Perdita del grado e diritto a pensione: il recente caso Emilia-Romagna
Sommario: 1. Premessa – 2. Il quadro normativo – 3. Orientamenti giurisprudenziali – 4. Il caso della Corte dei Conti Emilia-Romagna, sentenza n. 51/2025 – 5. Conclusioni
1. Premessa
La questione della perdita del grado militare e dei suoi effetti sul diritto a pensione rappresenta uno dei temi più complessi e dibattuti nell’ambito del pubblico impiego, in particolare nel settore delle Forze Armate e di Polizia.
Si tratta di verificare se la sanzione disciplinare, che comporta la rimozione del grado anche retroattivamente, possa travolgere il diritto al trattamento pensionistico già maturato, specie nei casi in cui la cessazione dal servizio era avvenuta per inabilità con diritto a pensione.
2. Il quadro normativo
La materia è regolata da una stratificazione di norme, tra cui spiccano la Legge n. 599/1954, il D.P.R. n. 1092/1973 e, più recentemente, il Codice dell’ordinamento militare di cui al D.Lgs. n. 66/2010. In particolare, l’art. 923 del D.Lgs. n. 66/2010 prevede che il militare, cessato dal servizio per una delle cause previste (tra cui l’infermità), perda il diritto a pensione se la cessazione viene successivamente “riqualificata” come perdita del grado per motivi disciplinari a seguito di provvedimento penale o disciplinare pendente al momento della cessazione.
La normativa, in passato, prevedeva formule più rigide (“ad ogni effetto”) che sono state in parte attenuate dalla nuova formulazione, anche alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale che hanno rafforzato la tutela dei diritti previdenziali.
3. Orientamenti giurisprudenziali
La giurisprudenza si è divisa sul tema.
Un primo orientamento (v. Corte dei Conti, sezioni di appello, sez. I n. 48/2015; sez. II n. 789/2015) sostiene che la perdita del grado non può retroattivamente far venir meno il diritto a pensione già maturato per inabilità, considerato che i requisiti per la pensione si consolidano al momento del collocamento in congedo. Secondo questa tesi, la sanzione disciplinare incide solo sullo status giuridico del militare, senza poter annullare il diritto già riconosciuto.
Un altro orientamento (Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Lazio, sentenza 04/12/2024, n. 540), più vicino alle posizioni dell’Amministrazione, ritiene che la perdita del grado abbia effetto retroattivo anche sul trattamento pensionistico, facendo prevalere la nuova causa di cessazione (disciplinare) su quella originaria (inabilità), con conseguente perdita del diritto a pensione se non sussistono i requisiti ordinari.
La Corte Costituzionale ha più volte ribadito che il diritto alla pensione, una volta maturato, costituisce una situazione soggettiva protetta e intangibile, salvo che la legge non preveda espressamente il contrario e nel rispetto dei principi di ragionevolezza e tutela dell’affidamento (sul tema, cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 557/1989).
4. Il caso della Corte dei Conti Emilia-Romagna, sentenza n. 51/2025
Un recente e rilevante precedente in materia è rappresentato dalla sentenza n. 51/2025 della Corte dei Conti Emilia-Romagna.
Il caso riguardava un ex Maresciallo della Guardia di Finanza, collocato a riposo per infermità e destinatario della pensione, che successivamente aveva subito la perdita del grado per rimozione a seguito di procedimento penale e disciplinare. L’Amministrazione, facendo applicazione dell’art. 923 del Codice dell’ordinamento militare, aveva revocato la pensione e richiesto la restituzione delle somme già percepite, ritenendo che la causa di cessazione dal servizio fosse stata retroattivamente modificata dalla perdita del grado.
La Corte dei Conti ha confermato la legittimità della revoca, affermando che: “Nel caso sub iudice la perdita del grado disposta nei confronti del ricorrente è stata conseguente a un procedimento disciplinare instaurato dopo la definizione del procedimento penale già pendente all’atto della cessazione dal servizio e, quindi, decorre da quest’ultima data. La normativa è chiara, in ragione dell’intento del legislatore di consentire la retroattività dell’effetto risolutivo del rapporto d’impiego al momento dell’instaurazione del procedimento disciplinare che si sia concluso con la perdita del grado; ciò per non vanificare le conseguenze dell’azione disciplinare dell’Amministrazione avviata a seguito di gravi condotte del dipendente”.
La sentenza ha inoltre escluso che vi sia una violazione del principio del “ne bis in idem”, poiché la revoca della pensione deriva dalla perdita dello status e non ha natura sanzionatoria penale: “La sanzione disciplinare, infatti, è finalizzata alla tutela dell’organizzazione aziendale sulla base del rispetto degli obblighi contrattuali ed ha, quindi, natura diversa da quella penale, ben potendo coesistere con quest’ultima… Ne consegue che l’applicazione di entrambe le sanzioni non viola il principio del ne bis in idem.”
La decisione, dunque, si inserisce nel solco di quell’orientamento che riconosce prevalenza alla normativa militare speciale, anche a scapito dell’affidamento maturato dal dipendente al momento del collocamento in quiescenza, laddove la perdita del grado sia effetto di fatti gravi emersi successivamente.
Tuttavia, un orientamento differente (v. sentenza n. 7/2024 della Corte dei Conti – Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello) introduce un importante elemento di riflessione.
Il caso riguardava anch’esso un ex maresciallo della Guardia di Finanza, collocato in congedo per inabilità e successivamente destinatario di una sanzione disciplinare di perdita del grado per rimozione, con conseguente revoca della pensione da parte dell’INPS.
La Corte d’appello, ribaltando la decisione di primo grado, ha accolto l’appello del ricorrente e annullato la revoca della pensione.
In particolare, la Corte d’appello ha evidenziato che la sanzione di perdita del grado può avere effetto retroattivo solo se il procedimento disciplinare era “pendente” al momento della cessazione dal servizio.
Nel caso concreto, il procedimento disciplinare era stato avviato dopo il collocamento in quiescenza, quindi non vi erano i presupposti per la retroattività.
Secondo la Corte d’appello occorre fare riferimento alla disciplina vigente al momento del collocamento in quiescenza, e la novella legislativa del 2019 (che ha ampliato i casi di retroattività) non può essere applicata retroattivamente.
Infine, la Corte richiama l’orientamento (già espresso da altre sentenze della stessa Sezione) secondo cui il diritto alla pensione consolidato al momento del collocamento in quiescenza non può essere travolto da provvedimenti disciplinari successivi, se la “pendenza” del procedimento non sussisteva al momento della cessazione.
5. Conclusioni
Come già evidenziato, la giurisprudenza si è interrogata a lungo su cosa accada al diritto a pensione del militare che, già collocato in quiescenza (ad esempio per inabilità), sia successivamente destinatario di un provvedimento di perdita del grado per rimozione, specialmente se il procedimento disciplinare viene avviato dopo la conclusione di un procedimento penale pendente.
Il tema resta aperto e oggetto di costante evoluzione, ma la tendenza più recente – anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale e europea – è quella di riconoscere una tutela rafforzata al diritto alla pensione, inteso quale posizione ormai consolidata nel patrimonio del dipendente che ha maturato tutti i requisiti al momento del collocamento in congedo. Tuttavia, casi come quello deciso dalla Corte dei Conti Emilia-Romagna confermano la persistente forza della disciplina speciale militare, che può incidere profondamente sui diritti previdenziali già riconosciuti in presenza di gravi condotte sanzionate dopo la cessazione dal servizio.
Infatti, la Corte dei Conti Emilia-Romagna ha ribadito la piena legittimità della normativa speciale militare che consente la retroattività della perdita del grado, con conseguente revoca della pensione già concessa, qualora il procedimento disciplinare sia stato avviato in costanza di un procedimento penale pendente all’atto della cessazione. Viene così privilegiato il potere disciplinare dell’amministrazione, anche a scapito dell’affidamento maturato dal dipendente al momento del collocamento in quiescenza.
La citata sentenza d’appello n. 7/2024 mostra, però, un panorama giurisprudenziale non univoco.
Una parte della giurisprudenza (come Emilia-Romagna n. 51/2025) privilegia la retroattività della disciplina militare speciale.
Un’altra parte, ormai rafforzata da più pronunce d’appello, tutela il diritto alla pensione maturato, negando la retroattività della perdita del grado se il procedimento disciplinare non era già pendente al momento della cessazione dal servizio.
Quest’ultimo orientamento, ad avviso di chi scrive, è da privilegiare in quanto rafforza la posizione di tutela dell’affidamento e della certezza dei rapporti previdenziali, ponendosi come forte limite alla possibilità per l’amministrazione di incidere, a distanza di tempo, sui diritti già consolidati dei militari in quiescenza.
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