Costituzioni senza costituzionalismo. La Teocrazia Costituzionale

Costituzioni senza costituzionalismo. La Teocrazia Costituzionale

In ogni Stato è possibile rintracciare un insieme di regole da cui derivi l’assetto organizzativo dei poteri sovrani e il complesso di disposizioni che regolano i rapporti tra gli stessi.

La Costituzione, sia essa scritta o non scritta, di cui ogni formazione sociale si dota, consente di far luce sulle aspirazioni a cui le formazioni sociali stesse si rivolgono, il fine ultimo perseguito da uno Stato che, emergendo dal dato formale, richiede poi un’indagine sui contenuti ‘sostanziali’ che animano il documento costituzionale, sulle convenzioni e le norme che ad esso sono strettamente collegate e che consentono di ben interpretare l’inciso costituzionale.

Ogni costituzione, pertanto, necessita di uno sforzo interpretativo ben più ampio: il dato formale andrebbe integrato di tutti quegli elementi caratterizzanti l’ordinamento, cioè il contenuto ‘sostanziale’ del documento costituzionale che  troverebbe il suo punto di partenza e di approdo nei sistemi giuridici che hanno alla base le premesse proprie del costituzionalismo, promotore di quel dinamismo che ora mantiene aperta l’interpretazione costituzionale, traendo, per altro, le fila dalla lungimiranza dei padri costituenti, ora contrappone la sfaccettatura ‘dinamica’ dei sistemi giuridici alla ‘staticità’ propria delle Carte, chiuse, talvolta, nella loro gelida forma.

Alla luce di queste premesse, le costituzioni sono, dunque, permeate da quel farraginoso retroterra culturale e ideologico che informa di sé il documento costituzionale e che si riferisce ad un preciso ordine di valori costituzionali[1].

Non sempre, però, la prassi ha confermato questa soluzione. Esistono Stati che si sono dotati di costituzioni «i cui connotati non sono, tuttavia, riconducibili ai principi del costituzionalismo»[2] (quanto meno occidentale).  Si è parlato di ‘costituzioni senza costituzionalismo’[3] per definire quell’esperienza complessa di ‘costituzioni in un contesto non costituzionale[4].

Si tratta di Stati nei quali è circolante il dato formale e, «l’involucro esterno denominato “costituzione”, ma [in cui] non si sono fatti propri i principi e i valori che quella formula intendeva originariamente esprimere. A conferma, dunque, che esistono “fratture” che segnano la distanza tra la costituzione formale e la costituzione materiale, tra formule e regole scritte e formule e regole viventi»[5].

Tutti i capisaldi cari alla modernità e al costituzionalismo liberal-democratico, cristallizzati nella celebre formula di cui all’art. 16 della Dichiarazione francese dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789[6], si negano di fronte a quelle esperienze in cui i diritti fondamentali dell’uomo non troverebbero riscontro in un adeguato apparato di garanzie;  mancherebbero, inoltre,  un’effettiva separazione dei poteri e una concreta autonomia tra gli spazi di Dio e quelli dell’uomo, tra diritto e religione, e, va da sé, che quest’ultimo aspetto chiami in causa uno dei principi propri degli Stati occidentali moderni, e cioè quello di laicità.

La libertà religiosa non solo segna il passaggio agli Stati non confessionali, aprendo le porte alla modernità, ma consente a chiunque di esprimere liberamente i propri convincimenti interiori e la propria spiritualità, rintracciando il modo di essere di ognuno, muovendosi su «un terreno difficilmente penetrabile al controllo esterno [poiché], prima di incidere sulle scelte pratiche, interessa profili connessi alla costruzione di sé e della propria personalità, non sondabili né sindacabili da autorità pubbliche»[7].

Peraltro, non riferendosi esclusivamente ad un atto di fede interiore, la libertà religiosa «si presenta un po’ come la madre di tutte le libertà […]. Investe tutte le possibili opzioni connesse all’espressione della coscienza personale: credere e non credere; cambiare credenza, anche più volte nel corso della propria vita; appartenere ad un gruppo religioso ovvero recedervi e così via»[8]. Questo è facilmente comprensibile ed accettabile se si pensa che tutta la vita dell’uomo è caratterizzata, in ogni suo momento, dalla scelta. La garanzia di una pluralità (in questo caso religiosa), l’apertura a diverse prospettive e a diverse possibilità per l’uomo, pone lo stesso di fronte ad una scelta, di cui è il solo responsabile ed artefice, e questo lo rende libero, lo pone, cioè, oltre quei vincoli e fuori da quelle strettoie che lo soffocano e che lo limitano, non soltanto nell’affermazione del suo proprio io, ma anche, di quella identità che lo contraddistingue.

Le istituzioni politiche occidentali, muovendosi in assenza di Dio[9] e, separando il diritto dalla morale, con l’avvento della modernità, hanno portato a compimento quel processo arduo di secolarizzazione, hanno cioè posto «al centro della ragion di Stato l’uomo» e confinato Dio in periferia[10],costruendo la strada del dialogo e dell’incontro e aprendo alla diversità. Invero, «lo scenario variegato delle forme di Stato offre, tra gli altri, anche esempi in cui il fattore religioso si interpone nel rapporto tra governanti e governati. Si tratta di quegli ordinamenti nei quali la fede religiosa dominante viene proclamata quale fondamento del potere temporale; il più delle volte i precetti religiosi assumono il ruolo di fonte primaria del diritto vigente. Si tratta di caratteristiche tipiche degli Stati islamici, ove generalmente la costituzione è subordinata alla legge divina»[11].

È il classico esempio degli Stati cosiddetti ‘confessionali’ o ‘teocratici’, in cui, il più delle volte, la massima autorità religiosa coincide col vertice di Governo. Recentemente, peraltro, il processo di occidentalizzazione del mondo ha determinato l’avvento di quella che Hirschl, nel suo omonimo scritto[12], definisce ‘teocrazia costituzionale’, una nuova forma di stato che, a differenza della teocrazia pura, e cioè il Governo esclusivo di Dio, tende, invece, a fondere gli elementi dello Stato confessionale con alcuni tratti del costituzionalismo moderno.

L’aspetto principale della teocrazia costituzionale è la «separazione formale tra leadership politica ed autorità religiosa»[13]. Il potere, infatti, risiede nella figura politica che opera entro i limiti della costituzione, piuttosto che nella stessa autorità religiosa. Questo, inoltre, trova riscontro nel documento costituzionale, nel quale viene sancito il principio fondamentale della separazione dei poteri.

E’, peraltro, istituita una Corte costituzionale (seppure formata da soggetti esperti sia in materia di diritto generale che religioso) cui è demandato un controllo giurisdizionale attivo di sindacato di costituzionalità sulle leggi. Il carattere ‘teocratico’ di questi Stati è invece sottolineato, secondo Hirschl, dall’assenza di libertà di scelta in materia religiosa, in quanto la religione di Stato rappresenta, in questi ordinamenti, la principale fonte che informa di sé tutta la legislazione e lo stesso metodo interpretativo del diritto.

La religione è parte integrante e pilastro della ‘metanarrativa’ nazionale del sistema politico[14], delimitando i confini politici dell’identità collettiva e dei diritti e doveri dei cittadini. Non ci si limita unicamente al riconoscimento esclusivo di una religione che è quella di Stato, ma le leggi devono conformarsi ai principi e alle dottrine religiose e nessuna legge può contrastarvi. Nella maggior parte dei casi vi è una stretta collaborazione tra i sistemi giurisdizionali civili e le autorità religiose, le cui opinioni assumono un rilevante peso simbolico, ponendosi, queste, al di sopra del popolo dei fedeli, e fungendo da guide per la vita. «In questo modo la religione esprime l’intento di plasmare la vita sociale, di non limitarsi ad una proiezione verso l’aldilà del mondo, bensì di volere contribuire a fondare o rifondare i rapporti intramondani; la religione si proietta sul sociale facendosi ragione pratica e azione storica, assumendo una capacità di forma di tipo pubblico, e non più solo privato»[15].

Il modello ideale di teocrazia costituzionale si caratterizza, dunque, per quella combinazione tra Stato confessionale e alcuni o tutti gli elementi del costituzionalismo moderno, recuperando da questo il rispetto di principi fondamentali, quali la distinzione formale tra autorità religiosa e autorità politica e la presenza di un judicial review; il riconoscimento di una religione ufficiale di Stato, cui si attribuisce anche una dignità costituzionale, così come ai suoi testi, alle sue prescrizioni e alle sue interpretazioni che rappresentano la sola fonte di legislazione e di interpretazione giurisdizionale; ed infine, l’istituzione di corpi religiosi o tribunali ‘a sfondo religioso’ che operano, sostituendole o collaborando, con le corti civili[16].

La teocrazia costituzionale però è anche più di questo, è una forma di Stato in continua evoluzione, un prezioso compromesso tra passato e futuro, «la congiuntura di aspirazioni ideologiche e considerazioni strategiche [che] si presenta in una forma non ancora del tutto definita, come il riflesso di un’intrigante affinità concettuale tra costituzione e religione, ognuno con i suoi testi di riferimento, con le proprie gerarchie interpretative, la propria moralità mista ad interessi terreni»[17].

Per Hirschl, alla teocrazia costituzionale va il merito di aver offerto una nuova chiave di lettura del costituzionalismo moderno, che sembra spingersi oltre quei sistemi sociali e politici che si collegano esclusivamente alla nozione di democrazia. «La teocrazia costituzionale è insomma una sorta di specchio attraverso cui lo stesso costituzionalismo occidentale può imparare a riconoscere quanto di costituzionalismo è presente nelle teocrazie e, al contempo, quanta teocrazia è presente nello stesso costituzionalismo occidentale»[18].

La presenza di una Costituzione e dei principi del costituzionalismo consente anche di completare quel processo di riassestamento, già avvenuto in passato, nei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, affermandosi come la definitiva ‘resa dei conti’ nello storico conflitto tra la corona e l’altare. Hirschl, a tal proposito, interrogandosi sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa, tra la religione e il diritto, disegna nove modelli di interazione. Egli colloca su un’estremità i regimi comunisti atei ed anticonfessionali. La religione come ‘oppio dei popoli’, secondo il motto marxista, si ricollega ad uno stato di arretratezza della classe operaia, stordita dalla borghesia, che usa la religione per scopi di oppressione e di reazione, relegando gli operai ad uno stato di minorità culturale ed economica. La sconfitta del capitalismo, per Marx, può realizzarsi solamente attraverso l’abbattimento della fede e della gerarchia ecclesiastica. Va da sé che la Repubblica Popolare cinese del 1949, l’Etiopia e il potere sovietico in Russia hanno da sempre mostrato un sentimento di ripudio verso le confessioni.

L’altro modello ipotizzato da Hirschl è quello della laicità francese, che si distingue, tuttavia, dall’ anti-religiosità comunista, ma pone come obiettivi principali la secolarizzazione e l’affermazione dei concetti di cittadinanza e di Nazione, affrancandosi definitivamente da riferimenti religiosi, come pure emerge dalla Carta Costituzionale Turca del 1937, che milita a favore della separazione dello Stato dalla religione. Tuttavia, a differenza di quanto avviene in Francia, in Turchia, oggi notoriamente laica, l’affermazione del principio «non ha coinciso con l’occultamento di tutti i simboli religiosi, ma solo di quelli considerati l’emblema dell’essenza retrograda dell’Islam (quali il velo), mentre si è ad esempio proceduto alla sacralizzazione della mezzaluna, contenuta nella bandiera nazionale»[19].

In altri paesi, la laicità appare più mitigata. Nonostante l’obiettivo sia quello della secolarizzazione, la religione ha rappresentato e continua a rappresentare un elemento di forte identificazione sociale e culturale, come accade, ad esempio, in America, dove, accanto al divieto di ‘favoreggiamento’ di qualsiasi religione, si pone, tuttavia, quel modo di dire squisitamente americano «In God We Trust» che lascia il Paese aperto allo spazio della Trascendenza e al compromesso con i dettami della moralità religiosa. «Tutto il linguaggio politico americano è ammantato di religione e religiosità. Gli Stati Uniti sono oggetto privilegiato di benedizione divina, scelti da Dio per essere faro e guida dell’umanità contemporanea: è ironico che Bush abbia inteso combattere il fondamentalismo religioso islamico con il richiamo fondamentalista ad un’altra religione»[20].

In alcune parti del globo l’alto tasso di immigrazione, invece, rende più flessibile il distacco tra lo Stato e la Chiesa. È il caso, ad esempio, del Canada, dove, il rispetto per la tradizione si coniuga col riconoscimento ‘moderno’ della diversità, soprattutto religiosa. La Carta dei diritti e delle libertà canadese, infatti, tutela la libertà di confessione religiosa, facendo della multietnicità un pilastro costituzionale. In alcuni paesi europei, come in Danimarca o in Norvegia, la religione viene formalmente istituzionalizzata. Si tratta, tuttavia, di un’‘ufficializzazione’ debole che resta ancorata alla mera tradizione storica, senza peraltro avere un vero e proprio riscontro sostanziale.

Emblematico è l’esempio della Corona inglese che coincide con la massima autorità della Chiesa Anglicana, a difesa della fede. Il monarca inglese partecipa, infatti, alle questioni di fede, così come la Chiesa risulta coinvolta nelle cerimonie di incoronazione dei neo-reggenti e ai pastori più anziani viene riconosciuta la rappresentanza presso il ramo parlamentare della House of Lord.

Vi sono altri paesi europei, come Spagna o Italia in cui, invece, la Chiesa Cattolica, seppure formalmente divisa dallo Stato, appare insofferente al destino di emarginazione e, realizzando compromessi e reciproci scambi di favori e privilegi, prova a reinserirsi nella sfera politica. «In Italia, papi e cardinali non esitano a svolgere un ruolo decisamente politico allorché danno indicazioni vincolanti ai credenti su come comportarsi nei confronti di leggi dello Stato, quali la fecondazione assistita o addirittura il divorzio, arrivando al punto di invocare la disobbedienza civile. È in certo senso ironico e paradossale che lo stesso [pontefice emerito] Ratzinger abbia invocato il ritorno di Dio nella sfera pubblica»[21].

Alcuni Stati, come India, Kenya ed Israele, sebbene si professino laici, riconoscono, invece, alle autorità religiose, soprattutto in materia di diritto di famiglia, un margine di autonomia giurisdizionale, nel rispetto delle proprie tradizioni[22].

Infine, vi sono realtà che Hirschl definisce religious jurisdictional enclaves, in cui «non è il sistema religioso che procede da quello costituzionale ma è quest’ultimo che trae la sua legittimità dal primo»[23]. Esempio classico è il modello islamico.

Da tali premesse, quindi, emerge che le costituzioni occidentali non neutralizzano del tutto la natura religiosa, ma anzi, il problema della libertà religiosa e della scelta libera dell’uomo può porsi solo se e quando alla base di questo ragionamento si ammetta l’esistenza di Dio, confidando nella verità di un Suo spazio. Quello della confessione è, infatti, un problema che riguarda qualsiasi area geografica del globo, non fermandosi soltanto all’area musulmana, ma proseguendo il proprio viaggio anche verso le realtà liberali occidentali. I paesi euro continentali, sorretti dalla modernità, infatti, non sembrano poi così diversi dagli attuali paesi islamici, legati alla tradizione. Sebbene la secolarizzazione abbia eretto la sua fortezza contro il sacro, il dio del mondo ha continuato a sopravvivere anche in Occidente, realizzando, così, nella maggior parte dei casi, una laicità soltanto ‘di facciata’.

 

 

 

 

 


[1] Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p 244.
[2] Ibid.
[3] Ibid.
[4] Cfr. A. Harding, P. Leyland, Comparative law in Constitutional Contexts, in e. orucu, d. nelcken, Comparative law. A Handbook, Oxford, 2007, pp. 313- 338.
[5] Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p 245.
[6] «Toute societé dans la quelle la garantie des droits n’est pas assurée, ni la séparation des pouvoirs déterminée, n’a point de constitution». (Si veda art. 16, Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789).
[7] P. Consorti, Diritto e religione, Roma, Editori Laterza, 2014, p. 20
[8] Ibid.
[9] Ibid. 
[10] Ivi, p. 24.
[11] Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p. 251.
[12] R. Hirschl, Constitutional Theocracy, Cambridge, Massachussetts, London, England, Harvard University Press, 2010.
[13] A. Vespaziani, La Teocrazia costituzionale: una nuova forma di Stato?, in Scritti per la Costituzione del Dipartimento Giuridico dell’Università del Molise, Campobasso, Arti Grafiche la Regione srl, 2012.
[14] Cit. R. Hirschl, Constitutional Theocracy, Cambridge, Massachussetts, London, England, Harvard University Press, 2010, p. 3. Per Hirschl la religione è «pillar of the polity’s national metanarrative».
[15] a. vespaziani, La Teocrazia costituzionale: una nuova forma di Stato?, in Scritti per la Costituzione del Dipartimento Giuridico dell’Università del Molise, Campobasso, Arti Grafiche la Regione srl, 2012, p. 974.
[16] Cfr. R. Hirschl, Constitutional Theocracy, Cambridge, Massachussetts, London, England, Harvard University Press, 2010, p. 3.
[17] A. Vespaziani, La Teocrazia costituzionale: una nuova forma di Stato?, in Scritti per la Costituzione del Dipartimento Giuridico dell’Università del Molise, Campobasso, Arti Grafiche la Regione srl, 2012, p. 975.
[18] Ivi, p. 973.
[19]  Ester Stefanelli (resoconto a cura di), Costituzioni e costituzionalismi nel mondo arabo islamico, 4-5 dicembre 2014, Napoli – Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, in dipec.wp.unisi.it, consultato il 24/08/2021.
[20] M. Campanini, Ideologia e politica nell’Islam, Il Mulino, 2008, p. 12.
[21] Ibid.
[22] Per ulteriori approfondimenti sugli archetipi di interazione in Hirschl si veda r. hirschl, Constitutional Theocracy, Cambridge, Massachussetts, London, England, Harvard University Press, 2010, pp. 28-33.
[23] Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p. 253.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Matteo Zuzze'

Laureato in Giurisprudenza con ottima preparazione teorica nelle materie di indirizzo giuridico, già praticante avvocato e tirocinante ex art. 73 d.L. 69/2013 presso il Tribunale di Caltanissetta, Sez. penale. Interessato allo studio del costituzionalismo e del Diritto Costituzionale, all’analisi dei rapporti tra Diritto, diritti e libertà fondamentali, sia nel contesto dello Stato italiano che dal punto di vista comparatistico.

Latest posts by Matteo Zuzze' (see all)

Articoli inerenti