Emergenza Covid-19: la Consulta sospende la legge della Valle d’Aosta

Emergenza Covid-19: la Consulta sospende la legge della Valle d’Aosta

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 4/2021 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, I^ serie speciale, del 20 gennaio 2021, n. 3, ha sospeso l’efficacia della legge della Regione autonoma Valle D’Aosta del 9 dicembre 2020, n. 11, in tema di misure di contenimento e gestione della pandemia da Covid-19, più permissive rispetto a quelle dettate dalla normativa statale.

La Consulta ha ravvisato, nella legge impugnata, l’eccesso di competenza da parte della Valle d’Aosta, in materie di esclusiva competenza statale, quali sono la profilassi internazionale (art. 117, secondo comma, lettera q, Cost.) e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). Così facendo, la regione autonoma ha tentato di creare una sorta di meccanismo parallelo, autonomo ed alternativo di gestione dell’emergenza sanitaria.

La crisi epidemiologica da Covid-19 ha imposto un abnorme sforzo su tutti i fronti e settori. Detta crisi, nella parole della Corte Costituzionale, va gestita ‘’in senso unitario’’, nel rispetto del principio di sussidiarietà ex art. 118 cost. e di leale collaborazione.

La querelle innescata dalla Valle d’Aosta ha costituito un banco di prova interessante che mette al centro diversi temi, dal fondamento costituzionale della ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, alla legittimità degli atti posti in essere dalle autonomie locali e all’esercizio (più inedito che raro) del potere di sospensiva cautelare delle leggi.

Il potere di sospensione in via cautelare degli atti impugnati, esercitato dalla Consulta, è disciplinato dagli articoli 35 co.1[1] e 40 co. 2[2] della legge 11 marzo 1953 n. 87 e dell’art. 21 co. 3[3] delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Nonostante la puntuale disciplina sopraindicata, la Corte ha sempre mantenuto un atteggiamento di cautela nell’esercizio di questo potere. Infatti, con l’ord. n. 245 del 2006[4] e con l’ord. n. 107 del 2010[5], la Consulta aveva sì ammesso il proprio potere di sospensione cautelare con riferimento agli atti legislativi, ma non l’aveva esercitato in difetto dei requisiti richiesti dalla l. 87/53.

Con l’ordinanza in esame, la n. 4/2021, la Corte Costituzionale ha, invece, fondato l’esercizio del potere sospensivo cautelare sull’esistenza congiunta dei requisiti richiesti dalla l. 87/53, del ‘’periculum in mora’’ e del ‘’fumus boni iuris’’, intendendosi per il primo, il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile, e del fumus, come esistenza presupposti sufficienti ad applicare l’istituto in esame.

Tuttavia, il nodo centrale della questione è da ravvisarsi nella natura dei D.P.C.M., che da oltre un anno scandagliano i nostri giorni.

È proprio la corretta qualificazione giuridica di tali atti a dare la chiave di lettura non solo del contrasto in questione, ma di tutti quelli che verranno.

La Valle d’Aosta sostiene che i D.P.C.M. abbiano natura di fonte regolamentare, insuscettibile di comprimere l’autonomia speciale della regione. Il Governo, perciò, non potrebbe neppure delegare con atto di rango normativo, quale il decreto legge, la gestione normativa dell’emergenza sanitaria a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

L’Avvocatura di Stato replica, invece, che non sono i D.P.C.M., ma la legge statale a sovrapporsi all’autonomia regionale. I D.P.C.M. sarebbero, dunque, ‘’atti necessitati’’ cui la legge statale, che definisce i principi fondamentali a tutela della salute, affida il compito di specificazione delle misure di contenimento da adottare volta per volta.

Una riflessione sul tema, si impone d’obbligo. Non possiamo certo negare ai D.P.C.M. la natura di fonte secondaria del diritto.

L’articolo 1 del d.l. 19/2020[6] recita “per contenere i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 […] e con possibilità’ di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus”: si detta, così, una puntuale disciplina in termini di contenuto, validità e modalità di esercizio del potere regolamentare.

Nonostante la nostra Carta fondamentale non faccia riferimento a strumenti ad hoc per fronteggiare le situazioni imposte dal Covid-19, il testo costituzionale prevede dei meccanismi di ‘’automatico aggiornamento’’, dei ‘’modi di essere’’ che permettono alla stessa di non rimanere ancorata ad un’epoca specifica, ma di ‘’divenire’’, in base alle esigenze del tempo.

I D.P.C.M. regolano specifiche situazioni sulla base dei decreti legge che hanno forza di legge.

L’ordinanza n. 4/2021 fa esplicito riferimento ai D.P.C.M. quali ‘’atti necessitati’’ che vincolano le Regioni, al fine di garantire un elevato grado di uniformità ‘’anche sul piano della erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali’’.

Inoltre, le Regioni devono esercitare i propri poteri in materia di salute in modo da ‘’non contraddire il contenuto delle misure statali’’.

La gravità della situazione epidemiologica e il primario interesse alla salute pubblica non permette deroghe: le Regioni non possono adottare misure meno rigorose di quelle statali, per di più in materie di competenza esclusiva affidate allo stato medesimo. Alle Regioni spetta, in base al principio di sussidiarietà, un ruolo integrativo nella gestione dell’emergenza sanitaria e solo al ricorrere di determinate condizioni stabilite dalla legge.

Peraltro, i D.P.C.M. vengono adottati solo dopo aver sentito il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, sì da garantire il rispetto del principio di leale collaborazione (principio, questo, svilito dalla Valle d’Aosta).

La Corte ha poi rilevato, ai fini dell’accoglimento dell’istanza cautelare, sia un oggettivo fumus boni iuris in quanto “la pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost.”, sia il periculum in mora, in quanto “la legge regionale impugnata, sovrapponendosi alla normativa statale, dettata nell’esercizio della predetta competenza esclusiva, espone di per se stessa al concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità, per il fatto di consentire misure che possono caratterizzarsi per minor rigore” e che “le modalità di diffusione del virus Covid-19 rendono qualunque aggravamento del rischio, anche su base locale, idoneo a compromettere, in modo irreparabile, la salute delle persone e l’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una leale collaborazione”.

Così statuendo, la Consulta ha esercitato il potere di sospensione cautelare al fine di non pregiudicare l’assetto normo-organizzativo e di contrastare efficacemente ed unitariamente la pandemia da COVID-19.

 

 

 

 

 

 


[1] L’art. 35, nel testo sostituito dall’art. 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (cd. “legge La Loggia”), prevede: “Quando è promossa una questione di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 31, 32 e 33, la Corte costituzionale fissa l’udienza di discussione del ricorso entro novanta giorni dal deposito dello stesso. Qualora la Corte ritenga che l’esecuzione dell’atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini, trascorso il termine di cui all’articolo 25, d’ufficio può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 40. In tal caso l’udienza di discussione è fissata entro i successivi trenta giorni e il dispositivo della sentenza è depositato entro quindici giorni dall’udienza di discussione”.
[2] . 40. – 1. “L’esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione ovvero tra Regioni può essere, in pendenza del giudizio, sospesa per gravi ragioni, con ordinanza motivata, dalla Corte”.
[3]  Art. 21 – 1. “Ove sia proposta istanza di sospensione ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il Presidente, sentito il relatore, convoca la Corte in camera di consiglio qualora ravvisi l’urgenza di provvedere. Con il medesimo provvedimento il Presidente può autorizzare l’audizione dei rappresentanti delle parti e lo svolgimento delle indagini ritenute opportune. La cancelleria comunica immediatamente alle parti l’avvenuta fissazione della camera di consiglio e l’eventuale autorizzazione all’audizione”. La sospensione degli atti impugnati in sede di conflitto di attribuzione è regolamentata dall’art. 26 delle norme integrative.
[4] https://www.giurcost.org/decisioni/2006/0245o-06.html
[5] https://www.giurcost.org/decisioni/2010/0107o-10.html
[6] Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. (20G00035) (GU Serie Generale n.79 del 25-03-2020)

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