Accesso difensivo: per il Consiglio di Stato non è sufficiente il generico riferimento alle esigenze probatorie e difensive

Accesso difensivo: per il Consiglio di Stato non è sufficiente il generico riferimento alle esigenze probatorie e difensive

Sommario: 1. Il principio di trasparenza – 2. I rapporti tra trasparenza e accesso – 3. L’accesso documentale e l’accesso difensivo – 4. Il diverso ambito di applicazione dell’accesso civico e dell’accesso civico generalizzato – 5. Il limite della riservatezza – 6. L’Adunanza Plenaria n. 19 del 2020. I rapporti tra accesso e diritto alla riservatezza in relazione ai giudizi di separazione e divorzio, ed in particolare accesso ai dati reddituali dei coniugi – 7. L’ultima acquisizione in materia di accesso difensivo: il vaglio sul nesso di strumentalità tra documento e diritto di difesa deve ricorrere e deve essere motivato

 

1. Il principio di trasparenza

Il principio di trasparenza è ormai divenuto un principio di carattere generale dell’azione amministrativa e non a caso è collocato dal legislatore all’interno dell’art. 1 della legge n. 241/90. Il principio di trasparenza si colloca all’interno di quel processo di trasformazione della P.A., che si apre all’esterno, verso il cittadino, per diventare la “casa di vetro” descritta da Turati nel suo celebre discorso alla Camera dei deputati[1] e meglio rispondere al principio costituzionale del buon andamento delineato dall’art. 97 Cost, assieme a quello di leale collaborazione, correttezza e buona fede di cui all’art. 1 l. n. 241/90[2].

Il termine trasparenza deriva, infatti, dal latino “trans parire”, ossia guardare attraverso, e applicato al modulo dell’azione amministrativa non significa altro che riconoscere alla P.A. la possibilità di rendere noti al privato i propri meccanismi interni, le proprie modalità di azione e di organizzazione, nonché consentire l’ostensione di determinati atti e documenti amministrativi.

Il principio di trasparenza ha subìto nel corso degli anni una lenta evoluzione, dal momento che, in origine, vigeva l’opposto principio della segretezza degli atti amministrativi (art. 15 DPR 3- 1957), superato poi con la l. 241/1990 che ha introdotto con gli artt. 22 e ss. la disciplina sull’accesso documentale.

Successivamente, il principio di trasparenza si è ampliato grazie alle più recenti riforme (d.lgs. 33/2013 e d.lgs. 97/2016) che hanno introdotto nuove forme di accesso ed hanno inverato una nozione di trasparenza intesa come “regime del potere visibile”[3].

2. I rapporti tra trasparenza e accesso

L’accesso, inteso nella sua dimensione generale, è, quindi, una species del più ampio genus della trasparenza[4].

Non sono, dunque, figure coincidenti, in quanto la trasparenza rispetto all’accesso documentale, ha un ambito applicativo più ampio, perché riguarda l’organizzazione amministrativa in generale e non solo il procedimento amministrativo. La trasparenza è poi, a ben vedere, il fine da raggiungere, mentre il diritto di accesso (nelle sue diverse forme), unitamente alla pubblicità, è lo strumento per realizzarlo[5].

Attualmente sono riscontrabili nell’impianto normativo vigente tre forme di accesso: quello documentale (artt. 22 e ss. l. 241/1990), quello civico semplice (5, comma 1, d.lgs. 33/2013) e quello civico generalizzato (5, comma 2, d.lgs. 33/2013).

3. L’accesso documentale e l’accesso difensivo

Per comprendere i motivi che hanno portato all’introduzione nel 2013 e nel 2016 delle due forme di accesso civico è bene prendere le mosse dai limiti presentati dal preesistente accesso documentale.

In particolare, il diritto di accesso disciplinato dalla legge n. 241/1990 non poteva soddisfare la visione della trasparenza come accessibilità totale all’azione amministrativa, essendo qualificato dalla pertinenza ad un determinato procedimento amministrativo e cioè ad un’attività amministrativa di interesse del singolo cittadino interessato e coinvolto dal singolo procedimento. Come è stato osservato infatti, il diritto di accesso documentale si sostanzia in una posizione qualificata da un criterio di collegamento specifico tra richiedente l’accesso e il dato che si vuole conoscere[6].

L’accesso previsto dalla legge n. 241/1990 non può quindi essere esercitato da “chiunque”, anzi, è espressamente vietata la sua funzionalizzazione al controllo generalizzato dell’operato della p.a. (art. 24 III co. legge n. 241/1990); in secondo luogo, l’accesso previsto nella legge n. 241 non può essere esercitato nei confronti di qualsiasi atto o di qualsiasi informazione in possesso della p.a., ma solo per conoscere documenti che afferiscono a procedimenti volti alla adozione di provvedimenti idonei ad incidere sulla sfera giuridica di un soggetto.

Ulteriore limite è rappresentato dalla circostanza che, tale forma di accesso, cd. documentale o procedimentale, di cui si discute la natura (per taluni si tratta di diritto soggettivo[7], anche in ragione del nomen iuris– diritto di accesso- e per altri di un interesse legittimo come affermato dal Consiglio di Stato nel 1999[8]) deve sempre essere bilanciata con il diritto alla riservatezza munito anch’esso di rilievo costituzionale (artt. 2 e 21 Cost.).

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 19 del 25 settembre 2020 ha inquadrato l’accesso in chiave di principio regolatore dell’attività amministrativa[9]. Dopo aver chiarito, con la precedente sentenza n. 12/2020, che l’accesso rileva anche ai fini dell’interruzione del termine per impugnare il provvedimento[10], il Supremo Consesso della giustizia amministrativa ha ribadito, dunque, in definitiva, che il diritto di accesso soddisfa finalità di pubblico interesse favorendo altresì, in relazione alla funzione amministrativa, la partecipazione l’imparzialità e la trasparenza della P.A.

Nell’accesso documentale convivono, però, due anime: una legata al concetto di trasparenza e l’altra legata più propriamente alla sfera giuridica dell’interessato consentendogli una migliore difesa degli interessi vantati[11].

Il diritto di accesso documentale non è infatti un diritto autonomo, ma è un diritto strumentale all’esercizio di un altro diritto. Non si avanza l’istanza di accesso agli atti semplicemente per il vezzo di visionare gli atti del procedimento amministrativo, ma perché si vanta un interesse diretto, concreto e attuale all’ostensione di quei documenti (art. 22 comma 1 lett. b).

Dunque la richiesta di accesso documentale, a differenza di quella sottesa ad un’istanza di accesso civico generalizzato deve essere espressamente motivata.

La lettera d) dell’art. 22 l.241/90 individua come documenti amministrativi “ogni rappresentazione grafica”, quindi ogni supporto documentale dove si “riproduce il contenuto di atti”. La norma si estende anche agli atti “interni” della PA e anche agli atti dei privati, limitatamente alla porzione di procedimento in cui essi svolgono o detengono una qualifica pubblica[12].

L’accesso documentale ingloba al suo interno anche il peculiare istituto dell’accesso difensivo. L’art. 24, comma 7 l. 241/1990 prevede che «deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale».

Analizzando il dettato del comma poc’anzi menzionato, l’utilizzo dell’avverbio «comunque» risulta particolarmente denso di rilevanza. In concreto, esso denota la volontà del legislatore di non appiattire l’istituto dell’accesso amministrativo sulla sola prospettiva della partecipazione, dell’imparzialità e della trasparenza, corroborando la tesi che esistano, all’interno della fattispecie giuridica generale dell’accesso, due anime che vi convivono, quella dell’accesso c.d. procedimentale o partecipativo e quella del c.d. accesso difensivo.

Come meglio si avrà modo di appurare l’accesso difensivo, in virtù della grande rilevanza fornita al diritto di difesa dalla Carta Costituzionale (art. 24 Cost.) ha un’estensione anche maggiore del diritto di accesso procedimentale operando, così come sottolineato dal comma 7 dell’art. 24, in maniera più estesa.

Sono previste, infatti, alcune eccezioni al catalogo delle esclusioni previste per l’accesso partecipativo tradizionale, fatti salvi gli opportuni temperamenti dei contrapposti interessi che vengono in rilievo, da operare nel caso concreto[13].

L’accesso difensivo pertanto, è costruito come una fattispecie ostensiva autonoma. Esso è contraddistinto da una “vis expansiva” capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi sul parallelo versante dell’accesso partecipativo. Anche l’istituto in esame, tuttavia, al pari della tradizionale figura dell’accesso procedimentale presenta alcune limitazioni.

Il limite più rilevante che emerge dalla lettura del comma 7 dell’art. 24 l. n. 241/90 è sicuramente quello rappresentato dall’occorrenza di dimostrare la necessità di conoscere l’atto a fini difensivi e dalla necessità di dimostrare la sua stretta indispensabilità nei casi in cui l’accesso riguardi dati sensibili o giudiziari.

In conclusione, le prospettive all’interno delle quali opera l’istituto dell’accesso sono due: l’una partecipativa incentrata sul principio di trasparenza l’altra prettamente orientata a scopi difensivi.

4. Il diverso ambito di applicazione dell’accesso civico e dell’accesso civico generalizzato

Molto lontano dall’accesso documentale e dall’accesso difensivo disciplinati dalla legge 241/90 è l’accesso civico. L’istituto in esame rappresenta la forma con cui maggiormente si realizza il principio di trasparenza, dal momento che si radica nella pubblicazione sui siti internet istituzionali delle PP.AA. di dati, documenti e informazioni, realizzando così quelle finalità di apertura e controllo diffuso che animano il decreto-trasparenza (d.lgs. 33/2013).

A questo obbligo di pubblicazione corrisponde, non il “diritto” del singolo soggetto interessato (come nella l. 241), ma la “libertà” di “chiunque” di accedere ai dati pubblicati sui diversi siti internet istituzionali, così come previsto dall’art. 2 del d.lgs. 33/2013. L’accesso è quindi diretto ed immediato, senza necessità di autenticazione, di identificazione, “nel rispetto dei limiti derivanti dalla tutela degli interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti” (art. 2, comma 1).

Una particolare attenzione è poi rivolta al limite costituito dalla riservatezza dei terzi.

Per gli atti rispetto ai quali sussistono obblighi normativi di pubblicazione, ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 33/2013, da un lato sono “allentati” i vincoli preventivi di tutela della riservatezza[14], nel senso che possono essere diffusi dati personali (purché non si tratti di dati sensibili o giudiziari), dall’altro tali informazioni, non possono essere trattate se non secondo modalità che ne consentano la indicizzazione e la irrintracciabilità tramite i motori di ricerca web, nel rispetto dei principi tracciati dal Codice in materia di protezione dei dati personali[15].

Nel dl.gs. 33/2013 si precisa, inoltre, che le PP.AA. provvedono a rendere non intelligibili i dati personali non pertinenti o, se sensibili o giudiziari, non indispensabili rispetto alle specifiche finalità di trasparenza collegate alla pubblicazione. Restano fermi i divieti di diffusione di dati sensibilissimi (art. 2 VI co. ultima parte).

L’accesso civico generalizzato, introdotto dal d.lgs. 97/2016 al comma 2 dell’art. 5 d.lgs. 33/2013, ha, invece, accolto una nozione ancora più ampia di trasparenza, intesa come accessibilità totale perché consente a chiunque l’accesso a dati e a documenti “ulteriori” rispetto a quelli per cui è previsto l’obbligo di pubblicazione ai sensi dell’art. 5, comma 1.

L’art. 5 bis del decreto in parola prevede, tuttavia, alcune eccezioni relative (comma 2) e alcune eccezioni assolute (comma 3) all’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato. In relazione alla riservatezza, l’art. 5 bis, comma 2 prevede alcune specifiche eccezioni “relative” che impongono alla P.A. di verificare se l’accesso civico è esercitato in pregiudizio concreto alle specifiche esigenze tutelate dalla riservatezza, puntualmente elencate al comma 2, come ad esempio la libertà e la segretezza della corrispondenza, o la tutela dei segreti tecnici e commerciali di un’azienda. Lo stesso vale per gli interessi pubblici individuati al comma 1 come la sicurezza nazionale; le relazioni internazionali la stabilità finanziaria ed economica dello Stato.

In tutti questi casi l’accesso ai dati e alle informazioni richieste passerà attraverso una valutazione discrezionale della PA interessata che rifiuterà l’accesso ove riterrà il diniego necessario ad evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici o privati sopra menzionati.

Al comma 3, invece, come anticipato si prevede un’eccezione assoluta ed infatti l’accesso civico generalizzato è sempre escluso nei casi in cui viga il segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge.

5. Il limite della riservatezza

Il raffronto tra la legge in materia di procedimento amministrativo e il Codice in materia di protezione dei dati personali consente all’interprete di operare una tripartizione, distinguendo tra dati personali “ordinari”, dati “sensibili” e dati “sensibilissimi”.

Per i dati personali di tipo “ordinario” l’art. 59 d.lgs. 196/2003 rinvia alla legge n. 241 /1990 la quale, come anticipato, all’art. 24 co. 6 lett. d), individua proprio nella riservatezza un limite espresso all’accesso documentale. Al successivo comma 7, tuttavia, si contempla immediatamente un controlimite, con cui il legislatore sancisce la prevalenza dell’accesso in funzione difensiva rispetto alla tutela della riservatezza. Questa, come anticipato, rappresenta una differenza evidente che si ravvisa tra l’accesso documentale c.d. partecipativo e l’accesso operato con finalità difensive, da questo punto di vista, maggiormente incisivo.

In merito ai dati sensibili e giudiziari l’art. 59 d già citato, rinvia nuovamente alla legge sul procedimento amministrativo, nella quale, all’interno del già citato articolo 24, si afferma che l’accesso a tali dati è consentito, secondo il co. 7 dell’art. 24 l. 241/90 solo quando “strettamente indispensabile”. Ciò significa che la richiesta di accesso difensivo, in questi casi, dovrà essere particolarmente motivata, con l’obbligo per la P.A. di operare un bilanciamento tra l’interesse dell’istante e quello del soggetto controinteressato intenzionato a salvaguardare la riservatezza dei dati che lo riguardano[16]. Si passa, dunque, in questo caso attraverso una valutazione discrezionale della P.A.

Con riguardo ai dati c.d. sensibilissimi, l’art. 60 del Codice in materia di protezione dei dati personali prevede, invece, che l’accesso ai medesimi dati (si pensi a quelli relativi allo stato di salute o alla vita sessuale del terzo) è possibile solo se la situazione giuridicamente rilevante, che si intende tutelare con la richiesta di accesso, sia di rango almeno pari all’interesse del controinteressato, ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile[17]. I limiti dunque, in quest’ultima ipotesi sono forti.

6. L’Adunanza Plenaria n. 19 del 2020. I rapporti tra accesso e diritto alla riservatezza in relazione ai giudizi di separazione e divorzio, ed in particolare accesso ai dati reddituali dei coniugi

Tornando al mondo dell’accesso documentale ed in particolare a quello dell’accesso difensivo disciplinato dal comma 7 dell’art. 24, tra le recenti pronunce che hanno trattato l’istituto, enunciando importanti principi di diritto, si ritrova sicuramente l’interessante Adunanza Plenaria n. 19 del 2020.

La pronuncia in esame seppur apparentemente inserita nella consolidata giurisprudenza ampliativa con riguardo all’esercizio del diritto di accesso (ex multis Ad. Plen. n. 4 del 1999), ad un più attento esame, offre l’occasione per alcune importanti riflessioni sui confini dell’accesso difensivo e sui rapporti intercorrenti fra la disciplina generale di cui agli artt. 22 e ss. della Legge 241/90 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo civile, con particolare riferimento ai procedimenti in materia di famiglia (art. 492 bis cod.proc.civ. e art 155 sexies disp. att. del cod. proc.civ.)[18].

Sebbene il Consiglio di Stato abbia statuito a più riprese che non possa essere limitato il diritto del coniuge di accedere ed estrarre copia dei documenti richiesti, laddove egli sia titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, alla luce della prevalenza del diritto di accesso difensivo su quello della riservatezza, di recente, nonostante tali precedenti, in un procedimento per il mantenimento del figlio, i giudici si sono chiesti se il partner potesse accedere liberamente ai dati reddituali e finanziari dell’altro coniuge, detenuti dalla Agenzia delle Entrate, oppure dovesse attendere un’apposita autorizzazione da parte del Tribunale, ricorrendo all’istituto dell’esibizione dei documenti in virtù del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.

In detta occasione la questione è stata rimessa dalla IV Sezione del Consiglio di Stato (ordinanza 888/2020) all’Adunanza plenaria.

In particolare il Consiglio di Stato ha chiesto chiarimenti al massimo Consesso in ordine ai seguenti punti:

a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti amministrativi e quindi come atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990;

b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali degli artt. 210 e 213 del cod proc. civ; ed in particolare per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.);

c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche, eventualmente, concorrendo con le stesse;

d) ovvero se -all’opposto- la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990[19].

Dagli interrogativi posti dall’ordinanza in parola emerge che il primo punto da dirimere atteneva alla possibilità di considerare i documenti reddituali, finanziari e patrimoniali alla stregua di atti e documenti amministrativi.

La risposta non poteva che essere positiva dal momento che a norma dell’art 22 l. 241/1990 si intende quale atto amministrativo “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.

Dall’ampiezza di tale definizione ne discende che gli atti di cui si discorre, possono rientrare pacificamente nel genus degli atti amministrativi.

Dando risposta positiva al primo interrogativo rimaneva da comprendere quali fossero i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (artt. 210 e 213 del cod proc. civ; artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.).

Occorreva, cioè, comprendere se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22 della legge sul procedimento amministrativo potesse essere esercitato indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle sopra menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente- concorrendo con le stesse, oppure, di contro, se la previsione da parte dell’ordinamento civilistico di determinati metodi di acquisizione in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, con l’attribuzione dei relativi poteri istruttori ad un giudice avente giurisdizione sulla controversia ‘principale’, escludesse o comunque precludesse l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi atti secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990.

L’Adunanza Plenaria si schiera a favore della prima ricostruzione dal momento che il diritto di accesso, come detto in apertura è “principio generale dell’attività amministrativa” e i diritti fondamentali di cui si richiede la tutela non troverebbero eguale garanzia mediante l’utilizzo degli strumenti previsti dal codice di procedura civile, i quali rimettono all’apprezzamento del giudice l’ingresso nel giudizio di documenti, di atti e di informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione e quindi forniscono una tutela solo eventuale.

Inoltre, a parere dell’Adunanza Plenaria tra le due discipline non sussisterebbe un rapporto di specialità, nel senso che la norma speciale derogherebbe a quella generale escludendone l’applicazione, bensì di concorrenza e di complementarietà, poiché il giudice che tratta la vicenda civilistica oggetto di giudizio, anche in presenza di un’istanza di accesso avanzata da una della parti alla P.A. interessata, ben potrà utilizzare i poteri di acquisizione dei dati e dei documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione genericamente previsti dall’art. 210 cod. proc. civ. Pertanto deve ritenersi conservata la possibilità, per il privato, di avvalersi degli ordinari strumenti offerti dalla l. n. 241 del 1990, per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare di consegnare all’Amministrazione attraverso gli ordinari strumenti predisposti dal codice di procedura civile. Tra i due strumenti (quello processual-civilista e quello pubblicistico) sussiste un rapporto di complementarietà e non di incompatibilità.

Infine, non si può non tener conto della particolare “forza” intrusiva detenuta dall’accesso difensivo ai sensi dell’art. 7 l. 241/90. Sulla base delle coordinate ermeneutiche sopra tracciate, infatti, non si può far a meno di notare come l’accesso a fini difensivi debba sempre e comunque essere garantito all’istante, laddove esso sia necessario per curare o per difendere i propri interessi giuridici ed egli dimostri quindi la strumentalità del dato rispetto all’esercizio del proprio diritto di difesa. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari poi l’accesso difensivo sarà consentito, come detto, nei limiti in cui esso si dimostri strettamente indispensabile ai fini del decidere ed in un giudizio di separazione o divorzio l’indispensabilità della conoscenza dei dati reddituali del coniuge ai fini della corresponsione delle somme dovute per legge appare evidente.

7. L’ultima acquisizione in materia di accesso difensivo: il vaglio sul nesso di strumentalità tra documento e diritto di difesa deve ricorrere e deve essere motivato

L’ultima pronuncia sempre del massimo Consesso della Giustizia amministrativa in materia di accesso difensivo è la recentissima Adunanza Plenaria 18 marzo 2021, n. 4 – Pres. Patroni Griffi, Est. Noccelli, dove si afferma un importante principio di diritto, ossia che: “In materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare”.

E ancora che: “La P.A. detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990”.

L’Alto Consesso non ha fatto altro che richiamare in realtà quanto aveva già chiarito con le pronunce n. 19, 20 e 21 del 25 settembre 2020.

I giudici hanno infatti ribadito come la volontà del legislatore appaia chiaramente dall’art. 25, l. n. 241 del 1990. Nella norma in esame si esige chiaramente che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione e siano suffragate con idonea documentazione (ad es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova; ecc.), così da permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta nel caso di specie e l’astratta pertinenza con la situazione “finale” controversa.

In questa prospettiva, e per rispondere ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, l’Adunanza Plenaria ha escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento passa attraverso un rigoroso vaglio circa l’appena descritto nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale controversa.

Altra e non meno importante questione, adombrata dall’ordinanza di rimessione, è poi quella afferente alla ricostruzione della disciplina del bilanciamento tra interesse all’accesso difensivo dell’istante e la tutela della riservatezza del controinteressato.

Come l’Adunanza Plenaria ha però già chiarito nelle richiamate pronunce, l’art. 24, l. n. 241 del 1990 prevede, al riguardo:

a) al comma 1, una tendenziale esclusione diretta e legale dell’accesso documentale per le ipotesi ivi contemplate (ad esempio documenti coperti da segreto di Stato, o, nei procedimenti selettivi, documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi);

b) al comma 2, un’esclusione demandata ad un regolamento governativo, con cui possono essere individuati casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi, dalla stessa P.A., sempre sulla base dei medesimi interessi tutelati dal comma 1;

c) al comma 7, nel caso di dati sensibili e giudiziari, un’esclusione basata su un giudizio valutativo di tipo comparativo di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità delle contrapposte posizioni giuridiche soggettive ed improntato ai tre criteri della necessità, dell’indispensabilità e della parità di rango per quanto riguarda i dati c.d. sensibilissimi (salute e vita sessuale).

Ebbene, ai fini del bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo, preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato, e la tutela della riservatezza, secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, non trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito come detto ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. supersensibili), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della difesa di un proprio interesse giuridico del documento richiesto.

In presenza di un’istanza di accesso difensivo, laddove non vengano in rilievo i sopra menzionati interessi sensibili o sensibilissimi, basterà verificare il requisito della strumentalità, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, il diritto alla difesa e dunque il diritto all’ostensione del documento richiesto[20].

Rebus sic stantibus è evidente che pur non rendendosi necessario il giudizio di indispensabilità o quello della parità del rango (non venendo in rilievo interessi c.d. sensibili o super sensibili) il collegamento tra la situazione legittimante e la documentazione richiesta dovrà comunque essere ben esplicitato all’interno dell’istanza di accesso proprio al fine di consentire alla P.A. interessata il giudizio di strumentalità. Ecco perché si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a “non meglio precisate esigenze probatorie e difensive”: perché l’istante deve sempre e comunque mettere l’Amministrazione nelle condizioni di poter compiere un rigoroso e motivato vaglio sul nesso di strumentalità necessario tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare.

In una eventuale e successiva fase giurisdizionale ovviamente si imporrà poi un’attenta analisi della motivazione che la pubblica amministrazione ha adottato nel provvedimento con cui ha accolto o, viceversa, ha respinto l’istanza di accesso ad opera del G.A.. Soltanto attraverso l’esame di questa motivazione sarà infatti possibile comprendere se il nesso di strumentalità, nel senso sopra precisato, si ravvisi effettivamente e se l’esigenza di difesa rappresentata dall’istante prevalga o meno sul contrario interesse alla riservatezza nel delicato bilanciamento tra i valori in gioco.

La pubblica amministrazione detentrice del documento ed il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere alcuna ultronea valutazione sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio di merito instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione specifica, in cui rileva la situazione giuridica soggettiva a difesa della quale il documento è stato richiesto e non certo alla pubblica amministrazione o allo stesso giudice amministrativo che deve decidere all’interno del giudizio sull’accesso.

Un diverso ragionamento reintrodurrebbe nella disciplina dell’accesso difensivo e, soprattutto, nella sua pratica applicazione limiti e preclusioni che, invece, non sono contemplati dalla legge. Il legislatore ha, infatti, già previsto, come si è detto, adeguati criteri per valutare la situazione legittimante l’accesso difensivo e per consentire alla P.A. (ed eventualmente, in un secondo momento al G.A.) di effettuare il bilanciamento l’interesse teso all’ostensione del documento e quello contrapposto alla tutela della riservatezza[21].

Certamente, se l’istanza di accesso dovesse essere motivata unicamente, ai sensi dell’art. 25, comma 2, l. n. 241 del 1990, con riferimento ad esigenze difensive di un particolare giudizio e il giudice di quel procedimento dovesse essersi già pronunciato sull’ammissibilità o, addirittura, sulla rilevanza del documento richiesto nel giudizio instaurato, la Pubblica amministrazione e, in sede contenziosa ai sensi dell’art. 116 c.p.a., il Giudice amministrativo dovranno tenere conto di questa valutazione sul piano motivazionale, ma sempre e solo per valutare la concretezza e l’attualità del bisogno di conoscenza a fini difensivi dell’atto richiesto, nei termini in cui si è detto, e non già per sostituirsi ex ante al giudice competente nella inammissibile (e impossibile) prognosi circa la fondatezza di una particolare tesi difensiva, alla quale la richiesta di accesso è preordinata, salvo, ovviamente, il caso di una evidente e assoluta mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive vantate e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990[22].

 

 

 


[1] F. TURATI, Atti del Parlamento italiano, Camera dei Deputati, sessione 1904-1908, 17 giugno 1908.
[2] Recente introduzione ad opera del d.l. “semplificazioni” n. 76/2020
[3] Consiglio di Stato, parere 24 febbraio 2016, n. 515, reso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi del sullo schema del “decreto trasparenza”, d.lgs. 97/2016 che ha introdotto il c.d. F.O.I.A.
[4] Per una visione di più ampio respiro, M. BARBIERI, F. TALAMO, Lo Stato aperto al pubblico, 2014.
[5] A. SANDULLI, La trasparenza amministrativa nel FOIA italiano. Il principio della conoscibilità generalizzata e la sua difficile attuazione, Roma, 2020.
[6] M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, 2018, Giappichelli.
[7] CARINGELLA-GAROFOLI-SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2007; CLARICH, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, Riv. dir proc. amm., 1996.
[8] Cons. St., A.P., 28.4.1999, n. 6.
[9] Cons. St., A.P. 25.9.2020, n. 19.
[10] Cons. St., A.P. 2.7.2020, n. 12.
[11] R. GAROFOLI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, ed. 2013.
[12] G. SCOCA, Diritto Amministrativo, ed. 2019, Giappichelli Editore.
[13] Cons. Stato, Sez. VI, ord. 7 febbraio 2014, n. 600.
[14] M.SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, 2018, Giappichelli.
[15]  C.M. BIANCA in “La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi” a cura di Lucio Lanfranchi, Torino,
2003.
[16] M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, 2018, Giappichelli.
[17] Consiglio di Stato, sez. V, 28 settembre 2010, n. 7166.
[18] https://www.quotidianogiuridico.it/documents/2020/10/28/anagrafe-tributaria-e-accesso-difensivo-il-si-della-plenaria
[19]  Ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria n. 888 del febbraio del 2020, Consiglio di Stato, Sez. IV.
[20] Consiglio di Sato, Adunanza Plenaria 18 marzo 2021, n. 4 – Pres. Patroni Griffi, Est. Noccelli.
[21] M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. dir., IV, Aggiorn., Milano, 2000
[22] Consiglio di Sato, Adunanza Plenaria 18 marzo 2021, n. 4 – Pres. Patroni Griffi, Est. Noccelli.

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