
Le misure protettive tipiche e atipiche nell’ambito del Codice della crisi d’impresa
Il presente elaborato nasce con l’intenzione di approfondire la tematica delle misure protettive tipiche ed atipiche nell’ambito del codice della crisi di impresa, tenendo conto sia della composizione negoziata sia degli istituti di regolazione della crisi di impresa e dell’insolvenza. Difatti tali misure rivestono una grandissima importanza nell’ambito del moderno diritto della crisi essendo chiamate a bilanciare la tutela dell’impresa in difficoltà con l’esigenza di preservare la posizione dei creditori, realizzando un equilibrio che rappresenta, al contempo, la sfida e la potenzialità più significativa del nuovo quadro normativo.
Sommario: 1. La protezione nell’ambito della vecchia Legge Fallimentare – 2. Le misure protettive nell’ambito del procedimento unitario – 3. L’art.8 C.C.I.I. e la durata massima delle misure protettive – 4. Le misure protettive nell’ambito della Composizione negoziata della Crisi ex art. 18 e 19 C.C.I.I – 5. Le misure protettive nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e della liquidazione giudiziale ex art. 54 e 55 C.C.I.I. – 5.1. Le misure protettive tipiche generali e speciali – 5.2. Le misure protettive atipiche – 5.3. Le misure cautelari – 5.4. Il confine tra le misure protettive atipiche e le misure cautelari – 6. Il procedimento di conferma – 7. Conclusioni
1. La protezione nell’ambito della vecchia Legge Fallimentare
Nell’ambito della vecchia Legge Fallimentare, la protezione del patrimonio dell’imprenditore in crisi peccava di una disciplina unitaria. Difatti, un primo riferimento era dato dall’art.168 L.F. (dettato in materia di concordato preventivo) secondo cui: “Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore [al decreto] non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese, e le decadenze non si verificano. I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall’articolo precedente. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”.
Un’altra norma era quella prevista dall’art. 182-bis comma 3 e 6 L.F. in tema di ristrutturazione dei debiti in cui si statuiva che: “Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l’articolo 168, secondo comma.6. Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma lettere a), b), c) e d) , e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. L’istanza di sospensione di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione”.
Sulla base di tali disposizioni la dottrina[1] aveva iniziato a qualificare gli effetti derivanti dalla pubblicazione del ricorso come “effetti protettivi” in quanto avevano lo scopo di garantire la conservazione del complesso aziendale per tutto il tempo necessario al debitore per l’approvazione e l’omologazione della proposta di concordato o dell’accordo di ristrutturazione. Gli effetti protettivi operavano per il solo fatto che la domanda ex art. 161 o 182-bis L.F. anche in bianco fosse stata pubblicata nel registro delle imprese ed in assenza di qualsiasi controllo giudiziale che a priori ne vagliasse la necessità o a posteriori ne disponesse eventualmente la revoca in presenza di circostanze sopravvenute (come accadeva invece per le misure cautelari di cui all’art. 15 L.F.)[2].
Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza (D.Lgs.n.14/2019 – da adesso C.C.I.I.) la disciplina della protezione del patrimonio muta volto a partire dalle scelte terminologiche compiute dal Legislatore, che poi si riflettono sulla nuova disciplina: non si parla più di “effetti” ma di “misure” in quanto diviene necessario richiedere la protezione mediante una apposita istanza di parte e ottenere un provvedimento del giudice.
Queste novità, non previste nell’ambito della Legge Fallimentare e che si condividono pienamente, mirano ad evitare che il debitore pretenda di avvalersi della protezione del patrimonio senza dimostrare un’effettiva volontà di risolvere la situazione di crisi dell’impresa, al solo fine di precludere qualsiasi iniziativa stragiudiziale o processuale dei creditori sul patrimonio del debitore o di ritardare immotivatamente l’apertura della liquidazione giudiziale[3]. Oltre a ciò, il nuovo C.C.I.I. disciplina in modo pressoché unitario sia le misure protettive sia le misure cautelari. Le ragioni sottese alla scelta di destinare una trattazione congiunta della protezione e della cautela sono tutt’ora discusse in dottrina.
Difatti alcuni autori[4] ritengono che le misure protettive abbiano una immanente natura cautelare come si evincerebbe già dalle definizioni contenute nell’art. 2 lettere p) e q) C.C.I.I.. Inoltre rilevano che entrambe dette misure sono soggette ad istanza di parte, sono caratterizzate dalla strumentalità e presuppongono un intervento giudiziale che, verificata la fondatezza dell’istanza e la sussistenza di un periculum da evitare, condizioni o consolidi la decorrenza dei loro effetti.
Per altri autori[5], invece, la scelta del Legislatore di disciplinare congiuntamente gli istituti della protezione e della cautela si deve alla codificazione di un procedimento unitario per la trattazione e la decisione di contrapposte domande di merito (di accesso ad uno degli strumenti, da un lato, e di apertura della liquidazione giudiziale, dall’altro) elemento di novità non previsto dalla Legge Fallimentare.
Secondo una terza prospettazione[6] le misure protettive e quelle cautelari sarebbero connesse da una relazione a geometria variabile poiché, in pendenza di una domanda di omologa di uno strumento, il C.C.I.I. riconosce al debitore la legittimazione a domandare provvedimenti cautelari dal contenuto atipico volti ad assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza di merito. In questo caso protezione e cautela diventerebbero misure tra loro quasi del tutto complementari perché caratterizzate da finalità che non sono esattamente le stesse ma che certo possono considerarsi convergenti, ossia portare a termine le trattative. Tale ultima considerazione, che si condivide, è tanto più vera soprattutto nel caso delle misure protettive “atipiche”.
Tuttavia, prima di approfondire la questione relativa al rapporto tra misure protettive e cautelari, giova preliminarmente individuare la disciplina dettata dal C.C.I.I..
2. Le misure protettive nell’ambito del procedimento unitario
Le misure protettive sono definite dal Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza all’art.2 lettera p)[7] come le: “misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni o condotte dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”.
Si tratta di misure provvisorie destinate ad evitare la dispersione dei valori aziendali nel tempo necessario a dichiarare aperta la procedura concorsuale.
Ciò in quanto il nuovo Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza è volto a garantire il più possibile la continuità aziendale recependo così lo spirito della Direttiva Insolvency[8] che al considerando 1 precisava che: “senza pregiudicare i diritti e le libertà fondamentali dei lavoratori, la presente direttiva mira a rimuovere tali ostacoli garantendo alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l’esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo, e a conseguire una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, in particolare attraverso una riduzione della loro durata”. All’interno di questo contesto, le misure protettive vengono prese in considerazione anche dal Considerando n.32 e ss.[9].
Il recepimento di tale normativa è avvenuto anche con il D.Lgs. n.83/2022 che mediante l’art.4 ha modificato l’art.8 del C.C.I.I. per renderlo compatibile con la Direttiva comunitaria, statuendo che: “la durata complessiva delle misure protettive, fino alla omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o alla apertura della procedura di insolvenza, non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe, tenuto conto delle misure protettive di cui all’articolo 18”.
È dunque pacifico che le misure protettive mirano ad evitare che determinate azioni o condotte dei creditori possano pregiudicare il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso ad uno degli strumenti di regolazione. Tali iniziative si estrinsecano in “azioni giudiziarie”, ma anche in mere “condotte”, comprese quelle omissive, che possono compromettere il buon esito delle trattative o della ristrutturazione[10].
Rispetto alla formulazione originaria, il D.Lgs. n.134/2024 (decreto correttivo) ha inserito nella richiamata definizione il riferimento alle “condotte” dei creditori. In questo modo, il Legislatore ha inteso vietare tutte le condotte ostili quali, ad esempio, il rifiuto dell’adempimento dei contratti pendenti, l’anticipazione delle scadenze, la revoca, in tutto o in parte, delle linee di credito, ponendosi in continuità con quanto disposto dall’art.18 e 54 del C.C.I.I..
3. L’art.8 C.C.I.I. e la durata massima delle misure protettive
All’interno del Titolo I del C.C.I.I. dedicato ai principi generali, le misure protettive sono prese in considerazione dal sopracitato art.8 che, come sostituito dal D.Lgs.n.83/2022, ha statuito che: “La durata complessiva delle misure protettive, fino alla omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o alla apertura della procedura di insolvenza, non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe, tenuto conto delle misure protettive di cui all’articolo 18.”
In merito alla loro durata, è stato precisato che il limite massimo di 12 mesi si raggiunge sommando aritmeticamente tutti i periodi di effettiva protezione concessa, anche se non continuativi, in ragione della natura selettiva e non automatica delle stesse (cfr. Tribunale di Modena,18 gennaio 2025[11]; Tribunale di Busto Arsizio, 16 gennaio 2025[12]). La durata può essere prorogata mediante un’apposita istanza che deve essere motivata.
La valutazione della richiesta di proroga deve essere il frutto del ponderato bilanciamento tra: a) l’incidenza delle misure protettive sui diritti e gli interessi dei singoli creditori che – nelle more – risultano compressi, b) il beneficio che potrebbe derivare in via diretta all’imprenditore e in via indiretta anche al sistema economico/sociale generale e ai creditori, tenuto conto della durata temporale dell’eventuale ombrello protettivo (cfr. Tribunale Santa Maria Capua Vetere, 14 Settembre 2023, R.G.n.110-1/2023).
La proroga può essere richiesta sia prima della scadenza dei termini sia successivamente. A tal proposito si segnala la decisione del Tribunale di Sondrio[13]che ha ritenuto non prorogabili le misure protettive in assenza di un’apposita richiesta motivata prima della loro scadenza e ha ritenuto che l’istanza presentata dal debitore doveva “essere riqualificata quale richiesta di rinnovo delle misure protettive precedentemente in essere e scadute, che si sostanzia in una domanda di nuova e ulteriore concessione, in quanto tale da iscrivere nel Registro delle Imprese ai fini della successiva eventuale conferma da parte del Tribunale (non avendo il Tribunale potere di concedere ex novo le misure protettive di cui si discute, ma solo il potere di conferma degli effetti già prodotti con l’iscrizione nel Registro delle Imprese”.
In merito alla differenza tra proroga e rinnovo si segnala anche la decisione del Tribunale di Modena[14] secondo cui: “la ‘proroga’ pare assimilabile al prolungamento di una protezione senza soluzione di continuità; -laddove il “rinnovo” rappresenta una riedizione della stessa protezione, che però era venuta meno, con generazione di uno spatium privo di presidio. Se così stanno le cose, l’inciso “inclusi rinnovi e proroghe”, contenuto in modo sostanzialmente analogo nelle norme di cui sopra, sembrerebbe proprio avere il senso – nell’ottica dell’apprezzamento della durata totale della protezione – di commisurarla alla somma aritmetica dei singoli periodi di protezione effettiva.
In tale direzione pare militare altresì l’inciso, contenuto solo nella disposizione interna, che fa riferimento al periodo, anche non continuativo”. La superiore statuizione traeva origine dalla necessità di chiarire l’ambito applicativo temporale della protezione tipica. Difatti ci si interrogava sul computo dei termini ed erano state avanzate due diverse ipotesi:
-secondo una prima interpretazione, i dodici mesi di cui parla l’art. 8 C.C.I.I scadevano esattamente un anno dopo l’inizio della protezione anche se all’interno dell’anno si fossero verificate cause di interruzioni e/o sospensioni del predetto termine;
-secondo altra tesi, al contrario, i dodici mesi si dovevano considerare scaduti solo allorquando la protezione effettiva avrebbe raggiunto il periodo massimo di 365 giorni (ossia un anno).
Il Tribunale di Modena nella superiore decisione ha ritenuto preferibile la seconda soluzione anche alla luce del concetto di “rinnovo” previsto dagli art. 8 C.C.I.I. e art.6 paragrafi 7 e 8[15] della Direttiva Insolvency.
4. Le misure protettive nell’ambito della Composizione negoziata della Crisi ex art. 18 e 19 C.C.I.I.
La composizione negoziata della crisi è uno strumento introdotto mediante il D.L.n.118/2021[16] e poi recepito nel C.C.I.I. agli art.12 e ss., successivamente modificato dal D.Lgs.n.83/2022, volto a risanare le imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato. All’interno di questo contesto le misure protettive sono disciplinate dagli artt.18 e 19.
Più precisamente, l’art.18 C.C.I.I. si occupa di regolarne le modalità di accesso e gli effetti statuendo che: “L’imprenditore può chiedere, con l’istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza presentata con le modalità di cui all’articolo 17, comma 1, l’applicazione di misure protettive del patrimonio nei confronti di tutti i creditori oppure nei confronti di determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti, di determinati creditori o di determinate categorie di creditori. Sono esclusi dalle misure protettive i diritti di credito dei lavoratori. L’istanza di applicazione delle misure protettive è pubblicata nel registro delle imprese unitamente all’accettazione dell’esperto. Con l’istanza di cui al comma 1, l’imprenditore inserisce nella piattaforma telematica una dichiarazione sull’esistenza di misure esecutive o cautelari disposte nei suoi confronti e un aggiornamento sui ricorsi indicati nella dichiarazione resa ai sensi dell’articolo 17, comma 3, lettera d). Dal giorno della pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1, i creditori interessati non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano. Non sono inibiti i pagamenti. Dal giorno della pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 e fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata, salvo che il tribunale disponga la revoca delle misure protettive. Restano fermi i provvedimenti già concessi ai sensi dell’articolo 54, comma 1. I creditori, ivi compresi le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti, nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore oppure revocare in tutto o in parte le linee di credito già concesse per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1. I medesimi creditori possono sospendere l’adempimento dei contratti pendenti dalla pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 fino alla conferma delle misure richieste. Restano ferme in ogni caso la sospensione e la revoca delle linee di credito disposte per effetto dell’applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale. La prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario. 5-bis. Dal momento della conferma delle misure protettive, le banche e gli intermediari finanziari, i mandatari e i cessionari dei loro crediti nei cui confronti le misure sono state confermate non possono mantenere la sospensione relativa alle linee di credito accordate al momento dell’accesso alla composizione negoziata se non dimostrano che la sospensione è determinata dalla applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale. La prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario”.
L’art.18 C.C.I.I. rappresenta una “norma catalogo” in quanto individua tutte le misure protettive utilizzabili nella fase della composizione negoziata: spetta poi all’imprenditore individuare quella che ritiene più opportuna e stabilire i soggetti destinatari di tali misure.
L’art.18 comma 1 C.C.I.I.
L’art. 18 comma 1 C.C.I.I. vieta ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, ovvero sui beni e i diritti per mezzo dei quali quest’ultimo esercita la sua attività di impresa.
Parte della dottrina[17] ritiene che tale la misura evoca il cd. “automatic stay”, che nel regime previgente, conseguiva alla pubblicazione della domanda di concordato preventivo ex art. 168 L.F. nel registro delle imprese.
A modesto parere di chi scrive, invece, la norma in commento introduce una forma di “stay” semi-automatico non del tutto dissimile da quello previsto dall’art.54 C.C.I.I. per le misure tipiche. Infatti, a differenza che nel regime previgente, le misure protettive (anche quelle tipiche) non sono automatiche ma richiedono una specifica e argomentata domanda di parte: la mera domanda di accesso alla composizione negoziata, difatti, non comporta automaticamente alcuna protezione per l’impresa che intende utilizzare tale misura per regolare gli effetti della situazione negativa in cui versa.
La norma in questione estende il divieto di azioni esecutive e cautelari anche a quelle azioni che hanno ad oggetto non solo beni di proprietà del debitore, ma anche beni e diritti con cui il debitore esercita l’attività di impresa. Si avalla, in questo modo, una lettura dinamica del concetto di patrimonio del debitore che una parte della giurisprudenza di merito aveva accolto applicando l’art. 168 L.F.[18]. Da un punto di vista processuale, l’inibitoria in questione si traduce in una improcedibilità temporanea dell’esecuzione forzata che decorre dal momento in cui la misura protettiva acquista efficacia ossia dalla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese e cessa con la revoca della misura. Tale revoca può intervenire:
quasi nell’immediato, se il debitore non dovesse chiederne tempestivamente la conferma ex 19 o se il tribunale ne rigettasse l’istanza per mancanza di presupposti;
dopo la conferma delle misure, se vi è istanza dei creditori o dell’esperto motivata sul presupposto dell’eccessivo pregiudizio dei creditori o della non funzionalità delle misure protettive al buon esito delle trattative (art. 19 comma 6 C.C.I.I.).
Fin dal momento in cui la misura produce effetti (dunque a prescindere dal provvedimento di conferma) il giudice dell’esecuzione su istanza del debitore esecutato è tenuto a provvedere ai sensi dell’art. 623 c.p.c., limitandosi a prendere atto dell’arresto temporaneo del processo, senza alcun potere di sindacato. Si tratta di un provvedimento non impugnabile i cui effetti cessano quando, archiviata la composizione negoziata, i creditori riassumeranno l’esecuzione ai sensi dell’art. 627 c.p.c.. Il dies a quo, dal quale computare il termine dei sei mesi di cui alla norma da ultimo citata, decorrerà da quando il provvedimento di revoca non è più reclamabile ex art. 669-terdecies c.p.c. L’improcedibilità temporanea non comporta l’inefficacia del pignoramento già compiuto. Pertanto, in caso di espropriazione presso terzi, non vi sarà alcuna liberazione delle somme pignorate (che, se versate sul conto corrente, rimarranno indisponibili per il debitore fino al raggiungimento di quanto precettato, aumentato della metà: art. 546, co. 1, c.p.c.). Non si verifica alcun effetto di estinzione dell’esecuzione, che potrà avvenire, semmai, solo a conclusione del percorso di composizione negoziata (mediante rinuncia dei creditori, ex art. 632 c.p.c.) e sempre che il suo esito non coincida con quello dell’apertura di una procedura concorsuale[19].
L’art.18 comma 3 C.C.I.I.
L’art. 18 comma 3 C.C.I.I. vieta ai creditori di acquisire diritti di prelazione che non siano stati concordati con l’imprenditore. La norma non riproduce integralmente il contenuto del vecchio art. 168 L.F. che contemplava anche l’inopponibilità delle ipoteche iscritte nei 90 giorni antecedenti al deposito della domanda di concordato preventivo. La diversa scelta compiuta dal Legislatore nell’art. 18 comma 3 C.C.I.I. è dovuta al fatto che nella composizione negoziata non vi è l’esigenza di impedire ai creditori l’acquisto di posizioni di vantaggio rispetto agli altri, nemmeno quando ciò avvenga a ridosso dell’accesso al percorso, non venendo in rilievo alcuna par condicio creditorum[20].
L’art.18 comma 4 C.C.I.I.
L’art.18 comma 4 C.C.I.I. vieta la pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. L’inibitoria in questione riguarda la sola sentenza per cui non è precluso ai creditori, ai sindaci o al p.m. di depositare l’istanza per la dichiarazione della liquidazione giudiziale[21].
L’art.18 comma 5 C.C.I.I.
L’art.18 comma 5 C.C.I.I. vieta ai creditori di esercitare l’autotutela negoziale nei confronti del debitore: essi non possono risolvere il contratto, rifiutarne l’adempimento, anticiparne la scadenza o modificarla in danno del debitore, per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori alla pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto. Tale misura protettiva è pensata per garantire la continuità aziendale, tant’è vero che la norma si riferisce ai creditori che siano parti di contratti di durata[22].
L’art.18 comma 5-bisC.I.I.
L’art.18 comma 5-bis C.C.I.I. preclude la sospensione o la revoca degli affidamenti per il solo fatto che il debitore abbia fatto accesso alla composizione negoziata della crisi, a meno che ciò non sia richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, previa comunicazione, in ogni caso, delle ragioni della decisione assunta dalle banche. Ciò significa che le banche non possono revocare o sospendere gli affidamenti in corso solo perché l’imprenditore sia entrato in composizione negoziata. Si tratta di un divieto che opera ex lege dal momento in cui le misure protettive vengono confermate, diversamente da quello imposto dall’art. 18 comma 5 C.C.I.I.I.[23].
L’art.20 C.C.I.I.
Il quadro delle misure protettive si completa con l’art. 20 C.C.I.I. che legittima il debitore (al momento della richiesta di nomina dell’esperto, ma anche in momento successivo) ad avvalersi, sino alla chiusura del percorso, della sospensione degli obblighi previsti dagli artt. 2446 commi 2 e 3, 2447, 2482-bis commi 4, 5, 6, e 2482-ter c.c., evitando che si verifichi lo scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484 comma 1 numero 4), e 2545-duodecies del codice civile..
Il procedimento di conferma ex art. 19 C.C.I.I.
L’art.19 C.C.I.I. disciplina invece il procedimento e i termini per la conferma delle misure protettive nell’ambito della composizione negoziata, precisando anche i documenti che l’imprenditore deve depositare presso il Tribunale competente:
“Quando l’imprenditore formula la richiesta di cui all’articolo 18, comma 1, con ricorso presentato al tribunale competente ai sensi dell’articolo 27, entro il giorno successivo alla pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto, chiede la conferma o la modifica delle misure protettive e, ove occorre, l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative. Entro venti giorni dalla pubblicazione di cui al medesimo articolo 18, comma 1, l’imprenditore chiede la pubblicazione nel registro delle imprese del numero di ruolo generale del procedimento instaurato. L’omesso o il ritardato deposito del ricorso è causa di inefficacia delle misure previste dall’articolo 18, comma 1, e, decorso inutilmente il termine di cui al secondo periodo, l’iscrizione dell’istanza è cancellata dal registro delle imprese. L’imprenditore, unitamente al ricorso, deposita: a) i bilanci approvati degli ultimi tre esercizi oppure, quando non è tenuto al deposito dei bilanci, le dichiarazioni dei redditi e dell’IVA degli ultimi tre periodi di imposta; a-bis) in caso di mancata approvazione dei bilanci, i progetti di bilancio o una situazione economico-patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre sessanta giorni prima della presentazione della domanda; b) una situazione economico-patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre sessanta giorni prima del deposito del ricorso; c) l’elenco dei creditori, individuando i primi dieci per ammontare, con indicazione dei relativi indirizzi di posta elettronica certificata, se disponibili, oppure degli indirizzi di posta elettronica non certificata per i quali sia verificata o verificabile la titolarità della singola casella; d) un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo di cui all’articolo 13, comma 2, un piano finanziario per i successivi sei mesi e un prospetto delle iniziative che intende adottare; e) una dichiarazione avente valore di autocertificazione attestante, sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che l’impresa può essere risanata; f) l’accettazione dell’esperto nominato ai sensi dell’articolo 13, commi 6, 7 e 8, con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata. Il tribunale, entro dieci giorni dal deposito del ricorso, fissa con decreto l’udienza, da tenersi preferibilmente con sistemi di videoconferenza. Entro il giorno successivo al deposito in cancelleria il decreto è trasmesso per estratto, a cura del cancelliere, all’ufficio del registro delle imprese ai fini della sua iscrizione, da effettuarsi entro il giorno successivo. L’estratto contiene l’indicazione del debitore e dell’esperto e la data dell’udienza. Il ricorso, unitamente al decreto, è notificato dal ricorrente, anche all’esperto. Il tribunale può prescrivere ai sensi dell’articolo 151 del codice di procedura civile, le forme di notificazione opportune per garantire la celerità del procedimento, indicandone i destinatari, e, tenuto conto della pubblicazione del decreto prevista dal secondo periodo, può dettare le ulteriori disposizioni ritenute utili per assicurare la conoscenza del procedimento. Se il ricorso non è depositato nel termine previsto dal comma 1, il tribunale dichiara con decreto motivato l’inefficacia delle misure protettive, senza fissare l’udienza prevista dal primo periodo. Gli effetti protettivi prodotti ai sensi dell’articolo 18, comma 1, cessano altresì se, nel termine di cui al primo periodo, il giudice non provvede alla fissazione dell’udienza. Nei casi previsti dal sesto e settimo periodo la domanda può essere riproposta. All’udienza il tribunale, sentite le parti e chiamato l’esperto a esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative e a rappresentare l’attività che intende svolgere ai sensi dell’articolo 12, comma 2, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, nomina, se occorre, un ausiliario ai sensi dell’articolo 68 del codice di procedura civile e procede agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti ai sensi del comma 1 e ai provvedimenti di conferma, revoca o modifica delle misure protettive. Il tribunale può assumere informazioni dai creditori indicati nell’elenco di cui al comma 2, lettera c). Se le misure protettive o i provvedimenti cautelari richiesti incidono sui diritti dei terzi, devono essere sentiti. Il tribunale provvede con ordinanza con la quale stabilisce la durata, non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, delle misure protettive e, se occorre, dei provvedimenti cautelari disposti, tenendo conto delle misure eventualmente già concesse ai sensi dell’articolo 54, comma 1. Sentito l’esperto, il tribunale può limitare le misure a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori. Il giudice che ha emesso i provvedimenti di cui al comma 4, su istanza del debitore o delle parti interessate all’operazione di risanamento, può prorogare la durata delle misure disposte per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative, acquisito il parere dell’esperto. Nel parere l’esperto indica altresì l’attività svolta e da svolgere ai sensi dell’articolo 12, comma 2. La proroga non è concessa se il centro degli interessi principali dell’impresa è stato trasferito da un altro Stato membro nei tre mesi precedenti alla formulazione della richiesta di cui all’articolo 18, comma 1. La durata complessiva delle misure non può superare i duecentoquaranta giorni. Su istanza dell’imprenditore, di uno o più creditori o su segnalazione dell’esperto, il giudice che ha emesso i provvedimenti di cui al comma 4 o 5 può, in qualunque momento, sentite le parti interessate, e in ogni caso a seguito dell’archiviazione dell’istanza ai sensi dell’articolo 17, commi 5 e 8, revocare le misure protettive e cautelari, o abbreviarne la durata, quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti. I procedimenti disciplinati dal presente articolo si svolgono nella forma prevista dagli articoli 669 bis e seguenti del codice di procedura civile e il tribunale provvede in composizione monocratica con ordinanza comunicata dalla cancelleria al registro delle imprese entro il giorno successivo. Non si applicano l’articolo 669 octies, primo, secondo e terzo comma, e l’articolo 669 novies, primo comma, del codice di procedura civile. Contro l’ordinanza è ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 669 terdecies del codice di procedura civile. In caso di revoca o cessazione delle misure protettive, il divieto di acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore viene meno a far data dalla revoca o dalla cessazione delle misure protettive”.
Ulteriori profili
All’interno di questo contesto le misure protettive sono volte ad impedire ai creditori di intraprendere o proseguire azioni esecutive e cautelari sui beni delle società nonché a proteggere i contratti pendenti da risoluzioni o modifiche unilaterali, adottate al fine di evitare l’apertura della liquidazione giudiziale o l’accertamento dello stato di insolvenza, anche tramite la cooperazione tra le parti. Sono necessarie per proseguire le trattative e prevenire azioni pregiudizievoli da parte dei creditori e sono prodromiche al risanamento aziendale (Tribunale Milano sez. II, 29/10/2024, n.9768). Da quanto sopra detto, si deduce che sono necessari i seguenti presupposti per la conferma delle misure protettive da parte del Tribunale:
trattative effettivamente in corso o da intraprendere;
probabile esito positivo delle stesse;
strumentalità ed adeguatezza delle misure rispetto all’esito positivo delle trattative[24].
Tali requisiti sono indicati quali fumus boni iuris e periculum in mora (utilizzando la terminologia in uso per le misure cautelari) da intendersi come la ragionevole probabilità di perseguire il risanamento dell’impresa e la funzionalità delle misure richieste a raggiungere tale risultato[25].
In merito alla cognizione del giudice in relazione ai suddetti requisiti si hanno diversi orientamenti.
Parte della giurisprudenza di merito[26] ritiene che essa debba essere una cognizione sommaria per cui per la conferma delle misure protettive è sufficiente che il risanamento appaia “non manifestamente implausibile” e che il piano non sia caratterizzato da “palese inettitudine” in relazione all’obiettivo.
Altra parte della giurisprudenza[27], incarica il giudice di un controllo più rigoroso ed approfondito al fine di evitare qualsiasi pregiudizio ai creditori. Merita attenzionare a questo proposito il decreto n.51/2022 del Tribunale di Roma, sez. fallimentare (R.G.n.12333/2022[28]) ove al punto 2 i giudici di merito hanno statuito che: “la composizione negoziata della crisi è uno strumento normativo introdotto di recente, il cui scopo è di favorire l’emersione quanto più anticipata possibile della crisi dell’impresa, al fine di attuarne il possibile risanamento quando ancora la situazione finanziaria ed economica non si è completamente deteriorata. La procedura può essere attivata nei casi in cui si presenti una situazion di squilibrio economico, e dunque quando l’insolvenza e solo prospettica, ovvero anche nei casi – assai più frequenti nelle prime applicazioni -in cui sussiste una situazione di insolvenza conclamata ma non irreversibile, quando alla composizione negoziata si accede tardivamente ed è necessario il ricorso a rimedi economici e finanziari drastici e comunque le probabilità della soluzione positiva di riducono drasticamente. Al percorso della composizione negoziata che si svolge in ambito non giudiziale si può accompagnare, su richiesta del debitore, il dispiegarsi delle misure protettive della sospensione delle azioni cautelari, per impedire che le iniziative dei creditori possano ostacolare il perseguimento degli obiettivi di risanamento. Tuttavia, proprio per l’attitudine di tale automatica protezione ad incidere pesantemente sui diritti dei creditori e dei terzi, la legge ne sottopone la conferma al vaglio del giudice sulla presenza dei presupposti di legge costituiti: a) dalla sussistenza di una situazione di squilibrio economico e finanziario e b) dall’effettiva e realistica possibilità di pervenire al risanamento dell’impresa. […]. Maggior approfondimento merita nel caso di specie il secondo punto, in ordine al quale va sottolineata la particolare importanza e delicatezza dei temi connessi alla valutazione delle possibilità di risanamento, la cui realistica affermazione deve dal giudice essere pienamente verificata nell’esistenza di un progetto concreto che delinei quantomeno l’obiettivo di fondo che si intende perseguire e le linee principali degli interventi che l’impresa intende assumere. In altri termini, il dispiegamento di strumenti giudiziari fortemente incisivi sui diritti dei terzi e dei creditori si giustifica, nell’impianto normativo del DL118, solo nella prospettiva del recupero dell’efficienza aziendale ed imprenditoriale, quale obiettivo coerente con l’interesse generale di rango costituzionale di tutela dell’economia nazionale e con i principi propri dell’art.4 della Direttiva Insolvency. […] uno degli obblighi centrali che la normativa pone a carico del debitore e che deve essere verificato con rigore, poiché l’ampiezza dell’ombrello protettivo costituisce un vulnus particolarmente incisivo e pericoloso per i creditori, ai quali può essere imposto solo nei casi in cui il debitore renda chiaramente plausibile il dispiegamento di un’azione risanatrice connotata da realismo ed effettività ed evitare abusi ed ostruzionismi”.
Tuttavia giova osservare che il dettato normativo non accenna ai creditori in sede di conferma delle misure protettive e cautelari. Lo fa, invece, in sede di revoca delle stesse ed infatti l’art.19 comma 6 statuisce che: “su istanza dell’imprenditore, di uno o più creditori o su segnalazione dell’esperto, il giudice […] può revocare le misure protettive e cautelari, o abbreviarne la durata, quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti”.
La norma de qua fa riferimento ai “creditori istanti”, istanti nel senso che abbiano avanzato esplicita richiesta di revoca delle misure, per cui il giudice è tenuto ad esaminare la sussistenza del sopradetto requisito solamente in sede di valutazione di un’eventuale istanza di revoca, potendo prescindere da un accertamento rigoroso in sede di conferma.
Tale ultima tesi è confermata da un altro filone interpretativo, meno rigoroso, secondo cui il giudice dovrebbe valutare che le misure applicate non rechino un pregiudizio manifestamente sproporzionato ai soli creditori che abbiano espresso un qualche interesse contrario in sede di conferma delle stesse. Si veda, a tal proposito, la pronuncia del Tribunale di Bergamo (R.G N.1148/2022[29]) secondo cui: “la procedura di composizione negoziata della crisi introdotta dal D.L. n. 118/2021 costituisce strumento destinato, ai sensi dell’art. 2, all’imprenditore commerciale e agricolo che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza “quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”. Nell’ambito di tale procedura, ai sensi dell’art. 6 l’imprenditore può chiedere, con l’istanza di nomina dell’esperto o con separata e successiva istanza, l’applicazione di misure protettive del patrimonio, che opera automaticamente dal giorno della pubblicazione nel registro delle imprese dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto. Le misure così applicate sono soggette a conferma da parte del Tribunale nel procedimento ex art. 7 D.L. n. 118/2021, quale è quello in corso. Il perimetro di valutazione che compete al Giudice ai fini della conferma delle misure richieste attiene alla funzionalità delle medesime a garantire il soddisfacimento degli obiettivi propri della procedura di composizione negoziata, che vanno individuati, da un lato, nel risanamento dell’attività di impresa, dall’altro nel buon esito delle trattative che consenta la risoluzione della crisi prima dell’accesso ad una procedura concorsuale. Nell’effettuare tale valutazione, il Giudice deve operare un delicato bilanciamento, ex ante e in concreto, tra l’interesse del debitore alla soluzione negoziale (e non concorsuale) della propria crisi, e quello dei creditori a non subire un pregiudizio irreparabile dall’applicazione delle misure. La forma del procedimento cautelare uniforme adottata dal legislatore per la procedura in esame consente di articolare la valutazione nel rilievo della sussistenza del duplice presupposto del fumus boni iuris, da identificarsi nella sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi di applicazione della disciplina e nel rilievo di sussistenza dei presupposti di risanabilità, e nel periculum in mora, consistente nell’accertamento dell’impedimento che l’eventuale disapplicazione delle misure apporterebbe al buon esito delle trattative e al risanamento dell’impresa, tenuto altresì conto delle posizioni dei creditori incisi. […] Nessuno dei creditori avvisati ha infatti opposto il danno specifico che deriverebbe a ciascuno dalla conferma delle misure. In assenza di specifica allegazione sul punto, pertanto, il giudizio di bilanciamento spettante al Giudice non può che porsi favorevolmente rispetto alla conferma delle misure protettive richieste nei confronti della società: l’integrità del patrimonio societario appare infatti essenziale al fine di garantire il buon esito del piano finanziario presentato e, in ultima istanza, delle trattative volte alla composizione negoziata”.
Pertanto secondo il Tribunale di Bergamo nella sopra indicata pronuncia la mancata allegazione da parte dei creditori di uno specifico pregiudizio loro derivante dalle misure adottate non può che fare propendere la valutazione a favore del debitore. Costui potrebbe senz’altro chiedere la conferma delle misure protettive erga omnes, spettando ai creditori nei confronti dei quali è stato instaurato il contraddittorio l’onere di rappresentare le eventuali ragioni ostative alla conferma. A ciò si aggiunga, inoltre, che le misure protettive e cautelari hanno una efficacia temporale limitata: nello specifico, non superiore a centoventi giorni prorogabile al massimo fino a duecentoquaranta giorni complessivamente.
In un altro caso le misure protettive e cautelari sono state confermate proprio in considerazione del fatto che in qualunque momento il giudice, sentite le parti interessate, può comunque revocare le misure protettive o abbreviarne la durata, quando esse non soddisfino l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori (Tribunale di Parma N. R.G.V.G. 903/2024[30]).
Secondo l’opinione di chi scrive, in sede di conferma delle misure protettive è sufficiente una cognizione sommaria della sussistenza dei requisiti richiesti, cioè è sufficiente che il risanamento appaia “non manifestamente implausibile” e che il piano non sia caratterizzato da “palese inettitudine” in relazione all’obiettivo. Difatti, una cognizione piena rischierebbe di frustare le ragioni dell’imprenditore che tenta di comporre la crisi e richiede la protezione prevista ex lege. Dall’altra parte, la cognizione piena è invece necessaria ove i creditori abbiano presentato un’istanza di revoca poiché in questo caso il giudice dovrebbe bilanciare con maggior rigore le esigenze e gli interessi dell’impresa con quelli dei creditori istanti.
Un altro aspetto da considerare riguarda i creditori. Difatti, le norme in commento sono estremamente ampie: non vengono in alcun modo identificati i creditori nei cui confronti debbono essere richieste le misure protettive, lasciando all’imprenditore la possibilità di richiedere la protezione nei confronti di tutti o solo nei confronti di alcuni creditori ben individuati.
L’ampiezza della formulazione delle norme in commento ha dato adito a diverse questioni problematiche.
La prima riguarda la possibilità di chiedere le misure protettive indistintamente nei confronti di tutti i creditori (misure protettive erga omnes). In relazione a tale questione, nei tribunali di merito si sono formati due diversi orientamenti.
Uno di natura restrittiva secondo cui sarebbe inammissibile la richiesta dell’imprenditore di misure protettive erga omnes, dovendo invece l’imprenditore selezionare e indicare in modo specifico i creditori destinatari delle misure protettive richieste (misure protettive selettive). Si veda a tal proposito l’ordinanza del Tribunale di Roma del 22 febbraio 2022[31] secondo cui: “la legittimazione passiva non può, inoltre, riconoscersi in capo alla massa indifferedziata dei creditori che possano astrattamente promuovere azioni esecutive nei confronti del debitore e che, tuttavia, non abbiano ancora, avviato i relativi procedimenti o minacciato di avviarli, con la notifica di un precetto sia perché le parti e il contenuto della fase giurisdizionale del procedimento di composizione negoziata della crisi devono essere specificamente individuati dal ricorrente, in quanto elementi essenziali di una vera e propria domanda giudiziale, sia perché al fine di pronunciare sulla domanda, il giudice deve verificare la funzionalità delle singole misure al buon esisto delle trattative, la loro incidenza su beni strumentali dell’impresa necessari per la prosecuzione dell’attività nella prospettiva del suo risanamento, nonché la loro proporzionalità al sacrificio che ne deriva per il creditore. In questo senso deve ritenersi inammissibile la richiesta dell’imprenditore di imporre genericamente a tutti i creditori il divieto di acquisire diritti di prelazione e di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio della società. Ritiene, infatti, questo giudicante, alla luce del principio interpretativo sopra indicato, che i creditori ai quali sono inibite le attività descritte dall’art.6 comma 1 del D.L.n.118/2021 non siano quelli esistenti, ma soltanto quelli indicati dal debitore istante e concretamente limitati dalle misure richieste, il cui contenuto dovrà essere poi esattamente individuato ed eventualmente limitato dal giudice con l’ordinanza di conferma o di modifica sottoposta al suo esame”.
Dello stesso tenore anche la decisione del Tribunale di Roma del 3 febbraio 2022[32] secondo cui: “Deve ritenersi inammissibile la richiesta di imporre genericamente a tutti i creditori il divieto di acquisire diritti di prelazione o di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio dell’impresa in pendenza della procedura di composizione negoziata della crisi: i creditori ai quali sono inibite le attività descritte dall’art. 6, comma, del d.l. n. 1.18/2021 non sono, infatti, tutti quelli esistenti, ma soltanto quelli indicati dal debitore istante e concretamente limitati dalle misure richieste, il cui contenuto dovrà poi essere esattamente individuato ed eventualmente limitato dal giudice con l’ordinanza di conferma o di modifica sottoposta al suo esame” ed anche del Tribunale di Bergamo del 24 febbraio 2022 secondo cui: “le misure cautelari o protettive non possono essere concesse erga omnes, bensì nei confronti dei soli creditori specificamente individuati dal ricorrente in quanto titolari di una posizione suscettibile di pregiudicare la par condicio creditorum, i quali sono posti in grado di contraddire la domanda e di richiedere la revoca delle misure medesime, ferma restando la necessità di instaurare il contraddittorio con i terzi sui cui diritti le misure protettive o i provvedimenti cautelari dovessero incidere”.
Secondo un altro orientamento, invece, le misure protettive possono essere richieste erga omnes. In questo senso si è espresso di Bergamo con la decisione del 18 febbraio 2025 (estensore Fuzio -RGV 1668/2024[33]-) secondo cui le misure protettive possono essere concesse con efficacia erga omnes per la funzione loro insita volta a preservare il patrimonio dell’impresa debitrice da possibili aggressioni di terzi.
Tale conclusione è ben espressa anche dal Tribunale di Milano nell’ordinanza del 27 febbraio 2022[34] (R.G.V. n.732/2022) che ha precisato che “priva di fondamento è la dedotta inammissibilità di una conferma delle misure protettive nei confronti di tutti i creditori. E’ sufficiente osservare che le misure protettive del patrimonio hanno ex lege effetto automatico generalizzato verso tutti i creditori, esclusi i lavoratori, a partire dal giorno di pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto nel registro delle imprese, come disposto dall’art.6 comma 1 D.L.n.118/2021, e che esse possono essere limitate dal giudice, su richiesta dell’imprenditore e sentito l’esperto, a determinati creditori o categorie di creditori, secondo la previsione dell’art.7 comma 4: si tratta di una facoltà, non di un obbligo dell’imprenditore, che dunque ben può chiederne la conferma erga omnes”.
Giova ancora menzionare la decisione del Tribunale di Salerno del 10 maggio 2022[35] ove è stato affermato che: “in tema di composizione negoziata, il debitore può invocare una conferma erga omnes delle misure protettive previste dall’art. 6 D.L. n. 118/2021, qualora la protezione generalizzata sia funzionale a consentire l’adempimento del piano di risanamento attraverso l’impiego di tutte le risorse aziendali e ad assicurare l’esito positivo della composizione negoziata; spetta ai creditori nei cui confronti è integrato il contraddittorio rappresentare, infatti, le eventuali ragioni ostative all’applicazione delle misure in parola nei loro confronti. Trib. Bergamo, 05 aprile 2022 E’ ammissibile la richiesta dell’imprenditore di imporre genericamente a tutti i creditori il divieto di acquisire diritti di prelazione o di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio dell’impresa in pendenza della procedura di composizione negoziata della crisi ogni qual volta il ricorrente abbia provato che, allo stato, le misure protettive appaiono strumentali al buon esito delle trattative, che appunto le stesse sarebbero inevitabilmente pregiudicate se i creditori potessero agire individualmente nei confronti della società così precludendo la realizzazione del piano di risanamento”.
Secondo quest’ultimo filone interpretativo, data l’estensione automatica ex lege delle misure protettive a tutti i creditori, qualora l’imprenditore richieda la protezione solo nei confronti di alcuni debitori (creditori selettivi) la richiesta deve essere ben motivata, dovendo essere specificate le misure da concedere, i creditori legittimati passivi e le ragioni di questa scelta (Tribunale di Catania, 14 giugno 2022[36]).
La scrivente, invece, ritiene che spetta all’imprenditore scegliere il perimetro della protezione, ossia se estendere le misure protettive a tutti i creditori o ad alcuni di essi stante che le norme sopra analizzate sembrano delineare una forma di protezione “su misura” finalizzata alla buona riuscita delle trattative. Difatti, la ratio delle norme in commento è proprio quello di garantire la composizione della crisi attraverso delle trattive tra l’imprenditore ed il ceto creditorio: le misure protettive, dunque, hanno un carattere propriamente strumentale, trovando la propria ragion d’essere e il loro scopo nel risanamento dell’impresa.
Dunque, condividendo quando affermato dal alcuni autori[37], se l’obiettivo è quello di salvaguardare il complesso aziendale dallo smembramento, la protezione del patrimonio potrà riguardare i creditori che l’imprenditore considera strategici e che intenda coinvolgere nelle trattative, impedendolo loro di azionare un titolo esecutivo esistente o di avvalersi di un titolo esecutivo che si stanno procurando. In questo senso, dunque la misura protettiva può colpire anche un creditore in possesso di un decreto ingiuntivo non esecutivo: fermo restando che il giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. promosso dal debitore potrà proseguire, la sentenza che lo rigettasse, riconoscendo il diritto del creditore, non legittimerà quest’ultimo a promuovere l’esecuzione forzata o ad iscrivere un’ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c..
A maggior ragione, la protezione del patrimonio può operare nei confronti di creditori, strategici e non, che abbiano già instaurato un processo esecutivo, vuoi pignorando un bene cruciale per l’esercizio dell’attività di impresa, vuoi attraverso un pignoramento presso terzi: in questo caso, la ratio dell’inibitoria sarà quella di evitare che in pendenza delle trattative venga dispersa la liquidità necessaria per realizzare il progetto di risanamento.
La scelta dell’imprenditore di agire nei confronti di tutti o solo nei confronti di alcuni dei debitori può operare fin dalla presentazione dell’istanza alla Camera di commercio: l’imprenditore può stabilire, già allora, se inibire l’esercizio del potere esecutivo alla generalità dei creditori o ad alcuni soltanto di essi (quelli, ad es., che si ritiene di invitare al tavolo delle trattative), ovvero se precludere solo la prosecuzione delle esecuzioni pendenti.
La limitazione delle misure protettive potrebbe avvenire anche in un momento successivo, con il deposito del ricorso per la loro conferma (deposito che l’art. 19 C.C.I.I. esige sia perfezionato il giorno successivo alla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese). Con la domanda di conferma, l’imprenditore che si sia inizialmente avvalso della protezione erga omnes potrà chiederne la conferma rispetto ad alcuni soltanto dei creditori o solamente ad alcune categorie di essi.
Un’altra questione che viene in rilievo riguarda la notifica del provvedimento con cui viene fissata l’udienza per la conferma delle misure protettive. Difatti, l’art.19 comma 3 C.C.I.I. stabilisce che il decreto con cui viene fissata l’udienza deve essere notificato dal ricorrente con le modalità indicate dal tribunale.
La norma tuttavia non specifica a quali creditori debba essere notificato il decreto, ma soltanto che ciò avvenga “con le modalità indicate dal tribunale che prescrive, ai sensi dell’articolo 151 del codice di procedura civile, le forme di notificazione opportune per garantire la celerità del procedimento”. Nella determinazione di queste modalità, alcune volte sono stati indicati anche i destinatari della notifica finendo così per selezionare i creditori a cui notificare il decreto di fissazione dell’udienza per la conferma delle misure protettive (creditori selettivi). Tale prassi, però, ha creato degli inconvenienti in quanto il tribunale adito ha spesso rigettato la richiesta di conferma delle misure protettive erga omnes nei confronti dei creditori che non avevano ricevuto la notifica del decreto e del ricorso[38].
L’indicazione che si ricava dalla lettura delle norme in commento, laddove sia funzionale al buon esito delle trattative, è di richiedere misure erga omnes e notificare a tutti i creditori il provvedimento di fissazione dell’udienza per la conferma, superando così qualsiasi problema relativo alla mancata integrazione del contraddittorio.
5. Le misure protettive nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e della liquidazione giudiziale ex art. 54 e 55 C.C.I.I.
Gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza sono definiti dall’art.2 lettera m-bis) C.C.I.I. come le misure, gli accordi e le procedure, diversi dalla liquidazione giudiziale e dalla liquidazione controllata volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi. Fanno parte di questo contesto molteplici ed eterogenei istituti come il concordato minore, il concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione, la convenzione moratoria, ecc..mIn caso di accesso ad uno degli istituti di regolazione delle crisi o alla liquidazione giudiziale, le norme da prendere in considerazione ai fini delle misure protettive sono gli artt.54 e 55.
L’art.54 C.C.I.I. dispone letteralmente: “In pendenza del procedimento per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, anche nei casi di cui agli articoli 25 sexies e 44, e per l’accesso alla liquidazione giudiziale, su istanza di parte, il tribunale può emettere i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione delle sentenze di omologazione di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza. Le misure cautelari possono essere concesse anche dopo la pubblicazione dell’istanza di cui all’articolo 18, comma 1, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure eventualmente già concesse o confermate ai sensi dell’articolo 19. Non si applicano l’articolo 669 octies, primo, secondo e terzo comma, e l’articolo 669 novies, primo comma, del codice di procedura civile. Se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all’articolo 40, anche nell’ipotesi di cui all’articolo 25 sexies, oppure con successiva domanda, dalla data della pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano e la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata. Il debitore, dopo il deposito della proposta, del piano o degli accordi, unitamente alla documentazione prevista dall’articolo 39, comma 3, può richiedere al tribunale, con successiva istanza, misure, anche diverse da quelle di cui al primo periodo, per evitare che determinate azioni o condotte di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza. Le misure protettive di cui al comma 2, primo e secondo periodo, possono essere richieste dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, allegando la documentazione di cui all’articolo 39, comma 1 e la proposta di accordo corredata da un’attestazione del professionista indipendente che attesta che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e che la stessa, se accettata, è idonea ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. La disposizione si applica anche agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui all’articolo 61. Prima del deposito della domanda di cui all’articolo 40, anche con riserva di deposito della proposta, del piano e degli accordi, le misure protettive di cui al comma 2, primo e secondo periodo, possono essere richieste dall’imprenditore presentando la domanda di cui agli articoli 17e 18. Le misure protettive disposte conservano efficacia anche quando il debitore, prima della scadenza fissata dal giudice ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera a), propone una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza diverso da quello eventualmente indicato nella domanda depositata ai sensi dell’articolo 4. L’amministratore delle procedure di insolvenza nominato dal giudice competente ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 può chiedere i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 quando nel territorio dello Stato è stata presentata la domanda di cui all’articolo 40 o, se non risulta depositata la domanda, quando nella richiesta sono indicate le condizioni di effettivo ed imminente soddisfacimento non discriminatorio di tutti i creditori secondo la procedura aperta. Sono esclusi dalle misure protettive richieste ai sensi del comma 3 i diritti di credito dei lavoratori”.
Si tratta di una norma non dissimile a quella contenuta nell’art.18 C.C.I.I. anche se sono presenti alcune peculiarità nell’art.54 C.C.I.I. che si spiegano con la necessità di adattare la disciplina delle misure protettive ad un contesto che non è quello della composizione stragiudiziale ma quello della regolazione della crisi e dell’insolvenza che avviene in sede processuale.
La differenza più evidente presente nell’art.54 C.C.I.I. riguarda il contenuto delle misure protettive. Difatti diversamente da ciò che accade nella composizione negoziata in cui operano solo misure protettive dal contenuto predefinito ai sensi dell’art.18 C.C.I.I., nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza sono ammissibili anche misure protettive il cui petitum può essere stabilito dallo stesso debitore, dunque atipiche, come accade per le misure cautelari. Per questa ragione, si pone, tanto per il debitore che le chiede quanto per il giudice chiamato a giudicarne la fondatezza, la questione della qualificazione della misura in termini di protezione atipica o cautelare.
In ogni caso le misure protettive previste in questa sede assolvono a una funzione simile a quella già analizzata per la composizione negoziata ovvero facilitare il raggiungimento degli accordi oppure rendere possibile l’attuazione di un piano senza che vi siano interferenze derivanti dalle azioni individuali dei creditori.
L’art.55, non diversamente da quanto fatto dal già esaminato art.19 C.C.I.I., disciplina la procedura da eseguire.
“Nei casi previsti dall’articolo 54, il presidente del tribunale o della sezione cui è assegnata la trattazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o della procedura di liquidazione giudiziale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento. Alla trattazione provvede direttamente il giudice relatore, se già delegato dal tribunale per l’audizione delle parti. Le udienze si svolgono preferibilmente con sistemi di videoconferenza. Il giudice, nei casi di cui all’articolo 54, commi 1, 2, terzo periodo, e 3, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione alla misura richiesta e, quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, provvede con decreto motivato, assunte, ove occorra, sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti avanti a sé, ove già non disposta ai sensi dell’articolo 41, assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. L’ordinanza è reclamabile ai sensi dell’articolo 669 terdecies del codice di procedura civile. Le misure perdono efficacia al momento della pubblicazione delle sentenze di omologazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza. In caso di misure richieste ai sensi dell’articolo 54, comma 2, terzo periodo, le disposizioni del presente comma si applicano solo se si tratta di misure diverse da quelle di cui al primo periodo del medesimo comma 2 dell’articolo 54. Nel caso previsto dall’articolo 54, comma 2, primo e secondo periodo, il giudice, assunte, ove necessario, sommarie informazioni, conferma o revoca le misure protettive entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese con decreto reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies del codice di procedura civile. La durata delle misure è fissata al massimo in quattro mesi. Il decreto è trasmesso al registro delle imprese per l’iscrizione. Se il deposito del decreto non interviene nel termine prescritto cessano gli effetti protettivi prodottisi ai sensi dell’articolo 54, comma 2, primo e secondo periodo e la domanda può essere riproposta. Le misure protettive perdono efficacia al momento della pubblicazione delle sentenze di omologazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza. Il tribunale, su istanza del debitore o di un creditore e acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato, può prorogare, in tutto o in parte, la durata delle misure concesse, nel rispetto dei termini di cui all’articolo 8, se sono stati compiuti significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione e se la proroga non arreca ingiusto pregiudizio ai diritti e agli interessi delle parti interessate. Su richiesta del debitore o del commissario giudiziale o, in caso di atti di frode, su istanza dei creditori o del pubblico ministero, il tribunale, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, revoca o modifica le misure protettive. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche quando il tribunale accerta che le misure protettive concesse non soddisfano più l’obiettivo di agevolare le trattative. I provvedimenti di cui all’articolo 54, commi 1 e 2 possono essere emessi anche dalla corte di appello nei giudizi di reclamo previsti dagli articoli 47, comma 5, e 50. In caso di revoca o cessazione delle misure protettive, il divieto di acquisire diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore, viene meno a far data dalla revoca o dalla cessazione delle misure protettive”.
5.1. Le misure protettive tipiche generali e speciali
L’art.54 coma 2 C.C.CI.I si occupa delle misure protettive “tipiche”, che producono effetti nei confronti di una platea astratta ed indeterminata di destinatari. Tali misure sono: il c.d. “stay” (primo periodo del comma 2 dell’art. 54) che opera dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese della domanda del debitore. A partire da questo momento, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio. La protezione si estende ai beni e diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa e, dunque, anche ai beni di terzi inseriti nell’organizzazione produttiva del debitore (ad esempio, l’immobile in locazione, le attrezzature in regime di leasing, etc.); la sospensione delle prescrizioni e della sterilizzazione delle decadenze, nonché l’impossibilità di emanare la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza (secondo periodo del comma 2 dell’art. 54).
A tale ultimo proposito alcuni autori ritengono che tali misure si producono automaticamente pur in mancanza di una esplicita domanda[39]. Con specifico riferimento alla sterilizzazione dell’apertura della procedura d’insolvenza, si ritiene che si tratti di un effetto operante ex lege, anche quando il debitore non abbia presentato alcuna richiesta di misure protettive, essendo il divieto in questione l’espressione del principio della trattazione prioritaria dello strumento di regolazione della crisi, alla stregua dell’art. 7 C.C.I.I.[40].
Anche a tale proposito, la scrivente ritiene che l’applicazione delle sopradette misure non sia automatica ma semi-automatica, dovendo le stesse essere richieste al giudice mediante esplicita domanda dell’imprenditore. Tale considerazione trova conferma anche in autorevole dottrina che ha precisato che le misure ex art.54 C.C.I.I. non hanno un’efficacia automatica bensì “semi-automatica”, per almeno due ragioni: – perché la loro applicazione è subordinata alla richiesta del debitore; -perché è necessaria la pubblicazione nel registro delle imprese degli estremi della domanda[41].
Per ottenere le misure protettive tipiche il debitore deve proporre: 1. una domanda ex art.40 C.CI.I.; 2. una domanda di accesso al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, ai sensi dell’art. 25 sexies C.C.I.I.; 3. una domanda appositamente “dedicata” e autonoma, successiva a quella incoativa del procedimento unitario;
4-ai sensi del comma 3 dell’art. 54, le misure protettive possono essere richieste dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione (ivi compresi gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa), allegando la documentazione di cui all’articolo 39 comma 1 C.C.I.I. nonché la proposta di accordo corredata da un’attestazione del professionista indipendente.
Devono ritenersi tipiche anche le misure previste dall’art.64, 46 e 94-bis C.C.I.I. (misure protettive speciali) che specificano la sopracitata disciplina (a carattere generale) sebbene con alcune differenze applicative.
Più precisamente:
-l’art. 46 comma 5 statuisce che dopo il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, i creditori non possono acquisire diritti di prelazione rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia l’autorizzazione del tribunale; inoltre, le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione nel registro sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori. Tali misure scattano – a quanto è dato di comprendere dal costrutto normativo – alla stregua di un effetto automatico della domanda concordataria, anche a prescindere dalla circostanza che vengano richieste dal debitore;
-l’art. 64 comma 1 dispone che dalla data del deposito della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, anche ad efficacia estesa, “i creditori non possono, sino all’omologazione, acquisire diritti di prelazione se non concordati”. Parte della dottrina ritiene che si tratti anche in questo caso di un effetto automatico della domanda, connaturato alla pendenza del giudizio di omologazione precisando che tale effetto possa altresì determinarsi “dalla data della richiesta di cui all’articolo 54, comma 3”, ossia nel caso di “pre-accordo”: in quest’ultima ipotesi esse non scattano automaticamente, essendo soggette alla preventiva autorizzazione del giudice concorsuale, ai sensi dell’art. 55 comma 2 C.C.I.I.[42];
-l’art. 64, comma 3 dispone che nell’accordo di ristrutturazione, anche ad efficacia estesa, i creditori non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda, dell’apertura della procedura o della concessione delle misure protettive o cautelari, ed i patti contrari sono inefficaci. Tali misure scattano “in caso di domanda proposta ai sensi dell’articolo 54, comma 3, o di domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione con richiesta di concessione delle misure protettive o cautelari”. Parte della dottrina[43] ritiene che le misure in questione debbano essere richieste ed autorizzate dal giudice concorsuale come se fossero misure atipiche col procedimento di cui all’art. 55, comma 2;
-tali ultime misure tipiche speciali sono previste anche dall’art. 94-bis comma 1 con riferimento al concordato con la continuità aziendale. In questo caso la dottrina ritiene che esse si applichino come effetto automatico della domanda concordataria, essendo connesse alla pendenza del giudizio di omologazione, tanto è vero che la stessa norma in questione sembra distinguerle “dall’eventuale concessione di altre misure protettive”[44];
-gli artt. 64 comma 4 e 94-bis comma 2, con riferimento all’accordo di ristrutturazione ed al concordato con la continuità aziendale, dispongono il divieto per i creditori raggiunti dalle misure protettive (tipiche ed atipiche) previste dal comma 2 dell’art. 54 C.C.I.I. di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o di provocarne la risoluzione per il solo fatto di non essere stati pagati dal debitore, con la precisazione che si deve trattare di contratti essenziali. In questa ipotesi, la dottrina ritiene che l’automaticità della misura in questione è semanticamente legata alla circostanza che sia già in essere almeno una delle misure previste dall’art. 54 comma 2.
Da quanto sopra deve dunque osservarsi che non si rinvengono chiare norme che permettano di raccordare le misure protettive tipiche generali e quelle speciali. Si tratta di una importante lacuna sistematica che solo la prassi e l’interpretazione degli operatori del diritto dovranno colmare per evitare che venga vanificato l’intento del Legislatore di delineare un sistema organico volto a favorire il risanamento e la continuità aziendale.
5.2. Le misure protettive atipiche
Una delle novità più importanti introdotte dal Codice della Crisi d’impresa è la facoltà di avvalersi delle misure protettive atipiche. Difatti l’art.54 comma 2 terzo periodo statuisce espressamente che: “il debitore, dopo il deposito della proposta, del piano o degli accordi, unitamente alla documentazione prevista dall’articolo 39, comma 3, può richiedere al tribunale, con successiva istanza, misure, anche diverse da quelle di cui al primo periodo, per evitare che determinate azioni o condotte di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
In merito alla ratio di tale previsione, parte della dottrina ritiene che le misure indicate dall’art. 54 comma 2 terzo periodo sono funzionali ad ampliare la portata soggettiva dello “stay” esecutivo e cautelare, nel senso di estenderlo a quei creditori che non fossero stati in origine colpiti dalla misura protettiva e che, nel frattempo, avessero agito esecutivamente[45].
Secondo altra opinione a cui la scrivente aderisce, invece, il divieto di azioni esecutive e cautelari già opera nei confronti di tutti i creditori per cui le misure protettive atipiche servono ad impedire che le loro iniziative prendano di mira il patrimonio con condotte (anche omissive) diverse da quelle espressamente tipizzate[46]. Ne consegue che le misure protettive atipiche servono a completare la protezione del patrimonio già offerta dalle misure protettive tipiche, impedendo ai creditori l’esercizio di quei poteri di per sé non inibiti dall’operare di queste ultime[47].
La protezione atipica può allora servire ad impedire ai creditori l’esercizio del loro potere di autotutela negoziale tutte le volte che quel potere non è inibito in virtù della sola proposizione della domanda di accesso allo strumento o perché semplicemente la protezione richiesta non rientra tra quelle tipiche.
Tuttavia esse non sono semi-automatiche come le misure protettive tipiche, cioè non operano dalla pubblicazione della domanda nel registro delle imprese, ma richiedono la conferma da parte del giudice. Tale ultima considerazione è condivisa anche dalla giurisprudenza. Giova menzionare il decreto del 30 marzo 2023 del Tribunale di Milano (R.G.n.53/2023-sub.1)[48] secondo cui: “l’inciso che si legge nell’art.54 comma 2 terzo periodo -in cui si fa espresso richiamo ad una istanza successiva alla proposizione del ricorso di apertura di uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza -dimostra che le misure protettive ulteriori e temporanee non beneficiano di un regime di semi-automaticità derivanti dalla pubblicazione della domanda al registro delle imprese come le c.d. misure protettive normate ai primi due periodi del secondo comma dell’art.54 C.C.I.I. e di norma non accompagnano il ricorso, venendo richieste con “successiva istanza”. Che si tratti di misure protettive non vi è dubbio in quanto il terzo periodo del secondo comma dell’art.54 C.C.I.I. è pienamente sovrapponibile alla definizione che di esse ne dà il Codice della Crisi all’art.2., lettera p)”.
Oltre a ciò, è stato specificato che l’avverbio “anche” induce a ritenere che il debitore possa sempre chiedere, con domanda successiva rispetto a quella dell’art. 40, le misure atipiche previste dal primo periodo dell’art. 54[49]. Dal tenore letterale dell’art.54 C.C.CI.I. la dottrina[50] ha tratto le seguenti considerazioni: -la richiesta di misure protettive atipiche non esige che siano state (preventivamente o contestualmente) chieste le misure tipiche; – le misure protettive atipiche non riguardano la generalità dei creditori e delle iniziative, ma sono selettive, sia in relazione all’oggetto sia ai destinatari; la norma parla, infatti, di “determinate” azioni o condotte di uno o più creditori; -la sospensione delle azioni esecutive e cautelari può essere indirizzata anche verso i creditori titolari di crediti sorti successivamente all’apertura della procedura finalizzata all’omologazione dello strumento; -le misure protettive atipiche non possono sovrapporsi nei contenuti alle misure protettive tipiche, e che, anzi, esse dovrebbero astrattamente coprire ciò che non è oggetto delle misure protettive tipiche.
In merito ai presupposti applicativi, la giurisprudenza di merito è conforme nel valutare la loro sussistenza in modo alquanto rigoroso onde per cui spetta al debitore richiedente dimostrarne l’esistenza nel caso di specie.
Ad esempio, il Tribunale di Prato nel provvedimento del 14 giugno 2024, R.G.n.1/2024, ha rigettato la richiesta di concessione delle misure protettive atipiche ritenendo che “non sussistano i presupposti per la loro concessione, in difetto di qualsiasi allegazione da parte della stessa ricorrente in merito ai rischi concreti ed attuali che intenderebbe scongiurare con il divieto di proposizioni di ricorsi per ingiunzione di pagamento, di escussione di garanti e con la limitazione all’esecuzione di garanzie rilasciate da terzi e/o soci. Il mero richiamo alle richieste già avanzate e valutate in sede di composizione negoziata non è sufficiente a dimostrare la sussistenza, nella presente fase di pendenza di una domanda di concordato semplificato liquidatorio, di esigenze di tutela della debitrice preminenti rispetto alle ragioni dei creditori, in difetto di qualsiasi allegazione sui rischi di aggravio dell’esposizione debitoria (essendo peraltro cessata l’attività di impresa) e comunque sull’attualità di un effettivo periculum di iniziative di aggressione del patrimonio dei garanti e dei soci”.
Dello stesso tenore anche il Tribunale di Ivrea nella decisione del 8 settembre 2025, R.G.n.2-2025, secondo cui: “occorre premettere che le misure protettive atipiche o cautelari nel procedimento unitario hanno la funzione di conservare il patrimonio o l’impresa del debitore al fine di assicurare temporaneamente il buon esito delle trattive e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza in presenza del fumus boni iuris e del periculum in mora. Sono misure che non rivestono il carattere semi automatico delle protettive tipiche e che devono essere ulteriori a queste e devono essere determinate e individuate dalla parte istante. […] In assenza di indicazione normativa si ritiene che il vaglio del giudice sicuramente debba verificare: (i) la completezza della domanda di regolazione della crisi con riferimento a tutti i documenti richiesti dall’art. 39 CCI; (ii) le allegazioni del debitore in ordine sia allo strumento di regolazione cui tende il suo ricorso ex art. 44 CCI e alla necessità di ricevere la protezione per la predisposizione della domanda “piena”; (iii) la “storia” dell’imprenditore e della sua crisi come emerge dalle iscrizioni al registro delle imprese e dai registri di cancelleria del tribunale; (iv) le ulteriori indicazioni che emergono dall’istruttoria d’ufficio e in particolare dal parere del CG o dell’ausiliario”.
Stante il loro carattere innominato, il contenuto di tali misure è determinato dal debitore richiedente in base alle esigenze concrete che emergono nella fase di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Di seguito sono riportate alcune delle più frequenti misure protettive atipiche richieste dalle imprese.
Il divieto di proporre o proseguire azioni monitorie e per ingiunzione di pagamento
L’imprenditore spesso richiede ai sensi dell’art.54 comma 2 terzo capoverso il divieto di proporre o proseguire azioni monitorie e ingiunzioni di pagamento. Tuttavia, l’applicabilità di queste misure è piuttosto controversa.
Il Tribunale di Brescia nella recente ordinanza del 29 settembre 2025[51] ha ritenuto di non poter concedere tale misura perché: a) il debitore rimaneva pur sempre legittimato a opporsi alle azioni monitorie ricevute, non perdendo tale legittimazione sol perché si accede ad uno strumento di regolazione della crisi d’impresa; b) era eccessivamente gravosa la compressione del diritto dei creditori di accedere alla tutela giurisdizionale seppur a cognizione sommaria, in violazione dell’art.24 Cost.; c) pur conseguita l’emissione di un’ingiunzione di pagamento, il debitore conservava in ogni caso il diritto alla difesa ex art.645 c.p.c. e il creditore non potrebbe comunque azionare l’ingiunzione in via esecutiva qualora sia stata richiesta e confermata la concessione di misure protettive tipiche.
Di diversa opinione il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nell’ordinanza del 27 luglio 2025 – R.G. n. 1/2025 – che ha così statuito: “Ciò posto, l’impresa ha chiesto concedersi la misura atipica del divieto di ottenimento da parte dei creditori privi di titolo esecutivo, di un decreto ingiuntivo nel quale cristallizzare la pretesa creditoria. Trattasi di una misura protettiva atipica in quanto avente come destinatari i creditori privi di titolo giudiziale e che è finalizzata ad impedire che nel corso delle trattative i creditori possano assumere un atteggiamento ostile nella valutazione della convenienza della proposta di concordato semplificato. Del resto, il timore che i creditori possano assumere un comportamento a priori “antagonista” non è così remoto, in quanto già nel corso della precedente composizione negoziata le trattative avviate nel corso della composizione negoziata della crisi sono rimaste in stallo e poi naufragate a seguito del reclamo avverso il decreto di conferma delle misure protettive inizialmente riconosciute in quella sede. Ne deriva che al fine di agevolare la composizione della crisi attraverso il piano di concordato semplificato proposto, il Tribunale ritiene sussistenti i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora che giustificano la concessione della misura atipica anche alla luce del fatto che sono oramai decorsi i 120 giorni concessi in relazione alle misure protettive tipiche. In assenza, allora, di una ulteriore misura che possa mettere al riparo l’impresa da eventuali azioni o condotte pregiudizievoli per l’omologa del concordato, questo Giudice intende concedere la misura per ulteriori giorni 120 con decorrenza dalla scadenza delle precedenti misure protettive tipiche”, confermando così la misura protettiva atipica richiesta.
Le misure protettive atipiche: il divieto di intimare il pagamento di somme
L’imprenditore può anche richiedere ai sensi dell’art.54 comma 2 terzo capoverso anche il divieto di intimare il pagamento di somme di denaro. Anche l’applicabilità di queste misure è piuttosto controversa. Ad esempio, il Tribunale di Brescia nella recente ordinanza del 29 settembre 2025[52] ha ritenuto di non poter concedere tale misura perché: a) per come formulata aveva un carattere eccessivamente indeterminato della condotta che si vorrebbe così veder vietata ai creditori; b) la mera richiesta di un adempimento, in difetto di ulteriori più concrete allegazioni, costituiva espressione di un potere attribuito ai creditori di per sé inidoneo a pregiudicare il buon esito dell’iniziativa, dovendosi così escludere, alla luce del carattere comunque strumentale delle misure in esame, la ricorrenza di un’esigenza protettiva da soddisfare.
Le misure protettive atipiche: il divieto delle controparti di risolvere i contratti in essere (divieto di autotutela negoziale)
L’impresa può anche domandare di inibire la condotta dei creditori volta a risolvere i contratti in essere (ossia a impedire la cosiddetta autotutela negoziale). A tal proposito giova innanzitutto precisare che tale misura risulta “tipica” ai sensi dell’art.94-bis C.C.I.I. solo nel caso di concordato preventivo ma non nel caso in cui vengano proposti altri strumenti di regolazione della crisi di impresa. Dunque, fuori dalle ipotesi di concordato preventivo, tale misura è da ritenersi “atipica”.
Tale tesi è stata confermata anche nel decreto del Tribunale di Bergamo del12 gennaio 2022 (giudice dott.ssa Angela Randazzo- R.G.n.4/2022)[53] secondo cui: “la predetta istanza si concreti in una richiesta d’inibitoria di un potere di autotutela negoziale e sia da qualificarsi come misura protettiva atipica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, terzo periodo, CCII”. In questa pronuncia i giudici di merito hanno confermato il divieto di autotutela negoziale ritenendo che il debitore è legittimato, nel corso del procedimento di apertura dello strumento di regolazione della crisi prescelto, a chiedere misure temporanee ulteriori per evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare il superamento dello stato di crisi.
Sulla questione è intervenuto anche il Tribunale di Milano – R.G.n.53/2023 sub1– con la decisione del 30 marzo 2023, nella quale è stato precisato che tale misura non sarebbe una vera e propria misura protettiva atipica ma, piuttosto, una misura cautelare, per cui hanno rigettato la richiesta “prenotativa del debitore”, affermando letteralmente che: “nel caso di specie la società ricorrente ha formulato una esplicita richiesta volta ad impedire temporaneamente a più creditori, parti di contratti strategici ed essenziali, la risoluzione dello specifico contratto, l’anticipazione della scadenza del termine o la modifica unilaterale di quel contratto, tutte le volte in cui queste iniziative possano pregiudicare l’esito dell’iniziativa volta all’apertura dello strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza; ciò appunto perché si tratta di un contratto essenziale alla prosecuzione dell’attività di impresa, là dove il debitore abbia prefigurato fin dall’inizio la richiesta di apertura e di omologa di un concordato in continuità aziendale. Diversamente dalle misure protettive di cui all’art. 54 comma 2 primo periodo CCII, che prendono effetto fin da quando il debitore dichiara di volersene avvalere con l’iscrizione della domanda nel registro delle imprese (salva successiva conferma da parte del giudice, ex art. 55 comma 3 CCII), le misure protettive ulteriori sono efficaci solo se il giudice (come accade per i provvedimenti cautelari ex art. 54 co. 1 CCII) abbia ritenuto di accogliere la relativa domanda a valle del procedimento tracciato dall’art. 55 co. 2 CCII, e quindi in seguito all’instaurazione del contraddittorio con le parti interessate, eventualmente provvedendo inaudita altera parte. L’inciso che si legge nell’art. 54, comma 2, terzo periodo – in cui si fa espresso richiamo ad un’istanza successiva alla proposizione del ricorso di apertura di uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza dimostra che le misure protettive ulteriori e temporanee non beneficiano di un regime di semi-automaticità derivanti dalla pubblicazione della domanda al registro delle imprese (salva la conferma o revoca giudiziale entro trenta giorni dall’iscrizione), come le c.d. misure protettive normate ai primi due periodi del secondo comma dell’art. 54 CCII e di norma non accompagnano il ricorso, venendo richieste “con successiva istanza”. Che si tratti di misure protettive non vi è alcun dubbio, in quanto il terzo periodo del secondo comma dell’art. 54 CCII è pienamente sovrapponibile alla definizione che di esse ne dà il Codice della Crisi all’art. 2 lettera p). prefigurato fin dall’inizio la richiesta di apertura e di omologa di un concordato in continuità aziendale. In realtà, parte reclamante, chiedendo le misure definite in ricorso come protettive “atipiche”, in realtà insta per l’applicazione di vere e proprie misure cautelari attinenti la fase esecutiva dello specifico rapporto contrattuale. Secondo il Collegio, per quanto infra si dirà, nel perimetro applicativo dell’art. 54 secondo comma terzo periodo CCII, non rientra la facoltà di richiedere misure specifiche, volte ad inibire l’esercizio dei poteri di autotutela contrattuale dei creditori, in relazione alle quali ben più specifiche norme si rinvengono nel corpus normativo del CCII. […] non può non rilevarsi come la norma di cui all’art. 54 comma secondo terzo periodo CСІI testualmente parli di “azioni” dei creditori e si riferisca quindi ad atti introduttivi di procedimenti giudiziali di natura esecutiva e cautelare, non alle inibitorie di facoltà negoziali unilateralmente esercitabili, quale il “blocco” del rifiuto di adempimento dei contratti pendenti o dell’esercizio della facoltà di risolvere il contratto anche al di fuori di un’azione costitutiva di risoluzione, mediante l’esercizio stragiudiziale della clausola risolutiva espressa e della diffida ad adempiere ex artt. 1454- 1456 c.c. Osserva il Tribunale inoltre che nel caso di specie non vi è appunto stata in concreto alcuna trattativa con i creditori e contraenti in riferimento ai quali la ricorrente intende inibire i poteri di autotutela negoziale, come dimostrato dall’omessa notifica nei loro confronti anche dell’odierno reclamo. Del resto, il fatto che l’art. 54 comma 2 terzo periodo parli di “successiva istanza”, di “ulteriori misure temporanee”, utilizzi la locuzione “sin dalla fase delle trattative”, consente di ritenere che possano essere richieste fin dalla fase “prenotativa” misure protettive ulteriori e selettive, ed estese a creditori diversi, già normate dai primi due periodi della stessa disposizione. Quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla reclamante, l’espressione “sin dalla fase delle trattative”, lungi dal fondare un potere generalizzato di richiesta delle misure protettive definite “atipiche” nella fase “prenotativa” del concordato, si spiega per il fatto che il terzo periodo del secondo comma dell’art. 54 CCII si riferisce ad ulteriori misure protettive, soggettivamente più estese, richiedibili sempre a seguito del ricorso ex artt. 40 e 44 CСІП. L’esclusione dell’oggetto della richiesta dell’odierna parte reclamante dall’ambito di applicazione dell’art. 54 comma 2 ultimo periodo CCII, come ritenuto dal giudice relatore nel provvedimento oggi reclamato, appare inoltre confermata dal tenore letterale dell’art. 54 comma 4 CCII che completa ed integra la disciplina processuale predetta, secondo il quale prima del deposito della domanda “piena” ai sensi dell’art. 40 CCII, soltanto le misure protettive di cui all’art. 54 comma secondo primo e secondo periodo, potranno essere chieste – oltre che, ovviamente, in ambito di composizione negoziata (come previsto dall’art. 18 CCII ed in precedenza anche nell’art. 6 D.L. n. 118/2021) – nel contesto della domanda “prenotativa” ex art. 44 comma 1 CCII. Come innanzi si esaminerà, l’esclusione testuale del terzo periodo dell’art. 54 comma 2, nell’unica norma specificamente volta a disciplinare le misure protettive concedibili in sede “prenotativa”, appare frutto di una precisa intenzione sistematica del legislatore, fatta palese dal significato letterale delle parole, coerente con il sistema normativo attuale. Parimenti rimangono testualmente escluse dall’ammissibilità della relativa richiesta in fase “prenotativa” iniziata con ricorso ex artt. 40-44 CCII, come dimostrato dal mancato richiamo all’art. 54 co. 1 CCII operato dal quarto comma, le misure cautelari, che razionalmente sono accomunate dalla legge per la disciplina processuale (ex art. 55 comma 2 CCII) alle misure c.d. temporanee ed ulteriori e che anch’esse possono essere richieste “nel corso del procedimento di apertura… della procedura di concordato preventivo”, quindi a seguito del deposito della domanda “piena” di concordato e nella fase di vaglio dell’ammissione ex art. 47 ССІІ. Del resto, anche a voler qualificare la richiesta di parte reclamante come di applicazione di misure cautelari (che vengono definite nel ricorso come protettive “atipiche”), la loro applicabilità appare preclusa sia dal mancato richiamo suddetto di cui all’art. 54 co. 4 CCII, sia dal fatto che l’art. 54 co. 1 CCII si riferisce testualmente al “procedimento per l’apertura del concordato preventivo” che inizia con il deposito della domanda piena unitamente alla proposta ed al piano e si conclude con l’eventuale ammissione ex art. 47 CCII o eventuale inammissibilità. Ad avviso del Tribunale, appare sul punto rilevante l’argomento interpretativo per cui ubi lex voluit dicuit, ubi noluit tacuit, posto che anche in dottrina si è affermato che ogni previsione legislativa del CCCII in punto di misure cautelari e protettiva è di stretta interpretazione¹. Il legislatore ha stabilito, in deroga alla normativa di rango parimenti ordinario prevista dal codice civile, l’inibitoria dei poteri di autotutela negoziale dei creditori a salvaguardia della continuità aziendale dell’impresa debitrice solo in casi tassativamente predeterminati, ovvero in sede di composizione negoziata ex art. 18 comma 5 CCII, in caso di domanda di concessione delle misure protettive in funzione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione ai sensi dell’art. 64 CCII, in caso di domanda “piena” di concordato preventivo in continuità aziendale ex art. 94 bis CCII. […] La norma non appare infatti idonea a fondare un potere generalizzato di richiesta di inibitorie negoziali a carico dei creditori fin dall’inizio della fase “prenotativa” concordataria, ma si limita a fungere da rinvio recettizio alle norme che nelle rispettive fasi processuali consentono volta per volta al debitore la richiesta di protezione del patrimonio; in tal senso, il commissario giudiziale avrà l’obbligo di svolgere tale ruolo anche nel caso dell’art. 54 co. 2 terzo periodo, dal momento – di norma successivo al ricorso ex art. 44 co. 1 CCII – di applicazione della protezione selettiva ulteriore rispetto a quella iniziale”[54].
Le misure protettive atipiche: il divieto di proporre e/o coltivare istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale e comunque l’impossibilità di pronunciare sentenza di apertura della liquidazione giudiziale
Sempre ai sensi dell’art.54 comma 2 terzo capoverso C.C.I.I. viene spesso richiesto il divieto di proporre e/o coltivare istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale e comunque l’impossibilità di pronunciare sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Il Tribunale di Brescia nella già citata ordinanza del 29 settembre 2025[55] ha ritenuto di non poter concedere tale misura perché:“-vietare ai creditori la stessa proposizione della domanda di liquidazione giudiziale appare, ancora una volta, incompatibile con la previsione di cui all’art. 24 della Costituzione; -alla luce dei principi stabiliti all’art. 7 C.C.I.I., anche ove proposta, la domanda di liquidazione giudiziale sarebbe esaminata da parte del Tribunale soltanto all’esito dell’esame di quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi di modo che, proprio alla luce della regola della trattazione prioritaria dello strumento di regolazione della crisi, il deposito di un ricorso per liquidazione giudiziale non comporterebbe (ricorrendo, beninteso, le condizioni di cui all’art. 7, c. II, lett. a), b) e c), CCII) alcun pericolo di trauma per il regolare e fruttuoso dipanarsi del primo; -l’impedimento invece alla pronuncia della sentenza di apertura di liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza si è già determinato per effetto della conferma delle misure protettive c.d. tipiche richieste da S.r.l., non risultando così alcun vuoto di tutela, sul punto, da colmare attraverso lo strumento c.d. atipico residuale”.
Le misure protettive atipiche: il divieto per gli istituti di credito di estinguere la propria posizione creditoria per effetto di compensazioni se non in accordo con l’imprenditore, fermo il divieto di risolvere, revocare, anticipare la scadenza e modificare in senso peggiorativo gli affidamenti esistenti
L’imprenditore può richiedere ai sensi dell’art.54 comma 2 terzo capoverso anche il divieto di estinguere la propria posizione creditoria per effetto di compensazioni se non in accordo con l’imprenditore, fermo il divieto di risolvere, revocare, anticipare la scadenza e modificare in senso peggiorativo gli affidamenti esistenti. Il Tribunale di Brescia nella già citata ordinanza del 29 settembre 2025[56] ha ritenuto ancora di non poter concedere tale misura perché: “-dalla data di presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo unitamente alla proposta, al piano e alla documentazione prevista dall’art. 39, c. III, C.C.I.I., trova applicazione (anche) la disposizione di cui all’art. 155 C.C.I.I. (cfr. art. 96 C.C.I.I. come modificato dal c.d. Correttivo ter) e, dunque, il peculiare regime in materia di compensazione ivi tracciato con la conseguenza per cui, nella ricorrenza dei correlati specifici presupposti operativi, per effetto del deposito bancari) quanto già indicato in relazione alla previsione di cui all’art. 94 bis C.C.I.I., il quale appare applicabile anche ai contratti bancari pendenti, peraltro usualmente essenziali per antonomasia, della domanda da parte dello stesso debitore, non pare esservi margine per l’adozione di alcuna misura giudiziale”.
Le misure protettive atipiche: la provvisoria sospensione delle prescrizioni e delle decadenze
In un caso molto particolare il debitore ha richiesto la provvisoria sospensione delle prescrizioni e delle decadenze. Sul punto il Tribunale di Lecco[57] con il decreto del 1 marzo 2023 ha precisato che: “-che tale sospensione non può ricondursi alla nozione di “misura protettiva” delineata dall’art. 2, comma 1, lett. p), CCII, atteso che non è volta ad evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte dal debitore per la regolazione della crisi o dell’insolvenza – che la sospensione delle prescrizioni e delle decadenze è dunque di per sé estranea al regime di conferma o revoca previsto dall’art. 55, comma 3, ed è destinata a protrarsi per tutta la durata della sospensione delle azioni esecutive e cautelari” ritenendo tale effetto una conseguenza automatica ex lege associata alla domanda di accesso, anche con riserva, ad uno strumento di regolazione della crisi, effetto che prescinde da una espressa richiesta in tal senso del debitore ed è sottratto al regime di conferma o revoca delle misure protettive prefigurato dall’art. 55, comma 3.
5.3. Le misure cautelari
Dalle misure protettive occorre distinguere le misure cautelari che sono definite dal Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza (D.Lgs.n.14/2019) all’art.2 lettera q)[58] come:
“i provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative, gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza e l’attuazione delle relative decisioni”.
Si tratta di misure dalla durata provvisoria, dal contenuto necessariamente atipico perché destinate ad operare de residuo rispetto alle misure protettive di cui condividono la finalità.
Sono misure analoghe a quelle disciplinate dal previgente art.15 comma 8 L.F. secondo cui il tribunale, su istanza di parte, poteva emettere provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del procedimento. Lo scopo di queste misure è quello di assicurare provvisoriamente gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e delle procedure di insolvenza e l’attuazione delle relative decisioni[59].
L’ambito applicativo delle misure cautelari previsto in questa sede è più ampio rispetto a quello previsto dalla previgente legge fallimentare: se in quel contesto le misure cautelari potevano essere domandate solo dai creditori o dal P.M., e solo in pendenza dell’istruttoria prefallimentare, oggi invece esse possono essere richieste anche dal debitore, quando abbia fatto accesso alla composizione negoziata o abbia proposto domanda di concordato, accordo o piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione o domanda di autoliquidazione giudiziale.
L’art. 54 comma 1 C.C.I.I.. in piena aderenza al principio dispositivo, subordina il rilascio di una misura cautelare alla proposizione di una domanda di “parte”. A tal proposito la dottrina[60] ritiene che il concetto di “parte” utilizzato dalla norma de qua debba intendersi come sinonimo di chi abbia proposto ricorso ex art. 40 C.C.I.I. quale ne sia il contenuto. Pertanto, se pende una domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, solo il debitore potrà chiedere misure cautelari qualora ne dimostri la necessità[61].
Diversamente, se pende un procedimento di apertura della liquidazione giudiziale, legittimato a domandare provvedimenti cautelari sarà chi ha proposto ricorso (i creditori, il P.M. e i sindaci, anche quando intervenuti, ma lo stesso debitore se abbia formulato istanza di autoliquidazione).
Alcuni autori hanno evidenziato, tra l’altro, che proprio dall’incipit dell’art. 54 comma 1 C.C.I.I. si evincerebbe la diversa disciplina prevista per le misure protettive tipiche e quelle cautelari: la concessione di quest’ultime presuppone la pendenza del procedimento di apertura dello strumento di regolazione della crisi, il deposito di un ricorso e – in linea con quanto accade nel processo civile – l’accoglimento della relativa domanda da parte del giudice, previo contraddittorio con le parti, a differenza delle misure protettive che possono essere richieste anche prima della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione.
Quanto al contenuto delle misure cautelari, è stato evidenziato che l’art. 54 comma 1 C.C.I.I., nella versione modificata dal correttivo ex D.Lgs. n.83/2022, impiega una formula che evoca l’art.700 c.p.c., confermando il carattere innominato di tali misure che, dunque, possono essere concesse solo se risultino idonee “ad assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, o di omologa di concordato, piano ed accordi di ristrutturazione”[62].
L’uso di questa formulazione sta a significare che è esclusa, per il tramite un provvedimento cautelare, l’anticipazione di un effetto conseguibile con la pronuncia di merito. Tanto meno, trattandosi pur sempre di un provvedimento cautelare, è possibile conseguire un effetto che nemmeno la sentenza può comportare.
La duttilità dello strumento cautelare permette il rilascio di provvedimenti conservativi del patrimonio, come la pronuncia di un sequestro giudiziario su documenti o sull’azienda stessa o di un sequestro conservativo e possono essere concessi anche misure provvisorie di carattere innominato che le circostanze del caso concreto individuino come le più idonee ad assicurare l’attuazione della sentenza di liquidazione giudiziale (o di omologa dello strumento di regolazione della crisi, se domandate dal debitore).
A titolo esemplificativo, l’art.54 comma 1 C.CI.I. menziona la possibilità di nominare un custode dell’azienda o del patrimonio e ciò dimostra che prima dell’apertura della procedura è permesso solo conservare i valori dell’azienda.
5.4 Il confine tra le misure protettive atipiche e le misure cautelari
Nonostante la differenza concettuale tra misure protettive e cautelari, dal punto di vista pratico è molto difficile tracciare una linea di demarcazione netta, in particolare tra misure protettive atipiche e misure cautelari.
Parte della dottrina ha rilevato che le misure cautelari sono volte a soddisfare ogni bisogno di tutela che le misure protettive non riescono a garantire[63] e che le misure cautelari possono essere sovrapposte alle misure protettive atipiche, differenziandosi solo in riferimento ai possibili destinatari[64].
Alla luce di queste considerazioni ci si è chiesti perché il Legislatore avrebbe previsto due istituti simili pressoché sovrapponibili.
Alcuni autori[65] ritengono che sotto il profilo soggettivo le misure protettive (come è testualmente chiarito dall’art. 54 commi 2 e 3 C.C.I.I.) possono essere richieste soltanto dal debitore e non anche dal creditore; il debitore è altresì legittimato a chiedere la concessione di misure cautelari, al pari del creditore, il quale non può però avvalersi di misure protettive. Pertanto, solo ricorrendo alle misure cautelari (che sono innominate e atipiche) il creditore (se e nella misura in cui abbia interesse alla protezione del patrimonio del debitore) può raggiungere un effetto a lui precluso mediante il solo utilizzo delle misure protettive atipiche.
In merito alla natura di una certa misura, ad esempio l’inibitoria di una o più condotte “ostili” alla conclusione delle trattative, la stessa potrebbe assumere ora la natura di misura protettiva atipica ora la natura di misura cautelare a seconda che vada a colpire i creditori (e si ricorrerà in questo caso all’adozione di una misura protettiva) o i terzi (nel qual caso non potrà che essere richiesta una misura cautelare, dato che il terzo periodo dell’art. 54 comma 2 C.C.I.I. fa riferimento alle azioni o condotte dei soli creditori).
Sotto l’aspetto temporale la medesima dottrina[66] rileva che mentre le misure protettive atipiche possono essere chieste anche in via autonoma con apposita istanza, nella fase delle trattive e prima della domanda di accesso, l’istanza di misure cautelari esige la pendenza del procedimento unitario, conseguente alla proposizione della domanda anche con riserva o di concordato semplificato, essendo esclusa la sola proposizione di domande cautelari ante causam.
Infine, sotto l’aspetto funzionale, si rileva che mentre le misure cautelari sono finalizzate ad “assicurare provvisoriamente l’attuazione delle sentenze di omologazione di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza”, le misure protettive atipiche si protendono ad “evitare che determinate azioni o condotte di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
La giurisprudenza di merito ha recepito tali conclusioni come dimostrato dalla decisione del 17 agosto 2025 del Tribunale di Marsala, R.G.n.1-3/2025, nel quale è stato precisato che: “ritenuto che il disposto dell’art. 54 CCII consente l’emissione di misure cautelari di tipo inibitorio di diritti legittimamente esercitabili dai creditori qualora, il loro legittimo esercizio, possa pregiudicare la regolazione della crisi o dell’insolvenza, con natura anticipatoria; ritenuto che le misure diverse dal divieto di iniziare/proseguire azioni esecutive di cui all’art. 54, comma 2, CCII, siano ammissibili anche in fase prenotativa, durante la quale possono essere concesse misure cautelari atipiche a carattere inibitorio, poiché anche in questa fase sussistono le medesime esigenze di conservazione del patrimonio del debitore, assicurando la tutela della par condicio creditorum e la migliore soddisfazione della massa creditoria; considerato che, nel novero delle diverse misure rientrino tutti quei provvedimenti di carattere inibitorio che si rendano di volta in volta funzionali alla tutela del patrimonio del debitore e della continuità aziendale; ritenuto che la misura cautelare richiesta si fondi nella necessità di preservare l’integrità del patrimonio del debitore e di garantire l’effettività della procedura di concordato preventivo, impedendo che singoli creditori possano sottrarsi al regime concorsuale attraverso l’incasso di titoli di credito”, confermando la richiesta cautelare richiesta.
Secondo altra parte della dottrina, invece, il fatto che le misure protettive atipiche e quelle cautelari siano sovrapponibili non comporta la necessità di definire in maniera esatta i confini tra le due misure in quanto l’identità di regime che le accomuna è tale da consentire al giudice, senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di qualificare un’istanza formulata dal debitore nei termini di domanda protettiva atipica o nei termini di richiesta cautelare[67]. Secondo questa impostazione, in entrambi i casi ai fini dell’accoglimento conta solo la dimostrazione della fondatezza dell’istanza e del pregiudizio che la misura intende evitare[68].
6. Il procedimento di conferma
Sia le misure protettive richieste nell’ambito della composizione negoziata ex art.18 C.C.I.I. sia quelle richieste nell’ambito della regolazione devono essere soggette ad un procedimento di conferma.
Il procedimento di conferma ex 19 C.C.I.I.
Il procedimento di conferma delle misure richieste nell’ambito della composizione negoziata della crisi, come sopra già accennato, è disciplinato dall’art.19 C.CI.I. che richiama i procedimenti ex art. 669-bis e ss c.p.c..
In primo luogo, l’art.19 comma 1 C.C.I.I. impone al debitore di depositare una domanda giudiziale di conferma delle misure protettive. La domanda deve avere la forma del ricorso e deve essere depositata entro il giorno successivo alla pubblicazione nel registro delle imprese dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto. L’omesso o il ritardato deposito del ricorso è causa di inefficacia delle misure protettive; trascorso il periodo di 20 giorni dalla pubblicazione del registro delle imprese dell’istanza non seguita dal suo deposito telematico in cancelleria, la stessa è cancellata dal registro delle imprese.
Oltre a ciò, entro 20 giorni decorrenti da tale pubblicazione, l’imprenditore deve anche chiedere la pubblicazione del numero di ruolo generale del procedimento instaurato.
Il deposito tardivo, così come la pubblicazione tardiva del numero di ruolo della procedura, è causa di improcedibilità della domanda[69].
Il tribunale, entro dieci giorni dal deposito del ricorso, fissa con decreto l’udienza e tale decreto viene comunicato anche all’ufficio del registro delle imprese per la sua pubblicazione. Il ricorso, unitamente al decreto, è notificato dal ricorrente, anche all’esperto.
Il Tribunale adito può dichiarare l’inefficacia delle misure protettive anche prima della suddetta udienza: qualora il ricorso non è depositato entro il giorno successivo alla pubblicazione nel registro dell’imprese dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto; qualora il giudice entro il termine di 10 giorni dal deposito del ricorso non provvede a fissare l’udienza mediante decreto. Tale circostanza si può verificare allorquando: 1) il debitore istante non abbia depositato i documenti specificamente indicati dallo stesso art.19 comma 2 C.C.I.I., necessari per il giudice al fine di comprendere la funzionalità e la strumentalità delle misure richieste con le trattative da intraprendere o già in corso; 2) l’esperto non abbia accettato oppure rimesso l’incarico oppure in caso di istanza di composizione negoziata intrapresa in pendenza di uno strumento di regolazione della crisi o presentata in violazione del termine di 4 mesi richiesto dall’art.25-quinquiesC.I.I.; 3) quando per il carico di lavoro, il giudice designato non riesca ad emanare il provvedimento di fissazione dell’udienza.
In questi due casi, la domanda dichiarata improcedibile può essere riproposta.
Si osserva, tuttavia, che la norma non stabilisce quando l’udienza deve essere celebrata. In merito a questo aspetto, condivisibilmente parte della dottrina ritiene che si dovrebbe applicare in via analogica l’art.669-sexies c.p.c. per cui l’udienza dovrebbe essere trattata entro e non oltre 15 giorni dall’emissione del decreto stante che le misure protettive incidono anche sulle posizioni giuridiche dei creditori[70].
All’udienza fissata, il tribunale sente le parti ed anche l’esperto, chiamato a esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative e a rappresentare l’attività che intende svolgere. L’udienza può essere celebrata anche in videoconferenza e in assenza delle formalità non essenziali al contraddittorio.
Ove occorra, il tribunale può anche nominare un ausiliario e può compiere gli atti di istruzione indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti, può assumere informazioni dai creditori indicati nell’elenco presentato dal debitore istante.
All’esito dell’attività istruttoria, il giudice può confermare le misure protettive, indicandone anche la durata massima, ma può anche revocarle qualora ritenga che le stesse siano sproporzionate rispetto ai diritti dei creditori o non utili alla composizione negoziata.
Nel caso di revoca o cessazione delle misure protettive, le stesse perdono efficacia ex tunc: la revoca o la cessione delle misure protettive non hanno effetto retroattivo.
Il procedimento di conferma ex 55 C.C.I.I.
Nel caso di misure protettive richieste nell’ambito della regolazione della crisi, il procedimento è diverso a seconda della natura tipica o atipica della protezione richiesta.
Qualora il debitore abbia presentato domanda di misure protettive tipiche della domanda ex art.40 o 25-sexies C.C.I.I., oppure con successiva ed autonoma domanda, l’art.55 comma .C.C.I.I stabilisce che il giudice può assumere informazioni anche sommarie. Non è tenuto a fissare udienza: la norma non lo prevede, né si riferisce alla necessità di instaurare il contraddittorio con la generalità dei creditori. Non è un caso che il Legislatore abbia previsto che il giudice si pronunci con decreto, che, nel processo civile, è la forma che assume il provvedimento del giudice quando emesso in assenza di contraddittorio[71]. Il decreto deve esser emesso entro 30 giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese e può essere reclamato ai sensi dell’articolo 669-terdecies c.p.c..
Sempre l’art. 55 comma 3 C.C.I.I. prevede anche che in caso di mancata pronuncia del decreto di conferma entro il termine di 30 giorni, l’efficacia delle misure protettive venga meno, senza peraltro precludere al debitore la facoltà di depositare una nuova istanza.
L’iter di approvazione diviene più complicato allorquando: – vengono richieste misure cautelari ex art.54 comma 1 C.C.I.I.; – vengono richieste misure protettive atipiche ex art.54 comma 2 terzo periodo C.C.I.I.; – vengono richieste misure protettive dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione ex art.54 comma 3 C.C.I.I..
In queste ipotesi, l’art.55 comma 2 C.C.I.I. stabilisce che il giudice sente le parti omettendo tutte quelle formalità non necessarie al contraddittorio e procedendo nel modo che ritiene più opportuno al compimento degli atti di istruzione indispensabili in relazione alla misura richiesta. Quanto lo ritiene necessario, può convocare le parti anche per acquisire sommarie informazioni: in questo caso, fissa l’udienza di comparizione con decreto e assegna termine perentorio non superiore a 8 giorni per la notifica del ricorso e del decreto alle parti.
Parte della dottrina ritiene che il procedimento sopra delineato ex art. 55 comma 2 C.CI.I. è costruito sulla falsariga dell’art. 669 sexies c.p.c. in ragione del fatto che qui, diversamente da quanto previsto dal comma 3, il contraddittorio va instaurato, tant’è vero che nel ricorso il debitore deve domandare al giudice di fissare udienza[72].
L’individuazione dei resistenti dipende dal petitum e dalla tipologia di misura richiesta: – nel caso di misure protettive atipiche, resistenti sono i creditori destinatari delle misure; – nel caso di misura cautelare avanzata nell’ambito di un procedimento di apertura della liquidazione giudiziale, resistenti sono le controparti nel giudizio di liquidazione (o il P.M., o i creditori o i sindaci; la misura cautelare è diretta ad un terzo, resistente dovrà essere anche costui); – nel caso di misure protettive che si accompagnino ad una domanda di pre-accordo di ristrutturazione, legittimati a contraddire nel procedimento di conferma delle misure protettive sono i creditori coinvolti nelle trattative[73].
All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca i provvedimenti già emanati. L’ordinanza è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies c.p.c..
L’art. 55 comma 2 C.C.I.I. precisa altresì che il giudice può confermare le misure richieste con decreto inaudita altera parte se la convocazione dell’udienza rischia di pregiudicare l’attuazione del provvedimento. In questi casi, resta comunque ferma la possibilità di confermare, o revocare o modificare il decreto dopo l’instaurazione del contraddittorio.
Parte della dottrina osserva, tuttavia, che la disposizione in commento si riferisce genericamente al “provvedimento” senza chiarire se questo iter trovi applicazione per le sole misure cautelari, ovvero possa applicarsi anche per quelle protettive atipiche e per quelle tipiche. Alla luce di tutto quanto detto sin ora, ritiene che la possibilità di procedere inaudita altera parte riguardi solo le misure cautelari e quelle protettive atipiche[74].
Come per le misure previste nell’ambito della composizione della crisi, la revoca o la cessazione delle misure richieste nell’ambito della regolazione della crisi hanno effetti ex tunc.
7. Conclusioni
La disciplina delle misure protettive, nella transizione dalla Legge Fallimentare al Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, rivela un cambiamento profondo non solo sul piano terminologico, ma soprattutto sul piano sistematico. La protezione del patrimonio non è più un effetto automatico legato al deposito della domanda, bensì il risultato di una richiesta motivata del debitore e di un vaglio giudiziale, in un’ottica che privilegia l’effettività delle trattative e la serietà del tentativo di risanamento.
Ciò risponde ad una duplice ratio: da un lato, evitare l’abuso dello strumento protettivo come mera leva dilatoria; dall’altro, al contempo, offrire all’impresa in crisi un quadro di tutela flessibile, modulabile e funzionale alla continuità aziendale, in linea con i principi promossi dalla Direttiva Insolvency. L’introduzione del limite temporale unificato, la valorizzazione della strumentalità e la possibilità di proroga o rinnovo assicurano un equilibrio dinamico tra esigenze dell’impresa e garanzie dei creditori.
L’analisi delle discipline speciali, dalla composizione negoziata agli strumenti di regolazione della crisi, evidenzia come le misure protettive costituiscano ormai un istituto cardine del sistema, destinato a preservare la capacità operativa dell’impresa durante la fase più delicata delle trattative. In tale contesto, il ruolo del giudice si caratterizza per un controllo non meramente formale ma calibrato sulle concrete prospettive di successo del risanamento e sulla proporzionalità dell’incisione sui diritti dei creditori. Rimane tuttavia aperto il dibattito circa l’intensità dello scrutinio giudiziale, oscillante tra un modello “sommario” e uno più rigoroso, nonché la questione della portata soggettiva delle misure (selettive o erga omnes), profilo sul quale la giurisprudenza di merito continua a delineare soluzioni non sempre convergenti.
Particolarmente significativo è anche il tema delle misure protettive atipiche, le quali mostrano la tendenza del legislatore a riconoscere un ventaglio di tutele non tipizzate, adattabili ai diversi assetti delle trattative e alle peculiarità dell’impresa. Ciò conferma che la protezione nel C.C.I.I. è concepita come uno strumento dinamico e funzionale, in un rapporto “a geometria variabile” con le misure cautelari, con cui condivide finalità convergenti e complementari.
Nel complesso, la nuova disciplina realizza un sistema maggiormente coerente e razionalizzato, idoneo a favorire la tempestiva emersione della crisi e a prevenire effetti disgregativi sul patrimonio dell’imprenditore e sul tessuto economico. L’efficacia delle misure protettive, tuttavia, continuerà a dipendere in larga misura dall’interpretazione giurisprudenziale e dalla capacità degli operatori di utilizzarle come strumento realmente al servizio delle trattative e non come meccanismo difensivo improprio.
Le misure protettive si configurano dunque come uno snodo essenziale del moderno diritto della crisi, chiamate a bilanciare la tutela dell’impresa in difficoltà con l’esigenza di preservare la posizione dei creditori, in un equilibrio che rappresenta, al contempo, la sfida e la potenzialità più significativa del nuovo quadro normativo.
[1] MONTANARI M., La protezione del patrimonio nel concordato preventivo, in Dir. fall., 2013, pp. 634 ss.; FABIANI M, Il concordato preventivo, Bologna, Zanichelli, 2014, pp. 427.
[2] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nell’ambito del procedimento unitario (in corso di pubblicazione in Giur. Comm., 2025).
[3] Ibidem.
[4] FABIANI M., Sistema, principi e regole del diritto della crisi di impresa, Piacenza, La Tribuna, 2025, pp. 174; PAGNI I., Il “sistema” delle misure protettive e cautelari negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza: note a margine di un provvedimento del Tribunale di Milano, in Fallimento, 2024, pp. 273.
[5] PAGNI I., La trattazione unitaria dell’alternativa tra la liquidazione giudiziale e gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza nell’art. 7 C.C.I.I., in www.dirittodellacrisi.it, 16 ottobre 2023, pp.4.
[6] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nell’ambito del procedimento unitario (in corso di pubblicazione in Giur. Comm., 2025).
[7] Come modificato dal D.Lgs. n.83/2002 e dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136.
[8] Direttiva (Ue) 2019/1023 Del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza). Per la versione integrale cfr. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L1023.
[9] “32. un debitore dovrebbe poter beneficiare di una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali, sia essa concessa da un’autorità giudiziaria o amministrativa oppure per legge allo scopo di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, così da poter continuare a operare o almeno mantenere il valore della sua massa fallimentare durante le trattative. Ove previsto dal diritto nazionale, la sospensione dovrebbe essere possibile anche a beneficio dei terzi garanti, fra cui fideiussori e prestatori di garanzie reali. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero poter disporre che le autorità giudiziarie o amministrative abbiano la facoltà di rifiutare la concessione di una sospensione delle azioni esecutive individuali qualora tale sospensione non sia necessaria o non soddisfi l’obiettivo di agevolare le trattative. Tra i motivi di rifiuto potrebbero figurare la mancanza di sostegno da parte della maggioranza richiesta dei creditori o, se previsto dal diritto nazionale, l’effettiva incapacità del debitore di pagare i debiti in scadenza. […] 34. Una sospensione delle azioni esecutive individuali può essere generale, riguardando tutti i creditori, o può interessare solo alcuni singoli creditori o categorie di creditori. Gli Stati membri dovrebbero poter escludere determinati crediti o categorie di crediti dall’ambito di applicazione della sospensione in circostanze ben definite, come i crediti che sono garantiti da attività la cui eliminazione non pregiudicherebbe la ristrutturazione dell’impresa, o come quando i crediti vantati da creditori nei cui confronti una sospensione causerebbe un ingiusto pregiudizio nella forma, ad esempio, di perdite non compensate o di un deprezzamento della garanzia reale. 35. Al fine di garantire il giusto equilibrio tra i diritti del debitore e quelli dei creditori, una sospensione delle azioni esecutive individuali dovrebbe applicarsi per un periodo massimo di quattro mesi. Le ristrutturazioni complesse, tuttavia, potrebbero richiedere più tempo. Gli Stati membri dovrebbero poter determinare che in tali casi l’autorità giudiziaria o amministrativa possa concedere una proroga del periodo iniziale di sospensione. Qualora l’autorità giudiziaria o amministrativa non decida sulla proroga della sospensione prima della scadenza della stessa, questa dovrebbe cessare di produrre effetti alla scadenza del termine di sospensione. Nell’interesse della certezza del diritto, il termine totale della sospensione dovrebbe essere limitato a dodici mesi. Gli Stati membri dovrebbero poter prevedere una sospensione a durata indeterminata una volta che il debitore diventi insolvente a norma del diritto nazionale. Gli Stati membri dovrebbero poter decidere se una breve sospensione temporanea in attesa di una decisione dell’autorità giudiziaria o amministrativa sull’accesso al quadro di ristrutturazione preventiva sia soggetta ai termini temporali previsti dalla presente direttiva”.
[10] Cfr. DE SANTIS FRANCESCO, Brevi chiose sulle misure protettive tipiche ed atipiche nel procedimento unitario (art. 54, comma 2, CCII), 22 aprile 2025, in riv. Diritto della Crisi.
[11] https://torquatotasso.it/wp-content/uploads/2025/02/Tribunale-Modena-Sez.-III-Decr.-18.01.2025-1.pdf
[12] https://torquatotasso.it/wp-content/uploads/2025/02/Tribunale-Busto-Arsizio-Sez.-II-Sent.-16.01.2025-1.pdf
[13] Decreto del Tribunale di Sondrio del 22 novembre 2023 reso a conclusione del giudizio iscritto al n. 6-1-2/2022 Proc. Un, https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/30454.pdf
[14] Tribunale Modena, Sez. III, Decr., 18/01/2025; https://torquatotasso.it/wp-content/uploads/2025/02/Tribunale-Modena-Sez.-III-Decr.-18.01.2025-1.pdf
[15] “7. In deroga al paragrafo 6, gli Stati membri possono autorizzare l’autorità giudiziaria o amministrativa a prorogare la durata di una sospensione delle azioni esecutive individuali o a concedere una nuova sospensione delle medesime su richiesta del debitore, di un creditore o, se del caso, di un professionista nel campo della ristrutturazione. La proroga o il rinnovo della sospensione delle azioni esecutive individuali sono concessi solo in circostanze ben definite da cui risulti che la proroga o il rinnovo sono debitamente giustificati, ad esempio: a) sono stati compiuti progressi significativi nelle trattative sul piano di ristrutturazione, b) la continuazione della sospensione delle azioni esecutive individuali non pregiudica ingiustamente i diritti o gli interessi delle parti interessate, oppure c) nei confronti del debitore non siano ancora state aperte procedure di insolvenza che possano concludersi con la liquidazione delle attività del debitore a norma del diritto nazionale. 8. La durata totale della sospensione delle azioni esecutive individuali, inclusi le proroghe e i rinnovi, non supera i dodici mesi. Qualora gli Stati membri decidano di attuare la presente direttiva per mezzo di una o più procedure o misure che non soddisfano le condizioni per la notifica in virtù dell’allegato A del regolamento (UE) 2015/848, la durata complessiva della sospensione nell’ambito di tali procedure è limitata a un massimo di quattro mesi se il centro degli interessi principali del debitore è stato trasferito a un altro Stato membro nei tre mesi precedenti alla presentazione di una richiesta di apertura della procedura di ristrutturazione preventiva”.
[16] Convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147
[17] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi, Trattato della crisi e dell’insolvenza, a cura di M. Arato, G. D’Attorre, M. Fabiani.
[18] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi, Trattato della crisi e dell’insolvenza, a cura di M. Arato, G. D’Attorre, M. Fabiani.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] Ibidem.
[24] Si veda anche Tribunale Parma, Sez. fall., Ord., 17 marzo 2024, Tribunale di Prato 22 aprile 2022 qualora, in esito alla disamina della relazione dell’Esperto, sussista: a) una ragionevole prospettiva di risanamento dell’impresa; b) l’utilità delle misure protettive richieste per lo svolgimento delle trattative; c) l’adeguatezza e la proporzionalità delle misure protettive richieste rispetto all’obbiettivo di risanamento dell’impresa; la valutazione di conferma delle misure protettive deve tenere conto: delle conclusioni dei creditori e dei rilievi da questi eventualmente svolti; della circostanza che le trattative siano state effettivamente avviate, dell’eventuale manifestazione di disponibilità di alcuni creditori ad addivenire ad un accordo di composizione negoziata della crisi.
[25] Cfr. Tribunale Genova, Sez. VII, Sent., 17/02/2025; Tribunale Ivrea, Sent., 17/02/2023 che individua il fumus «nelle possibili prospettive di risanamento dell’impresa, o comunque di superamento dello stato di crisi, che si realizzano attraverso il percorso di negoziazione con i creditori» e il periculum «nel rischio di naufragio delle prospettive di risanamento in caso di “aggressioni” patrimoniali da parte dei singoli creditori sul patrimonio dell’impresa, che potrebbero compromettere il buon esito delle trattative.
[26] Si veda, ad es., Tribunale Genova, Sez. VII, Sent., 17/02/2025, motivazione n.5, in cui, a fronte di allegazioni vaghe ed ipotetiche, rinviava ad udienza successiva per consentire integrazioni. Se ne riporta di seguito uno stralcio: «Per quanto riguarda il Sig. […] tuttavia, poiché le misure concesse con riferimento alla sua posizione si fondano sull’assunto che ciò faciliterà la sua contribuzione diretta al risanamento, si tratterà di verificare in tempi brevi la concretezza di quanto finora solo vagamente ipotizzato. Si ritiene pertanto opportuno prevedere il termine di 40 giorni per le misure protettive che lo riguardano, con fissazione di un’udienza per la sua comparizione prima della scadenza di tale termine, al fine di valutare la concreta evoluzione della sua offerta».
[27] Tribunale Roma, Sez. fall., Decr., 10/10/2022, motivo della decisione n. 2.
[28] https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/28156.pdf
[29] https://dirittodellacrisi.it/file/RQhDO8MCe35HoN0SojaUCLlME9dvIZjcms6iUr1t.pdf/1922-Trib.%20Bergamo,%205%20aprile%202022,%20Est.%20Fuzio_redatto.pdf
[30] https://dirittodellacrisi.it/file/0FduyylGgzzFLmASQie46pg2QCHzAw1giZybKbXP.pdf/Trib.%20Parma1_redatto.pdf.
[31] https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/26589.pdf
[32] Cfr. Massimario della Composizione negoziata (Seconda edizione – giugno 2023) della Camera di Commercio di Prato-Pistoia, pp.6 e ss.
[33] https://iusletter.com/wp-content/uploads/Trib-Bergamo_18-febbraio-2025_est-Fuzio.pdf
[34] https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/27140.pdf
[35] Cfr. Massimario della Composizione negoziata (Seconda edizione – giugno 2023) della Camera di Commercio di Prato-Pistoia, pp.6 e ss.
[36] Ibidem.
[37] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi, Trattato della crisi e dell’insolvenza, a cura di M. Arato, G. D’Attorre, M. Fabiani.
[38] Per approfondimenti della questione cfr. PELLIZZATO M., L’insostenibile leggerezza delle misure protettive selettive, in Diritto della Crisi, 5 Settembre 2022.
[39] BOZZA G., Le misure protettive e cautelari, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, I, Torino, 2025, pp. 814 e ss.
[40] BACCAGLINI L. – CALCAGNO L., Le misure protettive e cautelari nel CCII, in Dirittodellacrisi.it, 2022; BACCAGLINI L. – LEUZZI S., Su natura, funzioni e limiti delle misure protettive e cautelari nel sistema concorsuale, in Dirittodellacrisi.it, 2025.
[41] DE SANTIS FRANCESCO, Brevi chiose sulle misure protettive tipiche ed atipiche nel procedimento unitario (art. 54, comma 2, CCII), 22 aprile 2025, in riv. Diritto della Crisi, pp.7.
[42] DE SANTIS F., Brevi chiose sulle misure protettive tipiche ed atipiche nel procedimento unitario (art. 54, comma 2, CCII), 22 aprile 2025, in riv. Diritto della Crisi, pp.10.
[43] DE SANTIS F., Brevi chiose sulle misure protettive tipiche ed atipiche nel procedimento unitario (art. 54, comma 2, CCII), 22 aprile 2025, in riv. Diritto della Crisi, pp.11.
[44] Ibidem.
[45] RUSSOLILLO P., Misure protettive negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza alternativi alla liquidazione giudiziale e procedure esecutive individuali, in Diritto della Crisi, pp. 9-13.
[46] PAGNI I., Il “sistema” delle misure protettive e cautelari negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza: note a margine di un provvedimento del Tribunale di Milano, in Fallimento, 2024, pp.295.
[47] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nell’ambito del procedimento unitario (in corso di pubblicazione in Giur. Comm., 2025).
[48] https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/29244.pdf
[49] BOZZA G., Le misure protettive e cautelari, in (diretto da) CAGNASSO – PANZANI, Crisi d’impresa e procedure
concorsuali, I, Vincenza, 2025, 802 SS.;
[50] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nell’ambito del procedimento unitario (in corso di pubblicazione in Giur. Comm., 2025).
[51] https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/Trib–Brescia-29-ettembre-2025-2c3cb.pdf
[52] https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/Trib–Brescia-29-ettembre-2025-2c3cb.pdf
[53] https://www.ilcaso.it/sentenze/fallimentare/28546/fallimentare?Concordato-semplificato%3A-inibitoria-di-un-potere-di-autotutela-negoziale-quale-misura-protettiva-atipica
[54] Per la versione integrale cfr. https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/29244.pdf
[55] https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/Trib–Brescia-29-ettembre-2025-2c3cb.pdf
[56] https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/Trib–Brescia-29-ettembre-2025-2c3cb.pdf
[57] https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_editor/MISURE-PROTETTIVE-TRIBUNALE-LECCO-RA.pdf
[58] Come modificato dal D.Lgs. n.83/2002 e dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136.
[59] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nell’ambito del procedimento unitario, in Giur. Comm., 2025, pp.10.
[60] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nel CCII, in Diritto della Crisi, 11 ottobre 2022.
[61] Ibidem. Cfr. anche PAGNI I., Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Le società, 2019, 441.
[62] Ibidem.
[63] PAGNI, Il “sistema” delle misure protettive e cautelari negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza: note a margine di un provvedimento del Tribunale di Milano, in Fallimento, 2024, pp. 285.
[64] PAGNI, voce Misure cautelari e protettive (diritto dell’insolvenza), in Enc. dir., Crisi d’impresa, diretto da F. Di Marzio, Milano, 2024, 870.
[65] DE SANCTIS F., Brevi chiose sulle misure protettive tipiche ed atipiche nel procedimento unitario (art. 54, comma 2,
CCII), in diritto della Crisi, 22 aprile 2025, pp. 11 e ss.
[66] Ibidem.
[67] DE SANCTIS F., Brevi chiose sulle misure protettive tipiche ed atipiche nel procedimento unitario (art. 54, comma 2,
CCII), in diritto della Crisi, 22 aprile 2025, pp.10.
[68] Ibidem.
[69] BACCAGLINI L., Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi, Trattato della crisi e dell’insolvenza, a cura di M. Arato, G. D’Attorre, M. Fabiani, in corso di pubblicazione.
[70] Ibidem.
[71]BACCAGLINI L. -CALCAGNO L., Le misure protettive e cautelari nel C.C.I.I., in riv. Diritto della Crisi, 10 ottobre 2022.
[72] Ibidem.
[73] Ibidem.
[74] Ibidem.







