Accreditamento sanitario: la giurisprudenza sulla tesi della natura concessoria

Accreditamento sanitario: la giurisprudenza sulla tesi della natura concessoria

Gli approdi a cui è giunta la dottrina in punto di qualificazione giuridica dell’accreditamento nello schema della concessione sono stati accolti anche dalla giurisprudenza chiamata, di volta in volta, a pronunciarsi sul tema.

Le argomentazioni che hanno guidato l’analisi dottrinale, infatti, sono state in grado di persuadere anche i massimi consessi della giurisdizione amministrativa e di quella ordinaria, di cui è necessario analizzare i principali arresti sul tema.

A tal fine, quindi, occorre prendere le mosse dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza del 14 gennaio 2015, n. 473, sono giunte ad affermare come “in tema di accreditamento al servizio sanitario nazionale, l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio continua ad essere mediata da un provvedimento concessorio, sia pure a contenuto legislativamente regolamentato, ma nessuna erogazione di prestazione sanitaria finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli, specifici rapporti contrattuali”.

Tale pronuncia si pone in linea con i recenti approdi della giurisprudenza amministrativa[1], la quale ha seguito un autonomo percorso interpretativo, di cui occorre dare brevemente atto, riferendosi ad arresti che hanno ben messo in evidenza gli aspetti peculiari dell’istituto in esame e del rapporto che da esso deriva.

Il Consiglio di Stato, Sez. III, 18 aprile 2012, n. 2269, ha posto in risalto come l’accreditamento non produca l’effetto della semplice rimozione di un ostacolo giuridico all’esercizio di un’attività, come avverrebbe nel caso di una autorizzazione, ma, al contrario, si sostanzi in un provvedimento traslativo di una quota del SSN.

A tale effetto, aggiunge il Consiglio di Stato, segue un contratto di servizio volto a disciplinare gli obblighi di servizio pubblico ed il rapporto patrimoniale, restando fermo ed incondizionato sia il potere di programmazione delle regioni, sia il potere di vigilanza e di controllo delle stesse sull’espletamento delle attività oggetto di concessione da parte delle istituzioni sanitarie private.

Ciò, in ultima analisi, determina la costituzione di un rapporto di durata tra amministrazione e struttura accreditata, caratterizzato da forti elementi di controllo e programmazione in grado di orientare e influenzare l’attività della struttura accreditata.

Tali conclusioni sono state, altresì, accolte dal TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 2 luglio 2018, n. 1498, con la quale si è messo in evidenza come “il sistema dell’accreditamento sanitario non si sottrae al preminente esercizio del potere autoritativo e conformativo dell’amministrazione, che si qualifica di natura concessoria e assolve la funzione di ricondurre in un quadro di certezza il volume e la tipologia del soggetto accreditato, il cui concorso con le strutture pubbliche nelle prestazioni di assistenza non avviene in un contesto di assoluta libertà di iniziativa e di concorrenzialità, ma (nella misura in cui comporta una ricaduta sulle risorse pubbliche) soggiace alla potestà di verifica sia tecnica che finanziaria della Regione ed a criteri di sostenibilità, nei limiti di spesa annuali”.

Tra le numerose sentenze emesse dal giudice amministrativo, occorre, quindi, soffermarsi su quella del Consiglio di Stato, sezione III, 22 gennaio 2016, n. 207, nella quale si afferma come la natura del rapporto di accreditamento si pone “a metà strada tra concessione di servizio pubblico e abilitazione tecnica idoneativa”.

La pronuncia ha rimodulato, in parte, l’orientamento giurisprudenziale all’epoca affermato, che definiva l’accreditamento come semplice rapporto concessorio, il quale veniva per la prima volta mitigato ponendosi l’istituto a metà strada tra questa qualificazione e l’abilitazione tecnica[2].

In tal modo, dando rilievo alla funzione di abilitazione tecnico-discrezionale volta all’accertamento dei requisiti richiesti, ulteriori a quelli previsti per l’autorizzazione, si è giunti a definire la “doppia natura” dell’accreditamento.

Tale pronuncia, quindi, finirebbe “per allontanare il privato dallo schema puro della concessione di pubblico servizio”, assicurandogli “una maggiore garanzia per l’ottenimento dell’accreditamento (…) sottratto ad una attribuzione ampiamente discrezionale”, avvicinando la posizione soggettiva del privato richiedente alla titolarità di un diritto soggettivo[3].

Si osservi come il massimo consesso amministrativo si sia sforzato di evidenziare tali aspetti nell’ottica di tutelare la posizione soggettiva delle strutture accreditate rispetto alla scure dei poteri di controllo e direzione riconosciuti all’amministrazione.

La pronuncia, inoltre, rappresenta un interessante spunto di riflessione in quanto mette in evidenza l’accreditamento nella più ampia cornice della pianificazione regionale, evidenziando come “gli operatori privati accreditati non sono semplici fornitori di servizi, in un ambito puramente contrattualistico, sorretto da principi di massimo profitto e di totale deresponsabilizzazione circa il governo del settore, ma sono soggetti di un complesso sistema pubblico-privato qualificato dal raggiungimento di fini di pubblico interesse di particolare rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute, su cui gravano obblighi di partecipazione e cooperazione nella definizione della stessa pianificazione e programmazione della spesa sanitaria”.

Infine, occorre menzionare la sentenza delle Sezioni Unite, n. 16336 del 18 giugno 2019, nella quale si è osservato come “in tema di assistenza sanitaria pubblica, il regime dell’accreditamento introdotto dall’art. 8, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992 non ha inciso sulla natura del rapporto tra struttura privata ed ente pubblico, che resta di tipo concessorio, atteso che la prima, a seguito del provvedimento di accreditamento, viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della P.A. ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico […]”. Nonché, la sentenza del Consiglio di Stato sez. III, 6 luglio 2021, n. 5142 nella quale si è tornati a ribadire come “Il sistema dell’accreditamento sanitario non si sottrae al preminente esercizio del potere autoritativo e conformativo della Pa, che si qualifica di natura concessoria ed assolve la funzione di ricondurre in un quadro di certezza il volume e la tipologia dell’attività del soggetto accreditato, il cui concorso con le strutture pubbliche nelle prestazioni di assistenza non avviene in un contesto di assoluta libertà di iniziativa e di concorrenzialità, ma – nella misura in cui comporta una ricaduta sulle risorse pubbliche – soggiace alla potestà di verifica sia tecnica che finanziaria della Regione ed a criteri di sostenibilità, nei limiti di spesa annuali (articolo 8 quater, II, Dlgs n. 502/1992”.

In conclusione, dunque, appare possibile affermare come la qualificazione giuridica avallata dalla giurisprudenza dell’accreditamento in termini di concessione sia quella che mette in maggiore evidenza sia l’aspetto puramente provvedimentale sia l’aspetto del rapporto amministrativo che da esso deriva. Tale provvedimento, infatti, è in grado di dar vita a un rapporto complesso che, da un lato, è caratterizzato dall’aspirazione delle strutture a fare parte di un mercato ristretto come quello delle prestazioni sanitarie; dall’altro, dalla costante esigenza del sistema di assicurarsi tali prestazioni e, al contempo, di contenere e razionalizzare la spesa in conformità con gli strumenti di programmazione. Tutto ciò, quindi, si realizza per il tramite di un rapporto che, a latere civis, deve caratterizzarsi rispetto a elementi di certezza del diritto senza mortificare le legittime aspettative delle strutture; mentre, a latere principis, da elementi che consentano alle amministrazioni di riferimento di monitorare e valutare le attività delle strutture accreditate che gestiscono parte del servizio sanitario nazionale. Ne deriva, quindi, che la qualificazione dell’istituto in termini concessori è quella che meglio soddisfa tali esigenze.

 

 

 

 

 


[1] Ex plurimis, Cons. Stato, 17 settembre 2010, n. 6938.
[2] F. Spanicciati, “Pubblico e privato nell’accreditamento sanitario”, in Giorn. Dir. amm., 5, 2016, p. 673 ss.
[3] F. Spanicciati, “Pubblico e privato nell’accreditamento sanitario”, in Giorn. Dir. amm., 5, 2016, pag. 679.

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