Commento alla sentenza 245/2020 della Corte Costituzionale relativa al decreto antiscarcerazioni

Commento alla sentenza 245/2020 della Corte Costituzionale relativa al decreto antiscarcerazioni

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 245 del 04 novembre 2020 (depositata il 24 novembre 2020), riunita in camera di consiglio, ha esaminato le questioni sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dai Magistrati di sorveglianza di Spoleto e di Avellino sul decreto legge n. 29 del 2020 e sulla legge n. 70 del 2020 relativi alle scarcerazioni, connesse all’emergenza COVID, di detenuti condannati pe reati di particolare gravità.

Nello specifico, con ordinanza del 9 giugno 2020, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, 32, 102, primo comma, e 104, primo comma della Costituzione, dell’articolo 2 del decreto legge 10 maggio 2020, n. 29[1][2] nella parte in cui prevede che la rivalutazione della permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria sia effettuata entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile e, ancora, immediatamente nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta; nonché dell’articolo 5 del medesimo decreto legge, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all’articolo 2 si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020.

Il rimettente, in particolare, sospettava il contrasto tra gli articoli 2 e 5 del decreto e gli articoli 102, primo comma, e 104, primo comma, Costituzione. Le norme evidenziate sembrerebbero infatti invadere la sfera di competenza dell’Autorità giudiziaria e violare il principio di separazione dei poteri, soprattutto in quanto applicabili in modo retroattivo anche ai provvedimenti già adottati a decorrere dal 23 febbraio 2020. Il rimettente riteneva che l’imposizione di rivalutare periodicamente la permanenza delle condizioni che giustificano la misura, prima della scadenza del termine fissato nel provvedimento di concessione, sembrerebbe orientare la decisione di revoca del provvedimento, tenendo conto della disponibilità di strutture penitenziarie o di medicina protetta all’interno degli istituti penitenziari, piuttosto che delle effettive condizioni di salute del detenuto. In ragione di quanto evidenziato, dunque, le disposizioni in esame sembrerebbero altresì contrastare con gli articoli 32 e 27, terzo comma, Costituzione, relativi alla tutela del diritto alla salute dei condannati.

Infine, la disciplina censurata risulterebbe incompatibile con l’articolo 3 della Costituzione, essendo applicabile solamente a specifiche categorie di detenuti, sulla base di una presunzione di pericolosità correlata esclusivamente al titolo del reato e al regime detentivo. Così facendo, le disposizioni discriminerebbero alcune categorie di detenuti, a scapito della tutela del diritto alla salute e all’umanità della pena: tutela che, a parere del giudice a quo, non tollera alcun automatismo.

Nel giudizio a quo è anche intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato: quest’ultima ha ritenuto le questioni sollevate manifestamente infondate. Infatti, la disciplina censurata riguarderebbe condannati che si trovano in carcere sulla scorta di una ritenuta compatibilità delle loro condizioni di salute con il regime carcerario e che verrebbero scarcerati non a causa di un aggravamento delle loro condizioni di salute, ma solo a causa dell’emergenza sanitaria: quest’ultima, determinando problemi di gestione, non consentirebbe il mantenimento dei medesimi livelli di cura assicurati in precedenza e imporrebbe l’adozione di misure alternative volte a prevenire il rischio di contagio di soggetti portatori di pregresse patologie.

Con ordinanza del 3 giugno 2020, il Magistrato di sorveglianza di Avellino ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 24, secondo comma, 32 e 111, secondo comma, Costituzione, dell’articolo 2 del decreto legge 29/2020.

Rispetto a quanto sollevato dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, il rimettente di Avellino ritiene che l’articolo 2 del decreto in esame contrasterebbe con l’articolo 24 della Costituzione, in ragione della limitazione che subirebbe il diritto di difesa del condannato nel procedimento di rivalutazione imposto dalla norma, essendo il contraddittorio completamente sacrificato in nome di una decisione il più celere possibile. Conseguentemente, verrebbe altresì violato l’articolo 111 della Costituzione, sotto il profilo della garanzia del contraddittorio in condizioni di parità tra la difesa e la parte pubblica, avendo soltanto quest’ultima la possibilità di partecipare al procedimento di rivalutazione previsto dalla norma. Peraltro, il difetto di parità tra le parti non verrebbe colmato dal successivo procedimento innanzi al Tribunale di sorveglianza, chiamato ad assumere la decisione definitiva sulla concessione della detenzione domiciliare, dal momento che l’eventuale revoca disposta dal Magistrato di sorveglianza ha effetti immediatamente esecutivi.

Con ordinanza del 18 agosto 2020, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato questioni di legittimità, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Costituzione, dell’articolo 2-bis del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28[3][4], convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, nella parte in cui prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il Magistrato che lo ha emesso. Le motivazioni poste a sostegno delle questioni di legittimità sollevate dal Magistrato riprendono grossomodo quelle precedentemente addotte dai magistrati prima citati.

Sulla scorta delle censure mosse dai magistrati, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità degli articoli 2 e 5 del decreto legge 10 maggio 2020, n. 29, così come trasfusi nell’articolo 2-bis del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito nella legge 25 giugno 2020, n. 70, per i seguenti motivi.

Le censure formulate dalle ordinanze di rimessione si incentrano sulla previsione da parte del legislatore di un procedimento che non coinvolge adeguatamente la difesa tecnica dell’interessato, che non avrebbe accesso ai pareri e alla documentazione acquisiti dal Magistrato di sorveglianza e sui quali formerà il proprio convincimento: ciò determinerebbe, come osserva il Magistrato di Spoleto, una carenza assoluta di contraddittorio rispetto alla parte pubblica. E tale carenza non può neppure considerarsi sanata, secondo il medesimo Magistrato, dal successivo contraddittorio che si instaurerebbe dinanzi al Tribunale di sorveglianza, dal momento che già dalla revoca disposta dal Magistrato di sorveglianza (che la legge qualifica come immediatamente esecutiva) può derivare una grave pregiudizio al condannato.

La censura dei rimettenti concerne quindi la presunta illegittimità costituzionale del ricorso, da parte del legislatore, ad un procedimento a contraddittorio soltanto differito ed eventuale.

Al riguardo, occorre rilevare che il difensore, al di là del procedimento di rivalutazione descritto dalla disposizione censurata, può certamente presentare memorie e documenti al Magistrato di sorveglianza (come peraltro risulta essere avvenuto in tutti i procedimenti a quibus): ai sensi dell’articolo 121 comma 1 del codice di procedura penale, infatti, in ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria. Disposizione che, come riconosciuto dalla giurisprudenza, risulta applicabile anche con riferimento al procedimento di sorveglianza[5].

Ciò tuttavia non sarebbe sufficiente con riferimento alle ordinanze di rimessione, posto che il procedimento avanti al Magistrato di sorveglianza di cui alla disciplina censurata sarebbe comunque da svolgersi senza che il difensore abbia conoscenza della documentazione acquisita ex officio e senza, dunque, che possa opporre specifiche controdeduzioni rispetto alla documentazione stessa.

Nonostante l’obiezione di parte ricorrente colga nel segno, ad avviso della Corte Costituzionale ciò non è sufficiente a determinare l’illegittimità costituzionale della disciplina in esame.

Innanzitutto perché l’intervento del Magistrato di sorveglianza relativo alla concessione della detenzione domiciliare o del differimento della pena è connesso a ragioni di urgenza: il provvedimento del Magistrato dispone infatti l’applicazione provvisoria della misura ed è inteso come interinale, essendo poi destinato a essere caducato dalla successiva decisione definitiva del Tribunale di sorveglianza. Pertanto, il provvedimento urgente e interinale emesso dal Magistrato di sorveglianza viene assunto sulla base di pareri e documenti acquisiti ex officio, nell’ambito di un procedimento totalmente deformalizzato e funzionale a una decisione de plano da parte del Magistrato: procedimento che non presuppone alcuna udienza, né alcuna possibilità per il difensore di replicare di fronte ad un eventuale parere contrario espressione dalla parte pubblica.

E ancora, anche rispetto all’originario provvedimento di concessione, il contraddittorio è riservato alla fase successiva, in cui il Tribunale di sorveglianza deciderà in maniera definitiva sull’istanza del detenuto, nell’ambito di un procedimento regolato nelle forme dell’incidente di esecuzione. Conseguentemente, nel procedimento funzionale all’eventuale revoca del provvedimento di concessione del beneficio da parte del Magistrato, la difesa si troverà nella medesima condizione nella quale si trovava al momento dell’originaria decisione interinale del Magistrato sull’istanza di applicazione provvisoria della misura.

Un simile assetto normativo non appare quindi, a parere della Corte, incompatibile con gli articoli 24 e 111 della Costituzionale, in considerazione del successivo recupero della pienezza delle garanzie difensive e del contraddittorio nel procedimento avanti al Tribunale di sorveglianza. Procedimento che il legislatore, accogliendo un suggerimento espresso dalla dottrina, ha opportunamente previsto debba concludersi entro il termine perentorio di trenta giorni, nell’ipotesi in cui il Magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della detenzione domiciliare, precedentemente concessa ex articolo 47-ter, comma 1-quater, ord. penit.

Infondate sono altresì le censure formulate con riferimento all’articolo 32 Costituzione.

Intento del legislatore è certamente quello di imporre ai giudici che abbiano concesso la detenzione domiciliare in surroga o il differimento della pena ex articolo 147 codice penale per ragioni connesse all’emergenza epidemiologica l’obbligo di periodiche e frequenti rivalutazioni della persistenza delle condizioni che hanno giustificato la concessione della misura, sulla base della documentazione che la disposizione censurata impone loro di acquisire. Ciò al fine di verificare in modo periodico la perdurante attualità del bilanciamento tra le esigenze di salvaguardia della salute del detenuto e le ragioni di sicurezza pubblica, poste in causa dalla speciale pericolosità dei destinatari della misura[6].

In nessun luogo della disposizione censurata emerge la prospettiva di un affievolimento della tutela della salute del condannato, dovendo, tra le altre cose, il giudice verificare l’effettiva disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato possa riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute. Peraltro, sebbene la disposizione censurata non impone che il giudice acquisisca la documentazione sullo stato di salute del detenuto, è anche vero che essa non vieta né che il giudice possa acquisire ex officio tale documentazione; né che possa disporre, se necessario, perizia sullo stato di salute del detenuto ai sensi dell’articolo 185 delle norme di attuazione del codice di procedura penale. Dovendosi altresì rammentare (come ha osservato l’Avvocatura generale dello Stato) che la disposizione censurata concerne condannati che in via generale non presentano condizioni di salute di per sé incompatibili con le condizioni carcerarie e che, solo in relazione alla particolare situazione della pandemia in corso, sono stati ammessi al beneficio extramurario. Pertanto, appare più che legittimo richiedere al Magistrato di rivalutare, periodicamente, le condizioni che hanno giustificato il beneficio, soprattutto con specifico riferimento ai singoli istituti penitenziari e alla effettiva disponibilità di strutture intramurarie o di medicina protetta idonee ad assicurare la cura delle patologie di cui il condannato soffra, tutelandolo ragionevolmente dal rischio di contagio.

In definitiva, la nuova disciplina non abbassa in alcun modo i doverosi standard di tutela della salute del detenuto, imposti dall’articolo 32 Costituzione e dal diritto internazionale dei diritti umani anche nei confronti di condannati ad elevata pericolosità sociale. Né intende esercitare in alcun modo pressioni indebite sul giudice che abbia in precedenza concesso la misura, mirando solamente ad arricchire il suo patrimonio conoscitivo circa la possibilità di opzioni alternative intramurarie o presso reparti di medicina protetti in grado di tutelare egualmente la salute del condannato. La disciplina censurata non è considerata dunque in contrasto con il principio di separazione tra potere giudiziario e potere legislativo.

Parimenti infondate appaiono le censure sollevate relativamente con l’articolo 3 Costituzione. Non può, infatti, giudicarsi irragionevole la scelta del legislatore di imporre al giudice una frequente e penetrante rivalutazione delle condizioni che hanno giustificato la concessione della misura nei confronti di condannati per gravi reati, tutti connessi alla criminalità organizzata, e giudicati di tanta elevata pericolosità sociale da essere sottoposti al regime penitenziario di cui all’articolo 41-bis ord. penit.

Manifestamente infondata è infine la censura in riferimento all’articolo 27, terzo comma, Costituzione, dal momento che le misure in esame non sono funzionali alla rieducazione del condannato, bensì in via esclusiva alla tutela della sua salute.

 

 

 

 


[1] Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati.
[2] La procedura disciplinata dall’art. 2 del D.L. 29/20 sommariamente prevede che: – Quando un condannato per uno dei reati gravi di cui sopra è ammesso alla detenzione domiciliare o usufruisce del differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il Magistrato o il Tribunale di Sorveglianza che ha emesso il provvedimento ha l’onere, acquisito il parere del Procurato distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato, di valutare la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di 15 giorni dall’adozione del provvedimento; – Successivamente, tale valutazione, sempre con le medesime modalità, dovrà essere svolta con cadenza mensile; – La rivalutazione dei presupposti della misura alternativa o di differimento dell’esecuzione della pena dovrà essere effettuata, indipendentemente dai termini, ogni volta in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena; -Primo di adottare un provvedimento, peraltro, è previsto che il Magistrato o il Tribunale di Sorveglianza prenda contatti con l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta regionale, per ottenere notizie aggiornate sulla situazione sanitaria locale e con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per acquisire informazioni sull’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l’internato ammesso alla detenzione domiciliare possa riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per la propria salute; – Una volta ottenute tali informazioni e senza alcuna interazione con la difesa, l’Autorità giudiziaria adotta un provvedimento sulla base della valutazione relativa alla permanenza dei motivi che hanno giustificato l’adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o al differimento della pena, nonché alla disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei a tutelare la salute del detenuto; – Il provvedimento con cui l’Autorità giudiziaria revoca la detenzione domiciliare o il differimento della pena è immediatamente esecutivo.
[3] Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta COVID-19.
[4] Nel nuovo art. 2-bis è confluito il contenuto del previgente art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 (con la sola variazione – che qui non rileva – dell’individuazione del Procuratore della Repubblica, anziché del Procuratore distrettuale antimafia, quale organo competente a fornire il parere indicato dalla norma), collocato ora ai primi tre commi della nuova disposizione; ed è confluito altresì il contenuto del previgente art. 5 del d.l. n. 29 del 2020, che costituisce ora il comma 5 di tale nuova disposizione. Il novum normativo introdotto con la l. 70 del 2020 è costituito dal suo comma 4, che prevede l’obbligo di immediata trasmissione degli atti da parte del Magistrato di sorveglianza al Tribunale di sorveglianza, il quale – nelle ipotesi in cui il primo abbia disposto la revoca della misura extramuraria precedentemente concessa – è ora tenuto ad adottare la decisione definitiva entro i 30 giorni successivi, pena la perdita di efficacia dello stesso provvedimento di revoca.
[5] Ex multis: Cass. Pen., Sez. I, 11 maggio 2011, n. 18600.
[6] Bilanciamento richiamato sia dalla sentenza della Corte Cost. n. 99 del 2019, sia dalle sentenze della Cass. Pen. Sez. I, 7 dicembre 2017 n. 55049; e 20 dicembre 2010, n. 44579.

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Elena Avenia

Nata ad Agrigento nel 1994. Laureata con pieni voti e lode nel luglio del 2018, presso l'Università degli studi di Enna Kore, con una tesi in diritto processuale penale dal titolo "L'ascolto del minore nel processo penale". Diplomata nel luglio 2020 presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Catania. Abilitata alla professione forense il 21 settembre 2020.

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