I servizi pubblici tra libera concorrenza e principio di autorganizzazione: la partnership pubblico-privato

I servizi pubblici tra libera concorrenza e principio di autorganizzazione: la partnership pubblico-privato

Sommario: 1. Analisi e descrizione dello stato dell’arte – 2. La società mista secondo il paradigma pubblico – privato e lo strumento del project financing

 

 

1. Analisi e descrizione dello stato dell’arte

L’amministrazione si trova a dover necessariamente fare fronte a rilevanti ed impellenti obbligazioni nel campo dei servizi pubblici: in tali specifiche ipotesi, molto più che in altre, l’intero rapporto obbligatorio, relativo alla concreta attuazione della prestazione fornita al cittadino – utente, si inserisce all’interno di di un contesto necessariamente più ampio, contrassegnato dal dovere dell’amministrazione di assicurare servizi alla collettività e dalla necessità che tali attività siano rispettose dei principi di qualità, sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento degli utenti e promozione dell’accesso universale e dei diritti degli utenti.

L’evoluzione dei compiti e delle funzioni dello Stato, soprattutto in  seguito all’avvento dello Stato pluriclasse ed all’aumento delle esigenze della popolazione alla quali occorreva dare una risposta concreta, ha portato alla nascita del cosiddetto “Stato Sociale” attraverso una crescita esponenziale dell’intervento statale all’interno delle dinamiche societarie ed economiche, evidentemente finalizzato all’ausilio dei cittadini ed al riequilibrio economico e sociale.

La carta costituzionale pur non occupandosi direttamente della materia (eccezion fatta per l’art. 43 che si riferisce ai servizi pubblici essenziali consentendo allo Stato la nazionalizzazione delle imprese che si occupano dell’erogazione dei predetti servizi), ha dato ulteriore impulso al fenomeno predisponendo una serie di norme (artt. 3,4,32,33,34,35,38) che, garantendo imprescindibili diritti in capo ai cittadini, impegnano lo Stato ed i soggetti istituzionali a svolgere attività pubbliche al fine di assicurare loro l’effettività del principio di eguaglianza sostanziale. L’intervento pubblico, oltre che doveroso, diventa così essenziale in alcuni ambiti della vita sociale, pur non escludendo la presenza privata, che, anzi, proprio nell’area del servizio pubblico trova un rilevante spazio di azione.

Ne discende che l’attività di prestazione di servizi pubblici ha ormai acquisito una rilevanza così marcata da affiancarsi a pieno titolo alla tradizionale attività connessa all’emanazione di provvedimenti autoritativi, connotando ed integrando il ruolo della moderna amministrazione.

All’interno del nostro ordinamento, manca però una definizione di servizio pubblico ricavabile all’interno dell’impianto normativo. Nell’ottica di una siffatta lacuna, grazie all’opera posta in  essere dalla dottrina e dalla giurisprudenza, può definirsi servizio pubblico la relazione che si instaura tra soggetto pubblico, che organizza una offerta pubblica di prestazioni, rendendola doverosa, ed utenti. Tale relazione ha ad oggetto le prestazioni di cui l’amministrazione, predefinendone i caratteri attraverso l’individuazione del programma di servizio, garantisce, direttamente o indirettamente, l’erogazione al fine di soddisfare, in modo continuativo i bisogni della collettività di riferimento, in capo alla quale sorge, per l’effetto, una aspettativa giuridicamente rilevante. Il servizio diventa pubblico tanto perché reso ad una platea indefinita di utenti per la soddisfazione dei loro bisogni, quanto perché un soggetto pubblico lo assume come doveroso.

Ed infatti, il servizio pubblico, previa valutazione delle esigenze e dei bisogni della collettività, viene assunto dal soggetto pubblico mediante legge o atto generale, rendendo doverosa la conseguente attività. Nell’ambito della nozione e della tematica si intrecciano, pertanto, atti e fatti di diversa natura: momenti provvedimentali che si accompagnano ad operazioni materiali ed a strumenti di diritto comune soprattutto nella fase di gestione ed erogazione del servizio stesso.

La più valida soluzione al problema definitorio, dunque, deriva dall’aver definitivamente superato l’antitesi tra nozione soggettiva ed oggettiva e dall’aver rappresentato il servizio quale necessaria intersezione di una oggettiva doverosità e di un altrettanto necessario risvolto soggettivo pubblico: la titolarità pubblica del servizio e, cioè, il suo legame con un soggetto pubblico garante nei confronti dell’utenza, della prestazione dei servizi, scisso dalla gestione del servizio stesso, che, attenendo all’erogazione può essere legittimamente svolta dai privati. Alle  difficoltà definitorie riscontrate, sintomatiche in parte di una forte instabilità della materia dei servizi pubblici, si accompagna la fervida azione del legislatore interno influenzata dalla produzione normativa comunitaria e volta, quantomeno nelle intenzioni, a dare stabilità alla materia de qua.

È un dato inequivocabile, infatti, che le riforme si susseguono così incessantemente da formare un processo continuo che si protrae da oltre vent’anni. Le tappe fondamentali della disciplina nazionale riguardante le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici partono da lontano e, nello specifico dalla legge giolittiana n. 103 del 1903 che aveva il compito di attuare il c.d. socialismo municipale attraverso la municipalizzazione dei servizi locali. Gli enti locali diventavano gestori e controllori su mercato dei servizi di utilità collettiva, sino ad allora dominato dai privati. Successivamente la legge n. 142/1990 ha attribuito alle aziende speciali personalità giuridica, trasformandole in enti strumentali all’ente locali e recidendo l’intento Giolittiano che aveva condotto ad inserire l’azienda municipalizzata all’interno dell’organizzazione pubblica. L’intervento ha espressamente previsto anche la costituzione delle società per azioni a partecipazione pubblica locale, quale forma di espletamento del servizio cui l’ente locale poteva ricorrere ogniqualvolta si rendeva opportuna, in relazione al servizio da erogare, la partecipazione del privato.

Ancora, nell’evoluzione normativa, la legge 448/2001, ridisciplina la materia, riformulando l’art. 113 del TUEL ed introducendo, ex novo, nel tessuto normativo, l’art. 113 bis. Gli elementi di novità riguardavano soprattutto l’apertura a logiche concorrenziali attraverso l’introduzione di una netta distinzione tra servizi a rilevanza industriale (per i quali opera la regola della procedura ad evidenza pubblica per l’individuazione del gestore, superando il sistema dell’affidamento diretto), e servizi privi di rilevanza industriale (ancora legati al modello dell’affidamento diretto in favore di istituzioni, aziende speciali e società di capitale misto). La predetta distinzione, nell’ennesima riscrittura dell’art. 113 del D.Lgs. 267/2000 ad opera della legge n. 326/2003 veniva superata e sostituita dalla dicotomia tra servizi di rilevanza economica e servizi di rilevanza non economica.

Quanto ai primi la regola si sostanziava nella procedura ad evidenza pubblica in sede di affidamento della gestione, ma essa subiva due importanti deroghe che escludevano l’indizione della gara, consentendo l’affidamento diretto a: – forme di partenariato pubblico – privato; società in house.

La materia è stata poi ridisegnata dall’art. 23 bis, d..l. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008. La disposizione normativa, al fine di garantire l’applicazione nel settore dei servizi pubblici del direttive europee consacranti i principi comunitari di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici e garantire il diritto di tutti gli utenti all’universalità ed accessibilità dei servizi pubblici ed al livello essenziale delle prestazioni, operava un distinzione tra una modalità ordinaria di conferimento della gestione, consistente nell’espletamento di procedure competitive ad evidenza pubblica nel rispetto del Trattato e dei principi generali dei contratti pubblici, ed una modalità definita in “deroga” ammissibile purché ricorressero situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettessero un efficace ed utile ricorso al mercato. In questi casi si poteva ricorrere all’istituto dell’in house, degradato però a modalità derogatoria di affidamento, che doveva essere motivata indicando la sussistenza di situazioni eccezionali. Le diffuse istanze di ripublicizzazione, manifestatesi soprattutto con specifico riguardo al servizio idrico integrato sono state alla base di un vero colpo di scena concretizzatosi con il referendum del 12 e 13 giugno 2001, in seguito al quale è stato abrogato l’art. 23 bis sopracitato. Ciò ha condotto alla cancellazione effettiva dell’azione del legislatore, il quale aveva predisposto una disciplina molto rigida sulle modalità di gestione dei servizi; una gamma di opzioni ispirata alle direttive europee, ma con una netta propensione all’affidamento della gestione ad imprese private. Tale caratterizzazione era stata data espellendo, di fatto, l’in house providing dalle modalità di gestione “ordinaria”, mentre l’istituto, nelle indicazioni europee, era stato elevato al rango dell’appalto, alla concessione di servizi ed alla società mista.

A colmare il vuoto normativo creato in seguito alla consultazione referendaria è intervenuto l’art. 4, d.l. n. 138/2011 (c.d. Decreto Sviluppo), convertito con modificazioni dalla l. n. 148/2011che ha cercato di ricostituire una disciplina organica della materia. Tuttavia la norma in questione, riproducendo quasi pedissequamente la precedente disciplina, oggetto dell’abrogazione referendaria, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 199/2012 per violazione del divieto do ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare, desumibile dall’art. 75 Cost. In seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale il legislatore è intervenuto con la l. n. 135/2012 che ha modificato, in sede di conversione, l’art. 4, d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (decreto spending review) ed in ultimo, con gli artt. 16, 18, e 19 della L. 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).

Con quest’ultimo indirizzo legislativo, nello specifico il Governo è stato delegato ad adottare decreti legislativi per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche e dei servizi pubblici locali di interesse economico – generale. L’obiettivo del legislatore delegante è stato quello di introdurre un testo organico in materia di servizi pubblici, ispirato, segnatamente, al principio si semplificazione e volto a promuovere il ruolo dei Comuni e delle Città metropolitane nell’individuazione dei servizi necessari per il soddisfacimento dei bisogni della collettività, attraverso strumenti idonei a favorire l’assetto concorrenziale.

Sulla base dei criteri fissati nella legge delega, il Governo ha redatto uno schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 24 novembre 2016. Tuttavia, accogliendo il ricorso proposto dalla Regione Veneto, la Corte  Cost., con la sentenza n. 251/2016, ha accertato ed acclarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, lettere b, c, d, g, h, l, m, n, o, p, s, t, e u, nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4 prevedeva che il Governo adottasse i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa in sede di conferenza unificata. In conseguenza di ciò, il Governo, per ragioni di opportunità istituzionale, ha ritirato il relativo schema di decreto legislativo. Pertanto, risulta fallito il tentativo di dare vita ad un testo unico in materia di servizi pubblici. In tale situazione, connotata da una rilavante lacuna normativa alla quale sarà necessario porre rimedio in sede legislativa, i punti di riferimento continuano ed essere i principi sanciti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che, chiamate a confrontarsi con l’incessante evoluzione normativa degli ultimi anni, hanno elaborato in materia di affidamento dei servizi pubblici: ricorso al mercato privato; partenariato pubblico – privato; affidamento in house.  la scelta riguardante l’uno o l’altro modello è rimessa alla discrezionalità dell’ente, il quale deve però adeguatamente motivare le ragioni sottese alla preferenza manifestata. In questa prospettiva, come si dirà in seguito, è interessante vagliare gli aspetti di tale potere discrezionali indagando circa la possibilità di individuare una qualche forma di gerarchia tra i vari modelli gestori, alla luce dei principi sanciti a livella nazionale e sovranazionale.

2. La società mista secondo il paradigma pubblico – privato e lo strumento del project financing

Alla luce delle linee argomentative trattate in precedenza ed indicative del grado di complessità  della materia, sussistono profili, aspetti, istanze e questioni aperte che orbitano intorno alla tematica dei sevizi pubblici e che forniscono una chiara cifra della instabilità del fenomeno, rendendo complessa la ricerca di soluzioni a problemi di diversa natura.

Il tema dei servizi pubblici si caratterizza infatti, come un vero crocevia di problematiche amministrative: l’aspetto organizzativo, atteso che l’amministrazione deve garantire la soddisfazione si alcuni bisogni apprestando le strutture necessarie ed individuando le modalità di erogazione dei servizi più idonee; il punto di vista economico, nel senso che la scelta delle attività da elevare a servizio pubblico onde soddisfare alcuni bisogni e, di conseguenza, la scelta in ordine al tipo di organizzazione del servizio dipendono dall’entità delle risorse economiche disponibile e dalla necessità di sottostare a vincoli finanziari; il problema della qualificazione giuridica dei rapporti tra ente e soggetto gestore in relazione soprattutto al c.d. contratto di servizio oltre alla problematica delle posizioni giuridiche dei cittadini utenti; il tema della autonomie territoriali; il rapporto pubblico privato nell’erogazione del servizio; il tema della trasparenza, il tema della concorrenza ed il rapporto tra quest’ultimo e il principio di autorganizzazione.

Tali problematiche danno vita ad istanze contrapposte che si avvicendano costantemente: aprire i mercati alla concorrenza ed alla libera iniziativa dei privati; tutelare gli utenti e garantire l’universalità dei servizi; organizzare servizi efficienti e di qualità elevata; contenere la spesa pubblica; assicurare livelli minimi di prestazioni uniformi sul territorio nazionale rispettando la specificità delle autonomie locali (cui sono collegati, sulla base del principio di sussidiarietà verticale i servizi pubblici locali, diretta espressione del livello di governo più prossimo alla collettività stanziata sul territorio) aprirsi a nuovi modelli di democrazia partecipativa fondati sul coinvolgimento diretto dei cittadini nei processi decisionali pubblici e nella gestione delle attività di interesse generale; contemplare e vagliare la convenienza di forme di rapporto pubblico privato che siano in grado di raggiungere un equilibrio tra le forti esigenze tese a garantire la sussidiarietà orizzontale e  la capacità dell’amministrazione di autorganizzazione nella gestione ed erogazione del servizio. In presenza di una carenza di disciplina generale ed organica è importante approfondire i rapporti tra le varie forme di gestione chiedendosi se sia possibile individuare una forma di gerarchia tra i singoli modelli gestori alla luce delle norme comunitarie e delle disposizioni interne. Se a livello sovranazionale le direttive europee del 2014 hanno definitivamente sancito il carattere equiordinato dei principi di libera concorrenza e di libera amministrazione delle autorità pubbliche, riconoscendo a tutte le Pubbliche Amministrazioni, la possibilità di organizzarsi autonomamente e di rinvenire in autonomia le soluzioni più idonee al perseguimento del pubblico interesse, tuttavia il legislatore nazionale, nel recepire tali indirizzi normativi, ha ritenuto di dover restringere l’ambito di operatività dell’in house providing, subordinando la possibilità di ricorso a tale modulo gestionale alla previa valutazione, da parte dell’Amministrazione procedente dell’effettiva opportunità, dal punto di vista dell’efficienza e dell’economicità del servizio, dell’affidamento diretto rispetto al ricorso al mercato. Siffatto modus operandi si lega indissolubilmente con l’art. 118, comma 4 della Costituzione, quale norma di fondamentale importanza nella materia oggetto di trattazione. Il disposto in questione eleva a rango costituzionale il principio di sussidiarietà orizzontale, stabilendo che “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Provincie e Comuni, favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. È questa la dimensione orizzontale del principio di sussidiarietà che pone l’accento sul privato nella soddisfazione dei bisogni collettivi ed ascrive l’intervento pubblico ad una funzione di mera supplenza dell’autonoma iniziativa privata. Sussidiarietà orizzontale che potrebbe essere intesa non solo come elemento legittimante l’esternalizzazione del servizio e l’affidamento a soggetti privati ma anche come strumento in grado di garantire la compartecipazione degli utenti e delle comunità locali all’amministrazione dei servizi pubblici locali  che trova il suo sfondo teorico nell’idea solidaristica della co-amministrazione e nel principio di democrazia partecipativa e deliberativa. Ulteriore frontiera della partecipazione potrebbe allora intravedersi nella presenza dei cittadini nelle compagini societarie quali partners in grado di garantire controllo, pluralismo e democraticità nelle scelte di gestione dei servizi pubblici (come è stato sperimentato in altri settori). Seguendo tale prospettiva, proprio il modello della società mista, della governance pubblico – privata, la cui compatibilità con l’assetto concorrenziale è a priori verificata ed garantita dalla scelta del partner privato mediante gara pubblica, potrebbe essere il giusto compromesso tra le soluzioni politiche estreme sulla gestione dei servizi pubblici. Non si tratta, infatti di una riedizione del vecchio modello della società mista, ma una specifica forma di cooperazione in cui lo statuto della società viene inciso, non secondariamente, dalla sua funzionalizzazione alla gestione ed la controllo del servizio pubblico. Negli ultimi anni, nella rincorsa ai vari modi in cui si è cercato di dare risposta ai bisogno collettivi, la stessa Unione Europea ha indicato che le partnership pubblico – privato possono essere un valido strumento per realizzare investimenti e per la gestione dei servizi.  Peraltro tale strumento societario gode di ampia diffusione in altre realtà europee, tanto per la realizzazione delle opere quanto per la gestione dei servizi. Il modello della partnership tra pubblico e privato (PPP), impostato correttamente, potrebbe essere giusto punto di equilibrio tra forti esigenze tese garantire la sussidiarietà orizzontale e e la capacità dell’amministrazione di organizzarsi autonomamente nella gestione ed erogazione del servizio. Tra i vari modelli, il project financig costituisce anche una delle principali forme del PPP, che può assumere veste istituzionale  quando prevede la partecipazione pubblica delle società di scopo. Esso può portare a vantaggi concreti, sottolineati anche dalla stessa Commissione Europea ed in modo unanime da coloro che hanno contribuito a fornire osservazioni e suggerimenti. Il Partenariato, in presenza di restrizioni di bilancio, può garantire, grazie alla presenza del privato risorse finanziare che rendono possibile la realizzazione delle opere e l’erogazione dei servizi, in modo tale che siano sempre garantiti i principi comunitari. Una corretta attuazione dell’istituto potrebbe inoltre concretamente consentire un alleggerimento dei rischi per il soggetto pubblico con una allocazione degli stessi in capo al privato. Il fenomeno presenta tratti peculiari che è fondamentale approfondire e che si concentrano sugli aspetti contrattuali, fiscali e sul dibattito circa la natura giuridica delle società a partecipazione pubblica quali strumenti di gestione dei servizi pubblici. Come illustrato nella parte descrittiva del presente elaborato, quando l’Amministrazione individua, in primo luogo i pubblici servizi che intende assumere, in quanto rientranti nelle finalità istituzionali dell’ente, e, in secondo luogo, individua il modello gestorio più adeguato in relazione alle circostanze concrete, quello è un momento interamente pubblico. Soltanto in seguito l’ente darà impulso agli ulteriori atti mediante i quali si addiverrà all’affidamento nelle forme previste (ricorso al mercato, società in house o società a capitale misto). Si apre così il problema di individuare, per ciascuna delle ipotesi quali siano gli ulteriori atti nei quali si andrà a riassumere il rapporto tra ente, titolare del servizio e soggetto preposto alla gestione e, al contempo, quale sia la natura degli stessi. Per quanto riguarda gli aspetti fiscali, assume ancora una volta fondamentale importanza il rapporto tra ente e soggetto gestore in relazione ad alcuni profili che presentano rilevanti risvolti sul piano fiscale: dai trasferimenti di beni mobili e immobili previsti dall’art. 118 del TUEL, alla costituzione una società a capitale misto, sino alle problematiche relativa all’applicabilità dell’imposta sul valore aggiunto nei rapporti tra ente e società pubblica. In ordine al profilo della natura giuridica delle società a partecipazione pubblica, invece, i termini del dibattito si concentrano sulla possibilità di configurare enti pubblici in forma societaria, allo stato attuale certamente condizionata dall’esistenza del d.lgs. n. 175/2016, recante il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. Si tratta, infatti, di un complesso di regole speciali che ha reso ancor più incerta la linea fra pubblico e privato, ulteriormente stimolando il dibattito relativo alla riconoscibilità pubblica di talune società e, più in generale, alla stessa configurabilità di un ente pubblico in forma societaria. Questione non certo teorica se solo si considerano le implicazioni applicativa derivanti dal riconoscimento della natura pubblica di tali strutture societarie: dalla qualificazione degli atti come soggettivamente riferibili ad una amministrazione e dunque al relativo regime giuridico, alla giurisdizione sino al problema del rapporto con la tutela della concorrenza.


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