La “real sanzione” del 10 agosto 1812: i costituzionalisti di Sicilia pionieri in Europa
di Giuseppe PISA
Abstract. Il presente elaborato ha ad oggetto l’analisi del contesto costituzionale-storico del regno di Sicilia durante l’occupazione del regno di Napoli, ad opera del generale Murat durante l’epopea Napoleonica. Tale analisi si circoscrive agli eventi che portarono alla promulgazione della costituzione del 1812, alle influenze su essa del sistema inglese e sulle relative caratteristiche del testo aventi una chiara nota innovatrice e illuminista.
Sommario: 1. Introduzione – 2. Rappresentatività e composizione parlamentare – 3. Doveri e poteri del sovrano – 4. Abolizione sistema feudale, “mero et mixto imperio” e affrancamento del diritto – 5. Diritti e doveri del cittadino – 6. Magistratura del regno – 7. Revisione costituzionale – 8. Considerazioni conclusive
1. Introduzione
La promulgazione della costituzione del regno di Sicilia, avvenuta nel 1812, deve essere contestualizzata nelle vicende storiche coeve e susseguentesi all’arrivo del re Ferdinando III[1] di Sicilia presso la capitale del regno di cui sopra.
Quest’ ultimo fu costretto a riparare a Palermo a seguito dell’invasione di Napoli, ad opera di Gioacchino Murat generale bonapartista. Ferdinando III, infatti, in Sicilia poté godere ed avvalersi della protezione della Gran Bretagna e nello specifico della attenta e benevola vigilanza politica e militare di Lord William Bentick [2].Di fatto il breve ma denso di avvenimenti soggiorno palermitano del re, fu l’unica soluzione che si presentò nell’immediato a quest’ultimo per potere scampare alle milizie bonapartiste, senza con ciò rinunciare al diritto a regnare. Il clima di accoglienza cui fu oggetto il sovrano, ad opera del popolo siciliano, nonostante molti anni di latitanza da parte del regnante stesso dalla Sicilia, fu gioioso. Tale letizia popolare, memore dei fasti del passato, era però interessata e giustificata dalla mai sopita speranza di un trasferimento “sine tempore” della corte a Palermo. Tale breve soggiorno nel 1802, come già scritto, era stato però per il re più un obbligo rispetto ad una scelta, visto il mutare sfavorevole, per lui, della situazione militare-politica. Il contesto militare politico volse al bello, per il sovrano, soltanto dopo la stipula della Pace di Firenze[3] e la definitiva Pace di Amiens[4] tanto che questi poté fare rientro nella capitale Partenopea.
Tale ritorno, giudicato repentino e poco garbato, nel continente suscitò nel popolo dei “Vespri” [5] un forte senso di delusione e scostamento dalle istituzioni. La storia però è fatta, a volte di corsi e ricorsi, ed allora ecco come il ritorno del sovrano, nuovamente esule e cacciato dal continente, ironia della sorte, non tardò ad avvenire sul suolo siculo. Egli, infatti, dovette, nuovamente riparare in Sicilia nel 1806. Ad accoglierlo, stavolta però, fu non già una folla inneggiante ma un popolo deluso ed esasperato dalle nuove e maggiori vessazioni. Pochi mesi dopo, infatti, scoppiò una rivolta sedata solo grazie alla intermediazione di Lord William Bentick, ufficiale inglese incaricato di rafforzare le difese del regno in caso di invasione. Allo scopo di sedare gli animi e mantenere la pace, si tentò di sanare la compromessa situazione esautorando il re e nominando al suo posto il giovane figlio Francesco[6]. Questi era affiancato, a sua volta, da una sorta di Primo Ministro del regno come Consigliere di Stato Anziano, lasciando a Lord Bentick invece il controllo delle forze militari. In questa cornice sociopolitica ed in questo mutato assetto gerarchico originò la idea della costituzione, per la stesura della quale furono interpellati e coinvolti il Principe Carlo Cottone,[7] il Principe Giuseppe Ventimiglia di Belmonte, [8] l’Abate Paolo Balsamo.[9]
Tutti i personaggi citati, furono i massimi esponenti dell’illuminismo riformista in Sicilia. Essi si prodigarono nel coniugare le leggi e le usanze del regno con il diritto di genesi inglese, ovvero derivato dalla Magna Cartha,[10] al fine ultimo di promulgare la Costituzione del regno di Sicilia.
Tale influenza britannica, sul modello costituzionale e nel Testo stesso, è riscontrabile nelle parole di E. Frasca, la quale nel suo saggio “Università, potere e rivoluzione: docenti «in prima linea»” afferma:
«Sotto la spinta dell’influenza anglosassone, il 19 luglio 1812, il parlamento siciliano, riunito in sessione straordinaria, votava, com’è noto, gli articoli «base» della nuova costituzione, suscitando subito un coro di voci contrastanti. Al di là di alcune prese di posizione, comunque, la costituzione siciliana, insieme a quella spagnola, può essere considerata una tappa importante nel lungo percorso di quelle esperienze che, dopo la stagione settecentesca, avrebbero aperto nuove prospettive. […]Mentre quella spagnola, infatti, pare rivendicare l’ideologia politica propria del 1789, battendo l’accento sul potere legislativo, quella siciliana, di modello inglese, pur inserita tra le «innovatrici», costituisce una sorta di apertura verso i successivi esperimenti, tra Direttorio e Restaurazione. […]Non c’è, infatti, alcun riferimento alla sovranità nazionale, e l’attenzione si punta maggiormente sull’esecutivo. I due modelli di «carte», d’altra parte, sono da leggere in relazione ai due diversi tipi di costituzionalismo, inglese e francese, la cui differenza sostanziale è appunto da ricercare nei diversi intenti politici. […]Tuttavia, anche in Francia, la nota esperienza legata al primato del legislativo fu di breve durata. Con l’avvento del Direttorio prima, e del Consolato poi, il potere esecutivo tornava alla ribalta, benché immutato restasse il principio di sovranità nazionale. Per gli inglesi, invece, il problema fondamentale consisteva nel «contenimento» del potere statuale, non nella sua sostituzione, così come cominciava a connotarsi in Francia dopo il ’91. L’esperienza del costituzionalismo francese rappresentò un modello per diversi paesi europei. Non lo stesso si può dire per quello inglese, ad eccezione proprio della costituzione siciliana del 1812. Nell’isola, infatti, già alla fine del XVIII secolo, la cultura britannica era conosciuta tra le fila della classe dirigente, come si apprende anche dalle numerose testimonianze di viaggiatori inglesi. A rafforzare l’interesse britannico nei confronti della Sicilia, e del Mediterraneo in generale, contribuì – come è risaputo – l’offensiva antinapoleonica che, secondo Leckie, aveva trasformato la Francia in una «dittatura militare», lontana dai princìpi di uguaglianza e democrazia che avevano animato il periodo rivoluzionario. Quindi, il progetto liberal-costituzionale inglese in Sicilia dopo il 1811, portato avanti da Bentinck, avrebbe dovuto divenire un «modello» a fronte del dispotismo napoleonico presente nella penisola.»[11]
La costituzione, così partorita e frutto di compromessi ed equilibri, nonostante la sua emanazione e l’entusiasmo da questa scaturito ben presto esitò in disapplicazione. Dovremo infatti aspettare il 1848 per avere una prima innovativa costituzione, che enunciasse in maniera chiara i diritti e doveri dei cittadini. La costituzione del 1848, infatti, rappresenterà il testo fondamentale concesso dal sovrano al regno delle Due Sicilie, a seguito dei tumulti che attraversarono e segnarono l’Italia preunitaria e l’Europa.
2. Rappresentatività e composizione parlamentare
Eseguendo una disamina analitica sulla struttura rappresentativa, adottata nel nuovo ordinamento, appare chiaro come non ci si trovi di fronte al nucleo di un moderno concetto di rappresentatività ma avanti a un costrutto ancora imperniato, seppure a impronta liberale e illuministica, sulla divisone della società in classi e sulla conseguente conduzione dello stato solo ad opera dei ceti economicamente più stabili. Non si ravvisano, dunque, i tratti di una costituzione paritaria, ossia strutturata su una uguaglianza dei regnicoli. È infatti delegata ai soli aristocratici, ecclesiastici e soggetti sopra una certa rendita annuale la gestione della cosa pubblica.
Al capo VI Comma VII si afferma:
«Non potranno rappresentare un distretto quelli, i quali non avranno in Sicilia una rendita netta e vitalizia, che provenga da diretto o utile dominio, o da qualunque censo, o rendita sopra bimestre, tante, e simili specie di proprietà, salvo quella proveniente da ufficio amovibile, di once trecento all’anno» (Camera dei Comuni).[12]
Altresì al Comma X si sancisce come:
«Qualunque persona eletta, sia come rappresentante di un distretto, sia di una città o terra parlamentaria, dovrà recarsi in Palermo a proprie spese: […]»[13]
Di fatto si stabilisce quindi, in maniera indiretta, come chiunque venisse eletto dovesse essere in grado di affrontare costi economici non indifferenti per l’epoca. Si descrive, ancora, come le università abbiano possibilità di contribuire.
«[…] qualora le università volessero dai sopravanzi contribuire alle dette spese, saranno in tal caso in libertà di farlo […]»[14]
I due fondamentali attori di questo nuovo ordine rimangono: il sovrano e l’aristocrazia con timidi accenni di apertura ad una nascente borghesia. Si assisterà a come essa, nel breve arco temporale di pochi decenni, sostituirà o affiancherà inesorabilmente la aristocrazia nella gestione della cosa pubblica.
Analizzando il Titolo I – Potere Legislativo Art IV comma II afferma come:
«La Camera de Pari risulterà da tutti quei Baroni, e loro successori e da tutti quegli ecclesiastici e loro Successori che attualmente hanno diritto di sedere e votare in Parlamento […]»[15]
Tale disposizione si pone però in contrasto con il Comma I del Capitolo V ove è enunciato:
«La Camera de Comuni sarà formata dai rappresentanti delle popolazioni di tutto il Regno senza distinzione di Demaniale, o Baronale, nel numero e proporzione che siegue:».[16]
Il suddetto articolo sancisce, quindi, la presenza in parlamento sì della borghesia, ma di una borghesia economicamente affermata, spesso commerciale ed ormai legata da vincoli familiari all’ aristocrazia. Occorre anche sottolineare come non si assiste alla stesura di una costituzione come quella Americana o Francese, ma ci si limita ad una mera limitazione del potere del sovrano. Si attua, quindi, un sistema che non travalica, in maniera concreta ed effettiva, in una monarchia costituzionale o parlamentare ma in una monarchia solo limitativa del potere del regnante, che comunque rimane sempre il motore di questo sistema.
3. Doveri e poteri del sovrano
L’ Articolo I della suddetta costituzione afferma, come la religione di stato sia quella Cattolica Apostolica Romana, e di come il re sia obbligato a professarla. In concreto si deduce e si evince come se il sovrano dovesse professare una religione diversa sarà da considerarsi “ipso facto” decaduto.
Si afferma, altresì, nell’ Articolo I in ossequio alla legittimazione del sovrano quanto segue:
«La religione dovrà essere unicamente, ad esclusione di qualunque altra, la Cattolica, Apostolica, Romana; e che il Re sarà obbligato professare la medesima Religione; e quante volte ne professerà un’altra, sarà ipso facto decaduto dal Trono.»[17]
Risulta evidente un binomio inscindibile tra il ruolo di sovrano per volontà divina, e la religiosità del ruolo. Si afferma, altresì, ancora come il sovrano sia l’unico ed effettivo titolare ed attore del potere di “sanzione regia”[18]. Potere, il quale nell’archetipo costituzionale, permetteva al regnante di fungere da contrappeso all’azione del parlamento.
Il regnante, infatti, godeva del potere di non promulgare una legge sgradita e di chiederne la rivalutazione e la riformulazione da parte del parlamento. Il sovrano, pur essendo slegato da lacci e lacciuoli nel suo operato, era tuttavia vincolato dal costituente nella sua prerogativa, quasi condizione obbligata, di convocare il parlamento.
Si afferma nell’ articolo IX a sostegno di tale interpretazione:
«Che sarà privativa del re il convocare, prorogare e sciogliere il Parlamento, secondo le forme ed istituzioni, che si stabiliranno in appresso. Sua Maestà nondimeno sarà tenuta di convocarlo in ogni anno.
Se è vero che in tale disposizione si concede al sovrano la massima discrezionalità sulla tempistica e sulle modalità di convocazione del parlamento che, per altro potrà essere sciolto dal sovrano sine motivo, è altrettanto vero di contro e come prima evidenziato come il potere di convocazione in capo al regnante viene disciplinato dall’obbligo perentorio di convocare le camere almeno una volta l’anno. Un “dovere” che intacca il concetto, fino a quel momento affermato, del sovrano come “Legibus Solutus”. Tale disposizione, a livello speculativo, può essere intesa in cesura con il passato come il tentativo di porre in capo al sovrano l’obbligo indiretto di consultare le camere in merito alla tassazione.
Tale ipotesi troverebbe riscontro, altresì, nell’enunciato contenuto nel Titolo I – Potere Legislativo al Capitolo II comma I, ove il costituente statuisce come solo il parlamento possa modificare e imporre nuove tasse e come esse abbiano vigenza di un anno. Potremmo, dunque, in tali disposizioni, individuare un sapiente gioco del “Costituente”, il quale limita le tassazioni alla durata annuale al fine di obbligare il regnante a convocare il parlamento. Tale convocazione aveva lo scopo di assicurare la votazione della nuova imposizione fiscale. Imposizione fiscale, la quale, rappresentava per un monarca e per lo stato in sé stesso l’unico mezzo per sostenersi. La tassazione, in pieno spirito illuminista e in anticipo con i tempi veniva di fatto sottoposta a una “riserva di legge”[20]. Si limitava in tal modo, enormemente, il potere del sovrano in tema.
4. Abolizione sistema feudale, “mero et mixto imperio” e affrancamento del diritto
In tema di innovazione e cambiamento va annoverato il provvedimento abrogativo riguardante il “mero et mixto imperio”. L’articolo XII infatti annullava un sistema, vigente da più di settecento anni e, che fino a quel momento era stato funzionale ed essenziale per finanziare guerre, governi e la stessa monarchia. Di fatto si sopprimeva un istituto, il quale aveva prevalso da secoli in Sicilia con un sistema giuridico demandato in larga parte alla nobiltà per mezzo del “mero et mixto imperio”.
Tali stravolgimenti ben risaltano dall’ Articolo XI. dove in maniera dirompente con il periodo e la cultura dell’epoca si affermava:
«[…] ed il Parlamento ha stabilito, che non vi saranno più Feudi; e tutte le Terre si possederanno in Sicilia come in Allodj […] Cesseranno ancora le giurisdizioni Baronali, e quindi i Baroni saranno esentati da tutti i pesi, a cui sinora sono stati soggetti per tali diritti Feudali. Si aboliranno le investiture, rilevi, devoluzioni al Fisco, ed ogni altro peso inerente ai Feudi, conservando però ogni famiglia i Titoli ed onorificenze»[21]
Per comprendere appieno l’impatto storico e sociale che la soppressione del “mero et mixto imperio” comportò è necessaria una approfondita disamina sul valore di questa consuetudine feudale, la quale era stata assunta nel tempo a ruolo di caposaldo del diritto feudale e del regno. La ratio del “Mixto Imperio”[22] si fondava sulla concessione, elargita dal sovrano al feudatario, circa la potestà di comminare lievi sanzioni. Diversamente nel “Mero Imperio”[23] invece si consentiva al signore feudale di comminare sanzioni più corpose e di maggiore aggravio (tipicamente sanzioni penali) in vece e per conto del sovrano.
La definizione di “mero et mixto imperio” viene chiarita da R. Cancila in “Merum et mixtum imperium nella Sicilia feudale” ove afferma:
«[…] Anche l’Intriglioli, infatti, attribuisce al mero e misto imperio un contenuto miessenzialmente giudiziario, ma risulta assai interessante la definìzione che egli ne dà. Il giurista distingue il mero imperio, giurisdizione rivolta principalmente alla pubblica utilità, dal misto imperio, che invece «privatam utilitatem respiciens». Del primo individua sei gradi, cinque pertinenti alla facoltà di punire i delinquenti, e uno, il primo e più importante (maximum), relativo alla potestà legi slativa, che però spetta solo al principe. Relativamente ai gradi suc cessivi afferma che «maius est habere potestatem animadvertendi in facinorosos homines… magnum est, quando perditur civitas tan tum, ut per deportationem … parvum est relegare aliquem, vel ad penam torquere, vel quando infligitur pena, per quam corpus ali cuius acriter efficitur … minus dicitur, modica corporis coercitio minimum est, levis mulcta».
Se, dunque, il mero imperio riguardava la giurisdizione penale, il misto imperio invece consisteva in quella civile: anch’esso si articolava in sei gradi, di cui i primi due erano riservati al principe: «dare veniam aetatis impetranti … cognoscere circa sententiam ex supplicatione». L’Intriglioli precisa che il sovrano poteva concedere al barone anche regalie, ad esempio la nomina degli ufficiali, ampliandone così le competenze, ma solamente quelle «quae possunt conveniri baroni uti privato, et tenderent ad eius utilitatem», e in ogni caso alcune di esse risultano sempre riservate al sovrano, come l’emissione di mone ta, la creazione di notai, la conoscenza del delitto di lesa maestà, l’imposizione di collette.»[24]
Con tale istituto era concessa, di fatto, ai nobili la possibilità di esercitare la “iurisdictio”[25] civile e penale. La amministrazione regia abdicava, così, all’esercizio del suo potere e quindi al controllo pubblico sulla giustizia dello stato. Il radicamento di questo ordinamento trae la sua ragion d’essere dal periodo Normanno. Durante tale periodo storico il re era solito demandare l’esercizio della giustizia ai nobili ma, solo, limitatamente alla pertinenza civile e tributaria (sistema praticato anche nell’ordinamento moderno, essendo usuale fino ad epoche recenti concedere la riscossione dei tributi a società private). La “Iurisdictio” penale, difatti, diversamente resisteva nelle mani degli “Iusticiarii”[26] anche se già era riconosciuta in parte in esercizio ad alcuni signori feudali. Si deve riconoscere il merito a Federico II del tentativo, con poco successo in verità, di ribadire come il “mero imperio” spettava solo al sovrano e ai suoi eventuali delegati come i maestri giustizieri o gli ufficiali di giustizia. Il fenomeno della vendita della “Iursductio” esplose in Sicilia tra il 500’ e il 600’ interessando consistenti gruppi di popolazione sottoposta alla giurisdizione feudale, non sottoposti quindi alla giustizia, seppur primitiva, imparziale del sovrano. Sovrano, il quale dopo Federico II di Svevia, si allontanò sempre più dalla Sicilia e dai siciliani. Sempre in questo contesto epocale si assistette ad un proliferare di concessioni di “licentia populandi”. Con tale atto veniva riconosciuta la possibilità di fondare e popolare nuove località. Tanto fece aumentare, così, la diffusione del “mero e mixto imperio”. Seppure non fosse riconosciuta la possibilità di esercitare la giurisdizione completa, fin dal momento iniziale ci fu un tacito consenso delle autorità circa il potere esercitato dai nuovi signori locali sugli insediamenti da loro fondati. Occorre rammentare come i nuovi signori locali erano nobili di nuova generazione. Signori i quali non annoveravano tra i loro antenati antiche casate ma, solo amministratori e commercianti, che avevano fatto il salto di casta ed erano ansiosi di creare un “loro regno” dove ricreare antiche vestigie e nobilitare, così, le future generazioni. Spesso, infatti, l’utilità di una “Licentia Populandi”[27] trovava logica, visti tutti i rischi connessi a livello economico e sociale, solo nella possibilità di esercitare il “mero e mixto imperio” e dalle utilità sociali provenienti. Ancora, questa apertura di credito alla fondazione di nuove località era giustificata dalla necessità di svuotare le città dai criminali, i quali, spesso divenivano coloni, e dalla convinzione secondo cui in nuove località più piccole il signore avrebbe potuto meglio svolgere il controllo. Ben presto si evidenziò il risvolto della medaglia: le città subirono uno spopolamento tanto importante che tali licenze furono concesse sempre più di rado. Solo con la costituzione del 1812 si ebbe formalmente la soppressione del “mero e mixto imperio” operando così una netta cesura con il passato e una laicizzazione e affrancamento del diritto. Diritto il quale dopo secoli rientrava sotto l’esercizio pubblico.
All’ articolo I del Capitolo I di “Della Feudalità, Diritti e pesi Feudali” si enuncia per la prima volta un concetto fino a quel momento sconosciuto in terra sicula ovvero:
«[…] gli abitanti di qualunque comune saranno considerati di ugual diritto e condizione e tutte le popolazioni del regno saranno governate colla stessa legge comune del regno […].»[28]
In concreto con tale disposizione il costituente definiva una unitarietà di diritto nonché una unitarietà di status di cittadino o, meglio, suddito, sull’ esempio degli ideali della Rivoluzione francese e del Codice civile Napoleonico. Status giuridico il quale però ancora nella pratica tarderà ad arrivare.
5. Diritti e doveri dei cittadini
La disamina sui diritti e doveri dei cittadini deve principiare dalla unificazione dello status di suddito in pieno spirito illuministico. Si sancisce, in cesura con il passato, come i regnicoli abbiano la libertà di dibattere in merito all’ agone politico. Tale disposizione pur ribadendo, altresì, come rimangano proibiti i discorsi a fini sovversivi, rappresenta una importante conquista rispetto alle posizioni dell’“Ancient Regimè”. Il costituente, in discontinuità con il passato, dimostrò di abbracciare i massimi pensieri illuministi tenendo fermo e saldo al contempo un non indifferente controllo sulla scena politica, data la possibilità di perseguire le ide sovversive. Non essendo i discorsi e le idee sovversive come fattispecie sottoposti ad una “riserva di legge” diretta, il tutto rappresentava un mezzo ed un pretesto facilmente utilizzabile per la repressione di concetti troppo liberali o moderni. Ed ancora in pieno ossequio al pensiero di Beccaria, viene dedicato un articolo al principio di irretroattività della legge penale. Si dispone altresì la compilazione di un nuovo codice in linea con i nuovi paradigmi costituzionali e illuministi. Occorre rammentare come la legislazione del regno di Sicilia era composta da disposizioni e consuetudini ancora frutto della legislazione feudale, difficilmente compatibile con le idee illuministe ispiratrici del testo. In cesura con il periodo e in continuità con un primo primitivo nucleo di legislazione in materia di sanità pubblica venne statuita la interdizione per i cittadini, che non avessero fatto vaccinare i figli, dalle “attività pubbliche consiliari”
Si enuncia nella sezione “Libertà, Diritti e Doveri del Cittadino” all’ Art XI:
«Ogni cittadino siciliano, che da oggi in avanti non avrà cura di vaccinare[29] i figli, non potrà aver parte diretta o indiretta nella formazione della legge, né potrà essere ammesso ne’ consigli civici.»[30]
Tale norma, per l’epoca dirompente, scardinava la concezione della sanità come missione caritatevole affidata agli organi ecclesiastici e alle elargizioni della classe nobile. Tale disposizione in merito di sanità pubblica rappresenta l “Apeiròn” del futuro Art. 81 della costituzione del regno delle Due Sicilie del 1848.
In tale Articolo 81 della costituzione del regno delle Due Sicilie del 1848:
«La pubblica salute sarà affidata ad un supremo magistrato di salute, indipendente da qualunque potere nell’esercizio delle sue funzioni. Una legge speciale ne ordinerà i poteri, e darà le norme per bene esercitarli.»[31]
In tale costituzione si tratterà per la prima volta la salute pubblica non come intervento dello stato nei momenti di epidemia ma come azione di prevenzione e di intervento sistemico avocato e regolato dallo stato medesimo.
6. Magistratura del regno
La magistratura del regno di Sicilia si reggeva ed annoverava, già dalle primissime disposizioni in materia di potere giudiziario, su principi illuministi e moderni per l’epoca. In cesura netta con il passato si sancì come fossero abolite e poste fuori norma tutte le giurisdizioni speciali. Tali norme avevano rappresentato il fulcro di un sistema imperniato sulla differenziazione dello status dei regnicoli.
In consonanza al principio del giudice naturale si enuncia nell’ Articolo II al Capo I del Titolo III:
«Abolite di già tutte le giurisdizioni particolari, ovvero i così detti fori, vi sarà unica potestà giudiziaria residente presso i giudici ordinarii e le magistrature stabilite nella presente Costituzione; e quindi le cause pendenti non si potranno avocare, anche col rimedio del giusto ricorso al principe, né declinarsi per qualunque privilegio in avanti concesso, né accordarsi restituzione. Resteranno solo gli ordinarii rimedi stabiliti da un giudice o tribunale ad un altro, presso de’ quali pienamente si eserciterà il potere de’ giudizi. […]»[32]
Il costituente, inoltre, si proponeva di eradicare la giustizia inquisitoria. Giustizia inquisitoria la quale aveva rappresentato la prassi nel regno. Regno nel quale per secoli operò impunemente e liberamente la Santa Inquisizione. Santa
Inquisizione, la quale da Palazzo Steri a Palermo dal 1478 con Ferdinando II di Aragona fino al regio decreto del 6 marzo 1782[33], aveva di fatto amministrato la giustizia ecclesiastica con il sistema inquisitivo.
Tale abiura da parte del costituente e quindi del regno rispetto a tale pratica, non certo garante dei diritti dei regnicoli, fu ampiamente espressa nell’ Articolo XIV del Capo I del Titolo III che enunciava:
«I magistrati ed i tribunali non potranno procedere per qualunque delitto contro alcun cittadino, se non per accusa della parte offesa ed interessata. Quindi viene loro proibito di procedere per inquisizione […].»[34]
Si mantenne ancora un residuo di azione “inquisitiva” della magistratura del regno per i reati di maggiore gravità come il reato di lesa maestà, omicidio, e falsificazione di monete. Tali reati vennero considerati come perseguibili d’ufficio in quanto “densi” di un importante disvalore giuridico verso lo stato, e quindi la figura del sovrano, e della loro capacità di ledere la “pax”[35] del regno, ponendo a rischio la stessa sopravvivenza dello stato.
7. Revisione costituzionale
La Costituzione del regno di Sicilia è da considerare e classificare, alla luce della successiva categorizzazione di James Bryce[36] nel finire dell’800, come flessibile. Essa, infatti, non prevedeva una specifica modalità di revisione, che ricordiamo è criterio cardine di rigidità secondo il pensiero di James Bryce.
In concreto il testo risulta frutto di un triplice accordo pattizio, sull’ esempio del modello inglese. Accordo che trovava fondamento e logico legame di interessi tra: il sovrano e gli inglesi, reali garanti della indipendenza e tenuta del regno rispetto alle pressioni esterne, ed i nobili e notabili siciliani. Tale accordo tra le parti succitate è ravvisabile nella struttura stessa del testo, sin dal momento in cui l’archetipo costituzionale viene strutturato sul modello e sulla falsa riga della legislazione britannica. Differentemente degli statuti coevi e prossimi, si concesse una ampia parte alle disposizioni in materia di commercio e di scambi economici. Di contro possiamo osservare come il costituente, nel prendere ad esempio il modello anglosassone, ripose nelle potestà del parlamento e del sovrano, la capacità di emendare il testo al pari della legge ordinaria.
Si evidenzia nell’ Articolo IV del Capo I del Titolo I “Potere Legislativo” come:
«Al solo Parlamento apparterrà non meno il diritto di far leggi, che quello ancora della creazione […]»[37]
Tale articolo, di fatto in combinato a quanto disposto nel preambolo della costituzione stessa, chiarisce come il reale potere di far legge e di promulgare costituzione risiede nella “mani” del parlamento. Parlamento che, agendo come vicario del sovrano e con il placet di quest’ ultimo, sarebbe stato il reale detentore del potere di creare legge del regno e altresì la legge fondamentale del regno.
In preambolo del testo si enunciava:
« […] Straordinario generale Parlamento, con real dispaccio del primo maggio dell’anno passato, per provvedersi dal medesimo non solo ai bisogni dello Stato, ma ancora alla correzione degli abusi, al miglioramento delle leggi, ed a tutto ciò, che interessar potesse alla vera felicità di questo fedelissimo regno; ed essendosi il medesimo collegialmente riunito, e stabilite le basi di una nuova Costituzione, che sotto il 25 dello scorso luglio ci furono dallo stesso indirizzate; autorizzati noi dal nostro augusto genitore, per foglio del dì primo del decorso agosto, transuntato ed esecutoriato dal protonotaro del regno il giorno 10 dello stesso mese; aderendo alle proposte del Parlamento […]»[38]
A livello puramente speculativo, è giusto ritenere come lo “Straordinario Generale Parlamento”, notificando i dispacci come bozze della futura costituzione abbia assunto il ruolo di Assemblea costituente del regno. Assemblea costituente, che avrebbe ben agito come tale, se non fosse intervenuta l’azione del sovrano che avvallò e dispose benevolo parere sul testo. In ultima analisi, realmente il testo non fu mai oggetto di riforma o di intervento da parte del parlamento, dato che “in primis” ben presto perse la originaria funzione di garanzia ed “in secundis” risultò estremamente specializzato e ben organizzato nella struttura per rispondere alle esigenze del periodo.
8. Considerazioni conclusive
Da quanto detto è desumibile una forte spinta illuminista e modernizzatrice ad un regno che per troppi anni era rimasto imbrigliato nelle maglie di un sistema che non permetteva la corretta rappresentanza del popolo siculo, ormai maturo per intellighenzia ad ergersi ad apripista di una riforma costituzionale. Riforma costituzionale che, seppure influenzata in maniera indiretta dagli interessi e dalle ingerenze inglesi, rappresentava comunque una volontà di cambiamento e svecchiamento dello stato e delle sue istituzioni. Tale azione modernizzatrice si poggiava sempre sulla figura e la guida del sovrano. Sovrano, ormai a passo con i tempi, non più “Legibus Solutus”[39] ma parte attiva di un patto sociale e costituzionale dinamico ed in evoluzione. Tale “voluntas” innovatrice andò a sanare la vetustità delle istituzioni del regno, in gran parte frutto delle disposizioni Federiciane. Disposizioni che diedero un assetto sicuramente adatto al XIII secolo, ma non più conciliabili con le istanze illuministe e progressiste che si affermavano sempre più nel XVIII secolo in una Europa precorritrice nel riconoscimento dei diritti veicolati dall’illuminismo. L’Europa conosceva da tempo ormai le guarentigie della “Magna Cartha”, della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, nonché delle riforme in materia penale scaturite a seguito della pubblicazione del libello “Dei delitti e delle Pene”[40] ad opera di Cesare Beccaria. Europa che, seppure diffidente per via delle campagne di annessione Bonapartiste, si raffrontava ogni giorno con i moderni sentimenti nazionali di “Libertè, Egalitè, Fraternitè”[41] ed in particolar modo con le idee e gli scritti di tanti illuministi siculi e no. Dalla lettura e dalla attenta analisi del testo costituzionale, ancorché pattizio e influenzato dai britannici, si evince uno scritto estremamente complesso e ricco di articoli che di fatto lo rendevano estremamente specializzato. Si ravvisa, altresì, una forte spinta riformatrice compensata, al tempo stesso, da quella conservatrice. Spinta ipotizzabile come derivante da un tentativo seppur prematuro di dare un assetto liberale e illuminista ad uno stato ancora legato alle sue istituzioni passate. Si apprezza, in rottura con il passato e in ossequio allo spirito illuminista, una importante enunciazione del principio di eguaglianza formale. Nella rubricazione si evidenzia la scelta di utilizzare il vocabolo cittadini e non regnicoli o sudditi; tale scelta anomala con il periodo, è da interpretare come una volontà del costituente di emancipare lo “status”[42] dei regnicoli. In conclusione, si può affermare come sia una costituzione ricca di articoli, più di cinquecento e quindi estremamente specializzata[43],dato estremamente eccezionale rispetto ai tempi. Costituzione, come detto, estremamente anticipatrice e riformatrice che subì un celere obblio poco tempo dopo la sua promulgazione. Tale obblio, sicuramente in parte fu dovuto a un sovrano, il quale, preferì tornare alle vecchie usanze ed ignorare le istanze di un popolo “sovrano” con le proprie legittime rivendicazioni.
Bibliografia
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FRASCA, Università, potere e rivoluzione: docenti «in prima linea», Annali della facoltà di Scienze della formazione Università degli studi di Catania, Vol.3, 2004;
ABATE, G. E. ORTOLANI, Regno di Sicilia – Costituzione di Sicilia stabilita nel generale straordinario Parlamento del 1812, Progetto Manuzio, 2012, LiberLiber;
Statuto Fondamentale Del Regno Di Sicilia Decretato Il Giorno 10 luglio 1848 Dal Generale Parlamento, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia184.htm.
[1] Ferdinando di Borbone Due Sicilie, nacque a Napoli il 12 gennaio 1751 e morì a Napoli il 4 gennaio 1825. Fu re di Sicilia e Napoli a fasi alterne durante i burrascosi anni della epopea Napoleonica. Regnò in Sicilia con il nome di Ferdinando III ed a Napoli con il nome di Ferdinando IV. Dal Congresso di Vienna e con l’unificazione delle monarchie dei due regni assunse il nome di Ferdinando I regnando sul regno delle Due Sicilie. Fu altresì il primo sovrano della dinastia dei Borbone delle Due Sicilie ad essere nato sul suolo del futuro regno.
[2] Lord William Bentinck, figlio secondogenito del primo ministro Britannico William Cavendish-Bentinck, III duca di Portland, fin da giovane fu avviato alla carriera militare e diplomatica, ricoprendo negli anni della dominazione Napoleonica il delicato compito di garantire la protezione della famiglia reale del regno delle Due Sicilie e la sicurezza del regno di Sicilia in quegli anni ormai di fatto “protettorato” Britannico.
[3]Accordo firmato 28 marzo 1801 a seguito della schiacciante vittoria Bonapartista nella “Seconda Campagna di Italia”.
Tale accordo di fatto permise il ritorno dei Borboni Due Sicilie sul trono e l’indipendenza del regno. Condizione del trattato di pace era la concessione all’ esercito francese della facoltà di poter dispiegare truppe, a spese del regno borbonico, nella città di Pescara e nella circoscrizione amministrativa di Terra D’Otranto. Inoltre, si prevedeva l’amnistia e quindi l’immediata liberazione di tutti i prigionieri giacobini nelle carceri borboniche. Venivano inoltre ceduti al regno di Etruria diversi territori, tra cui l’isola d’Elba,
[4] Il trattato di Amiens, definito come “Trattato di Pace Definitivo” dalle potenze coinvolte, cioè Francia e Inghilterra. Tale trattato firmato il 25 marzo 1802, statuiva definitivamente il riconoscimento da parte dell’Inghilterra della Repubblica Francese. Si statuiva, dalla Rivoluzione francese, la legittimazione della Repubblica Francese nei tavoli internazionali come successore dell’ormai scomparso regno di Francia. Tale accordo venne raggiunto a seguito delle sconfitte subite ad opera della Repubblica Francese nelle battaglie di Marengo e Hohenlinden. Tale trattato si proponeva in concreto di ridisegnare la cartina mondiale prevendendo interventi geografici sia nel mediterraneo sia nelle colonie. La pace, già traballante, durò ben poco a seguito della poca fiducia reciproca di entrambi i firmatari. Già nel 1803 si assistette al rafforzamento della marina britannica, azione chiesta a gran voce dai cittadini mal soddisfatti dalle concessioni della Inghilterra, e dalla sfiducia di napoleone negli inglesi. Egli, infatti, ordinerà di arrestare tutti i cittadini britannici presenti in Francia, di fatto violando le più basilari consuetudini internazionali all’ epoca vigenti.
[5] Popolo dei “Vespri”, espressione traente origine dalla rivolta dei Vespri avvenuta in Sicilia nel 1282. Tale rivolta, catalogabile nel più ampio schema delle Guerre del Vespro, ebbe inizio il lunedì dei Vespri, ovvero durante la Preghiera del Tramonto. La rivolta aveva come fine la cacciata dalla degli Angioini, dinastia regnante di origine francese e quindi percepita dai siciliani come straniera. La Guerra del Vespro si concluderà solo il 31 agosto 1302 con la Pace Caltabellotta.
[6] Francesco I delle Due Sicilie, regnò dalla morte del padre Ferdinando I delle Due Sicilie fino alla sua morte avvenuta l’8 novembre 1830. Fu Luogotenente del sovrano Ferdinando I nel regno di Sicilia nel momento più delicato per la monarchia, ovvero nella fase di strutturazione e promulgazione della Costituzione del regno di Sicilia del 1812. Egli svolse il ruolo di Luogotenente dal 1812 al 1816
[7] Carlo Cottone, principe di Castelnuovo, si formò negli anni della Rivoluzione francese e accolse con favore il pensiero e le idee del periodo. Esule per i suoi moderni convincimenti, in antitesi con la sua stessa provenienza sociale, ritornato nell’ agone politico svolse più volte il ruolo di ministro e contribuì in maniera decisiva alla genesi della costituzione del 1812.
[8] Di nobili e illustri origini studiò a Roma al “Collegio Nazareno” per poi proseguire i suoi studi in Europa. Perseguitato diverse volte per il suo pensiero liberale, contribuì in maniera sostanziale alla redazione del testo del 1812. Cercò, inutilmente, anche dopo la “restaurazione” di mantenere operativo il testo senza però riuscirvi.
[9] Abate e teologo, nonché docente di Agricoltura, rappresentò il braccio ecclesiastico del parlamento. Illustre pensatore con opere sul pensiero economico, si schierò a favore di una economia maggiormente rispettosa dei braccianti. Contribuì in maniera sostanziale alla Costituzione del 1812.
[10] Il 15 giugno 1215 re Giovanni senza terra di Inghilterra su pressione dei nobili inglesi concesse e riconobbe alcune guarentigie e libertà, innovative per l’epoca. Tali concessioni furono raccolte in un documento, ovvero la Magna Charta Libertatum, Tale testo dopo non poco lavoro di “labor limae” venne riconfermato negli anni avvenire da Enrico III e Edoardo I nel finire del Duecento. Di fatto trasformandosi in un testo fondamentale per l’ordinamento britannico. La Magna Charta si proponeva di statuire per iscritto solennemente i diritti della Chiesa, dei cittadini liberi, dei feudatari e dei comuni inglesi. Tale testo di fatto poneva una prima limitazione del potere del sovrano a favore della popolazione. La “Charta” alla luce della storiografia successiva risulterà essere come il successore del basilare contratto feudale. Essa, infatti, viene richiesta dai nobili a seguito della sconfitta nelle guerre francesi a Bouvines nel 1214. Il sovrano, infatti, in nome di tali battaglie aveva imposto alle popolazioni gravose tasse, egli infatti anche se sovrano per diritto divino, nella imposizione delle tasse era soggetto ai contratti feudali che regolavano le decime e le tasse più in generale.
[11] E. FRASCA, Università, potere e rivoluzione: docenti «in prima linea», Annali della facoltà di Scienze della formazione Università degli studi di Catania, Vol.3, 2004, Cit. pp. 170-171
[12] Costituzione Del Regno Di Sicilia Proposta Dal Generale Straordinario Parlamento Nel 1812 – Sanzionata con Due Reali Diplomi De’ 9 Febbraro e 25 maggio 1813, Tipografia E Libreria di Ant. Muratori, Palermo, 1848, Cit. p. 13
[13] Costituzione Del Regno Di Sicilia Proposta Dal Generale Straordinario Parlamento Nel 1812 – Sanzionata con Due Reali Diplomi De’ 9 Febbraro e 25 maggio 1813, Tipografia E Libreria di Ant. Muratori, Palermo, 1848, Cit. p. 14
[14] Costituzione Del Regno Di Sicilia Proposta Dal Generale Straordinario Parlamento Nel 1812 – Sanzionata con Due Reali Diplomi De’ 9 Febbraro e 25 maggio 1813, Tipografia E Libreria di Ant. Muratori, Palermo, 1848, Cit. p. 14
[15] Costituzione Del Regno Di Sicilia Proposta Dal Generale Straordinario Parlamento Nel 1812 – Sanzionata con Due Reali Diplomi De’ 9 Febbraro e 25 maggio 1813, Tipografia E Libreria di Ant. Muratori, Palermo, 1848, Cit. p. 9
[16] Costituzione Del Regno Di Sicilia Proposta Dal Generale Straordinario Parlamento Nel 1812 – Sanzionata con Due Reali Diplomi De’ 9 Febbraro e 25 maggio 1813, Tipografia E Libreria di Ant. Muratori, Palermo, 1848, Cit. pp. 10-11
[17]R. Abate, G. E. Ortolani, Regno di Sicilia – Costituzione di Sicilia stabilita nel generale straordinario Parlamento del 1812, Progetto Manuzio, 2012, LiberLiber, Cit. p. 50
[18] La “sanzione regia” è un istituto del diritto costituzionale tipico delle prime forme di monarchia costituzionali di fine ‘700 – ‘800. Tale istituto, definito anche come assenso reale, rappresentava un mezzo di controllo a disposizione del sovrano rispetto all’ operare dei parlamenti nazionali ormai diventati fucine di idee e leggi. Tale istituto permetteva al sovrano mediante, il diritto di sanzione, di evitare la promulgazione di una disposizione di legge e quindi bloccare l’operare delle camere. In tempi moderni nelle forme repubblicane si è trasformato nella controfirma presidenziale necessaria per poter promulgare la legge e darvi corso legale. Tale principio di sanzione regia, nato nel sistema inglese come “Royal assent” fu riprodotto nel sistema di repubblica presidenziale statunitense ove il presidente per mezzo del “veto presidenziale” ha ancora oggi il potere di sospendere una legge. Ad oggi, diversamente da altri sistemi, nel sistema costituzionale inglese, inventore di tale istituto, ha perso sempre più la sua funzione. L’ultima applicazione in Regno unito risale al 1708.
[19] Basi Della Costituzione Di Sicilia Del 1812, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia181.htm , Cit. p.2
[20] La “riserva di legge” è un concetto giuridico che trae origine dalle teorie illuministe del 1700 in materia di tassazione e detenzione. Si caratterizza per il principio secondo cui un atto non può essere posto in essere autonomamente (nel caso di specie da un sovrano) ma deve essere approvato da un parlamento rappresentativo della popolazione con atto legislativo avente forza di legge. In concreto secondo tale principio, si sancisce come una determina materia possa essere regolata solo da una legge o un atto legislativo avente forza di legge.
[21] Basi Della Costituzione Di Sicilia Del 1812, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia181.htm, Cit. p.2
[22] Il “mixto imperio”, trovava suo fondamento nella concessione da parte del sovrano del potere di giudicare in materia di diritto penale. Estremamente raro, quantomeno nella prima fase, era strutturato in sei gradi e tipicamente era riservato ai feudatari di maggior importanze come i Principi.
[23] Il “mero imperio” trovava suo fondamento nella concessione da parte del sovrano ai suoi feudatari del potere di giudicare e arbitrare in materia di diritto civile e quindi di controversie “giornaliere” nei feudi. Esso estremamente più diffuso del “Mixto Imperio” trovava abbinamento alla concessione del potere di esigere la tassazione.
[24] Cancila, R., Merum Et Mixtum Imperium Nella Sicilia Feudale, MEDITERRANEA, RICERCHE STORICHE, 14, 2008, Cit. pp. 24-25
[25] Concetto di romana genesi, posseduto nel diritto latino dai magistrati. Veniva inteso nel periodo romano come capacità di impostare giuridicamente la controversia. Da tenere ben distinto dalla “iudicatio” ovvero il potere di dirimere la controversia. Tale potere e divisione era tipica del processo per “legis actiones” o dell’“agere per formulas”. Nell’ accezione medievale assume il significato di capacità giudicante.
[26] Nomenclatura dei primi giudici ufficiali regi, nel periodo normanno, che presiedevano o facevano parte delle corti nel periodo feudale.
[27] La “licentia populandi” è stato un istituto di diritto nel regno di Sicilia. Tale istituto, privilegio a favore dei nobili del regno, consistette nella possibilità di popolare un territorio di solito concesso o di proprietà del signore feudale. Tale concessione includeva, quasi sempre, la “licentia aedificandi”. Veniva concessa in seguito ai servigi resi alla corona in un primo periodo e poi dietro pagamento all’ economato del regno di un corrispettivo prestabilito. Trovò massima espansione tra il 1500 e il 1700.
[28] Basi Della Costituzione Di Sicilia Del 1812, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia181.htm, Cit. p. 27
[29] Volendo provare a fare un richiamo storico-giurisprudenziale in merito, occorre analizzare le “Fedi di Sanità” emesse per prima dalla Serenissima Repubblica di Venezia nel finire del 1500. Tali certificazioni venivano rilasciate dalle autorità sanitarie per accertare l’avvenuto periodo di quarantena o la non presenza di “malattia” Tale atto aveva carattere amministrativo (Esso era garanzia di salute, nel periodo identificata come avvenuto svolgimento del periodo di quarantena propedeutico alla comparsa dei sintomi). Il legislatore Costituzionale del Regno delle Due Sicilie, coevamente con il periodo delle scoperte e innovazioni in campo sanitario, stabilì una sanzione oggi definibile “amministrativa” come mezzo di coercizione. L’ obbligo vaccinale previsto nel testo può essere letto come un adempimento di carattere indiretto, ovvero: il costituente non obbliga al vaccino, in pieno spirito di autodeterminazione dell’essere, ma al contempo tutela gli altri “regnicoli” dal rischio di contagio non permettendo all’inadempiente l’accesso ai luoghi pubblici di governo cittadino e statale.
[30] Basi Della Costituzione Di Sicilia Del 1812, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia181.htm, Cit. p.
[31] Statuto Fondamentale Del Regno Di Sicilia Decretato Il Giorno 10 luglio 1848 Dal Generale Parlamento, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia184.htm, cit. p.8
[32] Basi Della Costituzione Di Sicilia Del 1812, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia181.htm, Cit. p.39
[33] Regio Decreto di Ferdinando III di Sicilia con il quale il sovrano il 6 marzo 1782 disponeva dopo quasi cinquecento anni la soppressione del Tribunale della Santa Inquisizione in Sicilia. Esso era frutto e retaggio della dominazione spagnola e del Vicereame. L’abolizione avvenne dopo le rimostranze del Viceré di Sicilia Caracciolo, il quale si schierò da sempre contro il sistema dispotico e inquisitorio che tale tribunale attuava. In concreto l’azione di Caracciolo fu solo l’ultima rimostranza dei Viceré al sovrano. Infatti, negli anni passati non erano mancate le proteste e parziali tentativi di riforma del tribunale. Tribunale considerato ormai non più al passo con i tempi nei modi e nella sua stessa esistenza.
[34] Basi Della Costituzione Di Sicilia Del 1812, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia181.htm, Cit. p. 40
[35] Concetto latino di pace sociale, intesa come garanzia di tranquillità della comunità e dello stato.
[36] Illustre costituzionalista inglese, il quale sul finire dell’800 ipotizzò nel suo saggio “Costituzioni flessibili e rigide” l’esistenza di costituzioni rigide, costituzioni flessibili nonché di costituzioni immutabili. Egli, inoltre, dissertò attentamente definendo i criteri di catalogazione dei modelli di costituzioni da lui ipotizzate.
[37] Basi Della Costituzione Di Sicilia Del 1812, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia181.htm, Cit. p. 3
[38] Basi Della Costituzione Di Sicilia Del 1812, Unito, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/sicilia181.htm, Cit. Preambolo p.1
[39] Locuzione di origine latina attribuibile al “Giureconsulto” Ulpiano. Essa letteralmente vuol significare “sciolto da ogni legge”. Tale locuzione trova logica nella figura del sovrano o del principe in quanto al di sopra della legge e quindi svincolati da essa, disponendo di un potere assoluto. In epoca moderna utilizzata con accezione alla figura dei sovrani, ma originariamente pensata come riferita al “Princeps” di romana genesi.
[40] “Dei Delitti e delle Pene”, redatto dall’ illuminista e giurista Cesare Beccaria nel 1764, rappresentò il massimo esempio di testo in materia penale di carattere illuminista e riformatore. Indicato come l’“Apeiron” delle riforme del Gran Ducato di Toscana del 1786 (Promulgazione del Codice Leopoldino il 30 novembre 1786) che portarono con il Gran Duca Leopoldo all’ abolizione della pena di morte e della tortura nel Granducato e delle riforme nel resto di Europa.
[41] Motto di origine popolare in Francia, sviluppato intorno alla seconda metà del 1700, traducibile in italiano come “Libertà, Eguaglianza e Fratellanza”. Mantenne una valenza meramente popolare fin tanto sull’ onda della Rivoluzione francese venne sdoganato e successivamente codificato. Fu codificato in parte, nell’ Articolo I della Dichiarazione dell’uomo e del cittadino del 1789. Ripreso nella costituzione francese post Seconda guerra mondiale è tutt’ oggi utilizzato.
[42] Definizione giuridico sociale, la quale vuol definire la posizione giuridica o sociale di una persona in un sistema.
[43] Costituzione specializzata, è una catalogazione di testo fondamentale, la quale ha come requisiti un contenuto estremamente definito e che disponga qualsiasi sfaccettatura del sistema riducendo al minimo la necessità di integrazioni o rinvii alla legge ordinaria.
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Giuseppe Pisa
Il Dott. Giuseppe Pisa si è laureato in Giurisprudenza (LM) presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania con una tesi dal Titolo La «legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia». L' Italia alla ricerca della “rigidità costituzionale”: il dibattito nell'età liberale. Attualmente svolge la pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania. È stato ammesso, per l’edizione 24/25 al Master di II livello dal titolo "Management Pubblico dello Sviluppo Locale. Crisi, strategie e cambiamento nella società complessa" presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell' Università degli Studi di Catania.