente verifica dell’equivalenza. Il suo ruolo di arbitro dei diritti sociali impone un onere di diligenza elevatissimo. Se la Stazione Appaltante ignora o sbriga la fase di controllo con superficialità, si espone al rischio concreto di annullamento dell’aggiudicazione. Come un castello costruito sulla sabbia, l’intera gara rischia di crollare sotto il peso di un ricorso, perché la giurisprudenza ha elevato la corretta verifica del CCNL a criterio di legittimità sostanziale. L’Amministrazione, in sostanza, risponde per la mancata tutela dei valori costituzionali, dimostrando che la responsabilità non è più solo burocratica, ma etica.
Parallelamente, la portata dell’equivalenza si manifesta con forza nella tutela dei diritti soggettivi dei lavoratori. Il nuovo quadro normativo fornisce al dipendente uno strumento di difesa potentissimo. Il lavoratore ha finalmente la certezza che il suo posto, pur passando di appaltatore in appaltatore, non potrà essere oggetto di dumping salariale. La sua retribuzione e le sue tutele non subiranno una regressione solo perché un’impresa ha voluto vincere offrendo un contratto collettivo meno generoso.
L’equivalenza si traduce, di fatto, in un diritto esigibile: il lavoratore, o le rappresentanze sindacali, possono agire in giudizio per contestare l’applicazione di un contratto che non rispetti i minimi di tutela garantiti dal CCNL di riferimento. Questo meccanismo rafforza anche la responsabilità solidale e assicura che il principio di proporzionalità della retribuzione (Art. 36 Cost.) sia garantito non solo a parole, ma nei fatti. L’appalto si trasforma così in un diritto del lavoro applicato, dove l’efficienza amministrativa e la dignità sociale convergono in un unico obiettivo.
9. Prospettive future: l’appalto pubblico come nuova frontiera del contratto sociale
Guardando avanti, il principio di equivalenza non è un punto di arrivo, ma l’inizio di una trasformazione più vasta che proietta l’appalto pubblico oltre la sua tradizionale funzione tecnico-economica. Dove ci condurrà questa nuova rotta? Le prospettive future si muovono lungo tre direttrici fondamentali.
Il rigore imposto dall’equivalenza – il confronto analitico tra minimi tabellari, ferie, malattia – richiede un’accuratezza documentale che mal si concilia con la gestione cartacea. La digitalizzazione delle procedure, elemento cardine del Codice del 2023, è dunque la sua naturale alleata. La progressiva integrazione delle piattaforme e l’interoperabilità dei dati serviranno a rendere il giudizio di equivalenza più rapido, oggettivo e meno discrezionale. L’Amministrazione potrà limitarsi a timbrare un foglio? Assolutamente no, ma una verifica condotta su dashboard digitali, dove le differenze retributive e normative si evidenziano automaticamente, ridurrà il rischio di errori umani e di contenziosi, trasformando la vigilanza in un atto di responsabilità digitale.
L’equivalenza non è altro che il cuore pulsante della dimensione ‘S’ (Sociale) dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance). Il futuro vedrà un’integrazione sempre più stretta tra la tutela del lavoratore imposta dall’Art. 11 e i più ampi obiettivi di sostenibilità. Possiamo davvero parlare di transizione ecologica o di efficienza energetica se i servizi sono eseguiti da lavoratori sottopagati o privi di tutele adeguate? La risposta è negativa. L’appalto pubblico si evolverà in uno strumento sistemico che valuta l’operatore economico nella sua interezza: l’equivalenza salariale si affiancherà al rispetto ambientale e alla governance etica. Il principio diventerà un requisito di sostenibilità sociale imprescindibile, premiando gli operatori che investono seriamente nella dignità del proprio personale.
In ultima analisi, tutte queste evoluzioni convergono verso una nuova percezione del ruolo del contratto pubblico. Esso cessa di essere una mera transazione commerciale tra la Pubblica Amministrazione e l’impresa per trasformarsi in un vero e proprio “contratto sociale”. È un patto a tre: lo Stato, come garante dell’interesse collettivo; l’Impresa, come agente economico responsabile; e il Lavoratore, come beneficiario diretto della tutela. Il Codice del 2023, attraverso l’equivalenza, sancisce che la spesa pubblica deve essere etica e che la concorrenza non può mai minare i diritti fondamentali. Quale eredità lascerà questo nuovo Codice? L’eredità di un sistema che pone la dignità del lavoro non come un optional, ma come il presupposto stesso della legalità e della legittimità amministrativa.
10.Conclusione: l’appalto pubblico come strumento di giustizia sostanziale
Giungendo al termine di questa analisi, emerge con chiarezza che il principio di equivalenza, introdotto dal nuovo Codice dei Contratti Pubblici e rafforzato dalla giurisprudenza, è molto più di una clausola amministrativa: è un vero e proprio manifesto di giustizia sostanziale.
L’appalto pubblico, lo abbiamo compreso, non è più semplicemente un affare economico in cui l’unico criterio di successo è il massimo ribasso. Esso è stato elevato al rango di strumento etico e sociale, il cui scopo primario è garantire che il denaro della collettività venga speso in modo compatibile con la nostra Costituzione.
In questa nuova visione, la dignità del lavoro cessa di essere una preoccupazione marginale per diventare un limite invalicabile alla libertà d’impresa. L’equivalenza assicura che l’efficienza e la concorrenza debbano operare solo sul terreno della qualità e dell’innovazione, e mai attraverso la compressione dei diritti e dei salari dei dipendenti.
Questa convergenza tra legalità amministrativa e tutela dei diritti segna un’evoluzione fondamentale: il diritto degli appalti si trasforma in diritto del lavoro applicato, segnando una frontiera innovativa in cui l’efficienza e la sostenibilità sociale convergono per promuovere un mercato equo, trasparente e rispettoso di ogni lavoratore.
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Aldo Andrea Presutto
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