Mediazione familiare obbligatoria dopo la Riforma Cartabia

Mediazione familiare obbligatoria dopo la Riforma Cartabia

Nonostante sia oramai noto anche ai non operatori di sistema che la mediazione, soprattutto quella familiare, abbia dopo la Riforma Cartabia (Decreto-legge n. 132 del 2014) acquisito un proprio rilevante e imprescindibile ruolo all’interno delle dinamiche giudiziarie, specie di divorzio e separazione, spesso i clienti che si recano dal proprio legale mostrano un atteggiamento di rifiuto e di fuga nei confronti di questo strumento.

Le ragioni posso essere molteplici: dalla volontà di risolvere quanto prima possibile le questioni di coppia con una definitiva sentenza del giudice, alla poca fiducia verso i mediatori e il sistema delle A.D.R. in generale (in Italia, soprattutto, ancora da scoprire e comprendere), al rifiuto di confrontarsi con il partner e di scendere a compromessi.

Tuttavia, proprio la Cartabia ha annoverato le cause di separazione e di divorzio tra quelle per le quali la mediazione è prodromica al giudizio e obbligatoria, essendo condizione di procedibilità per la proposizione della stessa domanda giudiziale.

Pertanto, se si crede che evitando in un primo momento la mediazione si possano accorciare i tempi, si sta commettendo un errore che, in via del tutto pragmatica può arrivare ad ottenere l’effetto opposto a quello desiderato: l’allungamento dei tempi del giudizio, che sarà sospeso per ricorrere a un passaggio necessario, solo procrastinato.

E, infatti, nell’ipotesi in cui la coppia o i coniugi non presentino la richiesta di mediazione, ma direttamente la domanda in tribunale, il giudice, durante l’udienza preliminare, potrà sospendere il procedimento e ordinare che venga comunque avviata la mediazione familiare. E’, altresì, possibile che il giudice disponga che le parti partecipino a sessioni di mediazione prima di proseguire con un processo già avviato.

In sostanza, se non si rispetta l’obbligo di ricorso alla mediazione, si rischia la sospensione del procedimento giudiziale.

Occorre, pertanto, sapere che altra via da percorrere non c’è e che, anzi, non solo il ricorso alla mediazione è obbligo e non facoltà, ma che l’atteggiamento non collaborativo e dialogico (nel corso del primo incontro in particolar modo) è oggetto di successiva valutazione da parte del giudice nel corso del giudizio.

Anche l’esito negativo del primo incontro di mediazione viene, infatti, verbalizzato e il verbale così redatto rientrerà tra i documenti da depositare in giudizio, utilizzabile strumentalmente da chi dei due nella coppia voglia dimostrare l’atteggiamento di totale chiusura dell’altro a qualsivoglia forma di accordo.

Il verbale negativo può essere emesso per vari motivi, tra cui: la mancata partecipazione di una delle parti che non si presenta agli incontri di mediazione senza addurre alcuna valida giustificazione; l’impossibilità di accordo su uno o più aspetti della separazione o divorzio; la contrarietà alla mediazione di una delle parti che si rifiuta di collaborare nel processo di mediazione.

Nel caso di verbale negativo, la parte che ha richiesto la mediazione ha la possibilità di proseguire con il giudizio in tribunale. Se il verbale negativo è stato redatto per mancata partecipazione di una delle parti, la parte assente potrebbe essere chiamata a rispondere delle proprie ragioni e il giudice potrebbe valutare se proseguire comunque con il procedimento.

La redazione del verbale negativo, infatti, non preclude la possibilità di accedere al tribunale, ma il giudice potrebbe considerare l’eventuale mancata partecipazione alle mediazioni come un elemento da tenere in conto nella valutazione complessiva del caso.

Tra le più recenti sentenze sul punto si porta ad exemplum la n. 128/2025 del 24.02.2025 del Tribunale di Arezzo. Nella causa in questione il tentativo obbligatorio di mediazione si è concluso con un verbale negativo a causa della mancata partecipazione di una delle parti. Il Tribunale ha nuovamente sottolineato a chiare lettere l’importanza della partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione, ribadendo che un’assenza ingiustificata quantomeno al primo incontro ha un’influenza negativa sull’andamento del processo e sulle decisioni successive.

Si precisa, altresì, che la partecipazione agli incontri di mediazione deve essere personale, a nulla servendo la sola presenza del proprio legale. A tal riguardo, la Corte d’Appello di Ancona già nel 2017[1] aveva dichiarato l’improcedibilità della domanda giudiziale proprio per la mancata partecipazione personale della parte al primo incontro di mediazione familiare. Il Collegio aveva rilevato che, in occasione dello stesso, la parte istante non aveva partecipato personalmente. La Corte ha sottolineato che l’obbligo di preventiva mediazione può ritenersi osservato solo in caso di presenza personale della parte e non in caso di comparsa esclusivamente del difensore.

De resto, evidenti solo le ragioni per le quali nel caso in cui, durante il primo incontro di mediazione, una delle parti non si mostri propositiva e non manifesti intenzioni di proseguire con la mediazione, ciò possa essere interpretato negativamente dal giudice: la mancanza di collaborazione e di volontà di trovare un accordo è un indice sintomatico di ostilità e di scarso impegno verso la risoluzione della controversia e non può che riverberare effetti negativi sulle valutazione fatte in sede di giudizio.

In particolare, se la parte che non partecipa o non è propositiva non offre giustificazioni plausibili, il giudice può ritenere che quella parte stia ostacolando il processo di mediazione e potrebbe tenere conto di questa condotta nel prendere decisioni relative alla separazione, all’affidamento dei figli o alla divisione dei beni.

Al contrario, la partecipazione alla mediazione può essere vista come un indicatore della volontà di collaborare per il benessere dei figli e della famiglia oltre che utile ad agevolare una risoluzione più celere delle questioni legali ed economiche al di fuori delle mura del tribunale. E’ bene ricordare che il raggiungimento di un accordo, sottoscritto da entrambe le parti, in sede di mediazione familiare può evitare alle stesse di andare in giudizio o di non continuarlo. In questa ipotesi la mediazione riesce, dunque, ad assolvere pienamente al compito dal legislatore affibbiatole: risolvere le controversie in maniera consensuale e amichevole, senza la necessità di ricorrere a un procedimento giudiziario.

L’accordo redatto e sottoscritto può essere omologato dal giudice, a meno che successivamente non subentrino altre questioni che richiedano una decisione del tribunale. In concreto, il giudice andrà a verificare attraverso un atto formale (quale l’omologazione) che l’accordo rispetta gli interessi e i diritti di tutte le parti coinvolte e, in particolare il best interest del figlio o dei figli e quindi lo renderà a tutti gli effetti giuridicamente vincolante. Si tratta di una sorta di ratifica che equipara quanto agli effetti l’accordo di mediazione alla sentenza del giudice. Non devono, dunque, preoccuparsi coloro che vedano con riluttanza la mediazione, ritenendola meno efficace rispetto ad una sentenza, essendo per legge alle condizioni sopra indicate equiparate.

Occorre, tuttavia, precisa che vi sono anche delle ipotesi in cui, se una persona non partecipa alla mediazione familiare obbligatoria, il giudice non potrà tenerne negativamente conto, perché sussiste una causa giustificativa.

La normativa prevede infatti che, anche se obbligatoria per le cause relative a separazione e divorzio, la mediazione familiare possa essere evitata in alcuni casi specifici, ovverosia:

ipotesi di violenza domestica, dal momento che in questi casi la mediazione potrebbe mettere a rischio la sicurezza e il benessere della parte vulnerabile;

gravi conflitti psicologici o emotivi, che renderebbero la mediazione inefficace financo dannosa. In tali circostanze il rifiuto può considerarsi giustificato dal rischio che uno delle due parti possa sfruttare questa vulnerabilità;

assenza di capacità di negoziare di una delle due parti (ad esempio, a causa di un’incapacità legale riconosciuta);

– in generale, il giudice può prendere in considerazione alcuni elementi specifici del caso concreto durante il procedimento per decidere se avviare o fare proseguire la causa senza obbligare le parti a ricorrere alla mediazione o, eventualmente e in caso contrario, sospendere la causa e ordinare un ulteriore tentativo di mediazione.

Per le ragioni suesposte, dunque, la mancata partecipazione, solo se ingiustificata, può portare a conseguenze negative che vanno dall’improcedibilità della domanda alla valutazione sfavorevole durante il giudizio della condotta assunta dalla parte e questo perché la partecipazione personale alla mediazione familiare è oggi più che mai da considerarsi essenziale per il sistema giudiziario italiano, stante anche il ruolo deflattivo che si vuole sempre più attribuire alle A.D.R.

[1] Corte d’appello di Ancona, sent. n. 88/2017 del 18.01.2017

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